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Autore Discussione: Moises Naim - Globali senza regole  (Letto 2640 volte)
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« inserito:: Settembre 12, 2007, 06:51:00 pm »

Globali senza regole
di Moises Naim

I negoziati internazionali sul commercio sono fermi.

Eppure gli scambi fioriscono e i dazi cadono.

Come mai? L'analisi del direttore di 'Foreign Policy'


Una delle tendenze più sconcertanti del nostro tempo è che il liberismo va alla deriva mentre il libero scambio va a gonfie vele. Per oltre un decennio, i governi hanno tentato invano di ottenere un accordo globale al fine di abbassare le barriere commerciali. Tali negoziati sono stati spesso descritti come 'astiosi', 'bloccati', 'stagnanti'. Di contro, il commercio internazionale viene solitamente descritto come 'fiorente' o 'impetuoso' e, quasi ogni anno, la sua crescita viene lodata come 'un primato'. Non c'è da sorprendersi quindi di fronte allo scoraggiamento dei negoziatori commerciali da un lato e alla gioia degli operatori internazionali dall'altro.

L'ultima volta che i negoziatori commerciali hanno avuto motivo di festeggiare fu nel 1994, quando 125 paesi concordarono un significativo abbassamento delle barriere commerciali nonché la creazione di una nuova instituzione, la World Trade Organization (Wto), responsabile della supervisione e della liberalizzazione del commercio internazionale. Da allora, qualunque tentativo di liberalizzare il commercio mondiale attraverso negoziati è stato ostacolato. In molti paesi gli accordi di libero scambio sono al momento considerati politicamente radioattivi, le importazioni sono solitamente ritenute responsabili della perdita di posti di lavoro, di salari bassi, di diseguaglianza sociale in aumento, e più di recente, persino di dentifrici avvelenati e farmaci mortali. E spesso le riforme commerciali che vengono decise a livello nazionale entrano in conflitto con gli accordi commerciali internazionali.

Mentre i benefici di un commercio più libero esistono solo come promessa futura, i costi possono essere reali, tangibili e immediati. E mentre i benefici della liberalizzazione commerciale sono largamente distribuiti fra tutta la popolazione, i costi sono sostenuti da gruppi assai concentrati. Il taglio delle tariffe agricole, ad esempio, potrebbe favorire la società in generale, riducendo ciò che paghiamo per il cibo che mangiamo. Tuttavia ridurrebbe immediatamente il reddito degli agricoltori, che pertanto si sentirebbero fortemente motivati e incentivati a organizzare un vero e proprio deragliamento degli affari commerciali. Lo stesso può dirsi degli operai delle fabbriche costretti a competere contro importazioni fin troppo economiche. Queste realtà politiche e sociali contribuiscono a spiegare il motivo per cui in molti paesi l'entusiasmo per il raggiungimento di accordi commerciali si sia pian piano esaurito.


Tutto ebbe inizio nel 1999, a Seattle, quando fallì il tentativo di lanciare un nuovo giro di negoziati commerciali. Quegli incontri falliti vengono ora ricordati più per gli scontri violenti fra polizia e attivisti no global che per il fatto che i negoziatori se ne tornarono a casa senza neppure raggiungere un accordo sull'inizio dei negoziati. Per ironia della sorte, gli attivisti protestarono contro un accordo cui non si sarebbe comunque arrivati. Due anni dopo, i ministri del commercio si incontrarono nuovamente a Doha, in Qatar, e decisero di dare inizio a un nuovo giro di consultazioni che, stabilirono, avrebbe dovuto concludersi entro quattro anni. Ma non sarebbe accaduto. Quella scadenza, come molte altre, non fu rispettata.

Lo scorso giugno, dopo sei anni di trattative, i negoziatori hanno lasciato gli incontri di Doha e si sono accusati a vicenda di mancanza di cooperazione. Nel frattempo, il commercio mondiale ha continuato a crescere alla sua solita folle velocità. Nel 2006, il volume globale delle esportazioni di merci è cresciuto del 15 per cento, mentre l'economia mondiale è aumentata di circa il 4 per cento. Nel 2007, ci si aspetta che la crescita del commercio mondiale superi ancora di gran lunga il tasso di espansione dell'economia globale. Questo ritmo sostenuto di crescita commerciale ha portato a un aumento di cinque volte delle esportazioni mondiali di merci fra il 1980 e il 2005. Un numero di paesi senza precedenti, sia poveri sia ricchi, sta assistendo a un aumento del proprio rendimento economico generale a causa di una forte crescita delle esportazioni.


Allora, come si spiega il paradosso fra accordi commerciali bloccati e 'impetuosi' flussi commerciali? La risposta più breve è: tecnologia e politica. Nell'ultimo quarto di secolo, le innovazioni tecnologiche, da Internet ai cargo container, hanno abbassato il costo dei traffici commerciali. E, nello stesso periodo, un ambiente politico internazionale più tollerante e aperto ha creato l'opportunità e i presupposti per favorire l'abbassamento delle barriere di import ed export.La Cina, l'India, l'ex Unione Sovietica e molti altri paesi hanno lanciato importanti riforme che hanno rafforzato la loro integrazione nell'economia mondiale. Soltanto nei paesi in via di sviluppo le tariffe delle importazioni sono calate da una media di circa il 30 per cento negli anni Ottanta a meno del 10 per cento di oggi.

In verità, una delle sorprese degli ultimi vent'anni o giù di lì, è quanto i governi, in modo del tutto unilaterale, hanno fatto per cercare di favorire il commercio, abbassando la guardia di fronte a qualunque tipo di ostacolo preesistente. Fra il 1983 e il 2003, il 66 per cento delle riduzioni tariffarie apportate nel mondo sono state decise da governi che hanno ritenuto fosse nel loro interesse abbassare i propri dazi d'importazione, il 25 per cento sono il risultato di accordi raggiunti in seguito a negoziati commerciali multilaterali e il restante 10 per cento grazie ad accordi commerciali regionali con Paesi vicini. Ma allora, chi ha bisogno di accordi di libero mercato se il commercio internazionale se la cava alla grande anche senza?

Il direttore del Wto Pascal LamyTutti ne abbiamo bisogno. Anche se il commercio va a gonfie vele, rinunciare ad abbassare le barriere commerciali sostanziali che ancora esistono - in agricoltura, nei servizi, o nei prodotti manufatti barattati fra paesi poveri - sarebbe un errore storico. Persino la più pessimista delle previsioni dimostra che l'adozione di riforme come quelle incluse nel giro di consultazioni di Doha frutterebbe sostanziali vantaggi economici che oscillano tra i 50 miliardi e alcune centinaia di miliardi di dollari. Inoltre, secondo la Banca mondiale, entro il 2015, ben 32 milioni di persone potrebbero essere sollevate dalla povertà qualora il giro di consultazioni di Doha avesse successo.

Ma non si tratta solo di soldi. Mentre il volume del commercio continua a crescere, il bisogno di regole più chiare ed efficaci diventa più cruciale e decisivo. In questo secolo, la qualità di ciò che viene negoziato sarà importante tanto quanto lo è stato, nel secolo precedente, il bisogno di abbassare le tariffe. I recenti casi del cibo per cani avvelenato e il dentifricio tossico proveniente dalla Cina ne è la prova. Nessun paese che agisca da solo può riuscire a monitorare e limitare tali prodotti letali nel modo in cui può farlo ilWto, lavorando di comune intesa con i governi di tutto il mondo. Inoltre, un sistema basato su regole accettate da una maggioranza di paesi può proteggere paesi più piccoli e aziende di modeste dimensioni dalle pratiche abusive di paesi più grandi e di gruppi di controllo. La legge delle regole è sempre meglio della legge della giungla anche per risolvere i conflitti commerciali.

Ma forse ciò che è più importante tenere a mente è che, nonostante tutti i dubbi sul commercio internazionale, resta il fatto che i paesi in cui la quota di attività economica relativa alle esportazioni sta crescendo, la crescita è di 1,5 volte più veloce di quella di paesi con esportazioni più stagnanti. E benché sappiamo che la crescita economica da sola può non essere sufficiente ad alleviare la povertà, abbiamo anche imparato che senza crescita, qualunque altro sforzo è vano. Questa argomentazione di per sé dovrebbe bastare a farci parteggiare per i negoziatori commerciali e non solo per il commercio.

(traduzione di Rosalba Fruscalzo)
(07 settembre 2007)

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