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Autore Discussione: Roberto POLI. - Europa. Il rigore e la crescita in quattro mosse  (Letto 2399 volte)
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« inserito:: Aprile 28, 2012, 11:32:32 am »

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Il rigore e la crescita in quattro mosse

Roberto Poli

28 aprile 2012


Il dibattito tra rigore e crescita è al centro dell'azione politica italiana ed europea, ma non esiste una linea univoca di comportamento. Occorre agire contemporaneamente su almeno quattro direttrici.

1. Riduzione e revisione generalizzata della spesa pubblica. La cosiddetta “spending review”, nella sua accezione internazionale è un processo articolato che non mira soltanto a “tagli”, ma ad una riduzione della spesa complessiva (della amministrazione centrale e periferica) nell'ambito di una linea guida di eliminazione di sprechi stratificati e di assegnazione di priorità. Il metodo è fondamentale. Occorre una squadra dedicata full time formata da tecnici interni alle amministrazioni e da tecnici esterni sotto la guida di un board di grande esperienza ed indipendente. Non è sufficiente lasciare ai responsabili di singoli comparti la responsabilità del processo che deve avere tra i suoi obiettivi anche lo snellimento della burocrazia, una delle cause della scarsa efficienza dell'intera spesa pubblica. Si potrebbe anche immaginare un obiettivo tra il 5 e l'8% della spesa pubblica al netto interessi.

2. Riduzione straordinaria del debito pubblico per riportarlo in fretta nell'intorno del 100% del Pil. Una manovra sul 15% del debito (circa 300 miliardi) è possibile con varie modalità di attuazione. Sul punto esistono già diversi progetti a cui si fa rinvio. Questo comporterebbe non soltanto una maggiore sostenibilità del debito (per i mercati e per i parametri del fiscal compact) ma anche un risparmio di interessi più che proporzionale al taglio del debito. La possibile stima dell'effetto sugli interessi potrebbe attestarsi sui 15-20 miliardi.

3. Riduzione accelerata della evasione fiscale destinando l'intero importo a riduzione del carico fiscale con precedenza alla tassazione dei redditi più bassi. La correlazione tra i due fenomeni darebbe forza all'azione difficile che il governo ha iniziato con grande decisione. Obiettivo possibile: un recupero di 20 miliardi al terzo anno?

4. Riduzione sostanziale del debito pubblico derivante dai ritardi di pagamento delle amministrazioni pubbliche stimato in 70-80 miliardi di euro. È un atto dovuto verso le imprese, soprattutto quelle più piccole. Occorre un sistema di sanzioni pro-futuro a carico delle amministrazioni pubbliche. Questo provvedimento è possibile solo se correlato alla riduzione straordinaria del debito pubblico di cui sopra.
L'equilibrio tra risanamento e sviluppo è un principio che conoscono tutti coloro che hanno dovuto affrontare situazioni di crisi di grandi imprese. L'importante è dar messaggi chiari a fronte dei sacrifici richiesti per ottenere il consenso di tutti. Nel caso italiano i messaggi fondamentali dovrebbero essere: riduzione della spesa pubblica finalizzata al non aumento della pressione tributaria, ed in seguito alla sua diminuzione (rigore); riduzione straordinaria del debito pubblico al quale partecipino (anche in via non volontaria per una parte) coloro che hanno patrimoni più elevati (equità); riduzione dell'evasione fiscale finalizzata alla riduzione del carico fiscale sui redditi bassi ed allo sviluppo dell'occupazione (valenza sociale); riduzione del debito pubblico verso le imprese finalizzato alla sopravvivenza e sviluppo delle imprese stesse (sviluppo). Il governo Monti ha la competenza e l'autorevolezza per portare avanti un importante processo di trasformazione purché sia coordinato negli strumenti utilizzati. Sarebbe però limitativo non intervenire anche sul costo di tutti gli organi costituzionali che è una delle cause della disaffezione dalla politica, accogliendo l'auspicio del Presidente della Repubblica. Serve è una rifondazione dello Stato. Sarà un processo lungo e chiederà lo sforzo congiunto di tutte le energie migliori del Paese. In esso andranno coinvolte con ruoli importanti le giovani generazioni, come fece Enrico Mattei per creare l'Eni, sotto la sorveglianza dei soggetti più maturi che pensino solo e soltanto al bene comune.

Sarebbe però miope guardare ai problemi italiani senza affrontare il tema dell'Europa. I padri fondatori avevano un grande progetto strategico e nel 1957, a fianco del Trattato di Roma, vollero la costituzione di due organismi: l'Euratom per i problemi dell'energia e la Banca Europea degli Investimenti per finanziare i grandi progetti di espansione delle economie europee. Oggi ci siamo concentrati sul coordinamento delle politiche economiche mediante il trattato c.d. “fiscal compact” che sostanzialmente si limita a “mettere dei paletti” (pareggio di bilancio e riduzione del debito pubblico esistente). Il futuro di questo progetto è incerto, sia per la mancata adesione della Gran Bretagna, sia per possibili mancate ratifiche. A livello europeo oggi operano la Banca centrale europea (Bce) e la Banca europea degli investimenti (Bei). Mentre la prima sta espandendo la sua attività sotto l'autorevole guida di Mario Draghi, la seconda ha perso la spinta propulsiva che i fondatori volevano. Ricordiamo che furono proprio gli italiani a volere questa istituzione perché l'economia italiana era ad uno stato di evoluzione inferiore a quella di Germania e Francia. Al suo capitale partecipano tutti i 27 paesi dell'Unione con quote differenziate e non corrispondenti al peso che essi hanno nell'economia di oggi. Il suo capitale nominale di 232 miliardi di euro è versato soltanto per 12 miliardi. Il suo attivo a fine 2010 è di circa 446 miliardi ed ha obbligazioni sul mercato per un totale di circa 380 miliardi (circa 30 volte il capitale versato). In sintesi, il suo bilancio è più piccolo di quello della prima banca italiana Intesa Sanpaolo. Occorre un grande progetto di rilancio della Bei o, in alternativa, la creazione di una nuova entità (che per semplicità chiamiamo Bse, Banca europea per lo sviluppo) a cui partecipino soltanto i paesi dell'area Euro, in analogia alla Bce.

La dimensione di queste entità deve essere diversa: un capitale versato (anche in più tranches) di 50 miliardi, anche con possibilità di sottoscrizione anche da parte di organismi tipo la nostra Cassa Depositi e Prestiti. Avrebbe la possibilità di emettere bond o project bond destinati a finanziare progetti industriali strategici europei fino a 20/25 volte l'entità del capitale versato. Si avrebbero così due organismi: la Bce per assicurare anche il finanziamento del sistema bancario e finanziario; la Bei o Bse per promuovere il finanziamento dell'economia reale europea per lo sviluppo.

L'Italia e l'intera costruzione europea si trovano oggi in un momento delicato. Il fiscal compact ricorda quanto avvenuto con il trattato internazionale in materia ambientale noto come “Protocollo di Kyoto” sottoscritto nel 1997 da 160 paesi e che sarebbe entrato in vigore quanto lo avessero ratificato almeno 55 Paesi. Ciò è avvenuto nel 2004 quando la Russia ha perfezionato la sua adesione.
Peccato che tra i Paesi non aderenti figurino gli Stati Uniti (responsabili del 36% delle emissioni) e che siano esonerate Cina e India in quanto non responsabili delle emissioni di gas serra durante l'industrializzazione che si presume oggi sia la causa del cambiamento climatico. Adempiendo ai principi del trattato, il Parlamento Europeo nel 2009 ha approvato (e gli Stati membri lo hanno recepito) il pacchetto clima-energia (noto come 20-20-20) con l'obiettivo della UE per il 2020: di ridurre del 20% le emissioni di gas serra; di portare al 20% il risparmio energetico; di portare al 20% l'energia da fonti rinnovabili. Questi impegni stringenti assunti dai singoli Stati europei possono generare situazioni di aggravio per interi comparti industriali (industria siderurgica, chimica, raffinazione, cementifici, etc.) e generare costi aggiuntivi per gli incentivi alle fonti rinnovabili creando di fatto situazioni di difficile competizione a livello globale.

In sintesi, gli europei si autoimpongono dei limiti (in materia ambientale e con il fiscal compact) mentre gli altri Paesi si tengono le mani libere. Questo da un lato fa onore alla vecchia Europa, ma dall'altro siamo sicuri che non stiamo giocando una partita a carte truccate?

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