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Autore Discussione: ALBERTO MINGARDI - L'evasione, un'altra faccia della questione meridionale  (Letto 2271 volte)
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« inserito:: Settembre 29, 2011, 05:33:02 pm »

29/9/2011

L'evasione, un'altra faccia della questione meridionale

ALBERTO MINGARDI*

Caro direttore, al recupero dell’evasione l’ultima manovra imputa entrate ritenute irrealistiche dalla maggior parte degli osservatori: e nondimeno, anche grazie a queste cifre irrealistiche, come ha ben spiegato Luca Ricolfi (La Stampa, 26 settembre), il governo ha potuto evitare di porre mano alle sospirate «riforme strutturali».

È però opportuno ricordare che insieme con il recupero di imponibili evasi, negli anni scorsi sono aumentati pure gli imponibili evasi.
In altre parole, la strategia che i governi degli ultimi vent’anni hanno adottato per combattere l’evasione fiscale non riesce a dissuaderla.

Perché una politica su cui la nostra classe dirigente ha investito tanto, simbolicamente e non solo, pare votata al fallimento?
Ci sono almeno tre motivi, sui quali sarebbe importante riflettere in una discussione «laica» su fisco ed evasione.

Primo, l’evasione rientra, almeno parzialmente, nella grande questione della legalità (dell’assenza di legalità) nel Mezzogiorno italiano. Se uno studio dell’Agenzia delle entrate di alcuni anni fa segnalava un’intensità media (periodo 1998-2002) del 93,89% dell’evasione Irap in Calabria, del 65,89% in Sicilia, del 60,65% in Puglia contro il 13,04% della Lombardia, allora forse non è azzardato sostenere che il problema dell’evasione, in buona parte, altro non è che un’altra faccia della «questione meridionale».

Secondo, abbiamo letto molti proclami sui successi della lotta all’evasione e del modo in cui viene condotta, e pochi studi empirici che ne stimino costi e benefici. Questo è un punto cruciale. Ogni cosa sulla terra ha un costo: nello specifico, il costo dell’apparato che lo Stato mette a disposizione. Possiamo continuare a promuovere una certa politica, a prescindere dalle risorse che assorbe e dai risultati che produce? Non è il caso di verificare se ci siano strategie alternative più efficaci?

Terzo, siamo sicuri che il «metodo» della lotta all’evasione non ne influenzi gli esiti? Come ha scritto Nicola Rossi alcuni mesi fa in una lettera aperta al direttore dell’Agenzia delle entrate Befera, le norme entro le quali l’attività dell’Agenzia si esplica sono «più da stato di emergenza (se non di assedio) che da stato di diritto».

Quando le modalità dell’accertamento, delle riscossioni e delle esecuzioni possono essere previste da semplici circolari e istruzioni interne, non siamo davvero all’anticamera di uno «Stato di polizia tributaria»? Le deroghe allo statuto del contribuente non si contano più, e dallo stesso linguaggio tributario trapela una presunzione di colpevolezza del contribuente: ciò che chiama «accertamento» è in realtà, nel linguaggio comune, una «contestazione» dell’amministrazione fiscale passibile di essere poi veramente accertata Crediamo davvero di poter fondare la «lealtà fiscale» sul «terrore fiscale»? Possono esservi risultati mediaticamente eclatanti (pochi «grandi evasori» stanati e esposti al pubblico ludibrio), ma è bene non farsi distrarre, e riflettere sul fatto che l’evasione al contrario non s’arresta ma cresce.

La proposta di Ricolfi, aliquote più ragionevoli per sottrarre all’evasione ogni legittimazione, può apparire di difficile realizzazione, in questa congiuntura. Ma è immensamente più sensata, economica e ragionevole dell’alternativa: mettere un finanziere ad ogni angolo di strada.

*Direttore Generale Istituto Bruno Leoni

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9256
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