MicroMega ricorda Oscar Luigi Scalfaro, un Presidente davvero Custode della Costituzione
Scalfaro: La Costituzione presa sul serio
di Oscar Luigi Scalfaro, da MicroMega 1/2003È politica ciò che riguarda la polis. Ciò che interessa una o due o tre persone, è un’altra cosa.
La politica è l’arte che, con il pensiero e l’azione, tende alla maggiore giustizia e alla maggiore libertà nella vita di un popolo, di uno Stato, al fine di assicurare la pace all’interno del popolo, nel consesso dei popoli e degli Stati.
Le sfide della politica consistono soprattutto nell’affrontare e vincere gli ostacoli, interni ed esterni, che si frappongono alla realizzazione della giustizia, della libertà, della pace. Questi fini non sono perseguibili, se si punta sulla guerra come mezzo per vincere gli ostacoli. Questa è un’impostazione in sé errata.
Puntare sulla guerra, sulla forza è privilegiare i muscoli alla ragione. Dare priorità alla guerra vuol dire non avere fiducia nel dialogo, nel pensiero che è la forza primaria della persona. In sostanza: privilegiare la guerra vuol dire non avere fiducia nella persona, nella sua forza interiore, ma nelle cose – le armi – che, si ritiene, rendano forte la persona dall’esterno. E lo si vede.
Una chiara constatazione alla base di questi pensieri: la dittatura si afferma e vive sulla mortificazione della persona, la democrazia si afferma e vive sulla sua esaltazione.
La persona umana è nella pienezza della sua dignità quando può vivere tutti i suoi diritti, sintetizzabili nel diritto alla vita: una vita sana, libera, che si svolge nel rispetto della verità, della giustizia, della sicurezza, e può rispettare tutti i suoi doveri. Vorrei dire che la somma di questi diritti, proclamati e vissuti – non solo proclamati: vissuti! – costituisce la pace. È la pace!
I principi della nostra Costituzione sono condizioni della pace
Io porto sempre con me, è un problema affettivo, una copia della Costituzione italiana. Ho avuto l’onore enorme di far parte di quell’Assemblea e di votare, articolo per articolo, la Carta. Ne ho una visione sacra. Penso che occorrerebbe che fosse conosciuta e amata più di come e di quanto lo sia oggi. Da tutti. Soprattutto da coloro che incarnano le istituzioni: dovrebbero sentirla quasi anima pulsante dentro di loro, intelligenza viva, volontà di amore.
La prima pagina della Costituzione della Repubblica italiana, dall’articolo 1: «L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro», all’articolo 11: «L’Italia ripudia la guerra», è la proclamazione dei principî fondamentali.
Il 12 parla della bandiera. È un annunzio importante, ma non è un’elencazione di diritti o di doveri: li presuppone, ma non li enunzia.
La proclamazione dei principî fondamentali è molto importante perché crea le condizioni per vivere la pace.
Pensiamo all’articolo 2: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili». Inviolabili: è un aggettivo formidabile per la forza che ha dentro. Sta a significare che i diritti possono essere violati, ma si deve ricordare che in tal modo viene calpestato, infranto un principio che non si può toccare.
La Repubblica riconosce. Quando l’Assemblea ha votato questo verbo, ho provato una forte emozione. La risento ancora in me. Venivo dalla magistratura e avevo appena compiuto ventotto anni. L’infinita bontà della Provvidenza di Dio mi aveva già fatto assaggiare sofferenze mie e altrui. Un conto è assaggiarle quando l’età è di quaranta, cinquanta, sessant’anni, ma è un’altra cosa quando l’animo e l’intelligenza sono di uno che ha ventisette, ventotto anni. Può avere studiato, ma la maturità che si acquisisce nel tempo mediante il confronto e la valutazione delle proprie e altrui esperienze, ha ancora da essere saggezza di vita.
Torniamo ai principî della Costituzione quali condizioni per vivere la pace: ricordando che non c’è bisogno di un credo religioso per sostenere e difendere un principio.
Anzitutto la pace dipende dalla persona umana: che vi creda davvero; che abbia in sé la pace se vuole portarla. Sono convinto che è una dote della persona che si apre al grandissimo spazio dei valori dello spirito. Parlo di valori dello spirito, non del credo in valori trascendenti. Anche chi non ha fede in essi, ma crede nella forza spirituale della pace, ha la capacità di esserne testimone e di portarla. Conseguenza: chi turba la sicurezza, la pace altrui, sia quella del singolo sia quella della comunità e dei popoli, è aggressore. Costui lede gravemente un diritto che è della persona: il diritto alla sicurezza, alla pace. E, riprendendo la precisazione sopra evidenziata, dico che è aggressione alla pace tutto ciò che mortifica la persona umana nei suoi diritti, nella sua dignità.
La Carta Costituzionale, mettendo al centro la persona e dicendo: «La Repubblica riconosce», esprime un principio che condanna qualunque dittatura. La Repubblica, cioè lo Stato, quando nasce, si inchina agli uomini e alle donne che lo hanno messo al mondo e riconosce che costoro, prima che lui nascesse, erano già, per propria natura, titolari di diritti primari di fronte ai quali ha un dovere: riconoscerli, realizzarli e difenderli affinché non ci sia nessuno che questi diritti li abbia scritti ma non vissuti.
Le mortificazioni alla persona: anzitutto il no alla verità. Quante volte si è parlato e discusso di tanta menzogna che ha in parte connotato l’impostazione marxista.
Ma non è finita la menzogna. Occhi aperti e timpani ben tesi: non è finita!
Inoltre il no a quanto è giusto, mortifica la persona. È lesione della parità, dei diritti, della dignità, dell’eguaglianza sempre e comunque. E la
non eguaglianza davanti alla legge, non è una ferita grave alla giustizia? Me lo chiedo in forza della mia vocazione primaria di magistrato.
E, da ultimo, il no alla solidarietà, alla fratellanza, all’amore, che è il vincolo naturale tra gli uomini; crea squilibri aggressivi, eccessivi non tanto fra ricchezza smodata e povertà, quanto tra la prima e la miseria che ferisce e offende gravemente la dignità della persona.
L’abbandono della persona nella miseria stride tragicamente con l’arroganza del potere, della ricchezza.
La pace è soprattutto un sì alla persona, alla vita, agli altri, a chi in particolare è più debole, ha più bisogno. È scegliere la via dell’integrazione di cui parliamo tanto. Esprimo qui, a modo mio, un pensiero: integrazione è scegliere la via che muta gli altri in noi. Prima pensavo che questi è altro, questi è diverso. D’un tratto, attraverso la solidarietà, la fraternità, la capacità di amore e la condivisione, scopro che questi è uguale a noi, è uno di noi!
La coesistenza di alleanza e pace
E, adesso, attenzione: per vedere la realtà nella quale viviamo: c’è Pace?
L’Italia dopo l’ultima guerra ha scelto una politica di alleanza e di solidarietà, per costruire la pace. All’interno, con la collaborazione fra tutti i partiti democratici. Quando De Gasperi rivolse questo invito, lo accolsero tutti, tranne i comunisti, il cui atteggiamento era spiegabile nella contrapposizione dei principî, e, con meraviglia di tutti, specie di noi giovani, anche i socialisti di Nenni, che preferirono l’alleanza con i comunisti di Togliatti.
Questo piano nasceva da un altro ben più ampio ed esterno: discendeva dalla situazione internazionale con la politica di pace e quindi di alleanze. Due capisaldi: Unione Europea – cito in sintesi il manifesto di Ventotene con Altiero Spinelli, la fede profetica nell’unità dell’Europa di De Gasperi, Adenauer e Schuman – e il Patto Atlantico.
Allora dell’Unione europea non c’era assolutamente nulla: c’erano soltanto persone, da noi chiamati «I profeti dell’Europa», che ci credevano fortemente.
L’alleanza è essenziale per la pace: più si hanno amici, più si ha forza per difenderla, sostenerla, portarla. Io stesso nasco in politica con il concetto di alleanza, che richiede la pari dignità. Alleanza e pace devono coesistere. Nel mio breve intervento al Senato ho espresso questa convinzione quando ho detto:
Non siamo chiamati a decidere, oggi almeno, ma a esprimere la nostra volontà politica.
Ecco, di fronte all’ipotesi di un intervento armato nei confronti dell’Iraq il mio parere, la mia risposta allo stato dei fatti è «no». Devo essere chiaro: è «no»! È un «no» senza incertezze, è un «no» senza subordinate.
Sono parlamentare dall’Assemblea Costituente, giugno ’46. Si stava allora elaborando il piano di grande alleanza difensiva che si concretò, nel 1948, nel Patto Atlantico per la pace.
Attraverso i decenni questa scelta è diventata scelta politica comune.
Ho sempre ritenuto, sempre!, punto essenziale della nostra politica estera l’alleanza con gli Stati Uniti e il legame limpido e forte nell’Europa. Rimango fermo in questa convinzione, in questa determinazione.
Proprio su questa base da ministro dell’Interno ho lottato contro il terrorismo con una serie di intese internazionali che ebbero grande efficacia e che partivano da un fondamentale accordo con gli Stati Uniti.
Dunque, alleanza libera, alleanza fedelissima, alleanza a pari dignità.
– I parlamentari che impediscono al presidente del Consiglio di ascoltare un dialogo non svolgono un compito né educato né intelligente.
Ma capita perché qui siamo eletti a suffragio universale e qualcuno pare più di suffragio che di universale (Scalfaro si riferisce, in questo inciso, alla lunga coda di senatori di Forza Italia che continuavano ad affluire ai banchi della presidenza del Consiglio durante gli interventi in aula, n.d.r.). –
Ho detto alleanza libera, alleanza fedelissima, alleanza a pari dignità. Perciò è indispensabile che siamo molti attivi nel prospettare, nel difendere le tesi della pace, le tesi del dialogo, le tesi della difesa della persona.
La guerra è il «no», il «no» più atroce alla persona umana.
A lei, signor presidente del Consiglio, a lei spetta in particolare questo compito, indubbiamente molto difficile, che è il compito di difendere insieme l’alleanza e la pace. È importante: insieme, alleanza e pace. Per impedire che il «no» alla guerra sia ritenuto o proclamato da servi sciocchi, un «no» all’alleanza.
Tutto ciò è possibile purché ne siamo fortemente convinti e non riserviamo, non portiamo nella mente e nell’animo deprecabili alternative.
Il dovere di essere a favore della pace è richiesto anche dall’articolo 11 della Costituzione: «L’Italia ripudia la guerra».
Leggendolo, è chiaro, lo diceva poco fa il senatore Cossiga, è chiaro che rimane aperta solo la via della legittima difesa. La legittima difesa per essere tale deve rispettare condizioni ben note, che non cito per non consumare tempo.
Il diritto per altro è la prima forza, la prima garanzia, non solo per i singoli, ma per i popoli.
Non vedo facilmente che l’ipotesi di una guerra per legittima difesa preventiva riesca a entrare, a trovare spazio in questo «ripudia» dell’articolo 11. Né possiamo costringere la Costituzione, sulla quali tutti noi abbiamo giurato, a interpretazioni forzate che sono contro ciò che la Costituzione ha espresso ed esprime, che sono contro a ciò che la Costituzione ha voluto e vuole.
Tocco due punti che mi sembrano focali.
Oggi, per responsabilità personale, ritengo essenziale per la politica estera dell’Italia, l’alleanza con gli Stati Uniti di America, come ritengo vitale l’esistenza dello Stato di Israele nella sicurezza, pena una tragedia dall’ampiezza imprevedibile.
Riconoscere gli Stati Uniti come perno delle alleanze non significa, proprio perché alleati, accettare una linea politica senza discuterla, come se il non discuterne fosse prova di fedeltà all’alleanza. Quando si dice: «Noi siamo così amici da essere d’accordo su tutto», mi pare che il destinatario venga trattato in modo meno consapevole. «Io sono d’accordo su tutto» prima che uno parli, è un discorso che non è molto lontano dal mandare uno a quel paese, anche se non si sa mai quale sia.
L’alleanza ha bisogno di lealtà, di dignità, di libertà.
E, sull’altro punto focale, guai a lasciare interrogativi sulla sicurezza dello Stato di Israele. Ma anche i palestinesi hanno diritto a un territorio, a una sovranità, a una indipendenza, a uno Stato, a una patria. O no? Chiamandosi palestinesi, ci sarà qualche aggancio con un territorio che non da oggi viene chiamato Palestina?
Dopo l’11 settembre dell’anno scorso si è rafforzata la solidarietà fra i paesi, che erano già alleati con gli Stati Uniti. Pure gli Stati non vincolati da alleanze con loro hanno espresso vicinanza e desiderio di dialogo. L’incontro Bush-Putin, che si diceva fosse in mente Dei, in quei giorni avvenne con un’accelerazione incredibile. Per il dialogo con la Cina, di cui si parlava forse ancora come un sogno di là da venire, ci fu l’incontro Bush-Jan Zemin, il capo della Cina che adesso ha passato ad altri la responsabilità di vertice nel partito.
La politica estera non può essere la politica delle pacche
Al momento di mandare gli alpini in Afghanistan, per il parlamento italiano unito nell’alleanza, sono nate divisioni e incertezze. Non entro in quella polemica. Faccio soltanto un ragionamento a latere. Coloro che in parlamento, dopo l’11 settembre, avevano detto sì all’alleanza, hanno avuto incertezze, hanno posto interrogativi. Vogliamo vedere se era capitato qualche cosa di nuovo o no? Era tutto come quando si è affermata l’alleanza? Io ritengo che c’erano due fatti fortemente nuovi.
Primo: il presidente degli Stati Uniti ha espresso una chiara volontà di guerra all’Iraq. Allora, non si parlava certo che ci sarebbe stata una seconda pagina dopo l’Afghanistan. L’ha espressa a tal punto da girare il mondo per ottenere adesioni non solo dagli alleati. Avere incertezze è una questione di alto tradimento? E qual è stato l’atteggiamento di Chirac con la Francia? E quello del cancelliere tedesco?
Secondo: riguarda la politica nostra. Il governo avrebbe fatto bene a dire fin dall’inizio, in Aula, che gli alpini non andavano in Afghanistan per combattere. Credo che sarebbe ingenuo pensare che, andandovi, non possano avere a che fare con le armi. Diverso è invece andare per combattere. Questa distinzione, in seguito, è stata abbastanza sottolineata, ma all’inizio non era chiara.
Ancora oggi, ritengo inaccettabile un fatto: la politica estera è stata interpretata dal nostro premier nell’ottica di una visione privatistica. Anzi, di una visione personale, che in un’intervista sintetizzai in una battuta più secca: «La politica estera non può essere la politica delle pacche…!»
La politica estera è quanto di più serio e delicato pone in essere un governo, che lo caratterizza e lo qualifica nei rapporti internazionali.
Allora, credo, ci fosse il dovere di chiedere garanzie per una vera pari dignità.
L’Italia ripudia la guerra
Dall’immediato dopoguerra la politica dell’Italia, democratica e repubblicana, è stata una chiara scelta di pace. Ogni alleanza è stata stretta per aumentare l’impegno della pace. Così è e così vogliamo che sia ancora oggi.
Fin dal termine della guerra, insieme alla politica di scelta della pace, titolare primo De Gasperi, ce n’è stata una seconda, fondamentale, sancita nell’articolo 11 della Carta Costituzionale: «L’Italia ripudia la guerra».
Se noi leggiamo con attenzione l’articolo, che significa no alla guerra di aggressione, no alla guerra per risolvere questioni fra i popoli, rimane possibile per l’Italia solo la guerra per legittima difesa.
Guerra legittima – secundum legem – non lecita. Questa è l’unica ipotesi che, giuridicamente, esce dall’interpretazione serena di questo articolo 11.
Ma la legittima difesa presuppone limiti, condizioni. La conosciamo nei rapporti privati ma, siccome parliamo di principî, vale egualmente in qualunque altro rapporto. Dunque, anche tra Stati. Teniamo conto che la legittima difesa può essere un dovere: se io sono per strada con un minore o una persona minorata che viene aggredita e non compio il mio dovere di protezione, finisco sotto processo. Lo Stato ha il dovere di difendere la sicurezza dei cittadini e non può dire di arrangiarsi.
C’è un pericolo, il terrorismo: lo Stato deve darsi da fare per prevenire, reprimere e studiare a fondo quali sono le ragioni che fanno nascere questa malattia.
Per quattro anni ho fatto il ministro dell’Interno. Il ministro dell’Interno ha il compito, che è del governo ma a lui è affidato, di prevenire e di reprimere. Quante volte, andando in Consiglio dei ministri, ripetevo: occorre studiare, indagare per vedere quali sono le motivazioni, le ragioni di questo fenomeno criminoso; perché quando c’è una malattia, c’è il dovere di studiarne le cause. Intervenire per curare, reprimere, è doveroso ma, se non si cercano le cause, non si arriva mai al dunque.
Ritengo di poter dire che dalla Costituzione a oggi la nostra politica estera, approvata dal parlamento, ha sempre rispettato l’articolo 11, e ha mantenuto con dignità e fedeltà le alleanze.
Abbiamo inviato militari presso altri popoli per difenderne la pace, la sicurezza e per aiuti umanitari. Ricordo i nostri militari uccisi quando è stato abbattuto un aereo che portava solo medicinali, aiuti e viveri.
Abbiamo avuto momenti caldi: l’invasione del Kuwait, uno Stato della comunità internazionale, da parte dell’Iraq. Quindi era giusto, come alleanza, intervenire. I Balcani, con la Serbia di Milos?evic´, il Kosovo. Poi, l’11 settembre…
Con il terrorismo, repressione o tentativi di dialogo?
Il terrorismo è male gravissimo che noi abbiamo dolorosamente conosciuto. È stata esperienza durissima.
Noi abbiamo vissuto la tragedia, che non potremo mai dimenticare, della cattura e dell’uccisione di Moro. Dissi allora, sul piano interno e sul piano internazionale (quando era difficile farsi capire anche dai ministri dell’Interno della Comunità!): nessuno vince questa battaglia da solo, nessuno vince il terrorismo da solo; ma attenzione – aggiunsi – nessuno perde da solo, perché se uno di noi nel proprio paese perde, travolge anche gli altri.
Di lì nacque la serie di accordi bilaterali che diedero notevoli risultati nella lotta al terrorismo. Iniziai con un accordo con gli Stati Uniti, dopo un incontro personale con Bush padre quando era il numero due alla Casa Bianca. Poi, accordi bilaterali con ciascun paese della comunità, del fronte mediterraneo dell’Africa, col Medio Oriente. Grazie a Dio, questa politica ha dato buoni frutti.
Vale ancora questo principio?
Da capo dello Stato, due volte all’anno parlavo al corpo diplomatico. In un discorso, facendo gli auguri di pace citai la Cecenia, perché in quei giorni erano uscite notizie che erano giunte anche a noi – il fenomeno della Cecenia è molto più lontano, ma era stato anche coperto. L’ambasciatore di Russia protestò dicendo: «Presidente, la Cecenia non c’entra. È una provincia. È un problema interno». «Ho fatto un augurio di pace, ambasciatore», fu la mia risposta, «non credo che sia offensivo». «No, ma guardi che non c’entra, perché quelli sono terroristi». «Ambasciatore, tutti i ceceni sono terroristi?». Terminò il colloquio.
Allora, mi chiedo: col terrorismo c’è solo repressione e nessun tentativo di dialogo? Se non si può dialogare direttamente, non ci sono mille strade per trovare alleati, amici, intermediari che aiutino a privilegiare il dialogo? Per conseguire questo obiettivo, bisogna crederci. Se si abbandona questa via, il terrorismo non finirà mai! Le azioni di guerra ci liberano dal terrorismo? Credo che ci abbiano liberato dal governo dei talebani che certamente è una fonte grossa di terrorismo. Spero che l’Afghanistan abbia pace, ma fino a quando sul posto ci sono tante truppe alleate è segno che qualche preoccupazione permane.
Non è che le azioni di guerra creano altre ragioni di violenza, altre forme di terrorismo? Sono pensabili azioni di guerra preventiva? Integrano la legittima difesa, che per noi è l’unica via che rende legittima la nostra partecipazione? Non la integrano. Non esiste legittima difesa preventiva. Non esiste neanche come capacità di concepirne il pensiero. E non possiamo calpestare impunemente la nostra Costituzione!
Vogliamo che anche un’azione di guerra possa conservare un’ultima presenza di eticità, un’ultima ombra di eticità? Guardiamo la tragedia del Medio Oriente. Come si fa a dire che è lecito l’atto del kamikaze? Quest’ultimo che è andato a morire dentro a un pullman dove c’erano giovani e studenti? Non si potrà mai dire che è ammissibile, accettabile uccidere volutamente degli innocenti.
Lo stesso Bush, nei primi giorni della sua presidenza, affermò che i palestinesi hanno diritto ad avere uno Stato. Io faccio una domanda più semplice: hanno diritto alla vita? L’invasione con distruzione e morti nei territori dei palestinesi è azione lecita, anche solo legittima? Punisce o no innocenti sapendo che sono tali? O quando l’uccisione è avvenuta, è sufficiente dire: «Siamo certi che questi è un terrorista e comunque lo avrebbe fatto»? È bene non avere questi poteri divinatori.
E il mondo che fa, sta a guardare? E l’Europa? Come c’è bisogno che diventi Europa politica!
Allora: diciamo sì alle alleanze, nei limiti della nostra Costituzione, che ci impone il no alla guerra se non per legittima difesa.
Occorre avere molta fede nel dialogo e averla ad ogni costo.
Se noi ci crediamo davvero, sono convinto che ce la faremo. Se saranno molti a credere nel no alla guerra, sono convinto che riusciremo ad affermare la pace. Occorre crederci. È l’augurio che faccio con intensità di amore: per quelli che devono decidere le sorti, per qualunque cittadino o cittadina che creda davvero nella pace.
Per questo, dopo avervi presentato questa impostazione e aver sottolineato ancora una volta qual è l’impegno di fronte alla politica di pace di ogni cittadino e dei cristiani in particolare, vorrei terminare in un modo semplice.
Qualche giorno fa mi è capitato, dovendone parlare, di riprendere in mano i testi, affascinanti per me, delle vite di san Francesco, di Tommaso da Celano e di san Bonaventura, e ho riletto più volte nel testamento di Francesco queste parole: «Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: il Signore ti dia Pace!».
Ecco, vorrei concludere dicendo soltanto questo: il Signore ci dia pace. Ci dia l’intelligenza per discernerla e l’amore e il sacrificio per attuarla.
(30 gennaio 2012)
da -
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