Esteri
20/03/2012 - retroscena
Il cuore nero dell’odio resiste nella République
Dal tradizionale nazionalismo ai nuovi rancori dei musulmani
MARCO ZATTERIN
corrispondente da bruxelles
Il fragore del «cuore nero» della Francia che batte brutale oggi è quello delle due pistole che hanno portato la morte davanti alla scuola media ebraica di Tolosa. «Questo è uno dei Paesi più pericolosi del mondo libero per gli ebrei», accusa il rapporto 2010 dell’Agenzia ebraica sull’antisemitismo, cancro antico nella terra dell’Esagono, un malanno che ribolle di odio secolare, cresce nella follia della destra estrema e trova linfa anche nello scontro etnico e religioso che si sprigiona dalle intransigenze di una minoranza violenta della numerosa comunità arabo-musulmana.
E’ un popolo da oltre mezzo milione di anime, quello della stella di David nella République, contro il quale si abbattono le tensioni irrisolte in tempi e terre lontane.
Scorrono davanti agli occhi le immagini dell’Olocausto che non finisce, colpisce un singolo dopo l’altro, e ripresenta una sfida dolorosa. In Francia si incrociano tre forme di antisemitismo che germogliano nel nazionalismo arabo, nell’estrema destra titillata dai lepeniani, nella sinistra radicale antimondialista. Un tempo si manifestava negli assalti dimostrativi alle sinagoghe, adesso è diventata battaglia seriale, un tremito rumoroso che scuote le coscienza dell’Europa e raccoglie condanne, genera orrore ma anche paura di contagio.
La cronaca gronda sangue. Gli ultimi colpi sono stati inferti nel nome della mezzaluna. Si ricorda Ilan Halimi, il 23enne rapito e ucciso nel 2006 da quella che la stampa presentò come la «banda dei barbari», un gruppo di estremisti il cui capo Youssouf Fofana - arrivato alla sbarra - proclamo che «Tutti gli ebrei del mondo sono miei nemici!». Nel 2003 era toccata a Sebastien Selam, un dj di Parigi. Fu assalito mentre andava al lavoro; gli tagliarono la gola da orecchio a orecchio. Quella stessa sera, e sempre a Parigi, una donna ebrea veniva assassinata, davanti alla figlia. Ancora da fanatici musulmani.
I giornali sottolinearono la violenza degli episodi e, allo stesso tempo, ci fu chi ebbe modo di denunciare una certa sensazione di indifferenza nell’opinione pubblica, apparsa distratta al di là delle dichiarazioni di condanna. C’è paura del peggio. Attacchi così precisi e studiati come quello di ieri non se ne vedevano dal 1982, quando un raid a un ristorante parigino provocò sei morti e 22 feriti. Roba paramilitare, si comincia a pensare.
E’ storia vecchia, fanno notare gli osservatori: «C’è sempre stata». Già il primo socialismo rivoluzionario di Pierre-Joseph Proudhon esponeva una venatura antigiudaica, talora addirittura antisemita. Non era poi una prerogativa della sinistra, a fine ‘800 lo si capì bene con l’affare Dreyfus, l’ufficiale di artiglieria accusato di alto tradimento, radiato e poi riabilitato pienamente nel 1906. Era l’avanguardia di un nazionalismo cieco che nella seconda metà del XIX secolo si era manifestato contro le minoranze etniche e religiose. Ne avevano fatto le spese gli immigrati, anche gli italiani. E gli ebrei.
Emergono ancora dalla cronache francesi le immagini dei cimiteri profanati, le svastiche sulle stelle di David a Strasburgo e altrove. E’ il neonazismo che ha sempre trovato zolle fertile nella destra francese. Una minaccia che pareva contenibile, sino a quando si è trovata a specchiarsi con la rabbia violenta e assassina di una minoranza della comunità islamica. Il Paese che la rivoluzione aveva fatto libero, uguale, fraterno, aveva saputo anche accogliere a braccia aperte gli ebrei della diaspora, quelli di Salonicco e dell’Europa centrale, in queste ore fa tremare chi si sente a pieno titolo cittadino della République e ne accetta gli insegnamenti.
E’ dal Duemila, dopo la seconda Intifada, che le cose hanno cominciato a peggiorare. Nell’emarginazione della banlieue cova la rabbia per il nemico israelita. Colpisce quando diventa follia, sempre più frequente. Qualche insegnante di religione ebraica a Parigi si confessa «preoccupato», l’accaduto costringerà «a non mostrarsi, a non esibire segni religiosi».
Da Bruxelles, la Conferenza dei rabbini europei rileva che i fatti di Tolosa sono «indicativi di una società dove all’intolleranza è consentito di spargere i suoi veleni». Si paventa che il peggio non sia ancora venuto. Forse sono neonazisti. Forse no. Il dubbio turba il «Paese più pericoloso del mondo libero per gli ebrei». E non solo.
da -
http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/447103/