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Autore Discussione: STEFANO PASSIGLI Il rischio del partito dominante  (Letto 2133 volte)
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« inserito:: Maggio 22, 2009, 11:56:35 am »

22/5/2009
 
Il rischio del partito dominante
 

STEFANO PASSIGLI
 
Attenti solo alle polemiche della «politica politicante», o immersi solo nel gossip quotidiano, buona parte dei leaders di partito e dei commentatori non sembra prestare adeguata attenzione alla rilevanza delle prossime elezioni europee. Esse segneranno, infatti, un punto di svolta non solo nel cammino del Trattato di Lisbona e nei rapporti tra Commissione e Parlamento europeo, ma potrebbero rivelarsi determinanti anche per l’assetto strutturale del sistema politico italiano.

Gli anni di transizione dalla Prima Repubblica ad oggi hanno visto la presenza di un sistema competitivo, caratterizzato da una ripetuta alternanza di governo e opposizione. Le ultime elezioni - complice il premio di maggioranza introdotto dal Porcellum, e ancor più questo primo anno di governo Berlusconi e di irrisolta crisi del Pd - hanno visto un marcato rafforzamento della coalizione di governo. Se questa tendenza venisse confermata nelle elezioni europee da un ulteriore rafforzamento dell’attuale maggioranza, e in particolare del Pdl, rischieremmo di passare da un sistema di democrazia competitiva - caratterizzato appunto dall’alternanza di governo e opposizione - ad un sistema a partito predominante.

I sistemi a partito predominante sono stati tipici, anche per lunghi periodi, di molte democrazie (ad es. l’India o il Giappone, o in Europa la Svezia), e anche l’Italia ha conosciuto, per oltre un ventennio dopo la vittoria della Dc nel 1948, un simile assetto. In Italia, tuttavia, la presenza di un partito dominante era dovuta non a fattori endogeni, ma a una variabile internazionale: la divisione in blocchi e la guerra fredda. In ogni caso, la conventio ad excludendum, che impedendo l’alternanza regalò alla Dc il suo lungo predominio, fu in ogni caso mitigata - anche dopo il travolgente successo del 1948 - dall’autolimitazione della classe dirigente democristiana. Un minimo di competizione nel sistema fu in ogni caso assicurato prima dal cosiddetto «ricambio sulle mezze ali», dall’alternanza cioè al governo assieme alla Dc di partiti laici di diverso orientamento, e poi più decisamente dalla competizione nella maggioranza tra Psi e Dc.

Invece, se le elezioni europee segnassero un ulteriore rafforzamento del Pdl, anche la limitata competizione oggi esistente all’interno della maggioranza verrebbe meno per due principali ragioni: 1) l’attuale premier gode infatti di un potere che potremmo definire «metapolitico», fondato cioè non solo sui poteri che la Costituzione gli riconosce e sul suo essere - al contrario dei premier Dc della Prima Repubblica - anche capo indiscusso del suo partito, ma sul possesso di risorse economiche e mediatiche non temperate da alcuna legge sul conflitto di interessi o da un assetto realmente pluralistico del sistema dell’informazione televisiva; 2) l’eventuale approvazione il 21 giugno del referendum Segni-Guzzetta, attribuendo il premio di maggioranza alla lista più votata anziché alla coalizione vincente, avrebbe l’effetto di consegnare al solo Berlusconi l’assoluto controllo del Parlamento e di tutte le cariche istituzionali (dal Capo dello Stato, alla Corte Costituzionale alle autorità indipendenti), e in accordo con la Lega il potere di modificare la Costituzione senza nemmeno l’obbligo di referendum confermativo.

Assisteremmo insomma al venir meno non solo di qualsiasi dialettica all’interno della maggioranza, ma persino di quell’equilibrio tra poteri che è il cardine del costituzionalismo liberal-democratico. Si aggiunga che la vittoria del «sì», facendo venir meno il ruolo di un possibile polo di centro e radicalizzando lo scontro fra destra e sinistra, contribuirebbe ad un ulteriore rafforzamento della destra: in ogni occasione, infatti, in cui destra e sinistra si sono in Italia affrontate frontalmente - dal 1924 al 1948 - la sinistra è risultata soccombente. La tendenza a passare da una democrazia competitiva a un sistema a partito predominante risulterebbe così rafforzata dalla vittoria dei referendari. Un’ulteriore valida ragione per astenersi dal voto il 21 giugno.
 
da lastampa.it
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