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Autore Discussione: Ciao LUCIO MAGRI ...  (Letto 4934 volte)
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« inserito:: Novembre 29, 2011, 04:14:28 pm »

IL PERSONAGGIO

Il suicidio assistito di Lucio Magri l'addio ai compagni: "Ho deciso di morire"

Il fondatore del Manifesto morto in Svizzera ha deciso tutto con lucidità; dalla fine alla sepoltura vicino alla sua Mara.

Gli amici hanno tentato di dissuaderlo ma lui era depresso per la morte della moglie


di SIMONETTA FIORI

E ALLA FINE la telefonata è arrivata. Sì, tutto finito. Ora si rientra in Italia. Alle pompe funebri aveva provveduto lo stesso Lucio Magri, poco prima di partire per la Svizzera. Era il suo ultimo viaggio, così voleva che fosse. Non ce la faceva a morire da solo, così il suo amico medico l'avrebbe aiutato. Là il suicidio assistito è una pratica lecita, anche se poi bisogna vedere nei dettagli, se ci sono proprio le condizioni. Ma ora che importa? Che volete sapere? Non fate troppi pettegolezzi, l'aveva già detto qualcun altro ma in questi casi non conta l'originalità.

S'era raccomandato con i suoi amici più cari, quelli d'una vita, i compagni del Manifesto. Non voglio funerali, per carità, tutte quelle inutili commemorazioni. Necrologi manco a parlarne. Luciana si occuperà della gestione editoriale dei miei scritti. Per gli amici e compagni lascio una lettera, ma dovete leggerla quando sarà tutto finito. Sì, ora è finito. La notizia può essere resa pubblica. Lucio Magri, fondatore del Manifesto, protagonista della sinistra eretica, è morto in Svizzera all'età di 79 anni. Morto per sua volontà, perché vivere gli era diventato intollerabile.

 A casa di Lucio Magri, in attesa della telefonata decisiva. È tutto in ordine, in piazza del Grillo, nel cuore della Roma papalina e misteriosa, a due passi dalla magione dove morì Guttuso, pittore amatissimo ma anche avversario
sentimentale. Niente sembra fuori posto, il parquet chiaro, i divani bianchi, i libri sulla scrivania Impero, la collezione del Manifesto vicina a quella dei fascicoli di cucina, si sa che Lucio è un cuoco raffinato. Intorno al tavolo di legno chiaro siede la sua famiglia allargata, Famiano Crucianelli e Filippo Maone, amici sin dai tempi del Manifesto, Luciana Castellina, compagna di sentimenti e di politica per un quarto di secolo. No, Valentino non c'è, Valentino Parlato lo stiamo cercando, ma presto ci raggiungerà. In cucina Lalla, la cameriera sudamericana, prepara il Martini con cura, il bicchiere giusto, quello a cono, con la scorza di limone. Cosa stiamo aspettando? Che qualcuno telefoni, e ci dica che Lucio non c'è più.

Da questa casa Magri s'è mosso venerdì sera diretto in Svizzera, dal suo amico medico. Non è la prima volta, l'aveva già fatto una volta, forse due. Però era sempre tornato, non convinto fino in fondo. Ora però è diverso. Domenica mattina rassicura gli amici: "Ma no, non preoccupatevi, torno domani". La sera il tono cambia, si fa più affannato, indecifrabile, chissà. Il lunedì mattina appare sereno, lucido, determinato. Ha scelto, e dunque il più è fatto. Bisogna solo decidere, e poi basta chiudere gli occhi. L'ultima telefonata nel pomeriggio, verso le sedici. Poi il silenzio.

Una depressione vera, incurabile. Un lento scivolare nel buio provocato da un intreccio di ragioni, pubbliche e private. Sul fallimento politico - conclamato, evidentissimo - s'era innestato il dolore privato per la perdita di una moglie molto amata, Mara, che era il suo filtro con il mondo. "Lucio non sapeva usare il bancomat né il cellulare", racconta una giovane amica. Mara che oggi sorride dalle tante fotografie sugli scaffali, vestita color ciclamino nel giorno delle nozze. Un vuoto che Magri riempie in questi anni con le ricerche per il suo ultimo libro, una possibile storia del Pci che certo non a caso titola Il sarto di Ulm, il sarto di Brecht che si sfracella a terra perché non sa volare. Ucciso da un'ambizione troppo grande, così almeno appare ai suoi contemporanei. Anche Magri voleva volare, voleva cambiare il mondo, e il mondo degli ultimi anni gli appariva un'insopportabile smentita della sua utopia, il segno intollerabile di un fallimento, la constatazione amarissima della separazione tra sé e la realtà. Così le ali ha deciso di tagliarsele da sé, ma evitando agli amici lo spettacolo del sangue sul selciato.

Aspettando l'ultima telefonata, a casa Magri. Lalla, la cameriera peruviana, va a fare la spesa per il pranzo, vi fermate vero a colazione? E' affettuosa, Lalla, ha ricevuto tutte le ultime disposizioni dal padrone di casa. No, non ha bisogno di soldi per il pranzo, ci sono ancora quelli vecchi che lui le ha lasciato. È stata lei ad assistere Mara nei tre anni di agonia per il brutto tumore, e poi ha visto spegnersi lui, sempre più malinconico, quasi blindato in casa. Ogni tanto qualche amico, compagno della prima ora. Ma dai, reagisci, che fai, ti lasci andare proprio ora? Ora che esce l'edizione inglese del tuo libro? E poi quella argentina, e quella spagnola? Dai, ripensaci, c'è ancora da fare. Ma lui non era convinto. Non poteva fare più nulla. Lucido e razionale, fino alla fine. E poi s'era spenta la sua stella, così scrive anche nell'ultima lettera ai compagni.

Sembra tutto surreale, qui in piazza del Grillo, tra squilli di telefono e porte che si aprono. Arriva Valentino, invecchiato improvvisamente di dieci anni. Lo accolgono con calore. No, non sappiamo ancora niente. Aspettiamo. Ricordi privati e ricordi pubblici, lui grande giocatore di scacchi, lui grande sciatore, lui politico generoso che preparava i documenti e nascondeva la sua firma. Ma attenzione a come ne scrivete, non era un vanesio, non era un mondano. Dalle fotografie sui ripiani occhieggia lui, bellissimo e ancora giovane, un'espressione tra il malinconico e il maledetto. Dietro la foto più seducente, una dedica asciutta. "A Emma, il suo nonno". Neppure Emma, la bambina di sua figlia Jessica, è riuscito a fermarlo.

Poi la telefonata, quella che nessuno avrebbe voluto mai ricevere. Ora davvero è finita. Le pompe funebri andranno a prelevarlo in Svizzera, tutto era stato deciso nel dettaglio. L'ultimo viaggio, questo sì davvero l'ultimo, è verso Recanati, dove sarà seppellito vicino alla sua Mara, nella tomba che lui con cura aveva predisposto dopo la morte della moglie. Luciana Castellina s'appoggia allo stipite della porta, tramortita: "Non avrei mai immaginato che finisse così". Il tempo dell'attesa è concluso, comincia quello del dolore.

(29 novembre 2011) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2011/11/29/news/magri_suicidio_assistito-25763126/?ref=HRER2-1
« Ultima modifica: Gennaio 16, 2012, 12:01:32 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 29, 2011, 04:16:21 pm »

IL RITRATTO

Dai cattolici allo strappo con il Pci una storia a sinistra fuori dagli schemi

Lucio Magri aveva 79 anni. Cominciò l'attività politica con la Dc e poi incontrò il comunismo.

Uomo di fascino, in occasione della radiazione dal partito fu definito "ferratissimo"

di NELLO AJELLO

UN PILASTRO portante del "Manifesto", rivista e partito. L'interprete d'una maniera di concepire la sinistra italiana diversa da ogni schema. Questo è stato in sintesi Lucio Magri. Ma è una sintesi che non esaurisce la singolarità del personaggio. Perché lui aveva, rispetto ai compagni della sua stagione dorata - dalla Rossanda a Pintor, da Natoli a Caprara, da Luciana Castellina a Valentino Parlato - un'origine più avventurosa. E, soprattutto, una preistoria precoce.

Precoce, Magri lo era stato in maniera spettacolare. Nato a Ferrara nel 1932 (e poi cresciuto a Bergamo), nei primi anni Cinquanta già figurava fra i redattori della rivista mensile "Per l'azione", un organo dei giovani della Dc cui si consentivano attacchi quasi temerari alle "brutture del capitalismo". Del Magri di allora ci rimane un ritratto che ne fece anni fa Giuseppe Chiarante, suo amico d'una vita: "Era ammirato dalle compagne di scuola", così egli ricorda, "per la sua presenza atletica e perché considerato molto bello". Quello della prestanza fisica resterà per lui una costante. Che poi fosse interessato "alla politica" veniva dato per scontato. Quando, nel 1955, esce un altro periodico democristiano di sinistra, "Il Ribelle e il Conformista", è lui, Magri, a condividerne di fatto la direzione con Carlo Leidi. Fu lì che appare a firma di Cesare Colombi (è uno pseudonimo di Magri) un articolo dal titolo "Bilancio del centrismo", nel quale di delinea un'ipotesi di apertura a sinistra - "senza contemplare una contrapposizione" fra il Psi e quel Pci, che in casa democristiana è il nemico. Sta intanto per uscire un'ennesima rivista, "Il Dibattito politico", che, legata all'orbita ideologica di Franco Rodano, è diretta da Mario Melloni, con condirettore Ugo Bartesaghi: per misurarne le qualità ereticali basti ricordare che i due saranno espulsi dalle file dello Scudo crociato per aver votato contro l'ingresso dell'Italia nell'Unione europea occidentale.

Il gruppo redazionale nel quale Magri esercita con passione il suo ruolo riunirà poi, accanto al solito Chiarante, intellettuali del rango di Ugo Baduel, Giorgio Bachelet, Edoardo Salzano (per citarne qualcuno). Programma dichiarato è "la ricerca delle necessità che sollecitano il mondo cattolico e quello comunista al dialogo". Potrà un simile progetto attuarsi dentro la DC?. Magri e gli altri sono i primi a dubitarne. La diaspora verso "la sinistra storica" è nei fatti. La "vita democristiana" di Lucio Magri è stata breve e intensa: più lunghi saranno il tragitto verso il Pci e poi la permanenza in quel partito. Nell'estate del '58, Giorgio Amendola, responsabile dell'organizzazione, lo riceve nel suo studio a Botteghe Oscure. Con Magri c'è il quasi gemello Chiarante. "Parlammo un po' di tutto", racconterà quest'ultimo. L'impressione dei due, che avevano sporto regolare domanda, fu che l'illustre ospite li ritenesse "forse non a torto, degli intellettuali un po' astratti". Gli raccomandò, comunque, "di avere delle esperienze di base". Così avvenne. Magri se ne tornò a Bergamo, diventando prima segretario cittadino, e, due anni dopo, vicesegretario regionale. Poco più tardi, a Roma, prese a lavorare nell'ufficio studi economici. La sua fama tardava a diffondersi. Non bastava a consolidarla il fatto di essere vicino, come idee, a Pietro Ingrao: gli ingraiani erano tanti.

Lo aiutò alquanto l'amicizia della Rossana Rossanda, e fu Luciana Castellina a procurargli un visto d'ingresso in Polonia dove si svolgeva un'assise di giovani comunisti. In casa di Alfredo Reichlin conobbe Enrico Berlinguer, senza ricavarne alcun pronostico sulla sua successiva, luminosa carriera. Nel Pci si discuteva tanto. Fra i temi, il trauma causato dal XX Congresso, l'avvento di Krusciov. Non fu occasionale l'accoglienza che a Magri riservò il settimanale "Il Contemporaneo", diretto da Salinari e Trombadori, pubblicandogli vari pezzi polemici. Nel novero delle "bestie nere" di Magri era entrato, accanto al capitalismo che aveva acuito le sue riserve nella fase dc, il riformismo come una forma di inerte ipocrisia a sinistra. Col tempo, nella galassia degli ingraiani più fattivi, il nome di Magri divenne di casa. Ma non fu certo suo esclusivo merito l'evento cruciale che stiamo per raccontare. Porta la data del 23 giugno 1969 l'arrivo in edicola, a Roma, della rivista "Il Manifesto", che subito apparve un caso esemplare di eresia politica. Stampata a Bari dalla casa editrice Dedalo e diretta da Magri e Rossanda, il periodico è promosso anche da Luigi Pintor, Aldo Natoli, Massimo Caprara, Luciana Castellina, Valentino Parlato. Sulle prime, Magri vorrebbe chiamarlo "Il Principe", ma poi rinunzia. In un suo volume, "Ritratti in rosso", Massimo Caprara descriverà i responsabili dell'avventura: "Rossanda lucidamente egemone, Pintor imprevedibile, Natoli rigoroso". A Magri assegna un superlativo: "ferratissimo".

Ma che cosa c'è scritto nella rivista-scandalo, il cui primo numero ha venduto 50 mila copie? Si riserva un devoto rilievo alla "rivoluzione culturale" cinese. Si biasimano certi anticipi di "compromesso" fra Pci e Dc. Sotto il titolo "Praga è sola", si tesse un elogio della "primavera" di quella capitale, che Mosca ha represso. A Magri e Rossanda venne rivolto un vano invito a ritrattare. Rimbalzarono da "Rinascita" all'Unità" i preannunzi d'un "redde rationem" rivolto ai reprobi. La liturgia della repressione è macchinosa. Una Comissione, detta "la Quinta", presieduta da Alessandro Natta, delibera la soppressione della rivista, ma la decisione viene delegata al Comitato centrale, dove Rossanda difende con dignità le posizioni del Manifesto. Alla fine, lo stesso Comitato centrale delibererà - è ormai il novembre '69 - la "radiazione" dal Pci della stessa Rossanda, di Pintor e Natoli. Pene equivalenti vengono comminate a Caprara, Castellina e Parlato. Un analogo "provvedimento amministrativo" (vaghezza del lessico repressivo!) è applicato ai danni del "ferratissimo" Magri.

Fine anni Cinquanta: fuori dalla Dc. Fine anni Sessanta: fuori dal Pci. Ma di Lucio Magri si continuerà a parlare. Almeno un po'. Nel settembre del 1977, sul Manifesto, egli attacca Berlinguer per la sua decisione di reprimere chiunque si collochi alla sinistra del Pci, e questa sua protesta trova l'appoggio di Norberto Bobbio (è Giuseppe Fiori a ricordare l'episodio nella sua biografia del leader sardo). Alla sinistra del Pci, egli di fatto era collocato, avendo assunto la segreteria del Pdup, partito di unità proletaria, con il quale il gruppo del Manifesto s'era fuso. Nel 1984 lo si ritrova daccapo nel Pci, quando il Pdup vi confluisce. Sempre in Parlamento, a volte in questo o quel vertice di partito. Fino alla finale dissoluzione del Pci: Rimini, febbraio 1991. La scena mostra la patetica assise nella quale per pochi voti Achille Occhetto non viene eletto segretario del partito che subentrerà al Pci (vi sarà reintegrato poco più tardi). Chi era presente in quell'occasione conserva un'immagine di Lucio Magri. Lo ricorda in piedi, mentre, apprendendo l'esito delle votazioni, agita il pugno chiuso e scandisce un antico slogan: "Viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tse-tung!".

(29 novembre 2011) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2011/11/29/news/ritratto_magri-25763128/?ref=HRER2-1
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« Risposta #2 inserito:: Novembre 30, 2011, 11:34:40 am »

Il motorino di Magri e Notarianni


Ho  ricordi sporadici ma vivi di Lucio Magri. La sua scomparsa mi ha sorpreso, addolorato. Rileggo le ultime righe del suo ultimo libro, "Il sarto di Ulm". Dove incita a uscire “dai confini dell’integrazione o della rivolta”, per perseguire una rifondazione della tensione ideale anche cercando il "rapporto con altre culture, altre soggettività esterne e a volte conflittuali con la nostra tradizione", per costruire "una sintesi provvisoria in ogni momento" . Purchè in questo rapporto "ciascuno valorizzi la sua ricchezza e identità".

L’ultima volta che l’ho visto, qualche anno fa,  eravamo entrambi in attesa, all’alba, dell’apertura di un’edicola, nel piccolo porto di Sant’Angelo a Ischia.  Mi parlava di comuni conoscenze cominciando da Eliseo Milani e da quella sua Bergamo dove Togliatti aveva parlato di “sofferta coscienza religiosa”.

Lo avevo conosciuto (anni sessanta) in un viaggio “politico” in Jugoslavia, con una delegazione del Pci. Eravamo ospiti a Opatija (Abbazia) nei tempi dell’autogestione di Tito. Lo ricordo in riva al mare con tra le mani un poderoso volume di György Lukács. Durante ogni riunione con i rappresentanti del partito ospite faceva domande impertinenti sul futuro dell’autogestione. Non si accontentava di quanto dicevano e aveva una fissazione: “Quando pensate che sarà superato il mercato?”. Una domanda che oggi, mentre siamo preda dell’ira funesta dei mercati mondiali, potrebbe far riflettere. E le sue uscite facevano imbestialire un anziano compagno della delegazione italiana che, immagino, lo avrebbe radiato anzitempo.   

L’ho rivisto altre volte. Ad esempio a una Festa dell’Unità a Bologna, quando una voce dalla platea gridò “abbronzato!” denunciando le passioni sciistiche di Lucio e cercando così in qualche modo di offenderlo. Ma la foto più bella che ho nella testa è sotto il portone di casa mia. C’erano Lucio Magri e Michelangelo Notarianni (prima “Unità” e poi “Manifesto”) e cercavano insieme di far partire  uno scassato motorino. E alla fine l’aggeggio partiva. E loro, abbracciati, si allontanavano allegramente.
 
29 novembre 2011

da - http://sodeadestra.blog.unita.it/il-motorino-di-magri-e-notarianni-1.357684
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« Risposta #3 inserito:: Dicembre 01, 2011, 11:01:20 am »

1/12/2011

Lucio Magri e il suicidio assistito

GUIDO CERONETTI

Novità, nel morire, se ne danno poche. Il suicidio che diciamo «assistito» non è per nulla nuovo, sotto il sole: per tradizione il suicida ha sempre avuto chi assistesse e prestasse aiuto. Abolita la schiavitù e l’amicizia profonda venute meno, il suicidio è diventato solitario, orbato di riti, o clandestinità e ammiccamento d’ospedale. Hanno colpito, nei tempi recenti e recentissimi (pochi giorni fa) l’inaudito gettarsi nel vuoto di Mario Monicelli, all’età di novantacinque anni, e la partenza per una località svizzera, dove il cantone autorizza l’associazione DIGNITAS a fornire, dopo accertamenti, gli strumenti di morte rapida e indolore, del fondatore del Manifesto - Lucio Magri. Si tratta di una forma di eutanasia: di fatto il paziente è lasciato solo con la sua determinazione, può fermarsi e tornare indietro, mi pare, anche all’ultimo momento.

Magri ebbe i suoi meriti nell’essere stato spina nel fianco del PCI, che in Italia espelleva gli eretici, invece di torturarli e fucilarli come nella rimpianta URSS. Nel caso di Magri, l’Assistente Invisibile è stato il male epidemico dell’Occidente tra metà del XX e l’attuale inoltrato secolo: la Depressione. Nelle sue manifestazioni estreme, spinge facilmente nel vuoto, non meno di una incurabile intollerabilità delle condizioni di vita. In una depressione di più anni, come si dice di Magri, l’Assistente Invisibile ci chiama irresistibilmente in Svizzera, o in ogni luogo dove la pratica sia pulita e perfino autorizzata. Ma qui c’è un peccato fondamentale: l’asetticità, la regolazione affidata al computer, l’assenza di nobiltà del gesto, che tradizionalmente implica violenza, brutalità verso il proprio corpo, sporcizia. Il suicidio di Bruto e Cassio è un finale tragico; nella morte volontaria di Magri, e dei molti che prendono la stessa via, il tragico non c’è.

E ancora, dopo una vita da ideologo mondano, com’è descritta, nella sua determinazione non sono neppure immaginabili scrupoli, timori dell’Oltre, tenui lucori di speranza in una trascendenza: nulla che colleghi il nostro povero esistere a un piano di realtà metafisica. Soltanto l’accompagnamento affettuoso della collega Rossana Rossanda può avere ingentilito questo suo ultimo viaggio.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9502
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