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Autore Discussione: Gianluca Di Feo. Gherardo Colombo Sì, Mani Pulite ha perso  (Letto 2226 volte)
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« inserito:: Gennaio 30, 2012, 12:04:32 pm »

Intervista

Sì, Mani Pulite ha perso

di Gianluca Di Feo

Rispetto a vent'anni fa non è cambiato nulla. Anzi: a poco a poco la giustizia è stata smantellata.

E la politica non ha fatto nessuna legge per rendere più difficile la corruzione, mentre quelle che c'erano sono state rese meno severe.

E così l'impunità cresce. La denuncia, durissima, dell'ex Pm Gherardo Colombo

(30 gennaio 2012)

Mani Pulite è stata un fallimento. Non ha cambiato nulla, anzi ha determinato una reazione opposta: lo smantellamento della giustizia.
E la vittoria di un pensiero collettivo che convive con la corruzione. Gherardo Colombo è lapidario nel giudicare il passato. Guarda da lontano l'esperienza di pubblico ministero che lo ha visto misurarsi con tutte le trame d'Italia: la scoperta delle liste della P2, l'istruttoria sui fondi neri dell'Iri e infine la grande indagine su Tangentopoli. Oggi nell'ufficio di presidente della Garzanti, porta il discorso dal piano giudiziario a quello culturale, dal codice penale al senso civico. Senza arrendersi al pessimismo, vede a Milano i segni della riscossa non nelle nuove inchieste che assediano il Pirellone ma nel successo dell'Area C: lo sbarramento al traffico voluto dalla giunta Pisapia che restituisce il centro alle biciclette. Vent'anni dopo l'arresto di Mario Chiesa, nel libro intervista con Franco Marzoli, docente senese e suo amico dai tempi dell'università, discute dell'Italia di ieri e di oggi. Il volume, edito da Longanesi, ha un titolo programmatico: "Farla franca".

Mani Pulite è stata inutile?
"Sotto il profilo giudiziario è servita a poco o nulla. Io lo dissi sin dall'inizio, proponendo nel 1992 proprio sulle pagine de "l'Espresso" una soluzione diversa, una sorta di condono dietro l'ammissione di responsabilità. Mi ero reso conto che di fronte all'enormità di quello che stava emergendo, sarebbe stato difficile o impossibile dare una soluzione attraverso il processo.
Alla fine invece le indagini hanno confermato il senso di impunità: la maggior parte dei reati sono stati prescritti. E non c'è stato solo quello. Penso a tutte le leggi cambiate in corso d'opera, ai reati che sono diventati meno reati come l'abuso d'ufficio o il falso in bilancio, alle modifiche alle regole per il processo e le rogatorie fino a rendere appunto il senso d'impunità. Il dato positivo è nell'informazione: i cittadini ne hanno saputo molto di più".

Questa conoscenza non si è però trasformata in una spinta a cambiare.
"La cultura era quella. Il modo di pensare generale era in linea con il diffondersi così articolato e capillare della corruzione".

Nel libro lei dichiara che questa cultura del quieto vivere è presente anche nella magistratura.
"Anche i magistrati seguono quel pensiero collettivo, che ispira una certa prudenza nell'andare a vedere quello che si nasconde nei cassetti del potere. Per fortuna ci sono tante eccezioni, ma ho provato sulla mia pelle come andare fino a fondo rende più difficile la vita".

Oggi il governo tecnico ripropone il ruolo chiave dei grandi burocrati, figure spesso gattopardesche: i politici cambiano, loro restano.
E spesso nelle vostre indagini sono stati loro a rappresentare l'ostacolo maggiore.
"Le indagini sulla burocrazia sono state condizionate da alcune variabili, spesso più intense che in altri settori. La burocrazia ha un vantaggio rispetto alla politica: è più stabile, più coesa. Investigare su un settore che ha più compattezza è difficile: c'erano persone rocciose nella loro resistenza, sia negli apparati statali che in quelli di partito, che hanno difeso strenuamente il loro ambiente".

Ma quando da cittadino viene a sapere dei casi di corruzione contestati alla giunta lombarda o del malaffare che resiste anche nel Pio Albergo Trivulzio, non prova un senso di smarrimento?
"Non mi sorprendono. Perché il sistema sarebbe dovuto cambiare? Sotto il profilo giudiziario non è stata fatta una legge per rendere più difficile la corruzione o più facile la scoperta della corruzione. Sotto il profilo culturale se qualcosa è cambiato, lo è stato in senso opposto: si è rafforzata l'idea che l'interesse privato nell'esercizio di una pubblica funzione non è riprovevole.
Non ci si può aspettare una folgorazione"

Lei nel 1998 in una celebre intervista a Giuseppe D'Avanzo denunciò una rete di ricatto che condizionava alcune scelte del Parlamento.

Oggi quanto pesa il ricatto?


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