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Autore Discussione: San Francisco, "La mutua è per tutti"  (Letto 3320 volte)
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« inserito:: Settembre 12, 2007, 06:58:28 pm »

Sanità Usa che disastro

Pietro Greco


Avrà pure ragione il New York Times a definire un tantino esagerato Sicko, il film-inchiesta che Michael Moore ha presentato nei giorni scorsi a Roma. Ma sia la denuncia - il sistema sanitario americano non funziona perché è inefficiente, caro e ingiusto - sia l’ammonimento - europei, non lasciatevi accecare dall’ideologia e difendete a denti stretti il vostro welfare sanitario - proposti dal regista americano con la sua nuova fatica sono assolutamente corretti. Non siamo né noi né Michael Moore a dirlo, ma i numeri su cui si fonda una vasta letteratura scientifica internazionale.

Gli Stati Uniti, come si sa, non hanno un sistema sanitario nazionale pubblico. Hanno un sistema misto, fondato essenzialmente sull’assistenza ai più bisognosi e sulle polizze di assicurazione che coprono (che dovrebbero coprire) le spese sanitarie della gran parte della popolazione.

Il principio di fondo è che la salute non è un diritto universale, ma un bene che va conquistato; che i pazienti non sono, appunto, pazienti, ma agenti in un mercato. La speranza è che la mano invisibile del mercato trovi il migliore equilibrio tra costi (tra gli enormi costi della sanità) e benefici (la salute dei cittadini).

Ebbene, ha ragione Michael Moore: questo sistema, semplicemente, non funziona. Perché è molto più inefficiente, molto più costoso e molto più ingiusto dei sistemi sanitari europei, fondati sull'idea che la salute sia un diritto e non un bene da conquistare. Ma anche perché, aggiungiamo noi, il sistema in vigore negli Usa dissipa una quantità inusitata di risorse pubbliche, rischiando - per di più - di inquinare la fonte del progresso biomedico: la ricerca.

Cerchiamo di argomentare queste quattro tesi, piuttosto forti, ricorrendo - per l'appunto - ai numeri.

1. Il sistema è inefficiente. L'età media dei cittadini americani è la più bassa tra i paesi del G7. Un maschio negli Usa vive, in media, 75 anni: 4 anni in meno di un giapponese, 3 anni in meno di un italiano, 2 anni in meno rispetto alla media dei paesi del G7. Una donna negli Usa vive, in media, 80 anni: 6 anni in meno di una giapponese, 4 anni in meno di un'italiana, 3 anni in meno rispetto alla media dei paesi del G7.

Gli Stati Uniti sono ultimi nel G7 sia per mortalità dovuta a malattie non comunicabili (460 ogni 100.000 abitanti, contro una media di 398) e penultimi per morti da incidenti (47 ogni 100.000 abitanti, contro una media di 36). Sono ancora ultimi per incidenza del contagio da Aids tra persone adulte (508 ogni 100.000 abitanti contro una media inferiore di 230).

Non va meglio con le strutture. Anche per numero di posti letto in ospedale gli Stati Uniti sono ultimi nel G7 (33 ogni mille abitanti, contro i 40 dell'Italia, i 75 della Francia, gli 84 della Germania e i 129 del Giappone).

2. Il sistema è costoso. Gli Usa spendono in sanità il 15,4% della ricchezza che producono ogni anno, contro il 10,6% della Germania, il 10,5% della Francia, il 9,8% del Canada, l'8,7% dell'Italia, l'8,1% del Regno Unito e addirittura il 7,8% del Giappone. La spesa procapite di un americano è di 6096 dollari l'anno, contro i 3171 di un tedesco, i 2414 di un italiano o i 2293 di un giapponese.

Si dirà: non importa. Perché la spesa è soprattutto privata e non incide sui conti pubblici. Falso. Il sistema americano è oneroso anche per lo Stato. Anche se teniamo conto dei soli investimenti pubblici, la sanità Usa risulta la più cara tra i paesi del G7. Il contribuente americano spende infatti per la sanità 2725 dollari l'anno a persona, contro i 2440 in Germania, i 2382 in Francia, i 2215 in Canada, i 2209 nel Regno Unito, i 1864 del Giappone. Lo Stato italiano, contrariamente a quanto si crede, con 1812 dollari per cittadino l'anno è quello che spende di meno nel G7.

Non è un caso, come ha sostenuto giustamente Moore, che nelle classifiche dell'Organizzazione mondiale di sanità la Francia e l'Italia (malgrado i casi, reali, di malasanità) possono vantare i sistemi più efficienti del mondo, mentre gli Usa si ritrovano al 37° posto.

3. Il sistema è ingiusto. Malgrado questa spesa enorme - sia pubblica, che privata - sono sostanzialmente prive di assistenza negli Usa quasi 50 milioni di cittadini. Il che significa che il 17% dell'intera popolazione deve mettere direttamente mano alla tasca quando ha bisogno di cure. E poiché si tratta del 17% più povero della popolazione, se ne può fare a meno evita di curarsi per non spendere troppo. In definitiva la salute negli Usa ha una fortissima stratificazione di classe. Accessibile ai ricchi (anche troppo, le classi agiate tendono a medicalizzare troppo la propria vita); di difficile accesso per i meno ricchi e i meno protetti.

4. Tutto ciò è tanto più paradossale, perché gli Usa vantano - di gran lunga - la migliore ricerca scientifica del mondo in campo biomedico. In potenza, un cittadino americano può accedere, prima di ogni altro al mondo, alle cure migliori e alle tecniche più avanzate. Il fatto è che l'intero sistema americano a matrice privatistica si fonda su un intervento massivo da parte dello stato. Non solo attraverso quei 2725 dollari procapite pagati dal contribuente (il 50% in più rispetto alla spesa pubblica italiana), ma anche e, forse, soprattutto, attraverso l'enorme spesa in ricerca finanziata dal governo federale. È, infatti, nelle università che attingono a fondi pubblici che ha origine il 90% dell'innovazione biomedica americana - come ha dimostrato in un suo recente libro Marcia Angell, già direttrice del New England Journal of Medicine, rivista medica tra le più accreditate al mondo. In definitiva, senza la incessante produzione di novità, finanziata dallo stato, il sistema privatistico della medicina Usa semplicemente non potrebbe reggersi.

Si dirà, la denuncia di Michael Moore è fondata. Il regista ha ragione e, come sostiene il New York Times, ha solo un po' esagerato: il sistema sanitario degli Stati Uniti funziona peggio che in Italia e in Europa. Ma questo non è un problema nostro. Semmai è un problema degli americani, cui magari Hillary Clinton - se diventerà presidente - potrà cercare di risolvere. Ma allora perché Moore ci ammonisce? Non sarà un'altra delle sue esagerazioni?

No. Anche in questo caso il regista americano ha sostanzialmente ragione. Perché - per quanto ingiusto, costoso e inefficiente - il sistema americano ha una forte capacità di seduzione. Piace a molti neoliberisti europei. Prendete il caso della Svezia, dove in mezzo secolo e oltre di governo socialdemocratico senza quasi interruzioni si è costruito uno dei sistemai di welfare sanitario più giusti, efficaci e civili del mondo. Come giustamente ha notato Moore si può dire che il welfare sanitario sia nato nel più grande paese scandinavo. Ebbene, in nome di un'ideologia - quella neoliberista - il nuovo governo conservatore che si è insediato a Stoccolma vuole cancellare tutto e privatizzare. Per fare come in America.

Forse converrà che prima di mettere mano alla controriforma, i neoliberisti di Stoccolma (e di qualsiasi altra parte d'Europa) diano un'occhiata al nuovo film di Michael Moore e, magari, alle statistiche dell'Organizzazione Mondiale di Sanità.

Pubblicato il: 12.09.07
Modificato il: 12.09.07 alle ore 13.06   
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« Risposta #1 inserito:: Settembre 16, 2007, 11:48:20 am »

16/9/2007 (7:34)

San Francisco, "La mutua è per tutti"

Una rivoluzione: l’assistenza sanitaria pubblica è stata estesa anche agli 82 mila abitanti senza polizza assicurativa

MAURIZIO MOLINARI
CORRISPONDENTE DA NEW YORK


Un sindaco di 39 anni sfata il tabù della sanità pubblica in America dimostrando che le amministrazioni locali possono riuscire dove governo e Congresso continuano a tardare. Il sindaco è Gavin Newsom, eletto nel 2004 alla guida di San Francisco, che già in occasione della legalizzazione delle nozze gay, decisa pochi mesi dopo l’insediamento, aveva dimostrato di voler fare da battistrada nell’affermazione dei diritti del cittadino nell’America del nuovo secolo. Adesso Newson sceglie come nuova frontiera il terreno considerato più scivoloso da tutti i candidati in lizza per la presidenza, repubblicani e democratici, ovvero come garantire l’assistenza sanitaria publica ai cittadini che non possono pagarsene una privata. Se il regista liberal Michael Moore ha affidato al film «Sicko» una spietata denuncia sulle carenze di cure per i circa quaranta milioni di cittadini americani senza assicurazione medica, il democratico Newsom ha fatto un passo in più inaugurando «Healthy San Francisco», ovvero un programma che consente agli 82 mila residenti della città senza assicurazione di poter avere comunque libero accesso a strutture sanitarie pubbliche.

L’iniziativa è piombata nella campagna elettorale come una doccia fredda per i candidati più noti: se Hillary Clinton riunisce team di esperti per studiare complessi programmi miliardari, Barack Obama fa comizi dilungandosi in enunciazioni morali, John Edwards preannuncia drastiche modifiche del bilancio nazionale e i repubblicani Rudolph Giuliani e John McCain evitano prudentemente di sfidare a viso aperto le assicurazioni private, il sindaco Newson anziché aspettare l’esito delle elezioni nel 2008 ha varato nell’arco di poche settimane un programma con effetto immediato. Ecco di cosa si tratta: qualsiasi residente di San Francisco, inclusi gli immigrati illegali, con un reddito personale annuo inferiore a 10210 dollari, o membro di una famiglia con un reddito complessivo inferiore a 20650 dollari, nonché scoperto da assicurazione sanitaria da almeno 90 giorni, può presentarsi agli sportelli dell’«Healthy San Francisco» e diventare un assistito dai servizi sanitari garantiti da cliniche convenzionate con il Comune. Il giorno stesso dell’iscrizione i nuovi assistiti vengono sottoposti a esami del sangue, mammografie e altri test che portano a creare spesso le prime cartelle mediche della loro vita, sulla base delle quali verranno poi sottoposti a controlli preventivi simili a quelli suggeriti dalle assicurazioni private per scongiurare con la prevenzione il manifestarsi di gravi malattie.

Le prime due cliniche che hanno accettato di convenzionarsi con «Healthy San Francisco» si trovano nel quartiere di Chinatown, ma altre 12 aspettano di essere incluse nel programma appena il numero degli iscritti crescerà. «Aspettiamo con interesse quale sarà la risposta del pubblico alla nostra iniziativa», dice il sindaco Newsom, per sottolineare che sta ora ai cittadini non assicurati il compito di farsi avanti. Sebbene agli occhi europei quanto avviene a San Francisco possa apparire quasi scontato, in realtà per gli Stati Uniti la ricetta del sindaco di 39 anni è qualcosa di rivoluzionario. Lanciato alla fine di agosto, il programma in due settimane ha già ottenuto 1300 adesioni e il sindaco scommette di arrivare a registrare tutti gli 82 mila non assicurati entro l’Election Day del novembre 2008, al fine di consegnare al nuovo inquilino della Casa Bianca un progetto-pilota per l’intera nazione, provando così che le leggi che nascono dal basso, dal territorio, possono essere più efficaci di quelle dovute a interminabili negoziati politici fra i maggiori partiti.

Sotto questo aspetto il blitz legislativo di Newson ricorda da vicino l’iniziativa di Leonardo Domenici, il sindaco di Firenze che ha scelto e deciso di varare la tolleranza zero nei confronti dei piccoli reati - a cominciare dai lavavetri illegali - senza aspettare il varo di leggi nazionali. «Nelle maggiori democrazie industriali assistiamo alle sempre più numerose e incisive iniziative di amministratori locali che tentano con i loro provvedimenti di arrivare dove lo Stato non riesce - osserva Larry Sabato, esperto di diritto costituzionale all’Università della Virginia - e questo dimostra quanto vivaci e vitali sono le nostre democrazie, anche quando i sistemi parlamentari non funzionano a causa dell’ingolfamento degli interessi politici». La tesi di Sabato, autore del recente libro «A More Perfect Constitution» sulle riforme necessarie in America, è che «tanto gli Usa quanto l’Italia nascono dal federalismo, assegnano poteri importanti alle amministrazioni locali e possono trovare nell’azione dei sindaci uno spunto per le innovazioni, anche di livello nazionale».

da lastampa.it
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