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Autore Discussione: JAWAD JOYA. Per Europa e Usa restare a Kabul è segno di civiltà  (Letto 1955 volte)
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« inserito:: Maggio 22, 2012, 03:55:22 pm »


22/5/2012 - CARTOLINA DA KABUL

Per Europa e Usa restare a Kabul è segno di civiltà

JAWAD JOYA

Stati Uniti ed Europa hanno una responsabilità storica e morale nei confronti degli afghani. Vi spiego perché. Giorni fa a Kabul guardavo sulla Bloomberg tv un’intervista di Charlie Rose a Robert Gates, uno dei pesi massimi ai tempi della Guerra Fredda, segretario di Stato nell’Amministrazione di George W. Bush e poi di Obama fino a un anno fa. Gates ha elencato una serie di fatti che la maggior parte della gente in Europa e in America tende sempre più spesso a ignorare o a dare per scontati. Gates ha detto, per esempio, che all’epoca della Guerra Fredda c’era la certezza di un pericolo imminente, la minaccia di una guerra nucleare era reale e onnipresente. C’era un arcinemico. Tutto nella vita era organizzato intorno a quel paradigma: la paura permanente di una distruzione totale. Ovviamente Gates parlava dell’Unione Sovietica e intendeva dire che un minimo errore di calcolo da parte americana o sovietica avrebbe annientato la vita sulla terra. Questo non è successo perché l’Unione Sovietica è collassata. Chi ha vissuto quei tempi ricorderà che la sconfitta dei sovietici in Afghanistan nel 1989 avviò un processo che si completò con la disintegrazione totale dell’Urss nel 1992. La sconfitta dei sovietici a Kabul creò la possibilità del crollo del Muro di Berlino, il simbolo del mondo precedente.

La caduta dell’Unione Sovietica ha dato origine a un nuovo ordine mondiale, un «mondo globale». Essere interconnessi e interdipendenti divenne «normale» e «cool» per la prima volta nella storia. Tedeschi, francesi e inglesi - fino a quel momento nemici giurati - cominciavano ora una nuova vita economica, culturale e sociale attraverso reciproche dipendenze e cooperazioni. L’America divenne l’unica superpotenza, sperimentando altissimi livelli di crescita economica e stabilità sociale. I vantaggi di questa nuova realtà erano chiari e tangibili anche per l’Europa. Dopo la caduta del Muro di Berlino, nasceva l’Europa riunificata.

Ma gli americani e gli europei erano così occupati a raccogliere i vantaggi del nuovo mondo che si dimenticarono completamente degli afghani, che tanto sangue e tante ricchezze avevano sacrificato combattendo e sconfiggendo i sovietici. Ma gli afghani, tra gli artefici della creazione di questo nuovo mondo, furono abbandonati a se stessi. In Afghanistan più di due milioni di persone sono state uccise in guerra, altri due milioni ferite e otto costrette a emigrare nei Paesi vicini. Kabul, la mia città, un tempo conosciuta come la Parigi dell’Oriente, è stata completamente distrutta.

Quando l’America è rimasta l’unica potenza mondiale non ha fatto nulla di credibile per bloccare la carneficina nelle strade di Kabul e di altre città. Ha voltato le spalle proprio a quelli che aveva aiutato con armi, denaro e addestramento affinché battessero il suo arcinemico. Finito il bisogno, si è ritirata, mentre l’Europa stava a guardare. Oggi tutto questo potrebbe capitare di nuovo. Io so che l’America e la maggior parte dell’Europa stanno vivendo tremende difficoltà economiche. Però vi chiedo di rassicurarci che la catastrofe afghana del 1989 e del 1992 non si ripeterà nel 2014 e oltre. Se all’America e all’Unione europea è rimasto un po’ di spina dorsale e di senso di responsabilità, non devono abbandonare un’altra volta gli afghani. Devono aiutare gli abitanti di questo Paese a prevenire il ritorno di un regime fascista e fanatico come quello dei taleban. Dovrebbero concentrarsi nell’aiuto alle persone affinché possano stare sulle loro gambe economicamente, ben connesse con il resto del mondo. In caso contrario America ed Europa perderanno credibilità e il loro uso di parole come umanità, civiltà, obbligo morale, responsabilità mondiale, valori umani, democrazia, e così via non avrà alcun senso pratico. L’impegno americano ed europeo verso gli abitanti di questo Paese è una cartina di tornasole per sapere se viviamo in un mondo civile o in una giungla

*Jawad Joya ha 27 anni e vive a Kabul. Ha studiato in Italia e negli Stati Uniti da dove due anni fa è tornato in Afghanistan con la speranza di poter vedere la nascita di un nuovo Paese. La sua storia “speciale” è stata raccontata dalla Stampa la scorsa settimana: colpito dalla poliomielite da neonato non è stato capace di alzarsi ed è rimasto analfabeta fino a 13 anni, poi l’incontro con Alberto Cairo della Croce Rossa Internazionale e la conquista di una vita nuova nel mondo. Nelle sue cartoline racconta frammenti della vita quotidiana nella capitale afghana.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10130
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