LA-U dell'OLIVO
Novembre 27, 2024, 11:20:44 pm *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: Antonio FERRARI. Spettatori no  (Letto 2531 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Agosto 23, 2011, 10:08:51 am »

Spettatori no

Nessuno può dire con certezza quale sarà l'esito complessivo delle varie rivolte arabe, anche perché ciascuna sta seguendo un proprio percorso. La caduta di Tripoli restituirà alla comunità internazionale una Libia ricca di risorse energetiche ma senza una guida sicura. Almeno per adesso non si vede un'autorevole e democratica leadership che possa pilotare la ripartenza. Saif al-Islam, il figlio più presentabile di Gheddafi, dissertava spesso sull'inutilità di riforme democratiche nel suo Paese, innervato nelle logiche dei rapporti (e dei conflitti) tra le varie tribù. Tuttavia, questa era la comune e comoda visione di tutti i protagonisti dei regimi che, puntando sull'immobilismo e sulla corruzione, negavano ai loro popoli la possibilità di crescere e di conoscere le opportunità offerte dal mondo libero.

La scossa della Tunisia, Paese-battistrada delle rivolte arabe, ha creato l'illusione di un processo rapido e agevole, favorito dai giovani, dai social network e dal valore aggiunto di un'istruzione medio-alta capillare e diffusa. Che, via Internet e tv satellitari, ha indubbiamente influenzato e incoraggiato l'Egitto, il più importante Paese arabo, a liberarsi dalla rassicurante tirannia del passato.

Certo, osservando ogni singolo Paese della sponda sud del Mediterraneo, si rischia di restare frastornati. I ragazzi di piazza Tahrir hanno offerto al mondo un esempio di straordinaria determinazione. Esempio, se possibile ancora più forte, stanno offrendo gli eroici siriani che, scendendo in piazza, sfidano ogni giorno i feroci aguzzini del regime. Molte cose stanno cambiando, ma se misuriamo l'accaduto con il metro delle prime difficoltà, rischiamo lo smarrimento. L'estremismo islamico, che Gheddafi in Libia, Ben Ali in Tunisia, Mubarak in Egitto e Assad (padre e figlio) in Siria hanno violentemente represso, sta rialzando la fronte. Il pericolo, come dimostrano gli attentati di Eilat, con i fanatici in arrivo dal Sinai che si raccordano con quelli di Gaza, è che si riproducano i fantasmi dello scorso decennio, insanguinato dal terrorismo internazionale. Questo può spiegare perché Israele, improvvisamente tornato fragile, non abbia certo gioito per la defenestrazione del partner Mubarak e oggi non si scaldi nel condannare le brutalità del laico regime dittatoriale di Assad. Ecco perché il silenzio di Israele, turbato anch'esso da una vigorosa protesta giovanile, fa capire quali siano le incognite di una regione profondamente scossa. Che può contare su dosi sempre più ridotte di quel sostegno finanziario che veniva garantito da un mondo oggi costretto a dimagrire anche a casa propria.

Tuttavia, se guardiamo la spinta delle «primavere arabe» con il grandangolo ne scopriamo lo straordinario potenziale. I giovani manifestanti hanno dalla loro la forza di una cultura diffusa; la certezza di non poter più contare sui privilegi garantiti dagli spiccioli della corruzione; la solidarietà e il sentirsi «parte di un nuovo mondo» sulle autostrade senza frontiere del web. Almeno due Paesi, Marocco e Giordania, ascoltando i bisogni dei rispettivi popoli, hanno avviato piani di riforme. A Rabat re Mohammed VI le ha già varate; ad Amman re Abdallah II le sta preparando. La bozza della nuova Costituzione giordana è pronta, con cambiamenti significativi.

L'Unione europea, dopo aver parlato tanto di partenariato e alleanza Nord-Sud, ha continuato a favorire progetti post coloniali. Quanto sta accadendo nel mondo arabo dovrebbe invece diffondere la convinzione che esiste la possibilità di trasformare le «rivolte primaverili» in una vera opportunità, o incoraggiare i vari Paesi perché la diventi. Ne avrebbero immediati vantaggi i nostri dirimpettai ma ne avremmo anche noi. Soprattutto se è vero, come sostengono numerosi studiosi ottimisti, che quando finirà questa devastante stagione di turbolenze si aprirà davvero la fase di una nuova e matura consapevolezza. E forse di armonia.

Antonio Ferrari

23 agosto 2011 07:40© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/editoriali/11_agosto_23/spettatori-no-antonio-ferrari_0344ec5e-cd45-11e0-8914-d32bd7027ea8.shtml
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Agosto 25, 2011, 11:28:36 am »

LA TESTIMONIANZA

Una missione difficile e incompresa

Andare a vedere per capire, la missione dell'inviato


A i miei quattro colleghi sequestrati in Libia: «Coraggio, non mollate. Sappiate che avete la sola colpa di aver compiuto con onore il vostro dovere». Due di loro li conosco bene, uno poco; una, Elisabetta, è un'amica, anzi è la migliore amica che uno possa immaginare. Buona, seria, discreta, incapace di concepire l'egoismo, e soprattutto dotata di una penna decisamente superiore in un momento di dilagante mediocrità.


Lei è l'esatto contrario della sottocultura vincente dell'apparire. Quando l'altro giorno, prima di partire, mi aveva chiesto qualche consiglio, ricordando che era il suo primo viaggio in Libia dopo una vita professionale che l'ha vista cronista, corrispondente dall'estero e inviata di punta in mezzo mondo, non le avevo suggerito nulla, se non l'incoraggiamento a raccontare quel che vedeva. Bene, benissimo, come lei sa fare come pochi.
Non hanno fatto nulla di male i nostri quattro colleghi, e a onor del vero non volevano fare nulla di clamoroso. Non cercavano scoop o esclusive. A poche decine di chilometri da Tripoli volevano trovare una vicenda, che so, una storia efficace, un dettaglio umano per raccontare l'epilogo di un conflitto. Una storia che nessuna pagina di Internet, nessuna immagine televisiva può suggerire o anticipare. Facevano quello che i grandi inviati e i grandi cronisti hanno sempre fatto: andare a vedere, e poi essere capaci di riflettere su ciò che avevano visto.


Tutti e quattro sono cresciuti nel mondo della cronaca, ed hanno imparato a frequentare i sacrifici di una missione. Sguardo sveglio, curiosità, intelligenza, e soprattutto pronti alla fatica, anche fisica. A nessuno di loro poteva sfuggire che il momento peggiore, quindi più pericoloso di una guerra è proprio la fase finale, dove ormai è chiaro che un fronte ha vinto (o vincerà), ed è altrettanto chiaro che altri saranno costretti alla sconfitta. Non ad accettarla, perché ci vuole sempre molto coraggio ad accettare una sconfitta, ma a doversi piegare a chi è riuscito a prevalere. Magari dopo aver costruito, per decenni, una carriera, oppure un confortante orticello, o magari una fortuna, una ricchezza. Quanto è accaduto ai quattro colleghi sembra riproporre un feroce copione. Mentre i giornalisti andavano a cercare di ascoltare le ragioni di ciascuno, i sensali del proprio interesse, dell'avidità, dell'egoismo, li hanno fermati, depredati di tutto (soldi, ma soprattutto computer e satellitari, cioè i preziosi strumenti di lavoro), e dopo aver ucciso il povero autista, di cui forse nessuno ricorderà il nome, li hanno consegnati ai militari, probabilmente leali al colonnello Gheddafi.


Sono le spietate logiche di un conflitto che si sta concludendo, anche se non è detto che possa concludersi in fretta. Sono questi i momenti nei quali la vigilanza deve essere massima. Infatti, in questi momenti i codici «cavallereschi», se così si può ancora dire, vanno in pensione. Ora trionfano i calcoli dell'immediato tornaconto e in qualche caso della vendetta. Chi ha vissuto questi momenti può testimoniarlo. È accaduto in Libano, in Iraq, nel Kosovo, in Afghanistan, durante guerre che sono cominciate e sono finite, e ai margini di conflitti ancora in corso e sanguinanti. A volte, anzi più di una volta ci siamo domandati angosciosamente se valga sempre la pena andare a vedere per raccontare, per testimoniare, per dimostrare che il giornalismo vero non è morto, e non è al servizio del potere. La risposta dei tanti che ci credono è laconica: sì, vale la pena.
Quel che conforta è che, dopo una giornata vissuta nel terrore, i nostri quattro colleghi - come conferma la Farnesina - stanno bene. Saranno pure in buona salute, ma consentite a chi scrive di immaginare che cosa alberghi nella loro mente e nel loro cuore. Ciao, cari colleghi, cari amici. Un forte abbraccio e forza!

Antonio Ferrari

25 agosto 2011 07:17© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/esteri/11_agosto_25/giornalisti-rapiti-ferrari_47fc2764-ced9-11e0-9639-95c553466c70.shtml
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!