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Autore Discussione: Caro prezzi che fare  (Letto 2858 volte)
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« inserito:: Settembre 10, 2007, 10:42:07 pm »

Caro prezzi che fare

Alfredo Recanatesi


Ci risiamo: finite le vacanze, i prezzi aumentano. Mica tutti, però. Aumentano soprattutto i prezzi di piccolo importo, in primo luogo quelli delle tante voci della spesa alimentare quotidiana, quelli del bar, dei ristoranti e delle pizzerie, del materiale scolastico; insomma quelli per i quali un rincaro del 10-20% si concreta in qualche decina di centesimi in più, per cui non ci si fa tanto caso. Non ci si fa caso, ma quando è sera fanno diversi euro in più al giorno del costo della vita. È colpa dell’euro? Non diciamo fesserie.

L’euro è stata ed è l'occasione fornita su un piatto d'argento a chi è stato libero di coglierla per moltiplicare i propri guadagni aumentando i prezzi senza che i consumatori se ne rendessero pienamente conto. Questa libertà la dette il governo Berlusconi, o almeno non fece nulla per prevenirla e neutralizzarla. La moneta, infatti, non è solo un mezzo di pagamento, ma anche e soprattutto una misura di valore. Abituati a misurare il valore delle cose in lire, con l'euro facemmo fatica a percepire i valori espressi nella nuova moneta. Ne approfittarono soprattutto commercianti di beni alimentari per il semplice motivo che in quel settore bastava arrotondare i prezzi di qualche decina di centesimi e pochi se ne sarebbero accorti, specie quando si comprano quattro o cinque cose dal verduraio, tre o quattro dal fornaio e altre tre o quattro dal salumiere. Sarebbe bastato molto poco: obbligare ad esporre anche l'equivalente prezzo in lire per due anni o tre, o anche più, in modo che si mantenesse esatta ed immediata una corretta percezione dei prezzi e delle relative variazioni. Questo era il problema, ma il governo, malgrado ne facessero parte diversi economisti, sbagliò del tutto il bersaglio; ritenne che le difficoltà sarebbero sorte dal maneggio dei centesimi e si inventò (ricordate?) l'inutile convertitore regalato da Berlusconi. Il doppio prezzo, invece, fu imposto per appena due mesi perché altrimenti - sostenne il ministro dell'Industria Marzano, anche lui un economista - la gente non si sarebbe mai abituata all'euro.

Perché ricordare questi eventi ormai lontani? Ma perché siamo ancora a quel punto; perché ad oltre otto anni dalla sostituzione della moneta la percezione del valore dei centesimi è molto relativa abbassando le resistenze dei consumatori ad avere cognizione e ad accettare i rincari specie quando consistono, appunto, in qualche decina di centesimi. Diverso il caso di spese più consistenti come un elettrodomestico, dell'automobile o del motorino. In questi casi il commerciante deve stare più accorto perché, quando è il momento di queste spese più impegnative, i conti si fanno con più calma, si confrontano le diverse offerte, magari si calcolano i prezzi in lire per avere una idea più precisa; insomma ci si comporta come non è possibile comportarsi quando si fa la spesa quotidiana o la colazione al bar.

Che si può fare? Siamo in regime di mercato; i prezzi sono liberi; e se un commerciante mette in vendita un chilo di pesche a dieci euro e le vende, vuol dire che per quel prodotto a quel prezzo un mercato c'è. Buon per lui. Punto. Parlare di rincari giusti o ingiusti non ha alcun senso perché non c'è autorità che possa stabilire quale sia il prezzo «giusto» e tanto meno imporlo: sarebbe come stabilire in via amministrativa quanto ogni commerciante deve guadagnare.

In un regime di mercato il contenimento dei prezzi è affidato alla concorrenza ed all'informazione che ne è il presupposto. Di concorrenza, almeno in questi settori, generalmente ce n'è: sta al consumatore stabilire se il vantaggio di prezzo che può ottenere in un negozio più lontano valga la pena di raggiungerlo, oppure tanto vale «pagare» la vicinanza del più caro negozio sotto casa. Sull'informazione la questione è diversa. Ad otto anni dall'arrivo dell'euro i centesimi sono ancora motivo di opacità dei prezzi e soprattutto delle loro variazioni. L'addensamento dei rincari a settembre sembra favorito dalla particolare condizione psicologica di chi, in vacanza o meno, ha vissuto i mesi estivi come una parentesi nella vita normale, come uno stacco che ora rende più difficile il raffronto dei prezzi con la normalità di qualche mese fa. E allora, se il governo non può giudicare i prezzi, né tanto meno imporli, può comunque adottare misure che aiutino i consumatori a percepire più compiutamente i prezzi e le loro variazioni. Imporre l'esposizione del doppio prezzo è troppo tardi; farlo ora sarebbe ridicolo. Si potrebbe, però, lavorare sull'obbligo, soprattutto nel settore alimentare, di dare pubblicità alle variazioni apportate ai prezzi di alcuni prodotti più significativi. Si potrebbe anche pensare ad imporre la informazione sul prezzo praticato un anno prima o qualsiasi altra informazione che obblighi il commerciante ad esplicitare la sua politica di prezzo: pratichi i prezzi che vuole, ma quando li cambia deve farlo alla luce del sole. Questo il governo lo può fare a difesa soprattutto del potere d'acquisto delle classi più deboli. E senza venir meno ai principi ed alle leggi del libero mercato, ma anzi rendendo il mercato più trasparente ed efficiente nell'interesse dei consumatori.

Pubblicato il: 10.09.07
Modificato il: 10.09.07 alle ore 13.19   
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