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Autore Discussione: Giacomo VACIAGO.  (Letto 2724 volte)
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« inserito:: Marzo 27, 2012, 07:29:08 pm »

L'imperativo della crescita

di Giacomo Vaciago

27 marzo 2012


Il dibattito sulla riforma Fornero, del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali, articolo 18 compreso, ha fatto riemergere molti altri problemi irrisolti del nostro Paese.

Si possono fare riforme che migliorano il funzionamento del mercato del lavoro mentre si è in recessione? Sì, se la riforma entra in vigore in un momento successivo, cioè nel momento più adatto: quando la ripresa inizia. Ed è questo il nostro caso.

Basta migliorare il funzionamento del mercato del lavoro perché l'occupazione cresca? Sì, se non c'è solo questa riforma, ma anche un insieme di altre ricette e politiche che fanno aumentare il tasso di crescita dell'economia. In sé un mercato del lavoro che funziona bene migliora l'efficienza (ciascuno lavora dove è più produttivo) e l'equità (non ci sono privilegiati ed esclusi), ma non necessariamente la crescita. Diciamo che ne è condizione necessaria, ma non sufficiente. Come ben dimostra l'esperienza di tanti altri Paesi che dovremmo emulare.
Alla fine, anche dopo questo intervento del Governo Monti si torna al problema dei problemi: tutto è più difficile in un Paese che da 15 anni non cresce. Questa è dunque la vera priorità.

Ma è più facile dirlo, che serve la crescita, che fare in modo che succeda e soprattutto che succeda presto per far sì che anche tutto il resto, a cominciare dalla riduzione del debito pubblico, si possa garantire.
Se è soprattutto alla crescita che dobbiamo guardare - perché è l'unico obiettivo complementare al raggiungimento di tutti gli altri - allora anche i problemi che i mercati finanziari continuano a segnalarci vanno interpretati in modo più' approfondito. In queste settimane, abbiamo infatti verificato che nonostante l'adozione del trattato europeo detto del "fiscal compact" e nonostante i mille miliardi di euro creati dalla Bce di Draghi, i mercati finanziari continuano, ogni giorno, a interrogarsi sul futuro dell'Europa e in particolare dell'Eurozona. L'incubo dello spread non è affatto terminato e l'elenco dei Paesi in fila dietro la Grecia, pur di recente salvata (si fa per dire), è ancora lungo e ancora ci comprende. E non basta ricordare che noi siamo meglio della Grecia e della Spagna, o che abbiamo meno debito degli Stati Uniti.

Serve ancora un'iniziativa politica forte in Europa e serve che affronti due problemi di fondo tuttora irrisolti. Serve soprattutto che il nostro Governo, che in quattro mesi ha meritato un'ottima audience a Bruxelles, si dedichi a tempo pieno a portare avanti questa iniziativa. La chiarisco in due punti.
Primo ed essenziale: una politica economica europea richiede simmetria. In altre parole, se c'è un Paese in surplus e un altro in deficit, ambedue devono fare qualcosa per andare verso l'equilibrio. Finora, è risultata dominante la posizione tedesca che dice: poiché il surplus è sinonimo di virtù e il deficit equivale a vizio, l'onere dell'aggiustamento spetta solo a chi è in deficit. Non si può chiedere al Paese virtuoso di ridurre la sua virtù; è solo l'altro che deve tirare la cinghia fino a che non ha eliminato il suo deficit.

È evidente che questo principio è probabilmente giusto tra estranei, ma non può essere alla base di una Unione i cui benefici attesi vengono dall'integrazione, cioè da un atteggiamento di tipo cooperativo che è tipico dei beni comuni. Dunque va bene il fiscal compact, ma l'anima in tutto ciò deve tornare ad essere quella del Rapporto Delors (1989) cioè quella di una Unione che dà benefici a tutti i suoi membri, nessuno escluso.

Secondo punto, altrettanto importante, soprattutto se visto alla luce del primo: una banca centrale con due mani, come è la Fed, non può limitarsi alla stabilità monetaria, come finora la Bce. La stabilità economica, e quindi la piena occupazione, è ugualmente importante. Ma senza una iniziativa politica europea che chieda ciò alla Bce, non possiamo illuderci che sia Draghi a farlo per noi. Già ha fatto molto con i due interventi finora realizzati - un'offerta illimitata di "liquidità a tre anni" non stava in nessun libro di testo sulla politica monetaria. A conferma del fatto che di questi tempi i libri invecchiano in fretta.
Senza una iniziativa politica forte e rinnovata nei suoi due principi essenziali, l'Europa continua ad essere il nostro freno invece di essere una marcia in più, e ciò rende più complicato raggiungere i tanti nostri altri obiettivi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-03-27/limperativo-crescita-063608.shtml?uuid=AbPt6eEF
« Ultima modifica: Agosto 17, 2012, 06:47:38 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Agosto 17, 2012, 06:48:07 pm »

Benefici dell'euro? A chi li merita

di Giacomo Vaciago

15 agosto 2012


Prosegue in Germania la guerra dei nervi contro l'euro. Ieri, la Corte Costituzionale tedesca ha dovuto smentire l'"indiscrezione giornalistica" di un rinvio del suo giudizio di legittimità costituzionale del fondo salva-Stati, fissato per il prossimo 12 settembre. Nel frattempo, si moltiplicano le "previsioni" di una prossima uscita della Grecia dall'euro.

Tutto questo nervosismo è destinato a calmarsi una volta che inizieranno i promessi interventi della Banca centrale europea? Probabilmente, sì. Soprattutto se torneremo ad occuparci delle cose più importanti, cioè delle riforme e delle politiche che ancora dobbiamo realizzare per essere certi che dell'euro non abbiamo solo i problemi, ma anzitutto e soprattutto i benefici.
In proposito, a prima vista, c'è un facile consenso: la Germania è il Paese che nei 14 anni di moneta comune più ne ha tratto beneficio. Anche per questo, deve contribuire molto al salvataggio dei Paesi della periferia, che dall'euro hanno invece avuto soprattutto guai.
Ma a ben guardare, nessuna analisi così semplice basta a dimostrare i vantaggi netti di una unione monetaria. E infatti si può sostenere che in questi anni la Germania abbia ristrutturato la sua industria (reinvestendo i maggiori profitti dati dalla moderazione salariale) non per trarre beneficio dell'euro, cioè guardando alle sue quote di mercato nell'Eurozona, ma per primeggiare nel mondo intero.

E quindi anche i danni che l'industria tedesca avrebbe da un eventuale crollo dell'euro saranno sempre minori in futuro (oltre ad essere già ridotto il costo che ora sta pagando alla crisi dei paesi periferici, come si e' visto da dati pubblicati ieri).
Tutto ciò conferma due cose.
Anzitutto, che non era sbagliato quanto insegnamo ai nostri studenti. Se guardiamo ad un libro di testo dei più noti (The Economics of European Integration, di Baldwin e Wyplosz), vediamo che 15 anni fa pochi Paesi in Europa rispettavano i criteri di una buona unione monetaria. I vari principii - dovuti ai nomi degli economisti che li hanno studiati, da Mundell a McKinnon, a Kenen - portano alla conclusione che solo i Paesi più piccoli e aperti sono beneficiari netti di una unione monetaria.

Pensiamo a Olanda, Austria, e Finlandia, che oggi vengono rappresentati come i "fedelissimi" della Germania, mentre in realtà erano e sono i Paesi più avvantaggiati dall'euro, che non a caso poco sopportano di dover pagare per il salvataggio di Paesi entrati per sbaglio nella moneta comune e che ne hanno solo sfruttato - finché è durata - la buona reputazione.
I Paesi più grandi e in particolare quelli con mercati del lavoro rigidi, avrebbero potuto trarre beneficio dall'unione monetaria solo con le appropriate riforme. È quanto la Germania ha saputo fare già dieci anni fa! Destinare agli investimenti produttivi i frutti dei guadagni di produttività: è l'ovvia ricetta per la crescita, che è anche servita ad avere i benefici dell'euro.
È questa la seconda osservazione che merita sottolineare. Come ha giustamente ricordato il Presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, parlando bene delle riforme che sta portando avanti il nostro Governo , tutto ciò che stiamo facendo - dal mercato del lavoro alla riduzione strutturale della spesa pubblica non più utile - è nell'interesse dei nostri figli e dei nostri nipoti, prima ancora che rivolto alla tenuta dell'eurozona.

Se qualcuno ha in mente che potremmo rinunciare all'euro, per evitarci i costi politici immediati di queste riforme, evidentemente non ha capito il mondo in cui viviamo. I benefici dell'euro vanno solo a chi se li merita, cioè potrebbe anche farne a meno. Questa è la vera lezione che ci viene dal successo dei Paesi che insieme alla Germania hanno saputo modernizzare la loro industria e tenere efficiente il settore pubblico : nessuno "spread" li minaccia, e nessuno pensa che convenga loro uscire dall'Euro.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2012-08-15/benefici-euro-merita-063911.shtml?uuid=AbRvzfOG
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