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« Risposta #45 inserito:: Marzo 13, 2013, 11:45:47 am » |
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Editoriali 13/03/2013 - il caso Staminali, lo Stato non è un nemico Umberto Veronesi Le cellule staminali sono un tipico caso di “overpromising” della scienza: l’entusiasmo a seguito di una scoperta può essere tale da far nascere troppe aspettative, o far sottostimare i tempi di applicazione. Quando le staminali furono isolate per la prima volta negli anni ‘90, ci rendemmo conto di trovarci di fronte a cellule con una potenzialità unica e straordinaria: il loro immenso spettro di capacità evolutiva fa sì che si possono trasformare in tessuti di organi diversi. Pensammo allora di essere ad una svolta per tutte le malattie degenerative – per cui avevamo trovato una sorta di serbatoio di cellule di ricambio – e addirittura ipotizzammo di poter sostituire i trapianti d’organo. Dopo 15 anni siamo ancora lontani da tutto questo, anche se nella comunità scientifica la fiducia nelle possibilità di queste cellule rimane intatta. La ragione sta nella difficoltà e nella complessità delle procedure per ottenerle e utilizzarle. In realtà le staminali vanno divise in due famiglie: quelle di un organismo in formazione, l’embrione, sono totipotenti cioè in grado di trasformarsi in ogni cellula o tessuto, mentre quelle ottenute da cellule adulte per essere utilizzate devono essere sottoposte a processi complessi che permettano poi la trans-differenziazione, vale a dire creare tessuti diversi da quelli da cui provengono. Per ragioni etiche le cellule embrionali non possono essere utilizzate in Italia e in molti altri Paesi, per cui la ricerca si è dovuta concentrare sulle staminali adulte, con le loro difficoltà. Attualmente alcune applicazioni delle terapie con staminali sono: la creazione di cute, ad esempio per riparare ustioni gravi; la creazione di tessuto adiposo utilizzato nella chirurgia ricostruttiva; le cure di strutture dell’occhio, come la cornea, o dell’orecchio. Va anche specificato che esistono staminali allogeniche (che provengono da un altro individuo), singeniche (che provengono da un gemello) e autologhe (che provengono dalla stessa persona). Le staminali autologhe sono usate nella terapia anticancro per ripopolare il midollo osseo dopo dosi elevate di chemioterapia. Le sperimentazioni, anche in Italia, sono numerose e promettenti, nel campo delle malattie cardiache, neurologiche ed alcune malattie genetiche. Ma per l’applicazione clinica su ampia scala dobbiamo saper aspettare che la ricerca, seguendo i suoi parametri universali e rigorosi per la tutela dei malati, faccia il suo corso. Nel caso delle cellule staminali questo è tanto più vero perché se non sono prodotte in base a metodologie certificate, vi sono rischi per la sicurezza dei malati. In questi giorni i casi di Sofia, la bimba affetta da leucodistrofia metacromatica e degli altri bimbi trattati agli Spedali Civili di Brescia, e poi dei fratelli affetti dalla malattia di Niemann-Pick hanno angosciato e commosso la pubblica opinione. E soprattutto hanno drammaticamente confuso chi sta seguendo sperimentazioni cliniche sulle staminali, chi è in attesa di una cura che pare non arrivare in tempo, e in generale tutte le famiglie che hanno casi di malattie molto gravi. Si chiedono se è giusto o no seguire le indicazioni dei medici e delle istituzioni. Personalmente capisco molto bene che nelle situazioni più tragiche, anche un tentativo giudicato inutile dalla scienza, appare comunque preferibile alla perdita della speranza. Inoltre come padre e come uomo capisco come la malattia di un figlio possa legittimare a compiere qualsiasi tentativo e a battere qualsiasi strada per guadagnare un’aspettativa per il futuro, anche se di pochi giorni soltanto. Tuttavia come medico e ricercatore rimango convinto che i pazienti debbano seguire le terapie sperimentali certificate dagli enti di sorveglianza, come l’Aifa e l’Istituto Superiore di Sanità, e che gli ospedali debbano seguire le indicazioni di questi organismi che hanno omologhi in ogni Paese civile. Le regole della scienza non sono asettiche e spietate. Sono semplicemente regole, studiate per garantire la massima efficacia e trasparenza, e per evitare abusi da parte di qualche scellerato che tenti di sfruttare commercialmente la disperazione delle famiglie. La Sanità pubblica non lavora per il male della popolazione. Lo Stato non è un nemico. da - http://lastampa.it/2013/03/13/cultura/opinioni/editoriali/staminali-lo-stato-non-e-un-nemico-LoS8AzEfJYQThp1weKJ4gK/pagina.html
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« Risposta #46 inserito:: Ottobre 07, 2013, 05:19:19 pm » |
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SOCIETÀ 07/10/2013 - INTERVISTA Veronesi “Il caso Lizzani? La vita è un diritto non un dovere” Umberto Veronesi conduce da anni una battaglia a favore dell’eutanasia L’oncologo: poter morire con dignità è una conquista ancora da fare. Ci vuole una legge” FLAVIA AMABILE Umberto Veronesi non ci sta. Ex ministro della Sanità, oncologo, autore di testi sul diritto all’eutanasia, chiede che si torni a parlare della fine della vita perché morti come quella del regista Carlo Lizzani sono anche «una forte forma di denuncia e di protesta». Lo ha sostenuto anche il figlio: se in Italia fosse stato possibile, il padre avrebbe chiesto l’eutanasia. «Purtroppo, invece, in Italia, e anche in molte parti d’Europa, il diritto di morire con dignità è una conquista ancora da fare,. Non è possibile immaginare Mario Monicelli che si alza dal letto di un ospedale, che apre la finestra e si butta giù o i tanti che lo fanno senza avere titoli di giornale. Ci sono mille modi di interrompere la propria vita più serenamente. E’ necessario avviare un dibattito serio». Un terzo dei suicidi è a carico di chi ha più di 65 anni e metà degli anziani soffre di depressione. «E’ un problema vero ma non parlerei di depressione, piuttosto di demotivazione alla vita. Sono persone che pensano: sono anziano, non sto bene, sono di peso alla società e alla famiglia, perché devo vivere? È stata presentata una richiesta di legge di iniziativa popolare. Sono state raccolte le firme e presentate. Se si dovesse avviare l’iter di legge si parlerà finalmente di questo complesso tema, e poi tutto è possibile, anche che la legge possa essere approvata. Non dimentichiamo quello che accadde negli anni Settanta con l’interruzione di gravidanza». Sia in quel caso che ora si tratta di un problema molto sentito dagli italiani. In tanti hanno un parente anziano che non ce la fa più e minaccia di farla finita. «Abbiamo 3mila suicidi in Italia, tutti purtroppo tragici. La maggior parte si impiccano o si buttano giù dalla finestra. Sono un po’ di meno quelli che si asfissiano con il gas perché è un’operazione lunga, complessa. Ancora di meno quelli che usano i barbiturici perché spesso non funzionano. Rari quelli che si ammazzano con un colpo di pistola perché le armi non si trovano facilmente. È un insieme di vicende tragiche su cui dovremmo ricominciare a riflettere. Se si è stanchi di vivere si ha anche il diritto di andarsene, la vita è un diritto ma non un dovere. Nessuno può toglierti la vita, ma decidere di troncarla da soli è un diritto». I cattolici sostengono che la vita sia un dono e di conseguenza non si è liberi - né prima della nascita né dopo - di interromperla. «È verissimo ma esiste anche l’autodeterminazione. Ed in Italia esistono dieci milioni di atei e agnostici e milioni di persone che professano religioni diverse. Quindi chi è fedele agli insegnamenti della Chiesa li segua ma non può pretendere di invadere la legge civile. Chi non è credente ha il diritto di non ascoltare i dettami della religione». Bisognerebbe provare a vivere sempre e comunque. «La decisione spetta solo a noi, non è giusto mettere la nostra vita nelle mani di medici che ci torturano con macchine capaci di far vivere un corpo senza coscienza, senza ricordi, senza pensieri. È una forzatura, bisognerebbe assecondare la natura. Eutanasia è un pessimo termine, preferisco parlare di desistenza dalle cure, di aiutare a morire». Qualsiasi sia il termine che cosa direbbe agli italiani che non hanno più voglia di vivere? «Di procurarsi una corda o di aprire una finestra: non c’è altra soluzione legittima o accettabile. È assurdo perché uccidersi non è reato, anche il tentato suicidio non è punibile. Allora perché è reato aiutare qualcuno se questa persona ha scritto chiaramente qual è la sua volontà?» http://www.lastampa.it/2013/10/07/societa/veronesi-il-caso-lizzani-la-vita-un-diritto-non-un-dovere-BRb2GhGuwP9Xqatnil8UwI/pagina.html
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« Risposta #47 inserito:: Novembre 17, 2013, 06:26:18 pm » |
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L’intervista Umberto Veronesi, da psichiatra a oncologo «In un bar di via Pacini ho capito il mio destino» «Femminista ante litteram», dalla madre Erminia ha imparato «l’intelligenza e la dolcezza delle donne» Cosa porta un «ragazzo di cascina», nato e cresciuto alle porte di Milano in una modesta famiglia contadina, a diventare uno dei chirurghi oncologi più importanti del XX secolo? Determinazione, studio, passione, intuito, cocciutaggine e una speciale empatia con i pazienti, preziosa eredità di mamma Erminia. Incontriamo Umberto Veronesi, classe 1925, nel suo studio all’Istituto Europeo di Oncologia, di cui è direttore scientifico. Dalle stalle, quelle vere con gli animali, all’Olimpo della Medicina. La strada è lunga, com’è iniziata? «Merito di mia madre Erminia, una donna semplice ma di grande intelligenza. Quando mio padre morì lasciandola sola con sei figli, io avevo appena 6 anni. Avrebbe potuto mandare me e i miei quattro fratelli a lavorare nei campi invece si trasferì in città e decise di farci studiare». Non che lei dimostrasse una gran voglia di stare sui libri, ho letto che fu bocciato due volte. Uno strano inizio per chi poi avrebbe inanellato ben 16 lauree honoris causa e una montagna di riconoscimenti internazionali... «È successo tanto tempo fa, alle medie. Era una scuola autoritaria, fascista ed io già allora avevo uno spirito ribelle, anticonformista. Poi però divenni uno studente modello: alla maturità classica al Parini passai con la media dell’8». Perché ha scelto Medicina? «Ho avuto una vita difficile, turbolenta. Ho fatto la guerra, sono quasi morto a causa di una mina, sono stato partigiano. Ho visto la miseria, la crudeltà ingiustificata, le torture, le sofferenze. Diventando medico e in particolare psichiatra, ho pensato che avrei potuto studiare come il germe del male si insinua nella mente dell’uomo e magari anche come estirparlo». Allora all’inizio era psichiatria... cosa l’ha spinta verso oncologia? «La pigrizia. L’Istituto dei Tumori era vicino a casa. Sorseggiando un aperitivo in un bar di via Pacini un amico mi propose di fare tirocinio col professor Pietro Bucalossi: quel giorno ha segnato il mio futuro. Allora l’Istituto era una sorta di lazzaretto, il cancro era una condanna a morte. Rassegnazione e fatalismo regnavano non solo tra i pazienti ma anche tra i medici. Per me fu una folgorazione, ricordo di aver pensato: devo dedicare la vita a questo tema. Volevo sradicare il circolo vizioso secondo cui “nessuno ne parla perché tanto si muore e si muore perché nessuno ne parla”». Non ha mai avuto tentennamenti? «I miei professori mi dissero che era pura follia. Ero il primo del corso, avevano grandi progetti su di me: mi volevano specializzando in cardiochirurgia a Houston o in neurochirurgia a Stoccolma. Non ho mai scordato una frase: “ricordati Umberto che la ricerca sul cancro è una ricerca perdente”». Ha dedicato la maggior parte del suo lavoro alla cura del tumore al seno. C’entra col grande amore che ha per le donne? «Sono un femminista ante litteram. Mia madre Erminia mi ha insegnato ad ascoltare il mondo femminile, a capire quanto sia dolce, tollerante, intelligente. Vedere i massacri che si operavano sui corpi delle donne mi sconvolgeva. A quei tempi anche per un tumore di pochi millimetri si praticava la mastectomia totale: si toglieva il seno, la pelle, i muscoli, tutti i linfonodi, poi si sottoponeva l’intero torace a radioterapia. Era la regola, non si scappava: un vero scempio». Lei passerà alla storia per essere il padre della chirurgia conservativa del seno. Una svolta epocale. «Ricordo la prima paziente che si sottopose a quadrantectomia. Era una giovane donna di 28 anni con un piccolo nodulo. Gli altri medici erano stati irremovibili: o mastectomia totale o niente. Doveva sposarsi di lì a una settimana e piangendo diceva che non poteva presentarsi dal marito senza un seno, che tutta la sua vita - sessuale, affettiva - ne sarebbe stata sconvolta. Preferiva morire piuttosto. Le dissi che avevo una soluzione, firmò per acconsentire all’intervento. Guarì completamente». E i colleghi? «Non approvavano, aggrottavano le sopracciglia. Poi nel dicembre del ‘69 al grande convegno di Ginevra dell’Oms proposi di avviare uno studio formalizzato sulla quadrantectomia. Ero giovane, sconosciuto e la mia proposta era rivoluzionaria. Ci fu una sollevazione ma alla fine ottenni il lasciapassare dell’Oms. Nei 10 anni successivi mi sono svegliato ogni notte di soprassalto pensando “se mi sbaglio queste persone sono condannate”». Poi nel luglio ‘81 il New York Times le dedica la copertina e un articolo a sei colonne. «Da quel momento le donne americane pretesero, quando possibile, la quadrantectomia. In quel momento sono stato criticato, mi diedero del ciarlatano. Haagensen, il più grande chirurgo americano, mi ha tolto la parola e non me l’ha più ridata». E la svolta del vegetarianesimo? «Non ricordo neanche più l’ultima volta che ho mangiato carne. Da bambino avevo un vitello adorabile: lo nutrivo, mi seguiva come un cagnolino... come avrei mai fatto a mangiarlo? Lei ha un animale domestico? «Sì un gatto che adoro, si chiama Cipollina. Beh vede? Potrebbe mai mangiarsi Cipollina?». 16 novembre 2013 © RIPRODUZIONE RISERVATA Silvia Icardi Da - http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/13_novembre_16/umberto-veronesi-psichiatra-oncologo-in-bar-via-pacini-ho-capito-mio-destino-42167784-4eaa-11e3-80a5-bffb044a7c4e.shtml
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« Risposta #48 inserito:: Marzo 10, 2014, 06:24:08 pm » |
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Editoriali 09/03/2014 Ecco perché il futuro è donna Umberto Veronesi Come medico delle donne e come sostenitore della scienza al femminile in Europa, credo sarebbe più corretto in futuro discutere di «quote azzurre». Per prendere posizione oggi nel dibattito sulla parità di genere nella legge elettorale, basterebbe infatti ispirarsi all’equilibrio biologico del Pianeta: l’umanità è composta per metà da donne e per metà da uomini, e dunque la «superiorità» del maschio è una costruzione squisitamente culturale, nata dalle condizioni di vita di secoli fa. O piuttosto una «distorsione», resa necessaria in società in cui la violenza e l’aggressività, tendenze legate al profilo ormonale maschile, avevano una funzione importante perché garantivano l’approvvigionamento del cibo – tramite la caccia e la conquista di territori – e la protezione della prole in comunità dedite principalmente alla guerra. Nelle società moderne tuttavia il quadro è capovolto: la violenza è un handicap, mentre valgono molto di più le capacità di ricomporre i conflitti tramite il dialogo, la comprensione e l’intuizione, che sono prerogative tipicamente femminili. Per questo penso che alle donne andrebbe riconosciuto un ruolo non solo paritario, ma addirittura superiore a quello dell’uomo, perché sono più adatte al mondo di oggi. Da qui la mia provocazione delle «quote azzurre». Ho molto riflettuto sui punti di forza femminili e ne ho raccolti dieci, che ho pubblicato nell’ultimo capitolo del libro «Dell’Amore e del Dolore delle Donne» (Einaudi, 2010). Il primo è di ordine biologico: con la procreazione, la donna ha nelle sue mani la sopravvivenza della specie umana. Senza contare che nei primi mesi di vita, i bambini sono esposti prima di tutto all’influenza materna, dunque il mondo dell’infanzia, che ci determina come adulti, è un mondo femminile. Il secondo è la capacità di unire il ruolo procreativo e materno con quello sociale e lavorativo: una delle conquiste sociali più recenti che non ha ancora espresso tutto il suo potenziale rivoluzionario. Il terzo è la resistenza al dolore e alla fatica. Potrei testimoniare con migliaia di storie, come le donne abbiano una capacità straordinaria di affrontare la malattia e il dolore psicologico e fisico. Il quarto punto precedente è la motivazione. Così come per un motivo superiore (l’amore per i figli o per la vita stessa) una donna sopporta e supera tragedie profondissime, così per l’attaccamento ad una causa o un’idea è una lavoratrice instancabile, intelligente, tenace. Al quarto è legato il quinto punto che è il senso della giustizia. Già oggi metà dei nostri magistrati è donna e la maggior parte di loro si distingue per integrità e fermezza di giudizio. Il sesto punto è la tendenza all’armonia, che è in linea con il senso femminile per l’organizzazione e l’ordine, molto importante nelle attività gestionali. Il settimo è la maggior sensibilità soprattutto in senso artistico e culturale. Dico spesso che al cinema, a teatro, ai concerti, alle mostre troviamo soprattutto donne, mentre gli uomini riempiono gli stadi. L’ottavo è la capacità di ragionamento e concentrazione. Al contrario di ciò che si è detto per secoli, la donna è più adatta alle attività scientifiche e di ricerca. Al Campus di ricerca biomolecolare dell’Istituto Europeo di Oncologia, metà del personale è donna e la produttività è straordinaria. Il nono punto è che le donne decidono meglio e più rapidamente nelle situazioni critiche. Cito ancora il mio campo: quando qualcuno si ammala in famiglia, anziani o bambini, è la donna che prende in mano la situazione. Il decimo, a cui ho già accennato è che la donna è portata alle soluzioni diplomatiche e la fine delle guerre è la condizione imprescindibile per il progresso civile. È ovvio che i punti di forza sono molto più di dieci e basta guardarsi intorno: alle nostre compagne, figlie, madri, colleghe per rendersi conto che, quote a parte, il futuro è donna. Da - http://www.lastampa.it/2014/03/09/cultura/opinioni/editoriali/ecco-perch-il-futuro-donna-jpdzHWiXuKt7sg2SIhEqGL/pagina.html
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« Risposta #49 inserito:: Aprile 10, 2014, 12:17:55 pm » |
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Editoriali 10/04/2014 I valori perduti Umberto Veronesi La sentenza di condanna di Pier Paolo Brega Massone disegna una vicenda ad un tempo tragica e atroce, ma deve essere innanzitutto un monito per tutto il Paese al recupero dei valori etici originari della medicina. Anche se sempre più si lavora in équipe multidisciplinari, la decisione finale sull’atto terapeutico spetta in gran parte al singolo medico. E richiede sicuramente esperienza e competenza, ma anche limpidezza ed equilibrio morale. L’asse di questo equilibrio, e dunque il valore fondamentale da rimettere al centro della professione medica, è il rapporto umano con il paziente. Bisogna recuperare la relazione di fiducia fra medico e paziente, che era la parte migliore della medicina paternalistica dello scorso secolo e che si fonda sul dialogo. E’ importante che il medico oggi come ieri sappia ascoltare, ma anche che sappia spiegare in modo chiaro ed esaustivo le cure che propone al malato, e in questo momento soprattutto si gioca la sua onestà. In Italia lo strumento di questo dialogo è il Consenso informato alle cure, che è di per sé una grande conquista dei nostri tempi perché permette al cittadino di riappropriarsi della decisione se e a quali cure sottoporsi. Il problema è che la burocrazia che si è creata intorno al Consenso informato in realtà oggi riduce la comunicazione perché il processo di acquisizione del consenso - che presuppone appunto il capire e il condividere - si è risolta in buona parte in moduli e modulistiche che portano ben lontano da quella che era l’intenzione del legislatore. Oggi fra medico e paziente si è creata una distanza eccessiva, uno spazio asettico che va urgentemente ricolmato. I medici del futuro dovranno recuperare la dimensione umana delle medicine antiche. Da - http://lastampa.it/2014/04/10/cultura/opinioni/editoriali/i-valori-perduti-4K2NGc6zTblD1a0sAYzCDL/pagina.html
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« Risposta #50 inserito:: Maggio 28, 2014, 10:52:28 pm » |
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Tuttoscienze 28/05/2014 Vent’anni di conquiste contro il cancro ma c’è ancora tanto da fare La risonanza “total body” permetterà di controllare tutto il corpo in 30 minuti Compie 20 anni l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano ideato da Umberto Veronesi: si tratta di un’occasione unica per fare il punto sulla lotta ai tumori. La prossima settimana un’indagine sul futuro della ricerca e della clinica Umberto Veronesi L’Istituto Europeo di Oncologia è stato ideato negli Anni 80 e realizzato negli Anni 90 - è stato inaugurato il 30 maggio 1994 - intorno ad una sfida scientifica: riunire sotto uno stesso tetto l’esperienza e la competenza disseminate per l’Europa, integrando tutte le attività di lotta al cancro (ricerca, cura, formazione dei medici e informazione della popolazione), serve ad ottenere risultati migliori per i malati oncologici? Dopo 20 anni la risposta generale è sì, ma bisogna fare dei distinguo fra obiettivi raggiunti e non raggiunti. Un risultato molto significativo che abbiamo ottenuto è il controllo della malattia a livello locale: quando il tumore è iniziale, confinato all’organo colpito e non diffuso ad altre parti dell’organismo, abbiamo imparato a guarirlo con metodiche poco invasive, che permettono una buona qualità di vita durante e dopo la terapia. Per il tumore del seno tre innovazioni hanno sostanzialmente cambiato la cura, portando la guaribilità vicino al 90%: il linfonodo sentinella, la chirurgia radioguidata («Roll») e la radioterapia intraoperatoria. Oggi, se una donna scopre un tumore mammario di piccole dimensioni, può effettuare tutti i trattamenti necessari in sala operatoria e, se lo desidera, anche in day hospital, tornando a casa alla sera. Anche il tumore del polmone, che oggi ha ancora una mortalità altissima perché non viene diagnosticato per tempo, se è scoperto in fase precoce può essere trattato in toracoscopia (vale a dire attraverso piccoli fori nella cute) oppure con il robot (sempre senza tagli chirurgici), ottenendo una guarigione nel 85% dei casi, senza bisogno di altre terapie. Per il carcinoma prostatico ci sono due ottime alternative, a seconda dei casi: la radioterapia, che è giunta a livelli di precisione tali da poter effettuare un trattamento completo in sole 5 sedute, e la chirurgia robotica che, a parità di efficacia con quella tradizionale e con un ricovero di 48 ore, riduce quasi a zero i temuti effetti collaterali di incontinenza e impotenza. La guaribilità è del 80%. Per il tumore del colon, che risulta il più diffuso in Italia, abbiamo a disposizione addirittura una tecnica diagnostica che è anche terapia, perché la colonscopia è in grado di individuare e rimuovere le lesioni iniziali destinate a svilupparsi in tumore. Questo ci introduce al secondo grande obiettivo conseguito che è l’efficacia dell’«imaging» diagnostico. La tecnologia in questo campo ha avuto uno sviluppo senza precedenti, tanto che stiamo studiando in Istituto la Risonanza Magnetica Total Body che, senza raggi e senza liquidi di contrasto, in 30 minuti effettua un viaggio virtuale in tutto il corpo per rivelarci situazioni anomale: infiammazioni, lesioni vascolari, tumori iniziali. Va detto che tutti questi progressi hanno un presupposto imprescindibile: la partecipazione in massa della popolazione. Che ce ne facciamo di macchine superpotenti che trovano il cancro ancora prima che si manifesti e cure di alta precisione per microlesioni impalpabili, se la gente non si fa controllare? Ecco quindi il primo obiettivo mancato. Abbiamo fatto molto per diffondere la diagnosi precoce, ma non abbastanza. Ci sono casi, come quello del tumore del polmone, che devono diventare prioritari non solo per i centri oncologici, ma per le politiche sanitarie. Ogni giorno muoiono in Italia 100 persone per tumore del polmone e sappiamo che il 90% di questi tumori è dovuto al fumo di sigaretta. Eppure non facciamo campagne antifumo che incidano sul comportamento. Sappiamo anche che la maggior parte dei tumori polmonari potrebbe essere guarita grazie alla diagnosi precoce - con Tac a basse dosi - ma non riusciamo a convincere i fumatori a sottoporsi all’esame. La ricerca scientifica senza l’alleanza con la società è quasi impotente. Il secondo obiettivo mancato riguarda proprio la ricerca molecolare - non solo allo Ieo, ma in tutto il mondo - che ancora non ha trovato rimedi adeguati per il cancro quando inizia la diffusione - la metastasi - e va curato non solo localmente, ma in modo sistemico, con i farmaci. I farmaci molecolari, che sono stati la grande promessa del 2000 a seguito della decodifica del DNA, e che dovevano finalmente assicurare massima efficacia e minima tossicità, in alternativa a una chemioterapia che ancora spaventa a volte come il tumore stesso, tardano ad entrare nella pratica clinica. Oggi sono poco più di 20 i farmaci intelligenti in uso, anche se sono un centinaio quelli in studio. Per la società questa è una sconfitta, ma per la scienza è una battuta d’arresto. Rimaniamo convinti che il principio dei nuovi farmaci - trovare molecole che intervengano solo sulle mutazioni di un tumore - è la strada maestra da seguire per i prossimi 20 anni. Da - http://lastampa.it/2014/05/28/scienza/tuttoscienze/ventanni-di-conquiste-contro-il-cancro-ma-c-ancora-tanto-da-fare-BmG0tOBIdRukg3EnykI4sK/pagina.html
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« Risposta #51 inserito:: Giugno 22, 2014, 05:43:35 pm » |
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LA NOSTRA SALUTE Di Umberto Veronesi 11 giugno 2014 Cibi scaduti: più tolleranza per ridurre gli sprechiPer eliminare gli sprechi. Certo, all’insegna del buonsenso: nessuno raccomanderebbe di consumare un pacco di spaghetti scaduto dieci anni fa. Ma purtroppo il cibo che finisce nella spazzatura (una quantità strabiliante: il mondo ne butta via 1 miliardo e 300 mila tonnellate all’anno) è sempre scaduto da pochissimo tempo, ed è ancora perfettamente mangiabile. La lotta allo spreco alimentare è uno dei temi portanti dell’Expo che si aprirà a Milano il 1° maggio 2015, e fa parte di una strategia complessiva per arrivare a una “carta” dei nostri doveri verso lo sviluppo del pianeta: non solo lotta allo spreco di cibo (si vuole abbatterlo del 50% entro il 2020), ma riforme agrarie e lotta alla speculazione finanziaria promuovendo un’agricoltura più sostenibile. L’Expo 2015, che ha il titolo «Nutrire il pianeta, energia per la vita» punterà soprattutto all’apertura di una discussione internazionale su come il pianeta si nutre. E stimolerà tutti a riflettere su un paradosso: il mondo è abitato da circa 1 miliardo di persone che soffrono la fame, e da circa 2 miliardi di persone che si ammalano e muoiono per eccesso di cibo, falcidiate dall’obesità, dall’ipertensione, dal diabete. L’Italia, che è diventata un punto di riferimento mondiale grazie alla sostanziale sanità della dieta mediterranea, è un interlocutore autorevole nel dibattito che abbiamo il dovere di aprire. Non solo per l’oggi, ma per l’immediato domani. L’ingiustizia alimentare non è solo uno dei peggiori mali della nostra epoca, ma non è più sostenibile per il futuro. La fame trascina con sé emigrazioni di massa e instabilità politica, e fomenta la guerra. Dobbiamo assolutamente risolvere il problema della fame nel mondo, e questo sarà il tema della Conferenza Mondiale sul futuro della scienza, che la Fondazione Veronesi terrà in settembre a Venezia. Con proposte concrete, già elaborate dal Comitato scientifico per l’Expo, di cui sono stato promotore. Ad esempio, la creazione di un fondo internazionale destinato a nuove forme di agricoltura sostenibili, da insegnare alle popolazioni povere. Intanto i Paesi del benessere devono rivedere il proprio modello di sviluppo: lo sapete che un chilo di carne che arriva sulla nostra tavola è costato 20 mila litri di acqua? DA - http://blog.oggi.it/umberto-veronesi/2014/06/11/cibi-scaduti-piu-tolleranza-per-ridurre-gli-sprechi/
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« Risposta #52 inserito:: Agosto 31, 2014, 09:09:12 am » |
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Veronesi: io difendo la sigaretta elettronica Il grande oncologo e altri 50 scienziati europei e americani contro la bocciatura dell'Oms Di UMBERTO VERONESI Nature, la rivista portavoce del rigore scientifico mondiale, definisce "fandonie" gli attacchi che vengono sistematicamente sferrati alla sigaretta elettronica in nome del principio di precauzione. Lo fa attraverso la pubblicazione di un editoriale di Daniel Sarewitz, Direttore del Consortium for Science, Policy and Outcomes dell'Arizona State University. È la posizione per cui da anni mi batto in Italia insieme a Carlo Cipolla dell'Istituto europeo di Oncologia, Riccardo Polosa dell'Università di Catania e Umberto Tirelli dell'Istituto Nazionale Tumori di Aviano. Considerati i milioni di cittadini che moriranno per fumo nel prossimo futuro, che senso ha sprecare anni per scoprire i possibili rischi collaterali del vapore della sigaretta elettronica, che sono sicuramente meno gravi del rischio certo del fumo della sigaretta tradizionale, invece di sperimentare subito quella che si prospetta come soluzione ad uno dei più gravi problemi della salute pubblica mondiale? Si chiede Sarewitz. Il fumo di sigaretta è la prima causa conosciuta di cancro: il solo tumore del polmone provocato dal tabacco uccide due milioni di persone all'anno nel mondo, di cui 40.000 in Italia, senza contare le morti per altri tumori legati al fumo, o per danni cardiocerebrovascolari. La sigaretta è quindi da considerare, per il peso di morte precoce, malattia, disabilità e dolore che porta ovunque si diffonde, una calamità sociale peggiore di una guerra o di qualsiasi epidemia che abbia colpito l'umanità. Per quarant'anni la comunità medica e oncologica in particolare, si è impegnata per far smettere di fumare, ma ha fallito sostanzialmente perché è rimasta isolata e i governi non hanno mai considerato la lotta al tabagismo una priorità assoluta delle politiche sanitarie e sociali. Recentemente si è tentata allora un'altra via per salvare delle vite che possono facilmente essere salvate: rendere la sigaretta meno pericolosa. Si è arrivati così alla sigaretta senza tabacco. Il tabacco, quando raggiunge la temperatura di combustione, libera ben 13 idrocarburi policiclici cancerogeni, che il fumatore assorbe attraverso i polmoni, insieme ad altre decine di sostanze cancerogene che derivano anche dalla combustione della carta. Nella sigaretta elettronica il tabacco è sostituito da una soluzione acquosa che contiene glicole o glicerina vegetale, entrambe innocue, integrata da aromi vari. Per facilitare la disassuefazione si può aggiungere una bassa dose di nicotina, anziché assumerla per via orale o transdermica. La sigaretta elettronica è uno strumento efficace per contrastare la gravissima tragedia del cancro del polmone. Se per ipotesi tutti i fumatori di sigarette tradizionali passassero alla sigaretta senza tabacco si otterrebbe a breve una riduzione drastica del cancro polmonare, che nel tempo diventerebbe una malattia rara. Il legame causa-effetto fra sigaretta tradizionale e cancro (oltre che malattie cardiovascolari) è infatti una certezza solida dell'oncologia. Chiarito questo punto fondamentale, si può discutere sul fatto che la sigaretta elettronica sia anche uno strumento di disassuefazione, come appare dai primi studi internazionali. È inevitabile che la sigaretta elettronica sia invisa alle multinazionali del tabacco e ai produttori e che la loro forza di lobby a livello mondiale si stia indirizzando accanitamente in questa direzione. Questo non dovrebbe tuttavia spingere istituzioni mondiali e nazionali preposte alla salute dei cittadini a prendere posizioni contro la sigaretta elettronica sulla base di possibili rischi (del vapore, degli aromi e così via) non scientificamente documentati. Come sottolinea anche Sarewitz su Nature, c'è una sproporzione enorme tra un'ipotesi di rischio collaterale e la certezza di provocare un cancro del polmone. L'Istituto Europeo di Oncologia sta elaborando i dati del protocollo sulla sigaretta elettronica (un protocollo internazionale ufficiale, censito dall'ente americano per l'idoneità alle sperimentazioni scientifiche sull'uomo) che ha appena concluso e sarà oggetto di pubblicazione entro fine anno. Nello studio non si è verificato un solo singolo caso di tossicità o effetto collaterale, in presenza invece di una significativa efficacia della sigaretta elettronica senza nicotina nella disassuefazione dal fumo. Uno studio pilota pubblicato sul Bmc Public Health dall'Università di Catania ha dimostrato l'efficacia e la sicurezza della sigaretta elettronica. Insieme ai miei colleghi, sosteniamo quindi la posizione di Nature e rinnoviamo l'invito, già presentato all'Oms con una lettera firmata da altri 50 scienziati europei e americani, a non criminalizzare la sigaretta elettronica, e non lanciare allarmi e divieti basati su supposizioni, ma al contrario, promuoverne lo studio scientifico e l'utilizzo nella lotta al cancro e alle malattie cardiovascolari. (30 agosto 2014) © Riproduzione riservata Da - http://www.repubblica.it/salute/2014/08/30/news/veronesi_difende_sigaretta_elettronica-94687060/?ref=HREC1-10
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« Risposta #53 inserito:: Novembre 09, 2016, 09:37:36 am » |
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09 novembre 2016
Il testamento di Veronesi per i medici: "Siate dubbiosi e trasgressivi" Il professore ha voluto dare a Repubblica l'ultimo messaggio per i giovani colleghi: "Mi ha guidato solo il pensiero"
Di UMBERTO VERONESI
Il testamento di Veronesi per i medici: "Siate dubbiosi e trasgressivi"
Ci sono parole che ho portato con me lungo tutti i giorni della mia vita. Alcune di queste mi hanno guidato e sono state l'insegnamento al quale ho attinto. "Nella letteratura universale troviamo molti predicatori, molti dispensatori di lezioni, molti censori che dispensano morale agli altri con sufficienza, con ironia, con cinismo, con durezza, ma è estremamente raro vedere un uomo mentre si sta esercitando a vivere e pensare". Questa frase del filosofo francese Pierre Hadot mi ha illuminato sul mio testamento intellettuale.
Non ho lezioni di vita o di morale né verità da tramandare, ma solo l'esperienza di un uomo che ha molto vissuto e molto pensato. Ho scritto in uno dei miei ultimi libri che sono giunto alla conclusione che il mestiere dell'uomo è pensare. Pensare autonomamente, coscientemente per costruire un sistema libero di interpretazione del mondo. Certo la nostra libertà di pensiero è limitata da scelte che non abbiamo potuto fare in prima persona: i genitori e il paese in cui nasciamo prima di tutto. Tuttavia dobbiamo ampliare la nostra autonomia adottando il dubbio come metodo.
Ai miei giovani medici ho sempre fatto una raccomandazione. Siate dubbiosi e siate trasgressivi, se trasgredire significa andare oltre limite del dogma o la rigidità della regola. Guardate all'esperienza della mia lunga vita: senza dubbio e senza trasgressione non avrei visto (e contribuito a provocare) i progressi nella lotta al cancro, l'evoluzione del ruolo delle donne, l'affermazione della libertà di amare, avere figli e vivere la propria sessualità, il tramonto del razzismo, la nascita del senso di sostenibilità ambientale e il rispetto per l'armonia del pianeta e per tutti gli esseri viventi. È vero anche che non ho visto, come da giovane ho sperato, la sconfitta del cancro e neppure la fine della violenza delle guerre e della fame nel mondo. E questo mi rammarica profondamente.
In tanti vorranno sapere se in questo mio riflettere, e studiare, e impegnarmi incessantemente per tante cause ho trovato il senso della vita. Sì, ho una risposta: la vita forse non ha alcun senso. Ma proprio per questo passiamo la vita a cercarne uno. L'importante non è sapere, ma cercare. Sconfiggere l'ignoranza sia il vostro impegno primario, perché l'ignoranza non ci dà alcun diritto. Continuate a cercare fino alla fine, con la consapevolezza che non potete fare a meno del bene e della vita.
© Riproduzione riservata 09 novembre 2016
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« Risposta #54 inserito:: Marzo 30, 2017, 12:33:57 pm » |
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Umberto Veronesi: l’alimentazione e la dieta anticancro in 6 punti
Marzo 6, 2017
L’8 novembre si è spento all’età di 90 anni l’oncologo Umberto Veronesi, promotore di alimentazioni e diete anticancro. Una vita spesa nella prevenzione e nella cura dei tumori hanno fatto di lui un pioniere nel campo. Sostenitore dello slogan “Siamo quel che mangiamo“, ha più volte affermato che l’alimentazione influisce sulla formazione dei carcinomi secondo una percentuale del 25-30%. Una correlazione piuttosto stretta, quindi, tra l’alimentazione e il cancro, definito il male del secolo, e per questo ancora più importante da contrastare attraverso una delle attività più rappresentative dell’uomo: l’alimentazione.
La dieta anticancro di Umberto Veronesi Umberto Veronesi, direttore dell’Istituto Europeo di Oncologia, studiò per anni quale relazione legava cibo e cancro. Il suo metodo fu dichiarato innovativo. La dieta anticancro da lui elaborata si prefigge come obiettivo la prevenzione dei tumori attraverso un consumo più coscienzioso dei diversi alimenti che la natura ci offre. In sostanza, la sua dieta non si allontana nettamente da quella mediterranea, ma è supportata da ulteriori regole.
1. Il consumo di frutta e verdura Frutta e verdura dovrebbero venire consumati molte volte al giorno per il loro concentrato di benefici. Per quanto riguarda la frutta i momenti migliori sono la mattina e lo spuntino pomeridiano, lontano dal pranzo per non provocare una fermentazione intestinale, ma anche prima dei pasti per eliminare il senso impellente di fame. La verdura, invece, non dovrebbe mai mancare a pranzo e cena.
2. I cereali integrali Un altro alimento che non dovrebbe mai mancare sono i cereali integrali, tra cui riso, quinoa, amaranto, grano, orzo, farro, molto importanti da inserire nella dieta grazie alla loro azione preventiva nei confronti di malattie come ictus e infarto. Regola fondamentale, però, è quella di variare sempre il tipo di cereale senza esagerare nelle dosi.
3. La frutta secca Ogni giorno si dovrebbe consumare un’adeguata porzione di frutta secca ricca di omega 3. La dose consigliata è di 30 grammi giornalieri di noci, mandorle, nocciole, arachidi, pinoli o anacardi, in grado di apportare elementi nutritivi quali i grassi insaturi, proteine di alta qualità, fibre, vitamine e minerali utili per contrastare malattie come il diabete, cancro del colon, l’ipertensione e la sindrome metabolica.
4. Bere molta acqua Elevate quantità d’acqua nell’organismo ogni giorno aiutare a depurare l’organismo dalle scorie e dalle sostanze tossiche. Inoltre, bere la giusta dose d’acqua giornaliera, circa 2 litri, aiuta a mantenere la giusta idratazione del corpo, a stimolare il metabolismo e a rafforzare il sistema immunitario.
5. L’olio d’oliva come unico condimento L’olio d’oliva è l’unico condimento possibile sulla tavola. Inoltre, il suo utilizzo dovrebbe essere a crudo per evitarne la tossicità. È dimostrato che l’olio d’oliva, se consumato regolarmente e nella dose consigliata di 3 cucchiai al giorno, riduce il rischio cardiovascolare, oltre ad avere numerose proprietà cosmetiche, curative e nutrizionali.
6. Il tipo di cottura Secondo Veronesi, la cottura ha un ruolo fondamentale nell’ alimentazione ma molto spesso questo viene sottovalutato. I tipi di cottura da preferire sono quello in umido o al cartoccio, per evitare l’uso di alte temperature che bruciano il cibo rilasciando sostanze tossiche. Anche la cottura tramite marinatura è una cottura di tipo atossica perché non rilascia sostanze cancerogene.
Quali cibi evitare Secondo Veronesi, una dieta anticancro predilige un regime alimentare quanto più vario ed equilibrato possibile, limitato nell’assunzione di determinate sostanze, più nocive che salutari, ma propenso verso un’alimentazione più naturale, come ad esempio quella vegetariana. Di seguito gli alimenti da evitare o moderare: – Gli insaccati; – Le carni rosse; – Il sale; – I cibi soggetti a raffinazione, come lo zucchero e tutto ciò che lo contiene; – Le bevande alcoliche
Gli alimenti consigliati Una dieta anticancro per prevenire i tumori deve essere naturale, semplice ed equilibrata, quindi con alimenti sani, quali per lo più verdura, frutta e cibi non raffinati. Umberto Veronesi era un convinto vegetariano da molto tempo per motivi etici, ambientalisti e di salute. Secondo le sue ricerche, i vegetariani vivono di più grazie al tipo di alimentazione che seguono. Nell’elenco dei cibi che proponeva infatti, nulla riguarda alimenti di origine animale. Gli alimenti consigliati sono: i pomodori, i broccoli, le arance, la zucca, i cavoli, i fagiolini verdi, la carota, le verdure a foglia verde, i legumi, l’aglio, la cipolla, i piselli, i peperoni, le patate, i cetrioli, il prezzemolo, i finocchi, gli asparagi, i carciofi, i funghi, i ravanelli, le erbe aromatiche. E poi le fragole, le mele, le pere, le albicocche, i lamponi, l’uva, il melone, l’anguria, i mirtilli, i frutti di bosco, le castagne. Ma anche: il tè verde, lo yogurt, i crostacei, i molluschi, il pesce in generale, l’olio d’oliva.
Fonte: Retenews24
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