EVASIONE, LA REPRESSIONE NON BASTA, NUOVE STRATEGIE PER PIU' TAX COMPLIANCE
In una riflessione scritta per Italianieuropei Massimo Romano evidenzia i limiti dell'attuale strategia di contrasto dell'evasione di massa e propone un nuovo modello basato anche sul ruolo attivo dell'amministrazione nella fase che precede la dichiarazione dei redditi.
di Massimo Romano
Nella lotta all'evasione occorrono nuove strategie. La sola azione di accertamento, oggi mal supportata da un incoerente sistema sanzionatorio, non può essere sufficiente. Una moderna amministrazione deve porsi sempre più l'obiettivo di far emergere spontaneamente le basi imponibili attraverso una combinazione di azioni da attuare anche nella fase che precede l'adempimento. In un sistema basato sull''autodichiarazione l'obiettivo deve essere quello di indurre i contribuenti a dichiarare il vero. Per fare ciò occorre un'azione combinata basata sul tracciamento e sugli incroci delle informazioni, da utilizzare anche per realizzare un confronto prima della presentazione delle dichiarazioni con i contribuenti che presentano situazioni incoerenti con i dati, e su un sistema sanzionatorio equilibrato e coerente. Ciò presuppone, prima di tutto, un impegno comune di tutte le forze politiche nel rifiuto dei condoni e per la stabilità del quadro normativo.
Da un secolo e mezzo il problema dell'evasione fiscale è al centro del dibattito politico e tecnico nel nostro Paese. Molto si è scritto e detto sulle dimensioni del fenomeno, sulle sue cause e sulle possibili soluzioni, ma ancora oggi l'evasione e le sue conseguenze costituiscono una delle principali debolezze strutturali del sistema italiano, causa di mancata crescita economica e di arretramento sociale (1).
Limitando lo sguardo all'esperienza degli ultimi quattro decenni se ne ricava un quadro confuso e contraddittorio, che mette in luce la superficialità di molti interventi, adottati spesso frettolosamente sotto la spinta di crescenti esigenze finanziarie piuttosto che sulla base di un disegno organico e razionale.
Con la riforma fiscale del 1971-73 si puntò, almeno nella fase iniziale, su un modello di adempimento basato, nel caso delle attività indipendenti, sul generalizzato obbligo di tenuta delle scritture contabili, sulla dichiarazione (dei redditi e Iva) e sul contemporaneo versamento dell'imposta (l'autotassazione operò ai fini Irpef dal periodo d'imposta 1975). Tale modello, frutto di un approccio del tutto teorico e permeato di formalismo giuridico, si sarebbe rivelato poi del tutto inidoneo ad assicurare una sufficiente lealtà nella condotta fiscale delle imprese medio piccole e dei professionisti, tra i quali si concentra una parte rilevante dell'evasione, e l'intero sistema delle entrate statali si è retto fino ai giorni nostri essenzialmente sul ben più efficiente binomio "ritenuta d'acconto sui redditi di lavoro dipendente-dichiarazione del sostituto d'imposta", che da solo è stato in grado di assicurare quote crescenti dell'Irpef (attualmente oltre il 75%).
In questo schema il ruolo assegnato all'amministrazione era quasi esclusivamente di tipo reattivo e prevedeva che essa dovesse svolgere un'attività di controllo e verifica ex post, cioè dopo la presentazione della dichiarazione, applicando un sistema sanzionatorio amministrativo particolarmente rigoroso e tale da condurre in molti casi all'estinzione economica del soggetto piuttosto che alla sua 'redenzione'.
Ben presto fu abbastanza chiaro che la soluzione adottata si stava traducendo in un grave insuccesso. Tuttavia, la crescita continua del gettito, alimentato dal meccanismo della ritenuta d'acconto "integrale" sui redditi di lavoro dipendente e da un inesorabile fiscal drag generato dall'inflazione a due cifre di quegli anni, non indussero a una accurata analisi del problema e alla ricerca di soluzioni di ampio respiro.
Al contrario, la propensione tipicamente italiana ad uno sterile formalismo procedimentale e un'eccessiva fiducia verso le nuove opportunità offerte da un'informatica ancora priva del decisivo apporto della telematica, spinsero il legislatore verso soluzioni rivelatesi tutte poco efficaci o, comunque, insufficienti a contrastare l'evasione, quali la bolla di accompagnamento dei beni viaggianti, la ricevuta fiscale, i misuratori fiscali, il redditometro, ecc.
Quanto all'amministrazione ben poco fu fatto negli anni '70 e '80, mancando del tutto in quegli anni la volontà di arrivare ad una effettiva modernizzazione e potenziamento dell'apparato, fattori questi su cui pure si fondava il disegno di riforma del '71, secondo l'insegnamento di Cosciani. In sostanza fino alla fine degli anni Novanta l'amministrazione non è stata messa in grado di svolgere efficacemente quel ruolo di controllo e repressione che la stessa riforma del 71' le assegnava.
Con la legge n. 146 del 1980 si introdusse il concetto della programmazione annuale dell'attività di accertamento (in verità non solo per migliorarne l'efficacia, ma anche per tutelare gli stessi funzionari, ritenuti da qualche ufficio giudiziario responsabili del mancato controllo di migliaia di dichiarazioni fiscali palesemente inattendibili) e si istituì il Servizio centrale degli ispettori tributari (Secit), formato da cinquanta esperti di diversa estrazione professionale, dal quale si sperava di ottenere un decisivo apporto per combattere l'evasione e anche per contrastare la corruzione che pure esisteva nell'amministrazione.
Nel 1982, con la legge chiamata "manette agli evasori", si riformò la legislazione penale-tributaria, eliminando la pregiudiziale amministrativa e introducendo nuovi reati prodromici (indipendenti cioè dal contenuto della dichiarazione), misure queste che ben poco avrebbero scoraggiato l'evasione negli anni successivi, e si pervenne al primo condono fiscale post-riforma (l'ultimo del periodo precedente alla riforma era del 1973).
Tralasciando per brevità altri passaggi, si arriva poi ad un nuovo condono, quello del 1991, giustificato questa volta, dopo l'insuccesso delle "manette agli evasori", dal superamento del segreto bancario nei confronti del fisco.
Di fronte all'emergenza della finanza pubblica e all'incapacità di adottare efficaci soluzioni strutturali per migliorare la tax compliance, nel 1993 si adotta per breve tempo la minimum tax, per giungere poi, attraverso i "coefficienti presuntivi" e i "parametri", ai più raffinati "studi di settore" nel tentativo di indurre una maggiore correttezza fiscale da parte del mondo della piccola impresa e delle professioni autonome.
Nel 1996, con il Primo Governo Prodi, si avvia una stagione di riforme ispirate ad un disegno organico, intervenendo oltre che sull'ordinamento tributario, anche sulle procedure e sull'organizzazione. E' nel quinquennio 1996-2000 che si realizzano, infatti, le dichiarazioni telematiche, i versamenti unificati, la possibilità di compensazione tra crediti e debiti d'imposta, la riforma delle sanzioni amministrative e penali, l'accertamento con adesione, gli uffici unificati, le Agenzie fiscali.
Nell'ultimo decennio (2001-2011) le esasperate contrapposizioni politiche sulla questione fiscale hanno condizionato non poco le strategie contro l'evasione. Dopo un nuovo condono varato nel 2002-2003 dal Secondo Governo Berlusconi (si tratta del terzo dopo la riforma del 1971 e questa volta si estende, attraverso il c.d. 'scudo fiscale', alle attività illecitamente detenute all'estero), nel 2006-2007 il Secondo Governo Prodi adotta una nuova serie di misure antievasione di portata strategica, basate in molta parte sull'impiego massiccio dell'informatica e della telematica. L'obiettivo è quello di favorire, soprattutto attraverso la trasparenza e la conoscibilità dei dati, l'emersione spontanea delle basi imponibili nella consapevolezza che l'azione di controllo e repressione non può che essere soltanto uno degli elementi da mettere in campo per conseguire maggiori livelli di fedeltà fiscale.
All'atto dell'avvio della nuova legislatura (2008) il Terzo Governo Berlusconi cancella repentinamente una parte delle misure adottate dal Governo Prodi (elenchi clienti e fornitori, trasmissione telematica dei corrispettivi, telecontrollo dei distributori automatici e soglia ridotta per l'uso del contrante), dimezza la misura delle sanzioni applicabili nei casi di definizione bonaria degli accertamenti, indebolisce gli studi di settore (che erano stati fortemente rafforzati nel biennio precedente), e dichiara di puntare sul 'vecchio' accertamento sintetico dell'Irpef (basato sulla capacità di spesa e sulle manifestazioni di agiatezza), e sulla collaborazione all'accertamento degli enti locali (anch'essa prevista dalla riforma del '71 e poi sostanzialmente abbandonata), collaborazione che viene ora incentivata senza molto successo con quote sempre maggiori del gettito derivante dai controlli.
A decorrere dal 2010, sotto l'incalzare della crisi finanziaria, è lo stesso Governo Berlusconi a recuperare in tutto o in parte alcune delle misure soppresse solo due anni prima (la soglia di utilizzo del contante viene nuovamente abbassata a 5.000 euro e viene introdotto l'obbligo di comunicare analiticamente le operazioni Iva superiori a 3.000 euro, il c.d. "spesometro", in luogo degli elenchi clienti e fornitori). Nel 2011 non è mancato l'ennesimo condono, questa volta sotto forma di definizione agevolata delle vertenze di importo fino a 20.000 euro d'imposta, che ha svenduto buona parte dell'attività di accertamento posta in essere negli ultimi tempi, inclusa per effetto della successiva proroga, la stessa attività svolta nel 2011.
In sostanza, la politica di contrasto dell'evasione nel corso degli ultimi quarant'anni è stata incerta e contraddittoria e i tentativi di attuare una strategia organica compiuti dai governi di centro-sinistra nel periodo 1996-2000 e negli anni 2006-2007 sono stati sistematicamente vanificati da condoni e sanatorie e dagli interventi legislativi successivi.
Il Governo Monti ha ora ripristinato compiutamente, a decorrere dal 2012, gli elenchi telematici dei clienti e dei fornitori ed ha rafforzato l'azione antievasione abbassando ulteriormente la soglia di utilizzo del contante a 1.000 euro e prevedendo la comunicazione all'anagrafe tributaria dei dati finanziari di sintesi, allo scopo di garantire una migliore selezione delle posizioni da esaminare e rafforzare la deterrenza del sistema.
In definitiva, la situazione è ora la seguente:
a) l'evasione in Italia resta molto elevata e supera ampiamente quella esistente negli altri maggiori paesi europei. Essa concerne soprattutto l'Iva e le imposte sui redditi ed è addebitabile in gran parte alle attività indipendenti di piccola e media dimensione;
b) l'amministrazione finanziaria (civile e militare) sembra oggi relativamente in grado di contrastare le elusioni-evasioni delle grandi imprese, ma la sua azione di controllo è certamente insufficiente per contrastare l'evasione ampiamente diffusa tra le piccole e medie imprese e i professionisti;
c) la fase dell'adempimento si svolge senza alcuna interlocuzione con l'amministrazione e, nel caso delle attività indipendenti, l'entità degli imponibili da dichiarare è stabilita esclusivamente sulla base del confronto tra il contribuente e il professionista che lo assiste;
d) gli strumenti utilizzati per favorire la tax compliance sono essenzialmente costituiti dagli studi di settore, la cui efficacia è fortemente indebolita dalla possibilità di manipolare i dati economici e strutturali sui quali si fondano e che continuano a dimostrarsi incapaci di valutare molte delle attività alle quali si rivolgono, e da un nuovo più volte annunciato 'redditometro' di cui non si conosce tuttora la persuasività;
e) l'accertamento dell'amministrazione non incide in modo significativo sul comportamento successivo del contribuente; al contrario, dopo l'accertamento è piuttosto diffuso il convincimento che, almeno per un po' di tempo, il fisco si dedicherà ad altri contribuenti.
In questo contesto occorre allora chiedersi quale possa essere una efficace strategia di contrasto dell'evasione fiscale di massa, compatibile con le esigenze di semplificazione del sistema e di snellimento delle procedure e di contenimento dei costi di cui pure vi è grande necessità.
Partiamo da qualche dato. In Italia vi sono circa 41,5 milioni di persone fisiche soggette all'Irpef, delle quali circa 2,8 milioni svolgono un'attività imprenditoriale o professionale in forma individuale; poi vi sono circa un milione di società di persone ed oltre un milione di società di capitali. In sostanza i soggetti che hanno una qualche discrezionalità nel determinare il proprio livello di contribuzione fiscale ai fini dell'imposta sul reddito (Irpef o Ires), dell'Iva e dell'Irap sono poco meno di cinque milioni. Relativamente alle persone fisiche, va ricordato che oltre 30 milioni possiedono essenzialmente redditi di lavoro dipendente e di pensione (13,7 milioni adempiono all'obbligazione fiscale attraverso il sostituto d'imposta, 17,2 milioni presentano il modello 730 e una parte minore utilizza il modello Unico). Va precisato, ed è una notazione importante per quanto si dirà fra breve, che anche i dipendenti e pensionati potrebbero dichiarare (attraverso il modello Unico) un reddito inferiore a quello certificato dal sostituto d'imposta, ma non lo fanno perché l'Agenzia delle entrate individuerebbe e sanzionerebbe agevolmente tale comportamento con l'accertamento parziale automatizzato previsto dall'art. 41-bis del DPR n. 600 del 1973, le cui potenzialità numeriche sono pressoché illimitate.
Dunque la situazione nella quale si trovano gli oltre trenta milioni di dipendenti e pensionati e i cinque milioni di contribuenti "indipendenti" è profondamente diversa, in quanto i primi non hanno molte possibilità di sfuggire al fisco (l'ipotesi più significativa è quella di erogazione di compensi "in nero" con la complicità del datore di lavoro), mentre i secondi possono di volta in volta determinare autonomamente la propria condotta fiscale, valutando anche la convenienza all'evasione in ragione della probabilità di essere scoperti e dell'entità delle sanzioni alle quali possono andare incontro.
Dato lo scenario, una prima ovvia strategia di contrasto dell'evasione dovrebbe essere volta ad individuare un ragionevole punto di equilibrio tra la numerosità dei controlli che l'amministrazione è in grado di effettuare e l'entità delle sanzioni applicabili, facendo in modo che a controlli numericamente limitati corrispondano sanzioni più pesanti. A questo proposito, con un po' di ottimismo, si può affermare che in Italia l'amministrazione è in grado di effettuare annualmente 250.000 controlli fiscali di tipo approfondito nei confronti delle società e delle attività d'impresa e professionali. Ogni anno, dunque, il rapporto tra controlli eseguiti e soggetti (dichiarazioni) che dovrebbero essere controllati è di 1 a 20. In realtà tale rapporto è più basso per le grandi imprese, generalmente sottoposte a controlli relativamente frequenti, ed è sensibilmente più alto per le piccole imprese e i professionisti, molti dei quali non subiscono alcun controllo fiscale approfondito durante tutto il loro periodo di attività.
Stando così le cose ci si aspetterebbe che il sistema sanzionatorio sia oggi utilizzato per controbilanciare le limitate probabilità di un controllo. In realtà non è così e, per le ragioni prima accennate, le sanzioni sono oggi, nella maggioranza dei casi, molto tenui, almeno nei casi in cui si accettano le quantificazioni operate dell'amministrazione a seguito del controllo.
Siamo oggi, dunque, in un sistema nel quale le probabilità di essere controllati sono remote, almeno per le attività indipendenti medio-piccole, e l'entità delle sanzioni che si rischiano evadendo è generalmente alquanto modesta.
Naturalmente, il comportamento dei contribuenti non è ispirato soltanto a razionalità economica, ma è influenzato da altri fattori di ordine psicologico, etico e sociale che per fortuna inducono l'individuo a comportamenti meno spregiudicati di quelli che implicherebbe un mero calcolo finanziario-attuariale.
Scartata la possibilità di aumentare in misura significativa l'attuale numerosità dei controlli, fatto questo che richiederebbe un rilevante investimento soprattutto in termini di personale, un primo intervento dovrebbe riguardare la misura delle sanzioni amministrative, attenuando le eccessive riduzioni previste nei casi di definizione bonaria di verbali e accertamenti, riduzioni inopinatamente aumentate nel 2008 con il chiaro intento di facilitare l'azione dell'amministrazione, ma che hanno gravemente indebolito la deterrenza complessiva del sistema (2).
Ma un riequilibrio del sistema sanzionatorio, che pure è necessario, non sarebbe certamente in grado da solo di modificare la situazione e rischierebbe di indurre un uso dilatorio del contenzioso, aumentando poi le pressioni sui futuri decisori politici per ottenere l'ennesima sanatoria a buon mercato. Ecco che allora occorre integrare la strategia incentrata sul binomio controlli-sanzioni (3), con interventi volti a:
a) utilizzare al meglio le moderne tecnologie informatiche e telematiche, per superare quel gap informativo che esiste nei confronti delle attività indipendenti e che è alla base del diverso comportamento fiscale dei lavoratori dipendenti e dei pensionati;
b) consolidare per un tempo ragionevole il risultato fiscale dell'attività di controllo svolta;
c) reingegnerizzare il processo funzionale attraverso il quale il contribuente che svolge un'attività di impresa o professionale perviene oggi a quantificare l'imposta da versare.
Quanto all'uso delle tecnologie informatiche e telematiche, una prima questione concerne il completamento del recupero di alcune delle misure antievasione adottate dal Governo Prodi e cancellate dal Governo Berlusconi, dopo la reintroduzione degli elenchi telematici dei clienti e dei fornitori già operato dal Governo Monti a decorrere dal 2012. Ci si riferisce, in particolare, alla trasmissione telematica dei corrispettivi, agli obblighi di pagamento tracciato per le attività professionali, al telecontrollo dei distributori automatici (vending machine). Gli attuali controlli degli 'obblighi strumentali' (rilascio dello scontrino fiscale o della ricevuta), per i quali dall'autunno del 2011 l'amministrazione sembra avere un rinnovato interesse, non possono essere considerati sufficienti ed appare sempre più necessario superare tali strumenti formali con moderne forme di controllo telematico degli incassi.
Particolarmente utile sarebbe oggi il ripristino del "tracciamento" dei compensi professionali (che in molti casi si collocano al di sotto della soglia dei 1.000 euro), considerata anche la scarsa attitudine degli studi di settore a valutare in modo attendibile le potenzialità economiche delle relative attività.
Pure potrebbe essere previsto un obbligo generalizzato di pagamento tracciato (mediante bonifici, carte, telefoni cellulari, ecc.) anche al di sotto dell'attuale soglia, quale condizione per il riconoscimento fiscale di costi, spese ed oneri sia nell'ambito delle attività di impresa e professionali sia ai fini del reddito complessivo Irpef.
Un ulteriore aspetto che andrebbe valutato è quello del consolidamento pluriennale del risultato del controllo fiscale svolto dall'amministrazione. Si tratta di un tema finora non adeguatamente considerato, ma che potrebbe essere oggetto di approfondimento ove si consideri che in molti casi l'indagine fiscale costituisce una sorta di studio di settore personalizzato sulla singola posizione fiscale. Sarebbe, pertanto, logico attribuire a tale analisi una valenza pluriennale, sia pure parziale e quale ipotesi da valutare in un contraddittorio semplificato con il contribuente. Una tale valenza pluriennale potrebbe incidere significativamente sul comportamento dei contribuenti di dimensione economica più contenuta, controbilanciando l'insufficiente numerosità e frequenza dei controlli operati su di essi.
Una terza direttrice sulla quale operare per pervenire ad un effettivo ridimensionamento dell'evasione fiscale nei settori dell'imposizione diretta e dell'Iva è costituita dal ruolo dell'Agenzia delle entrate. Si tratta di affiancare alla tradizionale e indispensabile missione repressiva, una nuova funzione di moral suasion prevedendo un momento di interlocuzione non conflittuale con il contribuente prima che egli formalizzi la sua dichiarazione fiscale.
Si può prevedere che prima dell'invio formale della dichiarazione annuale il contribuente trasmetta telematicamente un'intenzione di dichiarazione con il solo fine di consentire all'Agenzia di valutarne la coerenza con i dati in suo possesso. In tal modo, senza immaginare improprie e negative forme di concordato preventivo e lasciando comunque all'autonomia del contribuente il contenuto della dichiarazione, sarebbe possibile responsabilizzare maggiormente prima dell'adempimento fiscale quei contribuenti la cui posizione fiscale si riveli poco coerente con le numerose e significative informazioni di cui l'amministrazione ha, o può agevolmente avere, la disponibilità. Si tratta di combinare, attraverso un appropriata applicazione informatica, dati eterogenei che, ricondotti in una logica unitaria, possono essere rivelatori di una incoerenza della situazione fiscale dichiarata dal contribuente. Ci si riferisce, in particolare, ai dati strutturali ed economici utilizzati per l'applicazione degli studi di settore, ai dati risultanti dagli elenchi clienti e fornitori, ai dati relativi ai consumi privati e alle utenze finalizzati all'applicazione del c.d. 'redditometro', ai dati patrimoniali, ai dati relativi ai flussi finanziari, ecc.
E' bene sottolineare come il confronto con il contribuente non dovrebbe risolversi nella quantificazione di alcun imponibile, ma dovrebbe limitarsi a segnalare, al contribuente fatti e circostanze che sembrano, almeno in via di prima approssimazione, incoerenti con la sua performance fiscale. Deciderà poi autonomamente il contribuente se tenere conto delle evidenze segnalate dall'amministrazione e modificare il contenuto della dichiarazione o ignorarle, esponendosi al rischio di un successivo controllo con applicazione delle conseguenti sanzioni.
Si tratterebbe di un'attività trasparente, procedimentalizzata in modo semplice ma sempre tracciato, che a livello locale potrebbe impegnare qualche migliaio di operatori dell'Agenzia delle entrate di media professionalità per alcuni mesi all'anno. Con simili risorse è ragionevole immaginare la possibilità di trattare annualmente almeno un paio di milioni di posizioni "anomale" con notevoli ritorni sul piano della tax compliance.
Perché questo nuovo schema operativo possa funzionare è necessario che sussista una effettiva capacità di elaborazione tempestiva di tutte le informazioni e che la qualità delle informazioni sia elevata (anche se lo stesso confronto con il contribuente potrebbe innescare una positiva bonifica dei dati errati presenti negli archivi).
In definitiva, dunque, una efficace strategia di contrasto dell'evasione fiscale dovrebbe incentrarsi: a) sull'adozione di strumenti che favoriscano la naturale emersione delle basi imponibili (strumenti di tracciamento e di conoscenza); b) su un equilibrato rapporto tra controlli e sanzioni; c) su un consolidamento pluriennale (sia pure relativo sul piano della prova) degli accertamenti eseguiti; d) su un ruolo dell'amministrazione non solo repressivo ma anche persuasivo e collaborativo.
Anche una tale strategia sarà comunque destinata all'insuccesso se continueranno a mancare la condivisione degli obiettivi da parte di tutti gli schieramenti politici, il ripudio unanime di ogni forma di condono fiscale, la stabilità delle scelte operate.
Note:
(1) Per un'accurata analisi storica del problema si veda Stefano Manestra, Per una storia della tax compliance in Italia, in Banca d'Italia, Questioni di economia e finanza, n. 81, dicembre 2010.
(2) Va ricordato che fino al 2007 in caso di acquiescenza o di adesione all'accertamento si applicava una sanzione pari al 25% dell'imposta evasa. Con il d.l. 112 del 2008 la misura della sanzione è stata dimezzata, portandola al 12,5% dell'imposta evasa. Successivamente, con l'art. 1, comma 18, della legge n. 220 del 2010, la misura delle sanzioni amministrative tributarie, nel caso di adesione del contribuente ai verbali e alle proposte formulate dall'amministrazione, è stata elevata dal 12,5% al 16,66% dell'imposta evasa.
(3) Per una riflessione sulle strategie da adottare si veda anche Lotta all'evasione fiscale: banche dati più efficaci degli studi di settore di M. Romano e V.Visco in Il Sole 24 Ore del 20 gennaio 2010
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