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Autore Discussione: CESARE MARTINETTI Battisti, le mille maschere del terrorista scrittore  (Letto 2743 volte)
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« inserito:: Agosto 31, 2011, 10:15:44 am »

31/8/2011 - ANALISI

Battisti, le mille maschere del terrorista scrittore

Ha raccontato a francesi e brasiliani una guerra civile che non è mai esistita

CESARE MARTINETTI

Cesare Battisti è ricomparso in atteggiamento di mannequin sulla copertina di una rivista brasiliana. Lo sguardo è quello di sempre, un belloccio di provincia, vissuto e strafottente. È lo sguardo che aveva quando venne scarcerato dalla Santé in attesa del giudizio sulla sua estradizione della corte d’appello di Parigi. È lo stesso di quando i giornali francesi lo intervistavano come un divo: «... homme aux yeux obliques, au regard vif...», scriveva rapita su Le Monde Raphaëlle Rerolle nel settembre 2002. Occhi obliqui, sguardo vivo. E parole al vento.

Adesso che si sente al sicuro in terra brasiliana, dove un ministro grottesco come Tarso Genro gli ha regalato lo status di rifugiato politico e un presidente ambiguo come Inácio Lula da Silva ha negato giustizia all’Italia, Battisti le spara grosse. Nella penultima intervista aveva confessato la sua passione per le donne brasiliane; in quest’ultima dice che non si pente nulla, perché «non posso pentirmi di quello che non ho commesso».

Ma non è sempre stato così, l’uomo dallo «sguardo vivo», ha avuto nel corso degli anni altre facce e altre parole. Quando se ne stava al sicuro a Parigi e sembrava che il governo italiano avesse definitivamente rinunciato a reclamare l’estradizione dei rifugiati condannati per omicidio, le sue interviste erano di ben altro tenore. Se ne ricorda una in cui ammetteva di «avere le mani sporche non soltanto di inchiostro».

Altre in cui raccontava l’Italia degli anni di piombo come un paese in guerra civile: «Si sparava da una parte e dall’altra...» Ed è questa la favola, bevuta e rilanciata da quel milieu gauchista parigino, che è partito il gran battage in sua difesa. Si legge ancora nell’intervista del 2002 su Le Monde: «Battisti s’era impegnato nella lotta armata perché “sono le circostanze che fanno l’uomo”...In quell’Italia che ancora non si era ripresa dal fascismo “il potere ci aveva spinto sul terreno delle armi”... Battisti non accetta di sciogliere attraverso il pentimento il nodo di contraddizioni che si stringono al collo di coloro che uccidono per difendere un’idea di giustizia e di libertà»...

In quest’ultima frase, per quanto contorta, c’è di fatto l’ammissione di aver ucciso o di aver partecipato a uccisioni. E infatti Battisti, fino a prima del suo arresto, non ha mai negato ciò di cui era accusato, in particolare i quattro omicidi compiuti dai Proletari armati per il comunismo (Pac). E nemmeno dopo l’arresto francese (primavera 2004). È soltanto dopo la prima pronuncia della giustizia parigina (sì all’estradizione) che lo «sguardo vivo» s’è annebbiato (l’uomo si riteneva al sicuro sotto lo scudo della dottrina Mitterrand) e la sua faccia è cambiata.

Da quel momento in poi Battisti non è più stato il combattente della libertà che «ha dovuto impegnare le armi sotto la repressione poliziesca» (sempre da Le Monde), ma il militante incastrato dalla vendetta dei suoi ex compagni pentiti. Solo allora Battisti ha abbandonato una difesa militante (tagliando così i ponti con il mondo dei rifugiati italiani in Francia guidato da Scalzone e Persichetti) per assumere una tardiva difesa sui fatti: «Non ho ucciso nessuno».

Fuggito in Brasile grazie a un passaporto procuratogli dai servizi francesi (un dettaglio che ha rivelato lui stesso) mentre il Consiglio di Stato confermava a Parigi il sì all’estradizione, per tre anni ha vissuto in clandestinità e quando è ricomparso agli arresti (2007) Battisti ha definitivamente trasfigurato il suo volto in quello di un perseguitato: «L’estrema destra italiana mi vuole in carcere per farmi la pelle... Se entro in una prigione italiana non ne esco vivo...» Fino alla sublimazione del grottesco berlusconiano: «I giudici comunisti ce l’hanno con me, mi vogliono in galera per vendetta». Adesso che tutto è finito può riprendersi lo sguardo vivo e strafottente: «Non ho niente di cui pentirmi».

Al di là della miserabile vicenda personale di Cesare Battisti, la lettera del presidente Napolitano a Giuliano Turone autore di un documentatissimo libro-inchiesta dentro gli atti del processo che ha giustamente condannato l’ex terrorista a quattro ergastoli, rilancia la vera questione: perché l’Italia non ha saputo trasmettere il senso della sua storia? Gli anni di piombo e i compagni di Battisti sono stati sconfitti da un paese e da una giustizia democratica che ha giudicato i suoi nemici con gli strumenti dello stato democratico. Le assurdità che abbiamo letto su Le Monde (anche se poi il giornale parigino ha largamente cambiato posizione) e che tuttora leggiamo sui giornali brasiliani sono il prodotto di quell’errore. O meglio di un deficit di coscienza nazionale di elaborazione e condivisione della propria storia di cui sono tutti responsabili: governi (di ogni colore), politici, scrittori, intellettuali. E forse un po’ tutti noi.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9148
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