NOTE BIOGRAFICHEdi
Sergio SolmiAlain fu lo pseudonimo del professor Émile Chartier, nato nel 1868 a Mortagne-au-Perche, nell’Orne, di modesta famiglia piccolo-borghese.
Laureatosi all’Ècole Normale venne nominato professore di filosofia. Un troppo acuto interesse per la vita negli aspetti cangianti della quotidianità, per il vario mondo dell’uomo e della natura, lo distolse dal diventare un filosofo sistematico. La frequentazione di capitani marittimi e di vecchi coloniali lo sospinse verso la geografia, la sociologia e la meccanica; ebbe anche interesse per la matematica. L’affare Dreyfus lo trovò in prima fila tra i difensori del diritto e lo indusse a leggere Rousseau, Proudhon e Marx e ad interessarsi della politica, della pace e della guerra. A quel tempo fu anche uno dei promotori delle prime Università popolari, tenne conferenze agli operai e ai contadini e affrontò, su giornali radicali di provincia, il giornalismo.
Nacquero così, verso il 1906, i primi propos, brevi riflessioni o divagazioni su tutto e su nulla, un’impressione, un paesaggio, un fatto di cronaca; essi non mancarono di suscitare subito l’attenzione degli intenditori di letteratura.
Alain scrisse da quel tempo, giorno per giorno, migliaia di propos, con una verve inesauribile e vigorosa. Ma fu soltanto all’epoca della prima guerra mondiale (alla quale partecipò volontario, quasi cinquantenne, come soldato semplice, poi sottufficiale, nell’artiglieria pesante), che la meditazione sparsa ed occasionale dei Propos cominciò ad addensarsi in opere organiche.
Col chiudersi della prima guerra mondiale, può dirsi abbia avuto fine il periodo di “rivolta attiva” di Alain, che si dedicò quasi esclusivamente all’insegnamento e all’elaborazione della sua opera di filosofo e di moralista. Comunque lo spirito di quella “rivolta” continuò a fermentare, nel periodo fra le due guerre, con la rivistina Libres Propos di Nîmes, intono alla quale si raccolse un gruppo di ferventi discepoli, maestri di scuola, operai e professori di filosofia, i quali, ispirandosi alla dottrina del maestro – presente in ogni numero con una serie di propos - tennero acceso uno di quei focolai di libera discussione e di feconda eresia che caratterizzarono la “sinistra” francese dei tempi migliori. Alain si stabilì definitivamente nella sua villetta di pensionato a Le Vésinet – nella banlieue parigina –, dedicandosi particolarmente alla rilettura e al commento dei classici della filosofia e delle grandi opere letterarie. I suoi saggi su Stendhal, Balzac, Dickens, si collocano fra la critica letteraria vera e propria e la riflessione psicologica e morale, e rivelano un lettore d’eccezione.
Fu in quella sua villetta che morì, il 2 giugno 1951. In questa sede un folto gruppo di amici, di discepoli e di estimatori ne perpetua la memoria con l’Association des amis d’Alain.
Tra le opere ricordiamo: I cento e uno ragionamenti di Alain (4 serie, 1908-14); Sistema delle arti (1920); I ragionamenti di Alain (1920); Ragionamenti sul cristianesimo (1924); Il cittadino contro i poteri (1926); Le idee e i tempi (1927); Ragionamenti di letteratura (1933); Storia dei miei pensieri (1936); Politica (1951).[/left]
ESISTENZA E RAGIONE
Certe cose bisogna accettarle senza capirle: in questo senso nessuno vive senza religione. L’Universo è un dato di fatto, e bisogna che la ragione vi si pieghi, e si rassegni a dormire prima di aver contato tutte le stelle. Il bambino s’infuria contro un pezzo di legno o contro un sasso, e molti muovono rimproveri alla pioggia, alla neve, alla grandine, ai venti e al sole, non avendo ben compreso la connessione di tutte le cose, e credendo che ci sia nel mondo un giardiniere capriccioso che possa innaffiare qua e là: ed ecco perché preghiamo. La preghiera è l’atto irreligioso per eccellenza.
Ma se uno ha appena capito la Necessità non domanda più spiegazioni all’Universo. Non dice più: Perché questa pioggia? Perché questa peste? Perché questa morte? Sa che non c’è risposta a queste domande. Così è, ecco tutto quel che si può dire, e non è dir poco. Esistere è qualcosa, e questo schiaccia tutte le ragioni. Ebbene, propenderei a credere che il vero sentimento religioso stia nell’amare ciò che esiste. Ma ciò che esiste merita forse di essere amato? Certo che no. Bisogna amare il mondo senza giudicarlo, bisogna piegarsi di fronte all’esistenza. Non voglio dire che si debba uccidere la propria ragione e, per dir così, naufragare in quel mare; in tal caso non ci sarebbe più nulla a cui inchinarsi. Ma la vita non è così semplice.
Bisogna rispettare quel tanto di ragione che si possiede e realizzare per quanto si può la Giustizia. Ma bisogna pure saper meditare su questa verità, ossia che nessuna ragione può dare l’esistenza, e che nessuna esistenza può dare le sue ragioni. Una donna che partorisce è tutt’altra cosa di un Archimede che inventa.
A voi che vi dirigete verso la Foresta Verde per respirare attorno ai rami bagnati i primi vapori della primavera, apparirà bello che le foglie si spieghino al nuovo sole e quindi i semi maturino e cadano a terra. Si potrebbe dire, volendolo, che ognuno di questi semi ha il suo destino, che è di germogliare, crescere e diventare albero a sua volta, mentre tale cosa non capita forse neanche a uno solo su un milione che marciscono. Ma voi non ci pensate, aprite gli occhi e le orecchie, in voi tutti si riaccende lo stesso fuoco divino. Sentite di essere anche voi figli della terra, e adorate questo vecchio mondo, lo prendete com’è e adorate tutto.
Andate pure, amici, andate a dire la vostra preghiera. Sento già le campane di Pasqua.