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Autore Discussione: MARCO SODANO. Lezione giapponese per reinventarsi e tornare a crescere  (Letto 2062 volte)
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« inserito:: Gennaio 23, 2012, 09:26:35 am »

Esteri

23/01/2012 -

Lezione giapponese per reinventarsi e tornare a crescere

Secondo il ministro degli Esteri, la ricostruzione è l’occasione per ripensare l’industria, l’energia, il welfare, i rapporti con gli altri paesi

Tokyo cerca di uscire dalla lunga crisi trasformando lo tsunami in una opportunità e prima che arrivi un altro cataclisma. Sul debito

MARCO SODANO
Inviato a tokyo

Toru Takami ha 62 anni e dirige l’ospedale di Nichinan, prefettura di Tottori, provincia giapponese. Quattro pomeriggi a settimana si mette in automobile per visitare i suoi pazienti a casa: sette-otto persone alla volta, un centinaio di chilometri di strada.
A Nichinan sono rimasti solo gli anziani, i giovani sono fuggiti in cerca di lavoro. Visto che la maggior parte dei pazienti non è così grave da chiamare l’ambulanza ma non può permettersi il taxi - e Takami non intende rinunciare al suo lavoro -, il direttore si mette al volante. Il Giappone invecchia rapidamente: nel 2035 tre persone su dieci avranno più di 65 anni. «Oggi succede qui, domani toccherà alle grandi città. Speriamo di essere un buon esempio per tutti», conclude.

Poche linee
Noriyuki Shikata, dirigente del ministero degli Esteri, tratteggia il quadro generale con poche linee, come se disegnasse un ideogramma elegante. «La popolazione invecchia, l’industria fatica ad ammodernarsi. Dalla metà degli Anni Novanta l’economia cresce poco e siamo entrati in deflazione». È l’incubo dei prezzi che scendono: oggi festeggi perché spendi meno, domani perderai il posto perché l’azienda per cui lavori non sta più in piedi. «Poi sono arrivate le crisi: della finanza globale, degli Stati Uniti, dell’Europa. I nostri partner commerciali hanno tagliato le spese. Lo Yen s’è rafforzato, le nostre esportazioni si sono ridotte ancora». Infine, l’11 marzo 2011: il terremoto, lo tsunami, il disastro nucleare di Fukushima.

La catastrofe...
Sendai, nel Giappone meridionale, è una delle città colpite più duramente dallo tsunami. Il mare è entrato per tre o quattro chilometri nell’entroterra. Un muro compatto d’acqua alto dieci metri ha spazzato via tutto. Resta una pianura giallo-grigia inutile per l’agricoltura - il sale dell'acqua marina l’ha bruciata - e inabitabile per legge (ora è classificata «a rischio catastrofe»). Tolti i detriti, a interrompere la fanghiglia bruna è rimasto solo il disegno dei muri perimetrali delle case distrutte e qualche battello da pesca abbandonato in mezzo ai campi. Tutte le carcasse - auto, barche, camion - hanno appiccicato sul fianco il documento verde plastificato che le classifica come vittime del ciclone. Nessuno è tornato a reclamare quei rottami.

...E la ricostruzione
Junichi Ishimori dirige l’aeroporto di Sendai, scalo essenziale per il turismo asiatico diretto in Giappone: la costa del Pacifico si frantuma in centinaia di isolotti e offre spiagge paradisiache. «Avevamo stimato tre anni per ricostruire l’aeroporto. Il turismo sarebbe morto». Reazione: «Con l’aiuto degli Usa ce l’abbiamo fatta in sei mesi». Negli occhi di Ishimori lutto paura e dolore sono mescolati in un’ombra di angoscia. Ma se gli chiedi di ricordare quel giorno ti parla del sistema di sicurezza: «La metro s’è fermata due secondi dopo la prima scossa. Nessun treno ha deragliato». Indica la struttura dell’aeroporto: «Ha retto bene. La gente ha dormito qui per 10 giorni». I morti si onorano anche soccorrendo, rimettendo in sesto, ripartendo.

Cogliere l’occasione
Si torna così nell'ufficio di Noriyuki Shikata, al ministero degli Esteri. «La devastazione dell’11 marzo può darci la spinta necessaria per sbloccare l’economia. La ricostruzione è l’occasione per ripensare l’industria, l’energia, il welfare, i rapporti con gli altri paesi». Anche perché il timore è che il prossimo tsunami si abbatta sul debito pubblico, come già accade in Europa e negli Usa. Soccorrere per ripartire: da un altro palazzo governativo, il ministro delle Finanze Jun Azumi assicura che non vede «motivi per abbassare la fiducia nell’Europa, non cambiamo politica». Tokyo ha già investito l’equivalente di oltre 3,5 miliardi di euro in bond del fondo salvastati europeo Efsf ed è pronta a continuare sulla stessa strada.

Sostegno
Bisogna sostenere l’Europa per evitare a tutti i costi l’ennesima ricaduta, dice Shikata. Quindici anni fa l’economia giapponese era la seconda del mondo, l’unica asiatica nel club dei superbig. Oggi è terza, e al secondo posto c’è la Cina: eterna rivale e leader dell’altro club, quello degli emergenti. Intanto i giapponesi si sono impoveriti poco alla volta. Il famigerato tour d’Europa in quindici giorni s’è ridotto a una settimana. L’industria investe sempre meno, perde colpi e taglia posti. I giapponesi si guardano indietro: «Eravamo ricchi, cosa è successo?». Ricostruire e ripartire sembra l’unica strada praticabile. Magari rimettendosi al volante come il direttore dell’ospedale di Nichinan: le visite a casa degli anziani e un ospedale da dirigere in cambio di un futuro credibile.

Nuovi rapporti
Perché c’è un altro prezzo da pagare che somiglia più a un’occasione che a una forca caudina: il Paese che si era isolato per secoli deve aprirsi completamente. Il sostegno finanziario all’Europa, per averne in cambio dell’altro se ne servirà. La distensione con i vicini cinesi, perché oggi i turisti ricchi sono loro e non è tempo di storcere il naso per questioni di rivalità. Il nuovo rapporto con i russi, che hanno aperto i rubinetti del gas dopo l’11 marzo, quando sono stati spenti i reattori nucleari. A Tokyo intuiscono che un Paese così avrà meno paura. Della deflazione, certo. Ma anche di un eventuale nuovo tsunami: purché dopo il lutto ci sia qualcuno che salta in macchina. «Ripartiamo?».

da - http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/439377/
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