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Autore Discussione: L'8 settembre, la patria non muore  (Letto 2876 volte)
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« inserito:: Settembre 08, 2007, 09:19:08 pm »

8/9/2007
 
L'8 settembre, la patria non muore
 
 
 
ALFIO CARUSO
 
La sera dell'8 settembre '43, poco dopo la diffusione del comunicato radiofonico con cui Badoglio ha annunciato l'armistizio, gli alpini della Pusteria attaccano truppe tedesche in transito nei pressi di Grenoble. A Gap l'11° reggimento delle penne nere è accerchiato da reparti corazzati: combatterà aspramente fino al mattino seguente. Nelle stesse ore a Buccoli di Conforti, vicino Salerno, il generale Ferrante Gonzaga del Vodice, comandante della 222a divisione costiera, viene sorpreso con pochi uomini in un osservatorio. Il generale ha già dato disposizione di non arrendersi. Davanti all'intimazione del colonnello germanico estrae la pistola imitato dalla sua scorta: vengono subito abbattuti. A Castellamare di Stabia i capitani di corvetta Michelangelo Flaman e Domenico Baffigo conducono i propri marinai in aiuto del colonnello Olivieri. Il presidio italiano respinge per un giorno intero diversi assalti. Dopo la resa, Baffigo, Olivieri, il capitano Ripamonti e il tenente del genio navale Ugo Molino della Corderia vengono portati a Napoli e fucilati senza processo. Eguale sorte a Nola per i colonnelli Ruberto, De Pasqua e otto ufficiali che hanno guidato la resistenza. A Piacenza gli allievi carristi si barricano nella caserma fino al mattino seguente con oltre trenta morti. A Crema è un sottufficiale di artiglieria, Fleres, ad animare una lotta disperata.

Mancano ordini, tacciono i comandi
Mancano ordini, molti gettano armi e divise, tacciono i comandi, la ferocia del tedesco non dà scampo, tuttavia i ragazzi della generazione sfortunata, gli italiani delle arti e dei mestieri andati in guerra per obbedire alla cartolina precetto, intuiscono che per far voltare pagina alla Storia bisogna sacrificarsi. Dalla Francia al Montenegro, dalla Dalmazia all'Albania, dalla Grecia alle isole joniche e dell'Egeo soldati e ufficiali del regio esercito s'immolano ovunque. Sono decine e decine gli episodi nei quali i militari antepongono l'onore alla sopravvivenza, la difesa dell'identità nazionale al tornaconto personale. L'8 settembre non è il giorno del tutti a casa né quello in cui muore il sentimento della Patria. Anzi, è il giorno della rinascita grazie a quanti si riconobbero nel tricolore.

A Radicofani e ad Abbadia San Salvatore lottano le compagnie della Ravenna. A Montepulciano imbracciano il fucile i carristi appiedati. Fra Cecina e Orbetello battesimo del fuoco per la 215a divisione costiera. A Piombino gli artiglieri del capitano di vascello Capuano affondano i mezzi navali tedeschi e difendono le attrezzature di collegamento con l'Elba. A Livorno gli artiglieri del maggiore Gamerra tirano sul nemico finché non scorgono cadere l'eroico comandante. Da Carrara a La Spezia si batterà fino al 14 il battaglione del maggiore Amedeo Cordero di Montezemolo. A Bolzano vanno a morire i carabinieri. A Bressanone e a Longarone il ricostituito battaglione Morbegno della Tridentina, distrutto in Unione Sovietica, si apre la via fino ai monti. Gli alpini della Cuneense provano a tenere le posizioni, prima di darsi alla macchia in val di Sole. Udine resiste fino al 10, a Gorizia il colonnello Gatta non molla fino al 13. Le guardie di frontiera sparano al passo di Piedicolle e al Tolmino. I battaglioni della Sforzesca combattono intorno a Trieste, quello del maggiore Giudici respinge diverse inviti alla resa e viene annientato.

Spesso ai militari si uniscono studenti, operai, impiegati, anziani reduci del '15-'18. Sono stanchi della guerra, ma il risentimento contro l'ex alleato e la voglia di cambiare li fanno andare sulle barricate a Teramo, ad Ascoli, a Barletta, a Bari. A Roma l'episodio più conosciuto con i 241 morti di Porta San Paolo dove granatieri, cavalleggeri senza cavalli e giovani accorsi da ogni quartiere per quasi due giorni bloccano le colonne nemiche. I capitani Camillo Sabatini e Francesco Vannetti Donnini sono l'anima della lotta fino alla morte. Hanno per padri anziani generali, i quali torneranno sul campo alla testa di due formazioni di patrioti, la Monte Sacro e la Sant'Agnese.

L’eroico collonnelo Bechi Luserna
In Sardegna, malgrado le incertezze del generale Basso, i fanti del 132° contendono ai granatieri di Lungershausen il ponte sul Tirso; alla Maddalena i marinai del capitano di vascello Avegno affondano il naviglio germanico presentatosi per impossessarsi della base. Nei pressi di Cagliari è acquartierata la Nembo, la divisione paracadutista erede della Folgore sterminata a El Alamein. Qui avviene l'unico passaggio di campo: il maggiore Rizzati convince un paio di compagnie a seguire i camerati della 90° divisione diretti in Corsica. Il colonnello Alberto Bechi Luserna, tra i pochi sopravvissuti di El Alamein, prova a fermarli: una raffica di mitra lo abbatte. In Corsica la sera dell'8 il generale Magli, comandante dell'VII corpo d'armata è a cena con il suo omologo tedesco von Senger und Etterlin. Poco prima di sedersi a tavolo vengono informati dell'armistizio. Il pasto scivola via in un'atmosfera di gelo. I due alti ufficiali si accomiatano con la promessa di rispettare le posizioni. Viceversa i marinai tedeschi di Bastia tentano un colpo di mano contro la torpediniera Ardito e il piroscafo Humanitas: la veemente reazione dei nostri sventa l'aggressione e manda gambe all'aria ogni ipotesi di accordo. Magli ordina al generale Cotronei di muovere la Friuli e s'abbocca con il colonnello Paul Colonna d'Istria, capo dei maquis isolani, per un'azione congiunta su Bastia. L'attacco di bersaglieri, marinai, fanti, partigiani, appoggiati dai cannoni della Friuli, provoca centinaia di perdite nel contingente di Setter e il suo ripiegamento dalla città.

In Albania si spara e si muore nei porti di Durazzo e di Valona. Nei giorni seguenti sul molo di Porto Palermo vengono fucilati per rappresaglia il generale Chiminiello, comandante della Perugia, e 140 tra ufficiali e sottufficiali. La testa di Chiminiello è mozzata e issata su un palo, barbaro ammonimento ai disobbedienti. La strage, per la quale mai alcuno pagherà, viene compiuta dai cacciatori di montagna dell'Edelweiss, gli stessi che si lorderanno le mani con il sangue della Acqui a Cefalonia. Anche le divisioni Arezzo e Firenze pagano con fucilazioni e prigionieri sgozzati il tentativo di sottrarsi alla cattura.

Il sacrificio di 25 mila militari
Il generale Robotti, responsabile della 2ª armata, dirama l'ordine di non cedere alle proprie divisioni in Croazia, in Slovenia, in Dalmazia. Soldati e ufficiali della Messina, della Bergamo, della Zara, della Marche contendono il territorio ai panzer della Prinz Eugen. Molti muoiono, diversi riescono a raggiungere sui monti le formazioni di Tito, dove daranno vita al battaglione Garibaldi, che poi diventerà la Divisione italiana partigiana Garibaldi. Gli alpini della Taurinense conquistano i forti di Gruda prima di unirsi all'esercito di liberazione jugoslavo. I generali e gli ufficiali che si arrendono finiscono al muro. A Spalato sono giustiziati i generali Cigala Fulgosi, Pellagra, Policardi e 46 ufficiali. Cigala ottiene di andare a casa per indossare i guanti bianchi. Davanti al plotone strappa dal petto la croce di ferro e la scaglia al suolo gridando: «Viva l'Italia».

Non ha esitazioni il generale Vecchiareli, alla testa dell'11a armata in Grecia: contrabbanda la propria sopravvivenza con l'ordine di consegna delle armi. Sul territorio metropolitano soltanto la Pinerolo del generale Infante riesce a raggiungere le vette del Pindo dove operano i partigiani comunisti. Ci si batte invece a Rodi e soprattutto a Coo, a Lero. A Cefalonia e a Corfù la Acqui s'appresta a scrivere quello che il presidente Napoletano ha definito l'atto fondante della resistenza. A Corfu al 18° reggimento del colonnello Lusignani si affiancheranno fino al tragico epilogo i fanti del 49° reggimento della Parma: in mezzo a mille peripezie sono scappati da Sani Quaranta per seguire il colonnello Bettini.

Tra l'8 settembre e il 24 settembre, quando i tedeschi fucileranno alla casetta rossa di Argostoli gli ultimi 130 ufficiali della Acqui, circa 25 mila militari rinunciano alla vita pur di avviare il riscatto del Paese.

da lastampa.it
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