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Autore Discussione: DANIELE MARTINI. I nuovi percorsi del lavoro  (Letto 2037 volte)
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« inserito:: Febbraio 04, 2012, 11:48:02 am »

4/2/2012

I nuovi percorsi del lavoro

DANIELE MARTINI

Il nome è di fantasia, ma la storia è vera. Sissi, 23 anni, vive in una città del Nord e porta in tasca un diploma liceale. Aveva intrapreso un percorso universitario: nonostante buoni risultati, dopo gli esami del primo anno, il desiderio di autonomia economica la spinge a interrompere e cercare un lavoro.

A un contratto da apprendista in uno studio dentistico, dopo circa un anno, ne fa seguito un altro, interrotto precocemente a causa delle intemperanze (e delle violenze non denunciate) del titolare. Vorrebbe fare un lavoro non routinario, che la metta a contatto con le persone. Quindi, trova impiego in un’agenzia immobiliare. Purtroppo, la crisi del settore, nonostante un avvio professionale promettente (anche sotto il profilo economico), falcidia i posti di lavoro: anche il suo. Da lì, ha intrapreso una navigazione da una prova a un’altra in piccole agenzie e studi professionali. All’ultima tappa di questo peregrinare le propongono uno stage di un paio di mesi, 8 ore al giorno, a 300 euro al mese. Sarebbe disposta ad accettare, pur di lavorare, ma fa rilevare che con quei soldi forse riesce solo a pagarsi le spese dell’auto e del telefono per il lavoro. Risposta seccata della titolare: ma è una paga «dignitosa»!

Una storia, come tante, non di tutti certamente, ma di una parte purtroppo non marginale delle giovani generazioni che si affacciano sul mercato del lavoro. Una vicenda emblematica che racconta un insieme di storture cui bisogna porre rimedio rapidamente:

1. La dignità del lavoro non può essere legata solo al fatto di avere un’occupazione purchessia. Un lavoro dignitoso dev’essere rispettoso di un corrispettivo economico che consenta alle persone di vivere dignitosamente. Diversamente diventa un ricatto. Pur comprendendo le difficoltà delle imprese, va assolutamente affermata la dimensione etica delle relazioni anche nei rapporti di lavoro. Viceversa un imbarbarimento e il rischio di concorrenza sleale fra imprese è dietro l’angolo.

2. Vanno evitate le facili generalizzazioni sulla precarizzazione del lavoro in Italia. È vero: la crisi colpisce soprattutto le giovani generazioni. Il 38,4% di chi si affaccia sul mercato del lavoro (fra i 15 e i 24 anni) ha da subito un contratto di lavoro a tempo indeterminato; il 34,4% ne ottiene uno a tempo determinato; il 15,5% è una partita Iva, ma in realtà ha una monocommittenza ed è come un lavoratore dipendente; l’11,8% fa un lavoro irregolare. Già nella fascia d'età superiore (25-34 anni) quelli che possiedono un contratto a tempo indeterminato raddoppiano e salgono al 67,3%. L’instabilità non coglie tutti i giovani in modo eguale: colpisce soprattutto le giovani donne, quanti hanno fatto un investimento nella propria formazione (diploma e laurea), chi cerca un inserimento nei servizi e nel terziario anche pubblico, molto meno nell’industria. Il paradosso, quindi, è che quanto più una famiglia investe nella formazione dei propri figli, tanto più - almeno nel breve periodo - vede il suo abbrivio sul mercato irto d’ostacoli.

3. Le difficoltà nella ricerca del lavoro coinvolgono soprattutto quanti non hanno una rete di relazioni estesa, che possa offrire contatti, raccomandazioni (non solo negative), sostegno. La dimensione pubblica del disagio legato al lavoro è assente: i Centri per l’impiego pubblici intercettano una quota largamente minoritaria di disoccupati e di chi cerca un’occupazione. L’onere è scaricato interamente sulle famiglie. Non è più possibile (né auspicabile) pensare a un ruolo centrale dello Stato nell’intermediazione fra domanda e offerta. Va favorita, invece, l’attivazione di soggetti privati accreditati (sussidiarietà) su questi versanti.
Finché non avverrà la riforma degli ammortizzatori sociali e l’avvio di un sistema di formazione continua, la cosiddetta flexsecurity rimarrà una chimera. Questa è la vera leva affinché il mercato del lavoro sia meno diseguale e più fluido. Soprattutto, che premi effettivamente il merito delle persone, le loro capacità, la loro volontà d’impegno e diminuisca il peso (favorevole, per chi ce l’ha) delle posizioni di rendita familiari o di casta. Allora, al di là della boutade sulla monotonia del posto fisso, che logora solo chi ce l’ha, va invece presa sul serio un’altra indicazione del premier Monti di qualche giorno fa: la tutela dei lavoratori dev’essere sempre meno collegata al posto di lavoro e sempre più al lavoratore. È questo il cambio di prospettiva che consentirebbe la costruzione di un vero sistema di flexsecurity in grado di sostenere i percorsi di carriera professionale dei lavoratori, la loro formazione continua e un loro sostegno nei casi di perdita del lavoro. È una visione più vicina a un’idea del lavoro, diffusa soprattutto fra i giovani, che lo interpretano come un percorso di carriera, piuttosto che come un posto. Questo è il vero banco di prova di relazioni industriali e di organizzazioni sindacali che guardino al futuro.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9733
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