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Autore Discussione: JACKIE KENNEDY "La notte in cui vidi piangere JFK"  (Letto 2495 volte)
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« inserito:: Settembre 13, 2011, 03:36:40 pm »

Esteri

13/09/2011 - JACKIE KENNEDY L’INTERVISTA DI SCHLESINGER

"La notte in cui vidi piangere JFK"

Le confidenze inedite dell'ex First Lady: si teneva la testa tra le mani, dopo la Baia dei Porci

PAOLO MASTROLILLI
INVIATO A NEW YORK

Pianse, tenendosi la testa fra le mani, quando seppe che lo sbarco alla Baia dei Porci di Cuba era fallito. Recitava le preghiere inginocchiato davanti al letto, come un bambino, ma solo per qualche secondo. Metteva il pigiama per fare la pennichella di 45 minuti che si concedeva ogni giorno dopo pranzo. Voleva cacciare il potentissimo capo dell’Fbi Edgar Hoover e sbarrare la strada della Casa Bianca al suo vice, Lyndon Johnson. Si chiedeva se la morte violenta avesse fatto di Lincoln un presidente più popolare. E poi aveva una giovane moglie, Jacqueline, dotata della lingua più appuntita di Washington, che non sopportava Martin Luther King, accusato dall’Fbi di organizzare orge nel suo albergo poco prima del discorso «I have a dream».

Pensavamo di sapere tutto di John Fitzgerald Kennedy, un mito così abusato da sembrare quasi un parente. Dovremo cambiare idea proprio a causa della lingua impertinente di Jackie, che tornerà a parlare stasera. La televisione Abc, infatti, manderà in onda gli estratti di otto ore e mezza di conversazioni che la ex first lady fece con lo storico Arthur Schlesinger pochi mesi dopo l’uccisione del marito a Dallas. Tutto raccolto in un libro che verrà pubblicato domani. È la storia di Camelot che Jacqueline aveva registrato per i posteri, rimasta segreta. Nel cinquantesimo anniversario della presidenza, la figlia Caroline ha deciso di pubblicarla, per sfatare anche i miti su di lei.

È un racconto molto intimo, candido e personale, fatto da una giovane vedova di 34 anni che cerca di ritrovare la sua vita. Spesso in sottofondo si sentono le voci dei figli John e Caroline che giocano. Ad un certo punto il più piccolo, che allora aveva tre anni, si avvicina e viene intervistato anche lui da Schlesinger: «Cosa è successo a tuo padre?». «E’ andato in cielo». «E cosa ricordi di lui?». «Nulla».

La parte politica delle rivelazioni è sorprendente. Kennedy aveva pianto davanti a lei nella camera da letto della Casa Bianca, dopo il fallimento della Baia dei Porci. Quando i sovietici avevano cominciato ad installare i missili a Cuba, aveva chiesto a Jackie di tornare a Washington dalla casa di campagna in Virginia. Lei l’aveva implorato di non mandarla da qualche parte a nascondersi con i bambini: «Se succede qualcosa, voglio morire con te. E anche i bambini». Kennedy era scettico sull’intervento in Vietnam e col fratello Robert voleva deragliare Johnson: «Ti immagini cosa succederebbe al paese, se Lyndon diventasse presidente?». Aveva qualche dubbio anche su Roosevelt: «Chiamarlo ciarlatano sarebbeingiusto, ma ha fatto un sacco di cose discutibili». Aveva deciso di cacciare il capo dell’Fbi Hoover e voleva lanciare la campagna di rielezione nel 1964 con una viaggio storico nell’Urss. Temeva per la sua vita, e una volta aveva chiesto allo storico David Donald: «Lincoln sarebbe stato così grande, se non fosse morto?».

Jacqueline dice che prendeva le sue opinioni da lui e le donne «non dovrebbero fare politica», idea poi cambiata. Ma ci aggiunge di suo: Martin Luther King era un «falso», perché l’Fbi lo aveva intercettato mentre organizzava incontri adulteri con donne; Charles De Gaulle era un «egocentrico»; Indira Gandhi «una donna orribile»; Churchill ormai un rimbambito; e la moglie di Johnson, Lady Bird, «un cagnolino ammaestrato». Spiega che le donne liberal preferiscono Adlai Stevenson a suo marito perché «hanno paura del sesso», e con un sussurro scivola anche nel pettegolezzo: «Non mi sorprenderebbe se Clare Boothe Luce (ex ambasciatrice Usa in Italia) e la cognata del presidente del Sud Vietnam fossero lesbiche». A Washington si fidava solo di Bob Kennedy, il ministro della Difesa McNamara e il consigliere Bundy, mentre «l’uomo più affascinante con cui ho parlato è André Malraux».

Discuteva col marito anche il comportamento degli ambasciatori, demolendo ad esempio l’inviato in Pakistan McConaughy, e ricordava un imbarazzante incontro col dittatore indonesiano Sukarno, molto orgoglioso della sua collezione di dipinti erotici. Era lui che le inculcava le opinioni, o il contrario?

Anche gli aspetti privati si mescolano alla narrazione, inclusi i tremendi mal di schiena. Jackie descrive il suo matrimonio come «terribilmente vittoriano o asiatico», ma professa devozione assoluta per Jack. Rivela che lui pregava come un bambino, forse per superstizione, e quando era a Palm Beach andava a confessarsi in incognito. Ricorda che la sera dell’inauguration era distrutta, e andò al ballo solo grazie ad una pasticca di Dexadrine. Non parla di Dallas, a parte la campagna di odio sui giornali contro il marito, «che ha contribuito ad ucciderlo». Rammenta Camelot come il periodo più bello della sua vita, condiviso però con un uomo che aveva un lato malinconico: «Quando gli domandavo cosa volesse di più dalla vita, rispondeva che rimpiangeva di non essersi diverto abbastanza. Mi addolora soprattutto questo, che i suoi anni migliori fossero quelli che non ha vissuto».

da - http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/419970/
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