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Autore Discussione: Cecilia Brighi: «Svolta possibile, se il mondo si sveglia»  (Letto 2235 volte)
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« inserito:: Settembre 25, 2007, 04:27:30 pm »

Cecilia Brighi: «Svolta possibile, se il mondo si sveglia»

Marina Mastroluca


«Potrebbe essere un punto di svolta. Se la comunità internazionale si farà sentire». Dieci anni a lavorare dietro alle quinte, tenendo i contatti con le organizzazione democratiche birmane, clandestine o in esilio. Cecilia Brighi, sindacalista della Cisl e membro del cda dell’Organizzazione internazionale del lavoro, ha denunciato le violenze e i soprusi del regime di Yangon in un libro, «Il pavone e i generali», edito da Baldini Castoldi e Dalai.

Che Paese è oggi Myanmar?
«Una dittatura feroce, che usa lo stupro e la deportazione come un arma. Un Paese dove esistono ancora centinaia di migliaia di persone costrette al lavoro forzato da militari e autorità locali, che le utilizzano nelle zone di confine come portatori di armi o “sminatori umani”. Ne ho potuti intervistare diversi, fuggiti scalzi, o addirittura nudi, soprattutto le donne, tenute così per evitare che scappino e per esercitare su di loro una ulteriore violenza psicologica. Myanmar è un Paese che persino la Croce rossa internazionale, contrariamente al suo costume, ha denunciato per le gravi violazioni dei diritti umani».

Era attesa la protesta di questi giorni?
«Non sono proteste spontanee, c’è dietro un grosso lavoro della rete clandestina che ovviamente intercetta un malcontento molto diffuso. In questi anni abbiamo lavorato molto, soprattutto con le organizzazioni sindacali per formare persone in grado di gestire una protesta e di difendere i diritti umani. Purtroppo la democrazia costa e le organizzazioni democratiche birmane non hanno ricevuto nessun tipo di aiuto, né dai governi né dall’Unione Europea».

L’aumento del prezzo del combustibile ha avuto comunque un effetto detonante.
«Sì perché le condizioni di vita sono molto peggiorate. Gli aumenti hanno reso impossibile pagare il biglietto dell’autobus per andare a scuola o al lavoro. Hanno fatto scattare il prezzo del riso e ormai molta gente non può permettersi di comprare altro che l’acqua di scarto della lavorazione del riso. Una situazione che stride troppo con le grandi risorse di cui dispongono i militari e gli ex signori della droga che si sono riciclati come imprenditori».

Perché i monaci guidano la protesta?
«Storicamente hanno avuto un ruolo guida, di sostegno morale, anche prima dell’indipendenza. C’è stata poi questa storia delle scuse per i monaci picchiati nelle prime manifestazioni, poi la cosa è andata oltre».

Finora la giunta ha reagito con estrema prudenza, perché?
«Più che in passato oggi è possibile mantenere dei contatti con l’esterno. C’è internet, la tv, i telefoni cellulari, i satellitari. È talmente vero che di recente tre sindacalisti sono stati condannati a morte perché trovati in possesso di un telefono satellitare».

Che clima si respira in queste ore?
«Insieme alla consapevolezza di poter essere ad un punto di svolta, c’è molta preoccupazione perché se non ci sarà un’iniziativa internazionale c’è il rischio di un nuovo bagno di sangue come nell’88. Ma non si può continuare a chiudere gli occhi».

Aung San Suu Kyi potrebbe essere ancora un punto di riferimento della protesta?
«Sicuramente. Non è affatto isolata come la giunta vuole far credere. Ed è lucida. Intorno a lei è cresciuta una generazione di persone che hanno costruito il dialogo con le diverse minoranze etniche e redatto persino una bozza di costituzione democratica. San Suu Kyi è ancora una leader riconosciuta».




Pubblicato il: 25.09.07
Modificato il: 25.09.07 alle ore 9.21   
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