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Autore Discussione: INDRO MONTANELLI Dieci anni senza Indro giornalista controcorrente  (Letto 2201 volte)
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« inserito:: Luglio 22, 2011, 04:14:21 pm »

Cultura

22/07/2011 - 2001-2011 INDRO MONTANELLI

Dieci anni senza Indro giornalista controcorrente

Indro Montanelli nacque a Fucecchio (Fi).
Dopo aver girato il mondo, nel 1938 entra al Corriere dove passa gran parte della sua carriera


Si parla ancora del suo rapporto con Berlusconi dal '94 in poi ma riguarda solo una piccolissima parte della sua carriera

MICHELE BRAMBILLA

Cade oggi il decimo anniversario della morte di Indro Montanelli. E purtroppo per lui le commemorazioni - partite con largo anticipo - vertono quasi tutte su un unico tema: il suo rapporto con Berlusconi dal ’94 in poi. Degli oltre settant’anni di giornalismo di Montanelli - che quando morì aveva 92 anni - se ne considera solo un dieci per cento scarso. Facendo torto a una carriera, anzi a una vita, straordinaria anche per l’aver testimoniato un secolo ricco di cambiamenti come nessun altro.

Ma è così: ormai gli italiani sembrano non poter parlare - nel bene e nel male - che di lui, per «lui» intendendo non Montanelli, ma il Cavaliere. Gli antiberlusconiani fanno di Indro una bandiera: un uomo di destra che si ribellò a una destra becera e piazzaiola. E i berlusconiani accusano gli antiberlusconiani (perdonate le ripetizioni: ma anche noi siamo ostaggi di queste diatribe monotematiche, anzi monomaniacali) di opportunismo e di ipocrisia, ricordando che molti di coloro che ora incensano Montanelli sono gli stessi che negli Anni Settanta lo consideravano un reazionario da mettere al bando.

Sono vere tutte e due le cose. Ma non sono la verità. Perlomeno non sono «tutta la verità». Siamo ormai abituati a dividerci, su ogni argomento, in due partiti, pro e contro, e a vedere tutto bianco o tutto nero, senza mai mettere in conto neppure la possibilità che ci sia qualche grigio.

Si contesta a Montanelli di aver voltato le spalle a Berlusconi dopo aver detto, per molti anni, che era il miglior editore che un direttore si potesse augurare. I due divorziarono quando il Cavaliere decise di entrare in politica. Aveva tutto il diritto di farlo, così come aveva tutto il diritto di pretendere che il suo Giornale lo appoggiasse. Montanelli lo abbandonò, e per questo gli hanno dato e gli danno dell’ingrato. Ma chi fra i due aveva cambiato il rapporto? Quando parlava di «miglior editore possibile», Montanelli parlava di un Berlusconi che faceva solo l’imprenditore, non il capo di un partito. Fu insomma un divorzio inevitabile e anzi doveroso: non un tradimento.

Certo: dopo quel divorzio, lo scontro si fece aspro. Anche perché emerse allora, in tutta la sua forza, la differenza antropologica: erano due uomini incompatibili, come spiega bene Massimo Fini nell’introduzione al libro appena uscito «Ve lo avevo detto» (Rizzoli, 179 pagine, 12 euro) che raccoglie gli scritti diMontanelli su Berlusconi. E in quello scontro aspro la sinistra adottò Indro con una disinvoltura sospetta.

È giusto infatti ricordare che cosa la sinistra - e buona parte della stampa borghese che a quella sinistra si accodò - disse e scrisse di Montanelli negli Anni Settanta, che furono quelli della violenza di piazza, del terrorismo, delle bombe.Quando le Brigate Rosse spararono alle gambe di Montanelli (2 giugno 1977) «soltanto i miei vecchi amici-nemici Eugenio Scalfari e Giorgio Bocca ebbero il coraggio di manifestarmi la loro solidarietà», raccontò lui in un’intervista nel 1985. Ma in quel giugno 1977 ci si faceva scrupoli perfino a nominarlo, Montanelli. Il Corriere della Sera, giornale che Indro considerava la sua seconda pelle per averci lavorato 35 anni, titolò «I giornalisti nuovo bersaglio della violenza - Le Brigate Rosse rivendicano gli attentati». Il nome del «giornalista nuovo bersaglio» compariva solo nella seconda riga di un sommario scritto con carattere da avvertenze farmaceutiche, e solo dopo il nome di un altro giornalista ferito,Vittorio Bruno del Secolo XIX.

Tutto questo è giusto che sia ricordato. Meno giusto è però considerare la sinistra come un qualcosa di disincarnato e immutabile. Quella di allora, non è quella di oggi. Non c’è più il terrorismo. Non c’è più il comunismo. Montanelli lo sapeva bene e a chi gli rimproverava - dopo la discesa in campo di Berlusconi - di non combattere al suo fianco contro i comunisti, rispondeva: «Io le battaglie le faccio contro i vivi. Non contro imorti».

Si possono avere opinioni diverse, su Montanelli. Ma dargli del voltagabbana vuol dire dimenticare che i voltagabbana sono quelli che, quando cambiano idea, salgono sul carro di chi sta vincendo, non di chi sta perdendo. Montanelli lasciò Berlusconi che stava per diventare presidente del Consiglio per fondare un giornale, La Voce, tanto fragile da morire in culla. Così come quando decise di rompere con il fascismo, ruppe nel momento di maggior consenso del regime. Era il 1937 e da inviato del Messaggero seguiva la guerra civile spagnola. Scrisse che per le truppe italiane la battaglia di Santander non era stata l’epica impresa che il fascismo voleva far credere, ma «una passeggiata con un solo nemico: il caldo». Fu licenziato, radiato dall’Albo dei giornalisti e finì in Estonia a lavorare.

Montanelli è stato molto di più di quello che si sta scrivendo in questi giorni. Come giornalista, è stato un narratore senza pari: a volte infilava aneddoti inventati, ma gli servivano per comunicare fatti o caratteristiche reali. Come uomo, è stato molto meno burbero di quel che si racconta. Era un uomo dolce, e tutt’altro che attaccato ai soldi; aveva bizzarre convinzioni, come quella che non si deve mai dividere un tetto con una donna, e faceva tenerezza quando a una certa ora della sera, qualunque cosa accadesse al giornale e nel mondo, si chiudeva in ufficio per vedere l’ispettore Derrick. Non era neppure quell’ateo che dicono. Non aveva fede, ma avrebbe voluto averla come s’era augurata, per tutta la vita, sua mamma. Chissà: morì un 22 luglio, giorno di Santa Maddalena, alla clinica Madonnina mentre nel Duomo di Milano, ch’è dedicato a Maria nascente, si celebrava una messa fatta dire dal suo amico Gaetano Afeltra in suffragio delle mamme di tutti e due, che si chiamavano entrambe Maddalena.

Quel giorno se ne andò, come lui si definiva, «soltanto un giornalista ». Ma il più grande di tutti.

da - http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/412545/
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