LA-U dell'OLIVO
Novembre 25, 2024, 11:56:14 pm *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: PASOLINI - Visto da destra o da sinistra era sempre tabù  (Letto 3286 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Marzo 22, 2012, 03:17:00 pm »

Cultura

28/10/2010 -

Visto da destra o da sinistra Pasolini era sempre tabù

Libro-testimonianza di Adalberto Baldoni e Gianni Borgna: «Una lunga incomprensione»

FABIO MARTINI

Era l'autunno del 1975, Pier Paolo Pasolini avrebbe vissuto ancora pochi giorni e a quei giovani della Fgci romana che erano così intrigati dalla sua visione del mondo e così diversi dai severi dirigenti del Pci, il poeta fece una promessa: «Salò, il mio ultimo film, è terribile, ma a voi ho dedicato una scena che dovrete indovinare...». Qualche giorno più tardi, era il 2 novembre di 35 anni fa, Pier Paolo Pasolini morirà, schiacciato sotto le ruote della sua GT color argento, e quei giovani comunisti a lui così legati - Gianni Borgna, Walter Veltroni, Goffredo Bettini - dovranno aspettare la prima proiezione del film per decrittare la promessa che aveva fatto lo scrittore. Allora capirono: a loro era dedicata la scena di un giovane che saluta a pugno chiuso, interrompendo così il rosario di umiliazioni che segnava quel film così cupo.

Una dedica che il destino finì col tingere ancor più di poesia, e che al tempo stesso allude al rapporto tortuoso e problematico tra il poeta di Casarsa e la sinistra italiana. Ma anche se Pasolini scoperchiò tante tematiche «politicamente scorrette» per la sinistra e che sarebbero potute piacere alla destra (aborto, famiglia, tradizione), dai missini fu invece osteggiato con una violenza che spesso debordò nell'odio. A questa duplice incomunicabilità, seppur di intensità molto diversa, è dedicato un libro di prossima uscita, Una lunga incomprensione. Pasolini tra Destra e Sinistra, scritto per Vallecchi da Aldaberto Baldoni e Gianni Borgna, due intellettuali di sponde opposte che coltivarono con Pasolini un rapporto di reciproca simpatia.

Un libro che condisce l'ormai corrivo «visto da destra e visto da sinistra» con una ricca sequenza di episodi pieni di sapore e di significato. Pasolini visse un rapporto di amore e odio col Pci, partito al quale si iscrisse nel 1947 nonostante il fratello fosse stato ucciso dai partigiani comunisti; dal quale fu presto espulso dopo l'accusa di corruzione di minorenne, e che lo tenne sempre a debita distanza. Ma all'inizio degli Anni Settanta, anche se il Pci lo considera ancora un eretico («Pasolini non legge più un libro dai tempi di Lombroso e di Carolina Invernizio», scrive Maurizio Ferrara), i giovani della Fgci iniziano a frequentare lo scrittore, sono accanto a lui in manifestazioni pubbliche e in conversari privati, nella casa dell'Eur di Pasolini. E uno di quei dialoghi viene pubblicato da Roma giovani: «Il 1968 - esordisce uno dei ragazzi - ha introdotto nuovi costumi tra i giovani...». Pasolini lo interrompe: «Dici parole puramente retoriche». E suggerisce di impadronirsi della televisione: «Ci sono stati da parte del partito intrallazzi e taciti assensi. Bisogna andare a Canzonissima e impedire che si faccia la trasmissione». I ragazzi non seguono i consigli di Pasolini ma lo ammirano e lui ricambia: annuncia che alle elezioni comunali di Roma darà la preferenza proprio a Borgna. E proprio lui, ai funerali di Pasolini, accetterà di pronunciare un'orazione funebre.

Di natura molto diversa il rapporto tra Pasolini e la destra. Negli Anni Settanta Baldoni era caposervizio Interni al Secolo d'Italia e i suoi suggerimenti di non criminalizzare un personaggio che riprendeva temi cari alla destra era liquidato dai superiori senza perifrasi: «Pasolini? Comunista e frocio!». Erano anni in cui l'Msi non esisteva sui giornali e dunque le proiezioni dei film di Pasolini diventavano l'occasione per i giovani di destra per farsi un po' di «pubblicità» grazie a trafiletti sempre uguali: «Gazzarra fascista davanti al cinema...». Ma Baldoni sperimentò la delicatezza d'animo del poeta. Una volta, contando di non essere riconosciuto, andò a seguire un dibattito nel quale parlava Pasolini, che riconobbe Baldoni, ma non disse nulla: «E quelli erano anni in cui, se avesse “suggerito” la mia presenza, per me sarebbe finita male».

da - http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/372949/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Marzo 22, 2012, 03:18:16 pm »

Cultura

01/04/2010 - LA POLEMICA

Pasolini, è ora di seppellire il complotto

Dietro le speculazioni sul delitto politico la resistenza della sinistra a accettare la particolare omosessualità dello scrittore

MARCO BELPOLITI

Forse è venuto il tempo di seppellire il corpo insepolto di Pasolini. I maestri si mangiano in salsa piccante, dice il Corvo in Uccellacci e uccellini, rivolto a Ninetto e a Totò. Dimenticare Pasolini, per ricordarlo davvero. Forse si può partire da qui, e la richiesta di riaprire le indagini sulla sua morte, che contiene ancora molti punti oscuri, potrebbe essere davvero l'atto finale per fare finalmente i conti con lui.

Uscendo così dalla cronaca, anche giudiziaria, per entrare finalmente nella storia.

Walter Veltroni ha indirizzato una lettera al ministro Alfano, per chiedere una nuova istruttoria. Carla Benedetti ha scritto sull'Espresso un articolo per ripetere che il delitto Pasolini è legato a un capitolo scomparso di Petrolio, il suo romanzo postumo, uscito nel 1992, «Lampi sull'Eni». Il poeta avrebbe scoperto il legame tra la morte di Mattei, presidente dell'Eni, e la figura di Eugenio Cefis, capo della Montedison, personaggio oscuro e potente. Un libro, Profondo nero (Chiarelettere), di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, sostiene la medesima tesi. Tutto ruota intorno a un libro scomparso, Questo è Cefis. L'altra faccia dell'onorato presidente, edito da Ami a Milano nel 1972. Il libro è stato avvistato da Carla Benedetti in una bacheca della Mostra del Libro Antico promossa a Milano dal senatore Marcello Dell'Utri, intimo di Silvio Berlusconi, che qualche settimana prima aveva dichiarato di essere in possesso del capitolo rubato (si dice) dalla casa di Pasolini dopo la sua morte; la medesima sorte subita dal libro su Cefis, scomparso dalla circolazione dopo la pubblicazione. Ieri, di nuovo, Carlo Lucarelli, scrittore di gialli e studioso di delitti oscuri, ha ribadito sulle pagine della Repubblica la tesi del delitto politico, maturato nel clima stragista e di violenza degli anni Settanta, anche se poi, alla fine dell'articolo, affermava di non sapere con certezza come siano andate le cose.

Cosa sapeva davvero Pasolini? Come ha mostrato Silvia De Laude nelle note dell'edizione economica di Petrolio - apparsa nel 2005, ignorata da quasi tutti gli scriventi -, i documenti, gli articoli, i libri a cui si è ispirato Pasolini per scrivere il suo romanzo postumo non sono altro che ritagli di giornale, dell'Espresso in particolare, o provengono dal libro su Cefis, opera di un sedicente Giorgio Steimetz, che gli fu fotocopiato da uno psicoanalista milanese, Elvio Fachinelli, animatore della rivista L'Erba Voglio. Fachinelli aveva fornito vari testi a Pasolini che ora si trovano conservati in una cartellina di lavoro, insieme al dattiloscritto di Petrolio, al Gabinetto Vieusseux di Firenze. Si tratta perciò di materiale già noto, citato anche da altri, pubblicato sui giornali, non di rivelazioni segrete, su cui lo scrittore ha intessuto la sua complessa trama narrativa che, per quanto realistica, sconfina nella particolare visionarietà che possiedono le sue pagine, una visionarietà più vera del vero. Tutto questo sarebbe il materiale che giustifica il delitto del più famoso intellettuale italiano?

La risposta è no. In realtà l'articolo della Benedetti funziona come un sintomo, a sua volta veritiero, di un problema rimosso. Lo dice con evidenza la chiusa stessa del suo pezzo: «Non ci sarà pace finché il mondo resterà così fuori dai suoi cardini, con i colpevoli impuniti e le storie letterarie che raccontano di Pasolini ucciso mentre tentava di violentare un ragazzo». La vera omissione è proprio quella: non accettare il contesto e la situazione in cui Pasolini si è trovato. Non accettare la sua attrazione per i ragazzi eterosessuali. Questo è il vero problema su cui nessuno, o quasi, si misura, questo lo scandalo. L'omosessualità di Pasolini costituisce la radice vera della sua lettura della società italiana, l'elemento estetico, su cui egli ha fondato la critica della società dei consumi. Le lucciole, scomparse per via dell'inquinamento di fiumi e rogge, non sono solo la metafora della modernizzazione senza sviluppo, ma anche della scomparsa dei ragazzi eterosessuali disposti all'incontro sessuale con lui. Le lucciole sono i ragazzi stessi.

In un libro, Breve vita di Pasolini (Guanda), il cugino di Pier Paolo, Nico Naldini, ha raccontato cosa potrebbe essere successo la notte in cui fu ucciso. La trascorse al ristorante con Ninetto e sua moglie; poi incontrò Pino Pelosi che gli rammentava le fisionomie delle sue amicizie borgatare. Questo accese il desiderio: «Se il desiderio è solo libidine, esige un rapido appagamento. Ma se esso si allunga in aspettative voluttuose e se l'immaginazione è colpita dal ritorno del “sopravvissuto”, gli atti che si sono succeduti in quella sera trovano una collocazione». I due siedono al ristorante. Pasolini comincia a far domande. Si sente senza dubbio attratto e questo «gli fa perdere il senso del pericolo proveniente da una generazione che si è smarrita nei confini tra il bene e il male».

Nell'auto avviene il primo scambio sessuale. In quella sera «la disponibilità del ragazzo è fatale per Pasolini»; l'ha sentita probabilmente come un'apertura a un altro genere di complicità, e proprio questo ha spinto l'uomo a compiere un gesto inequivocabile il quale ha indotto nel ragazzo un elemento di terrore, «come una rivelazione implicita o l'atto offensivo di una supposizione», scrive Naldini. Questa è la situazione «in cui si accetta il proprio destino o lo si rifiuta; ma c'è una sospensione tra le due cose, la violenza diventa tanto maggiore». In Pelosi si scatena una violenza inaudita: non solo violenza contro l'incubo dell'altro, ma «pura hybris di fuggire da se stesso».

Una visione, non una certezza processuale. Ma cosa può fare un poeta, uno scrittore, se non muoversi tra le visioni? Questo era il metodo stesso di Pasolini. La sorpresa è dunque scoprire che non solo la sua particolare omosessualità, la predilezione per i giovani etero, venga rimossa dalla sinistra, ma che la sua lezione poetica e intellettuale sia disattesa da seguaci e difensori. Il delitto Pasolini è un delitto politico non perché operato per far tacere uno che «sapeva» la verità su un attentato o una strage, ma perché è stato ucciso un poeta che diceva verità scomode, uno che praticava lo scandalo di contraddirsi, che non scopriva segreti occulti, ma che rivelava tutto quello che era già evidente, e che nessuno voleva davvero vedere: «Lo scandalo del contraddirmi, dell'essere / con te e contro di te; con te nel cuore, / in luce, contro di te nelle buie viscere».

da - http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/229502/
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!