Cultura
01/04/2010 - LA POLEMICA
Pasolini, è ora di seppellire il complotto
Dietro le speculazioni sul delitto politico la resistenza della sinistra a accettare la particolare omosessualità dello scrittore
MARCO BELPOLITI
Forse è venuto il tempo di seppellire il corpo insepolto di Pasolini. I maestri si mangiano in salsa piccante, dice il Corvo in Uccellacci e uccellini, rivolto a Ninetto e a Totò. Dimenticare Pasolini, per ricordarlo davvero. Forse si può partire da qui, e la richiesta di riaprire le indagini sulla sua morte, che contiene ancora molti punti oscuri, potrebbe essere davvero l'atto finale per fare finalmente i conti con lui.
Uscendo così dalla cronaca, anche giudiziaria, per entrare finalmente nella storia.
Walter Veltroni ha indirizzato una lettera al ministro Alfano, per chiedere una nuova istruttoria. Carla Benedetti ha scritto sull'Espresso un articolo per ripetere che il delitto Pasolini è legato a un capitolo scomparso di Petrolio, il suo romanzo postumo, uscito nel 1992, «Lampi sull'Eni». Il poeta avrebbe scoperto il legame tra la morte di Mattei, presidente dell'Eni, e la figura di Eugenio Cefis, capo della Montedison, personaggio oscuro e potente. Un libro, Profondo nero (Chiarelettere), di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, sostiene la medesima tesi. Tutto ruota intorno a un libro scomparso, Questo è Cefis. L'altra faccia dell'onorato presidente, edito da Ami a Milano nel 1972. Il libro è stato avvistato da Carla Benedetti in una bacheca della Mostra del Libro Antico promossa a Milano dal senatore Marcello Dell'Utri, intimo di Silvio Berlusconi, che qualche settimana prima aveva dichiarato di essere in possesso del capitolo rubato (si dice) dalla casa di Pasolini dopo la sua morte; la medesima sorte subita dal libro su Cefis, scomparso dalla circolazione dopo la pubblicazione. Ieri, di nuovo, Carlo Lucarelli, scrittore di gialli e studioso di delitti oscuri, ha ribadito sulle pagine della Repubblica la tesi del delitto politico, maturato nel clima stragista e di violenza degli anni Settanta, anche se poi, alla fine dell'articolo, affermava di non sapere con certezza come siano andate le cose.
Cosa sapeva davvero Pasolini? Come ha mostrato Silvia De Laude nelle note dell'edizione economica di Petrolio - apparsa nel 2005, ignorata da quasi tutti gli scriventi -, i documenti, gli articoli, i libri a cui si è ispirato Pasolini per scrivere il suo romanzo postumo non sono altro che ritagli di giornale, dell'Espresso in particolare, o provengono dal libro su Cefis, opera di un sedicente Giorgio Steimetz, che gli fu fotocopiato da uno psicoanalista milanese, Elvio Fachinelli, animatore della rivista L'Erba Voglio. Fachinelli aveva fornito vari testi a Pasolini che ora si trovano conservati in una cartellina di lavoro, insieme al dattiloscritto di Petrolio, al Gabinetto Vieusseux di Firenze. Si tratta perciò di materiale già noto, citato anche da altri, pubblicato sui giornali, non di rivelazioni segrete, su cui lo scrittore ha intessuto la sua complessa trama narrativa che, per quanto realistica, sconfina nella particolare visionarietà che possiedono le sue pagine, una visionarietà più vera del vero. Tutto questo sarebbe il materiale che giustifica il delitto del più famoso intellettuale italiano?
La risposta è no. In realtà l'articolo della Benedetti funziona come un sintomo, a sua volta veritiero, di un problema rimosso. Lo dice con evidenza la chiusa stessa del suo pezzo: «Non ci sarà pace finché il mondo resterà così fuori dai suoi cardini, con i colpevoli impuniti e le storie letterarie che raccontano di Pasolini ucciso mentre tentava di violentare un ragazzo». La vera omissione è proprio quella: non accettare il contesto e la situazione in cui Pasolini si è trovato. Non accettare la sua attrazione per i ragazzi eterosessuali. Questo è il vero problema su cui nessuno, o quasi, si misura, questo lo scandalo. L'omosessualità di Pasolini costituisce la radice vera della sua lettura della società italiana, l'elemento estetico, su cui egli ha fondato la critica della società dei consumi. Le lucciole, scomparse per via dell'inquinamento di fiumi e rogge, non sono solo la metafora della modernizzazione senza sviluppo, ma anche della scomparsa dei ragazzi eterosessuali disposti all'incontro sessuale con lui. Le lucciole sono i ragazzi stessi.
In un libro, Breve vita di Pasolini (Guanda), il cugino di Pier Paolo, Nico Naldini, ha raccontato cosa potrebbe essere successo la notte in cui fu ucciso. La trascorse al ristorante con Ninetto e sua moglie; poi incontrò Pino Pelosi che gli rammentava le fisionomie delle sue amicizie borgatare. Questo accese il desiderio: «Se il desiderio è solo libidine, esige un rapido appagamento. Ma se esso si allunga in aspettative voluttuose e se l'immaginazione è colpita dal ritorno del “sopravvissuto”, gli atti che si sono succeduti in quella sera trovano una collocazione». I due siedono al ristorante. Pasolini comincia a far domande. Si sente senza dubbio attratto e questo «gli fa perdere il senso del pericolo proveniente da una generazione che si è smarrita nei confini tra il bene e il male».
Nell'auto avviene il primo scambio sessuale. In quella sera «la disponibilità del ragazzo è fatale per Pasolini»; l'ha sentita probabilmente come un'apertura a un altro genere di complicità, e proprio questo ha spinto l'uomo a compiere un gesto inequivocabile il quale ha indotto nel ragazzo un elemento di terrore, «come una rivelazione implicita o l'atto offensivo di una supposizione», scrive Naldini. Questa è la situazione «in cui si accetta il proprio destino o lo si rifiuta; ma c'è una sospensione tra le due cose, la violenza diventa tanto maggiore». In Pelosi si scatena una violenza inaudita: non solo violenza contro l'incubo dell'altro, ma «pura hybris di fuggire da se stesso».
Una visione, non una certezza processuale. Ma cosa può fare un poeta, uno scrittore, se non muoversi tra le visioni? Questo era il metodo stesso di Pasolini. La sorpresa è dunque scoprire che non solo la sua particolare omosessualità, la predilezione per i giovani etero, venga rimossa dalla sinistra, ma che la sua lezione poetica e intellettuale sia disattesa da seguaci e difensori. Il delitto Pasolini è un delitto politico non perché operato per far tacere uno che «sapeva» la verità su un attentato o una strage, ma perché è stato ucciso un poeta che diceva verità scomode, uno che praticava lo scandalo di contraddirsi, che non scopriva segreti occulti, ma che rivelava tutto quello che era già evidente, e che nessuno voleva davvero vedere: «Lo scandalo del contraddirmi, dell'essere / con te e contro di te; con te nel cuore, / in luce, contro di te nelle buie viscere».
da -
http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/229502/