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Autore Discussione: Se l’assessore Cioni avesse studiato Spinoza  (Letto 4230 volte)
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« inserito:: Settembre 12, 2007, 11:13:35 pm »

Se l’assessore Cioni avesse studiato Spinoza

Gigi Marcucci


Negli stessi giorni in cui l’assessore fiorentino Graziano Cioni dava alle stampe l’ormai famosa ordinanza sui lavavetri, arrivava in libreria una preziosa edizione delle opere di Baruch Spinoza curata da Filippo Mignini (collana Meridiani della Mondadori). La coincidenza merita una breve riflessione perchè entrambi, Spinoza e Cioni, si sono occupati di sicurezza. Scriveva nel Trattato teologico politico il grande filosofo di Amsterdam: «Se gli uomini potessero dirigere con fermo proposito tutte le loro vicende o se la fortuna fosse sempre benigna nei loro confronti, non sarebbero preda di alcuna superstizione».

Non avverandosi le prime due condizioni, accade invece che gli uomini oscillino «miseramente tra la speranza e il timore». Il problema posto da Spinoza è dunque come ridurre le «fluttuazioni» del nostro animo, l’insicurezza derivante dalle cose «che non sono in nostro potere» (Remo Bodei, Geometria delle passioni), spesso causa di odi, paure, nonché di «molti disordini civili e di guerre atroci», come scriveva nella sua Amsterdam il mite molatore di lenti.

Se il vecchio Baruch partecipasse al dibattito sui lavavetri divampato in quest’ultimo scorcio d’estate, ci inviterebbe a distinguere tra conoscenza e superstizione e a non confondere le cause con gli effetti, anche per evitare trasmutazioni dei fischi in fiaschi, reazione alchemica frequente nel ribollente alambicco mediatico dove scelte politiche e comunicazione si incontrano per sfornare spot. È così, ci ha ricordato due giorni fa la Procura di Firenze, che la pacifica - fino a prova contraria - attività dei lavavetri è stata trasfigurata: poteva essere, al massimo, un illecito amministrativo è diventata un crimine. Risultato, richiesta di archiviare le 15 denunce contro altrettanti immigrati che sbarcavano il lunario ai semafori e l’ordinanza di Cioni da riscrivere. Amministratori rimandati a settembre, si potrebbe dire.

Nessuno pretende che non si dia attenzione politica alla questione dei lavavetri, il problema semmai è il modo. In fondo, tra enfasi e sottovalutazione c’è un’ampia gamma di possibilità. Se, a dispetto dei fenomeni di globalizzazione, del lavoro precario e di una vita sempre più celebrata come competizione, indichiamo nei lavavetri l’origine della diffusa insicurezza di questi tempi, tanto vale attribuire il buco nell’ozono a un calcio di rigore finito un po’ sopra la traversa.

Chi campa spazzolando i nostri parabrezza è verosimilmente il parafulmine su cui si scarica un malessere germogliato rigogliosamente altrove, così come la superstizione di cui parla Spinoza nasce da «cose che non sono in nostro potere».

Lo conferma indirettamente il sindaco Sergio Cofferati, il primo a sollevare il problema dei lavavetri (ma senza fare alcuna ordinanza), quando ci ricorda di aver dichiarato guerra a chi affitta abitazioni in «nero» o sfrutta il lavoro clandestino. Lo ha spiegato con lucida semplicità Giancarlo Caselli, quando ha scritto sull’Unità che l’insicurezza nasce anche da istituzioni che non funzionano e da una giustizia ingolfata che non riesce ad assicurare la certezza della pena. Questo non significa parlare d’altro (il vituperato «benaltrismo»), ma distinguere tra cause ed effetti, origini e conclusioni e dei fenomeni, paure e pericoli reali. Separando la conoscenza dalla superstizione, come suggerirebbe Spinoza.

Un altro esempio. Pochi giorni fa, a Bologna, un gruppo di persone contrarie alla costruzione di una moschea ha individuato nella comunità musulmana la fonte di grandi pericoli, dicendo che «gli islamici insegnano ai bambini come si uccide» che «mentono perché così insegnano le loro Scritture» e altre variazioni sullo stesso tema. Padre Paolo Garuti, presidente del Centro San Domenico ha riconosciuto in quelle espressioni gli «stessi germi» che negli anni Trenta portarono in Germania alla persecuzione antisemita. Non tenere conto delle paure della gente - che siano rivolte contro i lavavetri o contro i musulmani -, non cercare di decifrarne l’origine, sarebbe un tragico errore; ma scambiarle per realtà sarebbe un errore molto più grave. In questo, come nel caso dei lavavetri, la politica (almeno quella di sinistra) è chiamata ad applicare misura e capacità di discernimento, che non possono essere affidate agli indici di gradimento. Quella sui lavavetri, secondo Swg, raccoglie il 79% dei consensi ma, forse, nella Germania nazista, le misure contro gli ebrei ne raccoglievano anche di più: non sembra sufficiente per definirle buone leggi.

Spinoza, bandito per le sue teorie dalla Chiesa e dalla stessa Comunità ebraica a cui apparteneva, diceva che ci è stata data «la rara felicità» di vivere in una parte del mondo «in cui nulla è tenuto più caro e dolce della libertà»: conservare quella felicità, al di là di ogni paura, potrebbe essere un buon programma per un Partito partito che vuole chiamarsi «democratico».

Pubblicato il: 12.09.07
Modificato il: 12.09.07 alle ore 13.05   
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