Arlecchino
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« Risposta #1 inserito:: Settembre 16, 2007, 07:20:45 pm » |
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Intervista al presidente della Rai risponde alle critiche
Petruccioli: non lascio, sono super partes
«Ora via al piano industriale. Marano e Raidue? La direzione va cambiata»
ROMA — «No, io non mi dimetto. Se ci fosse un atto come il decreto Tatarella che nel 1994 pose fine forzosamente al Cda dei professori, non potrei che adeguarmi. Ma per andarmene volontariamente, dovrei aver fatto qualcosa di tanto grave da essere universalmente riprovato. Non certo perché sono stato segretario della Fgci nel 1968 o perché nel 1989 ho fatto parte della segreteria del Pci. Dal 2001 sono fuori dalla lotta politica. Prima come presidente della Vigilanza, votato da 34 membri su 37. Adesso presidente della Rai: indicato, lo ricordo, da 33 membri della Vigilanza (sei più dei 27 richiesti per legge) su 33 votanti. Soprattutto, non me ne andrei mai sulla base di argomenti che non trovo fondati. »
Ma, presidente Petruccioli, lei avrà seguito il dibattito. Il centrodestra emolti nel centrosinistra, per esempio Mastella e i Verdi, contestano il «monocolore» ai vertici Rai: presidente, direttore generale e Consiglio di amministrazione con l’arrivo di Fabiano Fabiani, tutti area Unione. Lo ha sostenuto anche Ernesto Galli della Loggia sul Corriere. «Tesi non esatta. L’investitura che io ho avuto m’induce a non comportarmi come un esponente di parte. Né mi ci sento. La legge non dice affatto che il presidente debba avere un’estrazione politica vicina alla minoranza. Nel 2005, due candidati, prima di me, non sono diventati presidente non per le loro posizioni (non erano politici) ma perché non hanno avuto i due terzi: ecco quello che conta. È sbagliato parlare di una maggioranza di centrosinistra. Fabiani ha giustamente rivendicato la propria indipendenza; e io considero istituzionalmente sbagliato anche dire che con Petroni ci fosse a priori una maggioranza di centrodestra. Tutti nel Cda devono essere valutati non per l’origine o l’appartenenza ma per i concreti comportamenti; lo impone il Codice civile».
Non ha mai pensato a dimettersi in queste ore di polemiche? «Mi sono seriamente chiesto: risolverebbe qualcosa questo gesto? Sarebbe utile all’azienda?»
Che risposta si è dato? «Ecco cosa accadrebbe se per astratta ipotesi si dimettesse l’intero Consiglio. E non vedo cenni di questa probabilità da nessuno dei colleghi. Il ministero dell’Economia penso confermerebbe Fabiani come consigliere di sua competenza e indicherebbe un nome per la Presidenza; poi ci vorrebbe la verifica dei due terzi in Vigilanza. Nel 2005 ci vollero mesi per ottenerla. Quanto agli altri sette membri eletti dalla Vigilanza, quattro andrebbero al centrosinistra (uno in più di adesso; uno, non quattro o cinque) e tre al centrodestra (uno in meno). Non sarebbe un gran cambiamento. E che vantaggio ne avrebbe la Rai?»
Ma se lei si dimettesse da solo, scusi? «Io non posso lasciare la presidenza e restare semplice consigliere come hanno ipotizzato Casini e Buttiglione. Né il Cda potrebbe eleggere un presidente tra gli altri suoi membri. La procedura della legge è quella che ho ricordato, e coinvolgerebbe comunque l’intero Consiglio»
Chi può mandarla a casa, presidente? «Da presidente della Vigilanza, nel 2004, segnalai che la legge Gasparri aveva abolito le procedure di revoca prima previste.Maè l’intera normativa che regola il governo della Rai ad essere farraginosa e contraddittoria. E’ assolutamente necessario cambiarla, renderla lineare e univoca. Per esempio, durante l’esame parlamentare della Gasparri l’opposizione di centrosinistra denunciò come incostituzionale il fatto che un ministro nominasse un Consigliere. Non giudico, ma è vero che dal 1972 in poi la giurisprudenza della Corte costituzionale ripete che il Parlamento è l’unico riferimento istituzionale del servizio pubblico».
Comunque, il centrodestra dice: stando così le cose alla Rai, ogni dialogo col governo è chiuso. «Di politica non parlo. Per me il Cda è nella pienezza delle sue funzioni. Ma sarebbe finito se si dividesse su questioni che sono proprie del Parlamento e del dibattito politico. Il Cda Rai è un organo amministrativo di Spa: non una commissione parlamentare»
Ma il centrodestra dice: la Rai è occupata dal centrosinistra. Anche nelle nomine... «Ricordo che tutti gli avvicendamenti negli incarichi sono stati votati da un Cda in cui certamente il centrosinistra non aveva la maggioranza. Ci sono, soprattutto sui temi editoriali, disparità di vedute. Io, per esempio, proposi di cancellare i reality. Fui messo in minoranza anche da colleghi del centrosinistra. E’ deviante pensare che le diversità di opinione in materia editoriale derivino solo dalla politica» Non teme un voto negativo nel dibattito al Senato sulla Rai? Molti del centrosinistra sono scontenti e potrebbero fare asse col centrodestra. «Gli atti della politica non li temo, né li uso. Li rispetto, distinguendo, ovviamente, fra quelli cogenti, che cioè devono essere attuati, e gli altri».
E adesso, presidente? Cosa accadrà la settimana prossima? «Dovremo cominciare ad affrontare il piano industriale e le strategie editoriali. Tutto nel segno dell’innovazione».
Metterete mano alle reti? Per esempio alla Raidue di Antonio Marano? «Non è un mistero che, a mio avviso, la direzione di Raidue debba essere modificata. Più in generale, penso che in tutti gli incarichi dopo sei-sette anni sia fisiologico un avvicendamento. Anche in presenza di risultati positivi».
Sembra il ritratto di Fabrizio Del Noce e di Raiuno. Che continua a ottenere buoni ascolti, come sottolinea il centrodestra. «Ma non c’è solo lui in quelle condizioni... ».
Si è parlato molto di Giovanni Minoli... «Anche qui: niente nomi. Si discuterà prima di linee e progetti, da cui far derivare coerentemente i nomi. Minoli è certamente una grande risorsa: e considero decisivo per la Rai valorizzare al meglio tutte le risorse, a cominciare da quelle ingiustamente accantonate. Come, in questi due anni, abbiamo fatto».
Il centrodestra non voterà nessuna nomina prima di novembre, quando arriverà l’ultima parola del Tar del Lazio sul ricorso presentato da Angelo Maria Petroni. «Discuteremo dei nostri lavori mercoledì in Consiglio. Dobbiamo misurarci tutti con decisioni necessarie e impegnative. Penso sia saggio farlo nel merito, senza devianti alibi procedurali».
Cos’è la Rai adesso, presidente Petruccioli? «Una grande azienda, un patrimonio nazionale. Ha certamente difetti e problemi, ma in questi anni tesi e confusi, anche cattivi, ha agito con un decoro e un equilibrio degni del servizio pubblico. Non è un carrozzone. Lo dico a onore di chi ci lavora. E, oggi, sta meglio di quando sono arrivato».
Paolo Cont 16 settembre 2007 da corriere.it
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