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La mafia brucia le arance, non la speranza
di Nando dalla Chiesa | 10 giugno 2012
Più informazioni su: beni confiscati, Beppe Montana, incendio, Libera Terra, mafia.
E adesso ditelo, ditelo ancora che queste cooperative sono la retorica dell’antimafia. Ditelo ai giovani della “Beppe Montana”, che hanno scelto di lanciare la sfida della loro vita da Belpasso, alle pendici dell’Etna, comune circondato a sud da Paternò, Mascalucia e Misterbianco.
Tra sabato e domenica qualche sgherro mafioso ha ricordato loro in che razza di avventura si sono ficcati. E ha fatto la sorpresa che da sempre la mafia fa ai suoi nemici che coltivano la terra. L’incendio vigliacco protetto dalla notte, hanno trovato un foro nella rete del terreno adiacente.
Oltre duemila piante di aranci bruciate, annichilite, polvere di carbone. Sei ettari di agrumeto danneggiati. E altri cento alberi di ulivo in fumo. Più di centomila euro di danni. Frugate sui siti di Libera Terra e troverete l’istantanea di due ragazzi in jeans e felpa su un sentiero. Li vedrete chini su cinque cassette, colme dell’oro delle arance. Felici davanti al primo raccolto della cooperativa, nata nel 2010.
Poi riandate su quei siti a vedere la foto di ciò che è rimasto. Lo stesso sentiero della prima foto vi sbatte in faccia un’immagine di desolazione, rami inscheletriti e terra annerita, non un segno di vita, con il cielo azzurro terso sullo sfondo che sembra una beffa suprema della natura. Così gli straccioni dell’antimafia imparano a prendersi in gestione i beni che lo Stato confiscò, in contrada Casablanca, al clan della famiglia Riela.
“Fino a due giorni fa sembravamo cani bastonati, io ero distrutto. Vedi, non hanno incendiato quando era tutta sterpaglia, e nemmeno quando stavamo facendo i lavori di rimessa a nuovo; che so, dopo la potatura. Ci hanno fatto arrivare in fondo al nostro lavoro, ci hanno dato la possibilità di vederlo, di gioirne, e poi hanno incendiato tutto. Per infliggerci il massimo danno economico, per colpirci nel modo più duro sul piano morale”.
Alfio Curcio ha quarant’anni, dice di essere un “diversamente giovane” e porta la storia di questo ennesimo attentato al pubblico riunito a Castel Volturno, all’assemblea dell’agenzia “Cooperare con Libera Terra”, nei terreni dedicati a don Peppino Diana, là dove Michele Zaza il capocamorra teneva a lucido i suoi cavalli di razza. Parla come direttore della “Beppe Montana”, che ha avuto in gestione anche i beni confiscati alla famiglia Nardo nel comune di Lentini, provincia di Siracusa. In tutto cento ettari circa. La cooperativa l’ha messa su lui insieme ad Andrea, ventiquattro anni, il giovanissimo presidente, ad Antonella, a Diego e Giuseppe, tutti selezionati con bando pubblico.
Alfio ha un bel cranio lucido alla Vialli (o alla Ruggeri), una maglietta color amarena e gli occhi azzurri scintillanti come ogni tanto se ne trovano solo in Sicilia.
“Certo che ero abbattuto. Ci siamo fatti in quattro quasi senza soldi e con pochi mezzi manuali, usando i falcetti per il taglio delle erbe infestanti, e semplici seghetti e forbici per la potatura degli ulivi. Non ti dico cosa è stato. Tu pensa solo che dal momento della confisca a quello della assegnazione erano passati dodici anni, dunque immagina che cosa abbiamo trovato. Eppure ce l’avevamo fatta. Dagli agrumeti avevamo tirato fuori una quantità di frutta sufficiente a realizzare il progetto della produzione di marmellata di arance rosse; una bellissima etichetta, la scritta ‘Gusto di Sicilia’ con la ‘i’ intrecciata alla ‘u a formare la parola ‘giusto’. Gli ulivi hanno consentito una piccola produzione di olio extravergine. E anche dal seminativo è arrivata una discreta produzione di grano. Era troppo bello”.
L’homepage del sito comunica il clima dell’euforia primaverile: acquista le arance, acquista i prodotti, campi di volontariato, il progetto. Prontal’idea di far partire l’attività di turismo sociale. Di aprire nuove opportunità ai giovani svantaggiati, come è nello spirito di queste cooperative. Tutti pronti, con l’aiuto di qualche amico, ad accogliere i trecento giovani, specialmente scout, che si sono prenotati da qui a settembre, dalla Toscana e dal Trentino, dall’Umbria e dal Veneto, per venire a offrire il proprio lavoro volontario.
A loro, nei momenti di formazione, faranno ascoltare le parole di Ivan Lo Bello, il simbolo della nuova imprenditoria siciliana, e di suor Lucia, che si batte in nome del Vangelo nel difficilissimo quartiere catanese di Librino. A loro, che non ne hanno mai sentito parlare, racconteranno chi era Beppe Montana, d’altronde lo hanno scritto sull’etichetta delle loro bottiglie “Frutti rossi di Sicilia”: “impavido commissario di Polizia posto a capo della squadra Catturandi di Palermo, vigliaccamente ucciso in un agguato mafioso”.
Gi, era di Catania, Montana, e si era messo in testa di cercare i latitanti quando nessuno lo faceva, anche comprandosi coi suoi soldi i binocoli e la benzina per i pedinamenti. Il quotidiano locale rifiutò il necrologio del padre perché aveva accusato del delitto la mafia.
Senza prove, era stata l’obiezione. “Mentre a noi i carabinieri ci hanno detto che al cinquanta per cento è stata autocombustione.
Che non ci sono tracce di benzina. Ma questo non è un appartamento, sono ettari di campagna , come si fa a dirlo? In ogni caso, morale sotto i tacchi o meno, abbiamo avuto tanta di quella solidarietà che abbiamo deciso di continuare, di ricominciare. Siamo tornati sui terreni, li abbiamo misurati una volta di più, per reimpiantare gli aranci. Anzi, do l’appuntamento all’anno venturo. Venite a trovarci. E troverete il nostro giardino più rigoglioso e più verde di prima”.
Il Fatto Quotidiano, 10 Giugno 2012
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