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Autore Discussione: KURT VOLKER - I rischi per l'Europa sono reali  (Letto 1990 volte)
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« inserito:: Novembre 28, 2011, 08:57:25 am »

28/11/2011

I rischi per l'Europa sono reali

KURT VOLKER*

Cosa c’è di sbagliato in questa immagine?

Mentre l’Europa cerca di fronteggiare la crisi più grande «dalla Seconda Guerra mondiale», il premier Mario Monti, la cancelliera Angela Merkel e il presidente Nicolas Sarkozy si sono incontrati il 24 novembre, a Strasburgo, per dibattere su quali azioni intraprendere concretamente per salvare l’Eurozona.

Oggi, il presidente Obama incontrerà il presidente Herman van Rompuy, il presidente José Manuel Barroso e l’alto rappresentante Catherine Ashton a Washington, per discutere della cooperazione tra Stati Uniti e Unione Europea.

La prima riunione potrebbe avere importanti conseguenze per il futuro dell’Europa, ma anche per quello degli Stati Uniti e dell’economia globale. Una nuova recessione in Europa comporterebbe un rallentamento delle esportazioni cinesi verso l’Europa stessa: diminuirebbe così la crescita economica in Cina, il che rischierebbe di causare una doppia recessione negli Stati Uniti. Nella peggiore delle ipotesi, un vero e proprio collasso dell’Eurozona avrebbe ripercussioni ancora più grandi. Gli Stati Uniti hanno un interesse acquisito nel successo di questa prima riunione.

È invece improbabile che la seconda riunione, alla quale gli Stati Uniti veramente partecipano, abbia risultati di grande rilevanza.

La disparità tra queste due riunioni la dice lunga. Non solo l’Unione Europea appare sempre più incapace di affrontare le enormi sfide al suo interno: è per di più priva di quelle strutture adatte a gestire, a livello di leadership, l’economia globale.

Il resto del mondo si è riservato un ruolo da spettatore e guarda l’Europa da lontano. Questa distanza dilania la fiducia degli esterni per quanto riguarda l’investimento in euro-titoli, facendo impennare i tassi d’interesse mentre precipitano i rating, e rendendo la crisi sempre più ardua da risolvere.

È ancora più importante constatare come le strutture disfunzionali dell’Ue, quali la demografia in declino, le economie rigide e le crisi costanti, nascondono i molti punti di forza dell’Europa.

L’Europa rimane uno dei più grandi e ricchi protagonisti della scena economica globale. Con più di mezzo miliardo di abitanti e un Pil tra i più alti del mondo, il suo contributo al mantenimento della pace e allo sviluppo mondiale è indiscutibile. Politicamente, l’Europa è un caposaldo per quanto riguarda l’affermazione dei valori democratici e di un ordinamento economico internazionale di tipo liberista.

Come ha dimostrato il mio collega Dan Hamilton, nel suo rapporto annuale The Transatlantic Economy 2011, quella fra gli Stati Uniti e l’Unione Europea rimane la più grande relazione economica del mondo. Il commercio tra Usa e Ue genera 15 milioni di posti di lavoro tra le due sponde dell’Atlantico. Tra il 2000 e il 2010, gli Stati Uniti hanno investito in Olanda nove volte più di quanto hanno investito in Cina. Gli investimenti statunitensi in India equivalgono, nello stesso periodo, solo al 60% del totale investito in Norvegia.

Gli Stati Uniti collaborano con i Paesi europei, attraverso la Nato e con l’Ue, per affrontare le sfide provenienti dall’Afghanistan, dall’Iran, dalla Libia e dal Kosovo, e i problemi internazionali come la pirateria e il terrorismo. Allo stesso tempo, i rischi che minacciano l’Europa sono reali. Oltre alla crisi economica, l’Unione Europea confina con zone calde del Grande Medio Oriente, con una Russia autoritaria decisa a ripristinare una propria sfera d’influenza, con una dittatura in Bielorussia e con numerosi conflitti etnici congelati, e mai risolti, nei Balcani.

Con un partner di tale importanza, e con interessi così vasti in gioco, si potrebbe benissimo immaginare il presidente Obama pronunciarsi così sulle relazioni tra Stati Uniti ed Europa: «In quanto Presidente, ho preso una decisione deliberata e strategica: gli Stati Uniti giocheranno un ruolo maggiore, e di lungo termine, nel dar forma a questa regione e al suo futuro in stretta collaborazione con i nostri Alleati e amici. Il nostro obiettivo è la sicurezza, che è il fondamento della pace e della prosperità. Noi sosteniamo un ordinamento internazionale in cui siano rispettati i diritti e le responsabilità di tutte le nazioni e di tutti i popoli. In cui sia garantita l’osservanza delle leggi e delle norme internazionali. Dove non siano ostacolati il commercio e la libera navigazione. In cui le potenze emergenti contribuiscano alla sicurezza della regione, e dove le discordie siano risolte in modo pacifico. Ora, pianificando le azioni e le spese future, intendiamo allocare le risorse necessarie al fine di mantenere una forte presenza militare in questa regione. Preserveremo la capacità unica di proiettare la nostra potenza e la nostra forza, per agire come deterrente contro quanti si oppongano alla pace. Manterremo i nostri impegni, continuando a rispettare i trattati che ci legano ai nostri alleati. E rafforzeremo in continuazione le nostre capacità di far fronte ai bisogni del XXI secolo. Nel lungo termine, sono i nostri interessi a chiederci una presenza costante nella regione. Gli Stati Uniti sono qui e rimarranno qui».

Questa strategia e questa visione impressionante, tuttavia, non erano dirette all’Europa, ma all’Asia. Quando tutto ciò che si vede dell’Europa sono le sue debolezze, non sorprende che gli Stati Uniti parlino di una «svolta» verso l’Asia, e di una corrispondente diminuzione della propria presenza in Europa. Sta proprio qui la sfida più grande, sia per gli Stati Uniti sia per l’Europa. L’Asia è giovane e sta crescendo, ma l’Europa è sempre grande, e importante. Invece di «voltarsi», gli Stati Uniti dovrebbero sviluppare una strategia globale che integri un’attenzione tanto per l’Europa, quanto per l’Asia e per altre parti del globo. In Asia, gli Stati Uniti hanno un progetto ambizioso che mira ad aumentare la loro presenza militare, accrescendo l’interoperabilità con Alleati e partner ed evitando la possibilità di aggressioni, ma che intende anche velocizzare la realizzazione di una zona Trans-Pacifica di interscambio commerciale, sostenendo un ordinamento economico internazionale di tipo liberista.

Questo definisce esattamente il tipo di approccio che gli Stati Uniti dovrebbero avere anche nei confronti dell’Europa - una piattaforma di convergenza per lavorare assieme agli Alleati, contrastare le minacce e promuovere processi di pace, alimentando così prosperità e valori condivisi. Dovremmo lavorare intensamente al fine realizzare una zona comune di scambi commerciali tra le due sponde dell’Atlantico. Tuttavia, le disfunzionalità proprie dell’Europa, combinate con il fascino quasi magnetico dei tassi di crescita nei Paesi asiatici, hanno raffreddato entrambe le sponde dell’Atlantico rispetto da una visione simile.

È troppo tardi per affrontare questi problemi a Washington, nel meeting tra il presidente Obama e i rappresentanti europei van Rompuy, Barroso e Ashton. Ma non è troppo tardi perché il Presidente degli Stati Uniti, assieme a leader europei come Merkel, Sarkozy, Cameron, Monti - e con i capi delle istituzioni dell’Ue - possa iniziare a delineare una strategia e una visione ambiziosa per il futuro.


* Kurt Volker è stato ambasciatore degli Stati Uniti alla Nato. È senior fellow e managing director del Centro per le Relazioni Transatlantiche della Sais della Johns Hopkins University.

Traduzione di Merope Ippiotis

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9491
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