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Autore Discussione: La prima riforma, abolire le rendite  (Letto 4259 volte)
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« inserito:: Giugno 13, 2007, 12:07:15 pm »

13 giugno 2007
 La prima riforma, abolire le rendite
di Giacomo Vaciago


Il lunedì si discute dei possibili impieghi dell'extra- gettito. Il martedì si parla di riforma delle pensioni. Il mercoledì si dibatte un po' di liberalizzazioni. Il giovedì si chiacchiera dell'eccessiva pressione fiscale. Il venerdì si discorre di una diversa Tav in Val di Susa. Il sabato è libero per eventuali novità (dalla visita di Bush a un po' di intercettazioni telefoniche). La domenica si va al mare a riposare. E il lunedì si ricomincia.

Così si perde il consenso del ceto medio e si getta benzina sul fuoco della questione settentrionale? È probabile. Proprio perché, come ha scritto il Governatore Mario Draghi alla fine delle Considerazioni finali, si condanna il Paese a non crescere: «Il consumo delle famiglie, eroso dalle rendite, è frenato dall'incertezza sull'esito di riforme che toccano in profondità la loro vita».

A ben guardare, l'incertezza sul futuro è aumentata in tutto il mondo, da quando siamo davvero globali e si è quindi ridotta la "sovranità" di ciascun Governo. La stessa grande economia americana quest'anno probabilmente non "riuscirà" a entrare in recessione, essendo sostenuta dal boom del resto del mondo. Ma nel caso dell'Italia la "perdita di sovranità" è largamente fatta in casa, cioè prodotta sia da profonde divergenze sugli obiettivi della politica sia da altrettanto gravi divisioni sul metodo dell'azione di Governo. Quali cose fare, come farle: se il dissenso interno alla maggioranza riguarda ambedue questi aspetti, e non si trova presto rimedio, è inutile far finta che un Governo ci sia.

Riflettiamo sulle divisioni delle forze politiche nei confronti delle priorità del Paese (divisioni che si sono manifestate anche nella passata legislatura, ma ciò non è una giustificazione all'inazione per quella presente). La prima delle priorità, proprio perché riguarda il valore attuale di tutto il nostro reddito futuro e perché siamo in ritardo rispetto a quanto la legge prescriveva che si facesse entro il 2005, è ovviamente la previdenza. Si faccia subito quanto serve perché delle pensioni non si debba più parlare nei prossimi dieci anni, anzi di più. È di destra o di sinistra?

Non è rilevante, quando la grande maggioranza di italiani è preoccupata dell'incertezza dovuta alla persistente inconcludenza della politica. Per molte altre questioni la divisione politica è più comprensibile e a volte già spiegata dalla non riuscita sintesi che era nel programma. Ricordate le 281 pagine con cui l'Unione ha vinto le elezioni un anno fa? Alcuni aspetti erano magari sbagliati, ma chiari. Per esempio, il fatto che l'acqua fosse definito un bene pubblico. Boccio uno studente che così definisca l'acqua perché è ovvio che quella che bevo io non la beve nessun altro; perciò un prezzo di equilibrio il mercato sa sempre trovarlo. Come per ogni altro bene privato. Il fatto che il Parlamento abbia "rinazionalizzato" gli acquedotti è dunque un errore, ma prevedibile perché già chiaramente scritto nel programma con cui Prodi ha vinto le elezioni.

Più grave è il non essere riusciti a modernizzare le nostre vecchie norme che oggi tutelano le corporazioni a spese dei consumatori. Abbiamo visto i tentativi, neppure riusciti, di giocare una corporazione con-tro l'altra, non avendo il coraggio di fare un'unica norma generale sulla loro abolizione: dopo un anno, siamo ancora fermi a discutere di chi e che cosa può essere trasportato da un taxi; da cosa può essere firmato da un notaio o da un avvocato; di quale tipo di edificio possa contenere la vendita dei medicinali e chi più ne ha più ne metta.

Bastava una norma sola, di due righe, che si limitasse ad abolire tutti i numeri chiusi, tutte le licenze il cui totale è dato, insomma, tutte e sole le barriere all'entrata che alimentano quelle "rendite" di cui Draghi ha parlato il 31 maggio. Questo e non altro serve. Ed è un'ovvia questione di grande valore politico oltre che di metodo e che si può definire del "riformismo realizzabile".

Nei Paesi normali, e anche in tanta teoria politico-economica, la lotta alle rendite accomuna uno schieramento ampio di cittadini-elettori e idealmente dovrebbe far parte del patrimonio genetico di ogni "partito democratico". Se non riusciamo a condurre quella lotta, qualunque formula partitica nascerà già superata e inutile allo sviluppo e al benessere del Paese. E allora non è solo il Governo che dovrebbe smettere di far finta di esserci.

da ilsole24ore.com

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