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Autore Discussione: Depositata la perizia sulle 73 telefonate riguardanti sei politici  (Letto 9620 volte)
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« inserito:: Giugno 12, 2007, 06:23:53 pm »

Intercettazioni, Amato: «Una follia tutta italiana»


Il ministro degli Interni Giuliano Amato - martedì a Lussemburgo, dove partecipa al Consiglio Ue - si è detto «perplesso» per quella che ha definito «la follia tutta italiana» della diffusione sulla stampa delle intercettazioni telefoniche. Indipendentemente dalla loro rilevanza processuale. «È chiaro che il sistema da noi non funziona: non è possibile che dalle sedi giudiziarie esca tutta questa roba», ha affermato Amato.

Insomma, il giorno dopo la diffusione delle intercettazioni sul caso Unipol, non si placano le polemiche nel mondo politico. I Ds, sotto attacco per le conversazioni tra Massimo D'Alema, Piero Fassino e altri con l'ex presidente di Unipol Giovanni Consorte, hanno reagito con fermezza. Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, sottolinea l'urgenza che si approvi il ddl sulle intercettazioni che, dopo il sì all'unanimità della Camera, è fermo in commissione giustizia al Senato.

Secondo il Guardasigilli, bisogna fare presto «per evitare che ritorni in Italia questo conflitto tra politica e magistratura, che ritorni una stagione velenosissima peggio delle vicende catilinarie». E si lamenta del fatto che dal 17 aprile - quando il ddl ha avuto il via libera di Montecitorio, tra l'altro dopo 7 mesi di impasse - sia fermo al Senato mentre invece «poteva essere approvato in una settimana». Due mesi fa il testo era stato licenziato anche sull'onda delle polemiche nate a metà marzo dal caso Sircana. Polemiche a parte, entrambi i poli vogliono una regolamentazione della diffusione delle intercettazioni e dicono no alla gogna mediatica.

Renato Schifani (FI) parla della disponibilità del suo partito a votare il ddl: «Confermiamo di essere pronti a fare la nostra parte come è sempre accaduto in questi mesi, per approvare rapidamente il ddl sulle intercettazioni. Dispiace però doversi occupare di questi argomenti solo quando la polemica emerge. Sarebbe stato più giusto farlo prima, lontano da ogni ipotesi di sospetto». Caustico Francesco Storace (An) che osserva: «La cosiddetta opposizione sul caso Unipol è stupefacente. Prevale l'amor di casta e rinuncia ad inchiodare una maggioranza senza vergogna. Si teme qualcosa?».

Secondo Gennaro Migliore (Prc) «le intercettazioni devono essere regolate». Critico Massimo Donadi (Idv) sul fatto che «la continuità tra la politica e la lega delle cooperative non è una cosa sana. Nelle grandi operazioni economiche, la politica deve fare da arbitro non da giocatore». Intanto, Consorte si limita a dire che «in quelle telefonate non c'è niente da capire. Comunque sono tutte a mio favore, e siamo appena agli inizi». E Nicola Latorre, coinvolto pure lui nelle intercettazioni, si è concesso una battuta: «Non parlo. Anzi, parlo solo al telefono...».

Pubblicato il: 12.06.07
Modificato il: 12.06.07 alle ore 15.58   
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 12, 2007, 06:36:29 pm »

POLITICA

Depositata la perizia sulle 73 telefonate riguardanti sei politici

Sono consultabili solo dagli avvocati, ma i contenuti stanno già uscendo

La telefonata tra D'Alema e Consorte "Vediamoci, attento alle comunicazioni"

C'è la famosa frase "abbiamo una banca" pronunciata da Fassino

La Torre (Ds) del segretario della Quercia: "Non capisce un tubo"

 
MILANO - D'Alema che parla con Consorte, lo invita a fare "attenzione alle comunicazioni" a evitare le telefonate e parlare del tema in un faccia a faccia a casa di La Torre, lo stesso Consorte che informa Fassino della raggiunta maggioranza in Bnl, Nicola La Torre (parlamentare Ds) che bolla così il suo segretario, Fassino: "Non capisce un tubo".

Sono alcuni dei contenuti che emergono dalla perizia con la trascrizione delle intercettazioni su 73 telefonate fra alcuni politici e alcuni indagati nell'inchiesta sulle scalate ad Antonveneta, Bnl e Rcs. La perizia è stata depositata questa mattina dal Gip Clementina Forleo. Ora è al settimo piano del palazzo di Giustizia di Milano. Pagine e pagine in cui parlano, tra gli altri, sei parlamentari sia del centrodestra che del centrosinistra: Massimo D'Alema, Piero Fassino, Nicola Latorre, Romano Comincioli, Salvatore Cicu e Luigi Grillo.

Un documento, diviso in quattro blocchi, che riguarda i cellulari dell'ex presidente di Unipol Giovanni Consorte, dell'ex ad di Bpi Gianpiero Fiorani, dell'immobiliarista romano Stefano Ricucci e di Cristina Rosati, la moglie (non indagata) dell'ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio.

Precedute da numerose polemiche e da un carteggio tra i magistrati e i vertici parlamentari che ha dato vita a un protocollo che ne disciplina la consultazione, le intercettazioni saranno consultabili al settimo piano del Palazzo di Giustizia. Gli avvocati potranno visionarle e prendere appunti ma non farne copia. Il tutto sotto l'occhio vigile del gip Forleo che sarà presente nella stanza e controllerà i legali. Divieto assoluto di usare macchine fotografiche, cellulari e scanner.

Le telefonate. In una telefonata del 14 luglio 2005 l'attuale ministro degli Esteri disse all'ex presidente di Unipol, Giovanni Consorte, che avrebbero dovuto parlarsi di persona perché Consorte avrebbe dovuto stare attento alle comunicazioni. In una telefonata successiva, D'Alema dice a Consorte di parlare con il senatore diessino Nicola Latorre. L'attuale ministro degli Esteri e il finanziere si mettono d'accordo per vedersi, la domenica successiva, a casa di Latorre.

In un'altra conversazione, Consorte parla a D'Alema della scalata Bnl. Commenta D'Alema: "Vai, facci sognare". Replica Consorte: "E' da fare uno sforzo mostruoso ma vale la pena a un anno dalle elezioni".

Il 18 luglio Latorre chiama Ricucci che dice: "Ecco il compagno Ricucci all'appello. Ormai stamattina a Consorte gliel'ho detto, datemi una tessera, non ce la faccio più". Latorre: "Ormai sei diventato un pericoloso sovversivo rosso". Ricucci: "Ho preso da Unipol, io. Tutto a posto, abbiamo fatto tutte le operazioni con Unipol".

E sempre per restare in casa diessina il 17 luglio del 2005, Consorte dice al segretario dei Ds, Piero Fassino, di avere il 51,8% di Bnl e che, nell'operazione, ha coinvolto quattro banche cooperative che fanno capo a Pierluigi Stefanini. In una telefonata precedente del 5 luglio 2005, Fassino aveva chiesto a Consorte istruzioni perchè avrebbe dovuto incontrare Luigi Abete e non sapeva che cosa dirgli.

Ancora Latorre e le sue telefonate con Consorte. In una di queste Latorre si lascia andare su Fassino: "Non capisce un tubo". In un'altra, Ricucci racconta di aver chiesto a Consorte di fargli avere una tessera dei ds: "Non ce la faccio più".

Le reazioni. E sulla polemica legata alla pubblicazione delle intercettazioni, interviene Antonio Di Pietro. "Depositarle è giusto - dice il ministro con alle spalle un passato da pm - Altra cosa è la pubblicazione di quelle intercettazioni telefoniche che, laddove non hanno rilevanza penale, finiscono per essere valutate strumentalmente dal sistema della politica e dell'informazione, in modo da criminalizzare per fatti non commessi i diretti interessati". Mentre il diessino Nicola Latorre, intervistato da Repubblica Tv, taglia corto: "Sono curioso di vedere quali motivazioni saranno date allo spargimento di veleni. Del resto in questi giorni abbiamo già letto molta spazzatura". Chi, invece, parla di "circo mediatico illegale" è il senatore dei Ds Guido Calvi, che spesso ha svolto il ruolo di avvocato dei dirigenti della Quercia.

(11 giugno 2007) 

da repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Giugno 13, 2007, 11:57:03 am »

Intercettazioni /

Fassino chiede uno «scatto» a Prodi

D'Alema vuole la linea dura: reagire

L'ex premier: «Se i giudici sbagliano va detto».

Veltroni propone il comunicato finale

 
ROMA — «Intervenga Prodi»: i Ds chiedono al premier uno scatto dell'azione di governo, altrimenti il rischio è che il vento dell'antipolitica travolga anche lui.

Nella sala dove si svolge il comitato di presidenza dei Ds si respira inquietudine e apprensione. I vertici del partito devono decidere come uscire, se non indenni, almeno solo un po' ammaccati, dalla vicenda delle intercettazioni. Il nervosismo monta, tanto che a un certo punto Piero Fassino comincia a urlare all'indirizzo di Alfredo Reichlin. L'oggetto del contendere non è quello che anima le ansie di tutti lì dentro, ma il Partito Democratico (perché si discute anche di quello, anzi soprattutto di quello Fassino vorrebbe parlare). E lo scatto del segretario che la dice lunga sullo stato di tensione in cui stanno vivendo in questi giorni i Ds.

Massimo D'Alema è per la linea dura: «Dobbiamo difenderci, dobbiamo reagire perché l'atteggiamento dei magistrati non è accettabile. Se sbagliano lo dobbiamo dire. Ci sono dei diritti violati». E ancora: «C'è un attacco contro il nostro partito. Ci sono poteri opachi che ci danno addosso perché siamo l'unica forza organizzata: siamo il loro bersaglio prediletto».

Silenzio. Il ministro degli Esteri spiega che la controffensiva deve essere univoca: o ci difendiamo tutti insieme, o ognuno lo farà per conto suo...
E anche il governo, a questo punto, deve avere un «sussulto», altrimenti rischia pure l'esecutivo Prodi. Ancora silenzio e qualche sguardo interrogativo. Già, il premier deve intervenire, non può pensare di stare in disparte a guardare quel che accade in casa Ds. La Quercia chiama in causa il presidente del Consiglio. E infatti in serata il segretario Piero Fassino va a palazzo Chigi da Prodi a spiegargli che «bisogna raccogliere il disagio del Paese» e reagire a un «clima di impazzimento». L'azione del governo deve subìre, perciò, «uno scatto»: si cominci da subito, con il Dpef. Altrimenti...altrimenti il rischio è che si avveri la profezia che il tesoriere dei Ds Ugo Sposetti sibila nei corridoi di Montecitorio: «Se si continua così si va a votare l'anno prossimo». Non è una minaccia al premier e agli alleati della Margherita, solidali a corrente alternata, ma un'amara constatazione.

Nella sala del comitato di presidenza dei Ds viene evocato anche questo rischio. Ma Fassino, nella sua introduzione, è più cauto di D'Alema. Il segretario non vuole ingaggiare uno scontro con i magistrati, non vuole adombrare macchinazioni. Dice: «Non è un complotto, non possiamo chiuderci in un bunker, dobbiamo rispondere facendo politica, non drammatizzando, perché un grande partito come il nostro non può restare impiccato allo stillicidio delle notizie». Se fosse per il segretario non bisognerebbe neanche spingere sull'acceleratore del provvedimento sulle intercettazioni. Ma da palazzo Madama la capogruppo dell'Ulivo al Senato, la diessina Anna Finocchiaro, dice che bisogna fare presto. I dalemiani mettono sul banco degli accusati il fuoriuscito Cesare Salvi, presidente della commissione Giustizia, che non ha affrettato i tempi.

Dunque nella Quercia ci sono due linee, quella più cauta di Fassino, che vorrebbe portare il dibattito fuori dalle secche della vicenda Unipol e quella di D'Alema che ritiene che non verrà consentito ai Ds di uscirne e che quindi bisogna andare alla controffensiva. E ci sono i fassiniani che fremono perché vorrebbero che il loro segretario non assecondasse il ministro degli Esteri. Ma anche se le linee sono due la ditta è unica. Lo dimostra il fatto che Walter Veltroni, che nelle intercettazioni non è coinvolto, prende la parola per dire: «C'è un clima di indebolimento della politica, per questo escono tutte queste cose, e noi dobbiamo rispondere, politicamente, ovviamente». Ed è proprio il sindaco di Roma a proporre il comunicato con cui si chiude la riunione del comitato di presidenza. Una nota dura in cui si dice: «Non può non essere ragione di grande preoccupazione il tentativo di delegittimazione della politica e dei partiti, che si manifesta in un clima torbido, alimentato da continui veleni. E' in atto non solo un'aggressione ai democratici di sinistra, ma anche un indebolimento delle certezze dello Stato di diritto».

Una sola ditta e, alla fine, anche una sola linea, almeno all'esterno. Perché poi è Fassino ad assicurare tutti con questa frase: «Non ci lasceremo mettere i piedi in testa». Ed è ancora il segretario che va da Prodi. Ed è sempre lui che ai microfoni di Sky Tg24 afferma che «c'è un uso delle intercettazioni volto unicamente a delegittimare sul piano politico e sul piano morale l'onorabilità del nostro partito e l'onorabilità personale di alcuni di noi». «Ma — aggiunge Fassino — non c'è una questione morale».
La riunione finisce, però non cessano malumori e sospetti. I dalemiani meditano sull'opportunità o meno di tirare in ballo la gip Clementina Forleo. Guido Calvi, avvocato e senatore della Quercia, critica i giudici di Milano. Il loro atteggiamento suscita delle «perplessità», dice, e aggiunge: «I giudici facciano i giudici e sarebbe opportuno che anche il Parlamento facesse quanto è in suo potere per impedire che questi scandalosi episodi possano ripetersi». E Sposetti, prima di allontanarsi a braccetto con il ministro della Giustizia Clemente Mastella, butta lì un'ipotesi inquietante: «Queste carte sono immondizia, come le tante altre storie che circolano per suscitare un climaccio. Certo però che se un competitor cade su cartacce come queste, la cosa può anche giovare a qualcuno...». A chi si riferisce, il tesoriere dei Ds? A qualche avversario politico, o, piuttosto, a un alleato?


Maria Teresa Meli
13 giugno 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #3 inserito:: Giugno 13, 2007, 11:58:28 am »

Telefonate Unipol, personaggi e interpreti

I «sognatori» del Botteghino

Ciò che raccontano le telefonate su Fassino, D'Alema e gli altri.

Con voto: per il segretario debito formativo in Economia, distinto al vicepremier


Max D'Alema voleva sognare. Piero Fassino voleva una banca. Cioè, voleva una banca per l'Unipol. Cioè, tutti volevano una banca, è un plausibile sogno riformista. Insomma, è plausibile che la volessero, a leggere le intercettazioni. Però avevano detto di non volerla. Però forse si sono affidati alle persone sbagliate; magari come la classe media che hanno cercato di rappresentare; che ai tempi del primo centrosinistra rischiava sempre di finire in mano a promotori finanziari improbabili. Però ora quella classe media vede traballare due convinzioni su cui contava. Vale a dire: (a) D'Alema è intelligentissimo (uno statista al di sopra delle beghe locali, con la fondazione Italianieuropei, i «bye-bye Condi», eccetera); e (b) Fassino è una persona seria (piemontese tutto d'un pezzo, gran lavoratore, ecc.). Ed è un traballare ingiusto. Max è intelligente, Piero è serio; solo, sempre forse, sono vittime del loro sentirsi bravi. Di quell'autocompiacersi troppo presto che ha sempre danneggiato il centrosinistra della seconda repubblica. Che ora porta, con le telefonate rese pubbliche, a un certo imbarazzo generale. Le telefonate, aldilà delle polemiche sulla pubblicazione, raccontano molte cose sui personaggi, Max, Piero, Nicola Latorre e Giovanni Consorte, poi.

Vieni avanti Fassino

Il segretario Ds non è un raider, o uno squalo della Borsa, o una vecchia volpe del risiko bancario. Ascolta l'amministratore delegato di Unipol; fa domande, si fa spiegare. Quando deve parlare con l'ad della Bnl Luigi Abete, chiede lumi. Consorte è contento: «Ti dico quello che puoi dire e non dire». Fassino risponde: «Ecco, meglio così, dimmi tu». Alla fine, in tutto il pasticcio, è lui l'unico a intenerire; a creare identificazione nei normali senza competenze finanziarie. Lo si vede estrapolando, dai dialoghi, le sue frasi: «Totale? Come totale?». «Ho capito» (più volte). «Mm». «Ehhh». «E chi sono le quattro (banche, ndr)? ». «Lui esce? Come mai quell'altro entra?». «Quindi non la comprate voi» (la banca). «Bravo, bravo» (più volte). Consorte risponde con pazienza: «No, no. Loro comprano il 27 per cento». «No, le comprano quattro banche italiane». «No, se mi arrivano le azioni dal mercato loro rimangono alleati nostri industriali». «No, soprattutto noi dobbiamo avere il 51 per cento domani». Domani, perfetto, dice Fassino. Che però (da piemontese tutto d'un pezzo) nella famosa telefonata in cui dice «abbiamo una banca?», si corregge subito: «Siete padroni di una banca, io non c'entro niente». E si fa spiegare «cosa viene fuori? Fammi un po' il quadro, alla fine».
Voto finale — Debito formativo in economia bancaria (non è un male, alle volte).

Il conte Max

D'Alema è più sicuro di sé. Dalle telefonate emerge l'uomo di mondo: «Ho fatto un po' di chiacchierate anche milanesi... insomma alla fine se ce la fate poi vi rispetteranno», rincuora il presidente della holding che controlla Unipol, Pierluigi Stefanini. L'uomo che non si lascia turlupinare: «Fate bene i conti, non sbagliate i conti». Il politico esperto che ingiunge a Consorte di non parlare troppo al cellulare. Lo spericolato marinaio che poi parla di Unipol al telefono e gli dice «facci sognare». Il cultore di storia del movimento operaio che si compiace quando Consorte gli dice: «Se ce la facciamo abbiamo recuperato un pezzo di storia. Perché la Bnl era nata come banca del mondo cooperativo». E lui risponde: «E si chiama del lavoro, quindi, possiamo dimenticare?». Rilancio di Consorte: «Esatto, è uno sforzo mostruoso ma ne vale la pena a un anno dalle elezioni». Tripudio di Max: «Va bene, vai!».
Voto finale — Distinto (per la verve, perché ci tiene).

I compari

Nicola Latorre, senatore Ds pugliese, dalemiano fedelissimo, è un caso di vita che imita l'arte. Quando parla con Consorte e Ricucci, si diverte a imitare i dialoghi dei Sopranos: «Dove cacchio stai? A cena stai eh?». Consorte: «No, sto qua con i nostri amici banchieri a vedere come cazzo facciamo a rimediare ‘sti soldi». Latorre: «Ah! Te l'ho detto firmo io la fideiussione, non rompere eh». Consorte (realistico): «Ma tu non sei credibile coi soldi, non c'hai una lira! Tu porti solo debiti». All'affaticato Ricucci che a furia di lavoro teme di non riuscire a sposarsi raccomanda: «Per l'amor di Dio, prima la famiglia, poi tutto il resto». E lo sfotte perché causa contatti vari sta diventando un pericoloso sovversivo, rosso oltretutto. Ricucci cerca di invitarlo al matrimonio, dove «ci sono tutti». Voto finale — Buono, interpretazione un po' caricaturale ma di qualità. Ma da conoscere.

Consorte, lo sconosciuto

Una frase per tutte: «Oggi quando gli ho detto ai nostri amici quello che mi sono inventato giuro che mi hanno fatto l'applauso». Competente, furbo, disinvolto e con tempra da combattente. Certo non in grado di diventare, per l'ex popolo di sinistra, un'icona da zona grigia come il Primo Greganti di Tangentopoli, no. Consorte pare un'altra cosa; un protomartire della casta di centrosinistra e di governo, sciolta nel muoversi tra assessorati, consorzi, società, ecc. Ma priva dell'eroica ipocrisia del compagno G (nel senso che non sono eroici, e come ipocrisia astuta sono meglio certi esponenti della Cdl, di ascendenza dc o craxiana, o anche non).
Voto finale — Nonostante il talento, insufficiente causa furbettaggine. Come sanzione non penale, dovrà mettere un video di scuse su YouTube (forse).

Maria Laura Rodotà
13 giugno 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #4 inserito:: Giugno 13, 2007, 06:16:12 pm »

Casson: "la politica sia trasparente"

Marzia Bonacci,  12 giugno 2007

Intercettazioni
Del nuovo disegno di legge Mastella abbiamo parlato con Felice Casson, uno dei suoi relatori.

Il tema della libertà di stampa e della privacy, ma anche la necessità che il politico allontani da sè ogni opacità per la sua funzione pubblica


Il ministro della Giustizia Clemente Mastella non lascia spazio a dubbi: prima si affronta il disegno di legge sulla riforma del sistema giudiziario e poi il tema delle intercettazioni, contenuto al punto 1 del ddl stesso. Certo, non che la materia non sia scottante, soprattutto per il Parlamento e alla luce della nuova ondata di pubblicazioni di questi ultimi giorni, però un nuovo ordinamento della giustizia appare al Guardasigilli "prioritario".
Del nuovo ddl relativo alle intercettazioni, ma anche del più generale argomento della libertà di stampa e della trasparenza assoluta della politica, abbiamo parlato con Felice Casson, relatore del disegno di legge e senatore dei Ds. Un colloquio che ha toccato i temi più controversi del ddl: quello relativo al divieto di pubblicare gli atti di indagine (fra cui rientrano le intercettazioni), anche se non più coperti dal segreto, fino alla conclusione delle inchieste o dell'udienza preliminare, oppure fino alla sentenza di appello se si procede al dibattimento. E naturalmente, il divieto di trascrivere e pubblicare parti di conversazioni che riguardano esclusivamente persone, fatti o circostanze estranei alle indagini. Divieti che si accompagnano al riconoscimento di una pesante pena per quanti infrangano le direttive, cioè principalmente i mezzi di informazione: una ammenda che va dai 10 mila a 100mila euro, in alternativa alla reclusione fino a 30 giorni per chi decide di pubblicare atti coperti da segreto.
Quanto le novità recenti di cronaca relative alle intercettazioni di alcuni politici, pubblicate dai giornali e riguardanti la vicenda delle scalate bancarie, ha accelerato la ripresa in Senato della discussione del ddl Mastella?
Direi che non ha mai influito nel senso che il ddl Mastella è arrivato dalla Camera in Senato durante il mese d'aprile ed è stato assegnato alla Commissione Giustizia per la discussione e la valutazione, quindi aldilà del periodo elettorale appena trascorso, è stato messo in calendario e dovrà essere affrontato nei prossimi giorni perché ci sono degli aspetti che vanno rivisti, specificate meglio.

Quali per esempio?
Il meccanismo del deposito delle intercettazioni, per esempio, perché la mia impressione, almeno stando a quanto si apprende dagli organi di informazioni in merito alla vicenda milanese, è che dal punto di vista formale le norme siano state seguite sia dalla procura della Repubblica sia dall'ufficio del gup di Milano. Quindi il problema rimane, perché se seguendo la normativa si creano lo stesso degli scompensi a livello informativo così ampi, allora qualcosa non va nel meccanismo stesso.

Quindi motivazioni di ordine tecnico e procedurale?
Si, soprattutto perché bisogna ricordare come delle intercettazioni attualmente protagoniste della cronaca politica odierna, si sia in verità già parlato un anno fa. Erano infatti notizie giù uscite nel luglio scorso e aldilà della competenza degli uffici giudiziari, quindi questo testimonia come vi sia stata una fuga di notizie fin dalla fase di indagine della polizia giudiziaria, tanto che la famosa telefonata Fassino-Consorte non era ancora arrivata negli uffici della procura della Repubblica che già la si poteva leggere sui giornali.

L'aspetto più controverso di questo ddl Mastella sulle intercettazioni riguarda il limite, netto e pesante, che viene posto alla libertà di stampa. Un elemento importante, però, perché senza la divulgazione e l'attenzione della stampa, per esempio Fazio non avrebbe lasciato la Banca d'Italia, almeno tenendo conto dei tempi della magistratura e della politica...
Condivido anche in profondità il contenuto di questa osservazione e la consapevolezza che se non ci fosse stata la pubblicazione delle intercettazioni, probabilmente del caso Fazio non si sarebbe saputo nulla. Il diritto del giornalista a comunicare le notizie va quindi tutelato, così come sancito in modo chiaro dall'articolo 21 della Costituzione. Anche l'opinione pubblica, e non solo i partiti, deve poter essere a conoscenza di ciò che succede dietro le quinte. Ci sono in questo senso delle limitazioni giornalistiche nel ddl Mastella e queste limitazioni devono essere riaffrontate, proprio perché rientrano negli aspetti più critici che potrebbero essere suscettibili di emendamenti. Per questo, verranno sentiti in modo approfondito i rappresentanti dei giornalisti e della stampa proprio per trovare un rimedio e una convergenza su questo punto, tenendo conto però del fatto che spesso si sono create situazioni e circostanze in cui la violazione della privacy è stata pesante, con questioni che non avevano nessuna attinenza a processi in corso né rientravano nell' interesse pubblico finite però sui giornali.

La maggioranza del materiale reso pubblico frutto delle intercettazioni legali non ha rilevanza penale, però è innegabile che abbia un suo valore politico. Allora, ciò che ha valore politico non dovrebbe essere reso conoscibile all'opinione pubblica cioè all'elettorato?
E' una questione delicata perché bisogna considerare che le notizie vengono acquisite tramite una intercettazione telefonica, ma al contempo che la nostra Carta tutela in modo chiaro il diritto alla privacy, quindi per qualsiasi limitazione della sfera della libertà privata - si tratti di una cattura o di una intercettazione - sono previste delle modalità di intervento. Nella nostra Costituzione abbiamo due riserve: una di legge e una giudiziaria, nel senso che i casi di intercettazione devono essere previsti da una legge e devono avere dei requisiti specifichi, e soprattutto scattano su autorizzazione dell'autorità giudiziaria. Proprio perché il diritto della persona è tutelato in modo così forte, per andare contro di esso ci vogliono delle motivazioni altrettanto forti. Il ricorso alle intercettazioni è quindi circoscritto a determinati ambiti, a determinati reati. Se le notizie che escono da questa opera di intercettazione non hanno valenza penale e non sono connesse ai reati per i quali si procede, la norma dice che vanno distrutte.
Il punto è quindi sintetizzare il diritto alla riservatezza, quello dell'informazione e quello delle indagini penali.

Vedendo la compattezza con cui la classe politica invoca il ddl viene il sospetto che via sia un desiderio di auto-difendersi, in sostanza si ritorna alla famosa immagine della rappresentanza parlamentare come "casta"...
Il politico deve avere una tutela più limitata e la sua vita deve essere più trasparente, si deve sapere di più proprio perché si presenta alla collettività proponendo delle idee politiche, di rilevanza e con conseguenze pubbliche. Faccio un esempio: se in Parlamento si conduce una lotta contro la pedofilia e si scopre che il protagonista di questa battaglia parlamentare è pedofilo, allora il dovere è che il cittadino lo sappia.

Una diversa soglia fra pubblico e privato nel caso del politico...
Si. La soglia deve essere diversa perché bisogna tutelare il politico nella sua riservatezza, ma va garantita anche la collettività.

da aprileonline
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« Risposta #5 inserito:: Giugno 15, 2007, 10:12:14 pm »

Ma è sbagliato tifare Coop?

Nicola Cacace


Dal Report 2005 dell’associazione europea delle banche cooperative si vede che le cooperative pesano il 17% del mercato nella finanza dell’Europa-25. Il fenomeno della massiccia presenza delle cooperative nella finanza internazionale ha molte spiegazioni storiche, sociali ed economiche, note a tutti tranne ai media italiani. In paesi come Francia, Austria, Germania, Olanda e Finlandia le banche cooperative sono ai primi posti della graduatoria come quote di mercato. Quando nel 2001 il Credit agricole, o Banque verte, banca cooperativa con più di 5 milioni di soci, acquistò il Credit Lyonnaise, diventò la prima banca francese e andò in Borsa, la grande borghesia francese masticò amaro.

Ma lo fece con molta più eleganza. Lo stesso in Olanda quando Rabobank diventò la prima banca così come in Austria e in Finlandia.

Consiglierei questi dati non solo ai colleghi giornalisti ma ai tanti amici e compagni che ancora protestano scandalizzati, non per le mosse incaute dell’ing. Consorte e la scelta di compagni di viaggio discutibili, ma per l’operazione in sé, «attentato alla purezza della razza cooperativa», «deviazioni dagli obiettivi della cooperazione», e via di questo passo. Si contestava un’operazione legittima, come ebbe invece ad esprimersi uno dei pochi esperti autorevoli ed obbiettivi, il dott. Siglienti , ex presidente di Comit e Ina, «a prescindere dalle vicende giudiziarie di Consorte, su cui dovrà far luce la magistratura, ritengo che ci sono le condizioni patrimoniali e la B d’Italia dovrà dar via all’Opa» (Milano Finanza, 20.12.2005).

Non andò così perché un’operazione comunemente fatta da cooperative in altri paesi civili, era condotta in Italia con modalità sbagliate e compagni d’avventura poco rispettosi di regole ed etica, ma questo lo si scoprì molto tempo dopo la partenza della bagarre mediatica e politica. Sbagliava chi, soprattutto da sinistra, contestava l’operazione in sé, nella piena ignoranza dei motivi storici, sociali ed economici per cui oggi un mondo articolato e complesso come quello della cooperazione non può stare fuori dalla finanza. La globalizzazione ha significato soprattutto finanziarizzazione, per questo un conglomerato con milioni di soci e migliaia di imprese che deve per di più osservare vincoli mutualistici, territoriali (le coop non possono delocalizzare) ed intergenerazionali (le coop non distribuiscono dividendi ma li investono in azienda) non può stare sul mercato senza una spalla finanziaria.

Oggi si torna ad accusare parte della sinistra politica, i Ds, di aver tifato per le coop, dimenticando che la sinistra tifa per le coop da sempre in tutto il mondo, ma con modi leciti, a differenza dei metodi usati da certa borghesia in speculazioni andate avanti per anni senza denunce, del tipo Cirio e Parmalat. Da quando, alla fine dell’ ’800, dalle prime cooperative nate in Germania, Austria, Inghilterra ed Italia (a Padova), cooperative fianziarie, Casse rurali in testa, nacquero i partiti socialisti dell’epoca. La speculazione si sta concentrando su frasi del tipo «facci sognare» o «forse recuperiamo un pezzo di storia». Ciascuno è libero di criticare e anche di sorridere, quello che non è consentito è di emettere giudizi errati isolando le frasi dal contesto storico, ad esempio per ricordare che nel 1913 il Parlamento decise di imitare l’Europa socialmente avanzata del modello austro-ungarico, decretando la nascita dell’Incc, istituto nazionale del credito cooperativo e che nel 1929 Mussolini, dopo aver distrutto cooperative e Casse Rurali, trasformò la banca delle cooperative in Banca nazionale del lavoro. Come nessuno ha sentito il dovere di informare che l’Italia è il paese europeo dove la Finanza delle cooperative è la più striminzita d’Europa, 8% del mercato contro il 19% della Germania il 28% della Francia, il 39% dell’Olanda, il 32% della Finlandia. Che questo mercato in Italia è tutto posseduto dalle Bcc, banche di credito coperativo affiliate alla Confcooperative (bianca) mentre la lega Coop (rossa) resta un gigante coi piedi d’argilla, la più grande associazione di cooperative di produzione e consumo d’Europa senza finanza.

Nessuno in Europa si sogna di condannare i legami storici tra cooperative e forze progressiste come si fa in Italia con accuse di collateralismo, collusione e altro. È vergognoso il modo con cui i media rialimentano la speculazione sull’operazione Unipol-Bnl, operazione caratterizzata per i modi sbagliati con cui fu condotta da Consorte e C., cui la cooperazione ha reagito con la loro defenestrazione, ma anche per la campagna pregiudizialmente contraria di Media, Confindustria, banche e buona parte della sinistra politica. L’operazione non fu certo favorita da indebite pressioni politiche.

La prova? In epoca di collateralismo una banca vicina alla sinistra come il Monte dei Paschi, azionista di Bnl, avrebbe cooperato all’Opa invece di tirarsene fuori. Tifare o informarsi di un importante operazione economica in atto è cosa legittima e doverosa, ben diversa dall’intervenire alterando le regole di mercato. In questo clima mi auguro che i media, almeno le parte non pregiudizialmente allineata, diano un contenuto più ricco ed obiettivo di quello finora dato.

Pubblicato il: 15.06.07
Modificato il: 15.06.07 alle ore 9.02   
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« Risposta #6 inserito:: Giugno 16, 2007, 06:22:50 pm »

POLITICA

Lo scenario descritto in sette interrogatori dall'ex raider che due anni fa tentò la conquista del Corriere.

E il "furbetto" parla di Berlusconi e D'Alema

"Vi racconto il sistema-Moggi per scalare Bnl e Antonveneta"

Ricucci ai pm di Roma: Caltagirone mi disse che c'era un progetto bipartisan

Il costruttore-editore indicato come interfaccia di Fiorani e interlocutore di Fazio

di GIUSEPPE D'AVANZO

 
Stefano Ricucci, protagonista dell'inchiesta sulle scalate del 2005 a Bnl e Antonveneta

A STEFANO Ricucci, sostiene Ricucci, fu Francesco Gaetano Caltagirone a spiegare come, in quel momento, andavano le cose in Italia. Lo prese da parte. Gli disse: "Tu devi capire che questa è un'operazione di sistema, è di qua, è di là". Ricucci capì, ma l'aveva già capito. "Dotto', dice al pubblico ministero, era il segreto di Pulcinella" come lui, Ricucci, era il topo nel formaggio, in quei mesi del 2005, infilato in tutte le operazioni (Rcs, Bnl), a bordo di tutti i vascelli (con la destra e con la sinistra). Con Silvio Berlusconi, nell'avventura dell'assalto alla Rizzoli-Corriere della Sera. Con la Quercia, nell'operazione che sostiene Unipol nell'acquisizione della Banca Nazionale del Lavoro.

Incontra Berlusconi e lo "tiene informato", ogni fine settimana, attraverso Aldo Livolsi e Romano "Pippo" Comincioli e, ogni quindici giorni, attraverso Alejandro Agag. Tiene il filo con i Ds attraverso Nicola Latorre, "perché, vedete dotto', io Berlusconi non l'ho mai votato, io ho sempre votato... comunque Berlusconi io lo stimo come imprenditore, come politico per me non vale niente...". Stefano Ricucci parla, in sette lunghissimi estenuanti interrogatori ai pubblici ministeri di Roma Giuseppe Cascini e Rodolfo Maria Sabelli che hanno trovato riscontri e conferme a un racconto che giudicano monco magari, e troppo prudente.

Ricucci è arguto, elusivo, cinico, disinvolto, spaventato, furbissimo, spudorato. Parla senza argini. Si contraddice. Dissimula. Cade in contraddizione. Si corregge. Ammette. Racconta, a volte, nel dettaglio. In qualche caso, rivela. Spesso insinua. E quando rivela, si morde subito la lingua e si nasconde: "Ma io che gli devo dire, ma scusi no? Mica siamo amici, io e lei. Ma io che ne so! Mi faccia uscire dalla galera e parliamo a cena e gli spiego le cose... Mica così, da pubblico ministero a carcerato? Ma scusi! Io già gli ho detto molto!".

"Non c'è un caso, c'è solo rumore"
Massimo D'Alema è abile. Incappa in un colloquio intercettato. Si ritrova impiccato a un "Vai, facci sognare!", regalato all'amico Gianni Consorte (con l'Unipol è alla conquista della Banca Nazionale del Lavoro). L'incitamento è un frammento di intercettazioni contrabbandato alla meno peggio nei corridoi di un Palazzo di Giustizia. Il fenomeno (deforme) non è nuovo per l'Italia (anzi). E' figlio della dappocaggine di un Parlamento che legifera senza conoscere le leggi, i problemi e spesso la lingua italiana. Dell'impotenza di un ceto politico che ha lasciato deperire il processo in una crisi di efficienza, risultati e credibilità fino a farne un ordigno perverso e maligno che sanziona prima dell'accertamento e, quando accerta le responsabilità, non riesce a punirle. Di una cultura della magistratura tentata dall'autorappresentazione di "custode" in lotta per la salus rei pubblicae e quindi dall'esito comunque ottenuto e non da un modello ideologicamente neutro, dove un esito vale l'altro, purché ottenuto attraverso un fair trial, un processo leale.

L'abilità di D'Alema è nel passo laterale. Rievoca con sdegno il grumo di problemi lasciati marcire (ogni giorno "macinano" la vita di migliaia di italiani). Definisce "un'indecenza" le cronache. Liquida quelle conversazioni così: "Non solo non c'è un reato, ma non sono nemmeno moralmente sconvenienti". Conclude: "Non c'è un caso, c'è solo rumore". E' vero. Sottratto al discorso pubblico il "caso", resta soltanto il rumore. Ma il "caso politico" c'è o non c'è? La questione sembra questa.
 
Il ministro degli Esteri e vice presidente del Consiglio Massimo D'Alema con l'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi

"Gianni Letta chiamò D'Alema"
Una prima scena aiuta a capirla. L'ha raccontata qualche tempo fa, giusto Gianni Consorte. Era il tempo della pubblicazione della sua conversazione con Piero Fassino ("Abbiamo una banca!") che non era agli atti del pubblico ministero e una "manina" maligna consegnò al Giornale. Giorni irrequieti, di vigilia elettorale. Che cosa si saranno detti Consorte e D'Alema? Soprattutto che cosa si sono detti in un colloquio, a quanto si diceva nei corridoi, molto, ma molto imbarazzante. Era stato, forse, D'Alema ad avvertire Consorte, per dire, delle intercettazioni in corso?

Il presidente dell'Unipol minimizzava: "Ma no!, era accaduto che io non volevo più comprare il 2 e passa per cento di azioni Bnl di Vito Bonsignore. Bonsignore s'era rivolto a Gianni Letta (allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio) e Massimo, in quella telefonata, mi riferiva la cosa chiedendomi di risolvere il problema. Presi così anche quel due per cento".

Politici di campo opposto (Letta, D'Alema) concordano operazioni finanziarie che vengono accettate da finanzieri con interessi opposti (Consorte, Bonsignore). La scena conferma la concretezza di quel che Giuseppe Oddo e Giovanni Pons hanno definito "L'Intrigo" (Feltrinelli). Un disegno che va in scena tra la fine dell'inverno e l'estate del 2005 quando, frutto della confluenza di interessi e convenienze diverse e opposte, forze politiche, oligarchie bancarie, consorterie finanziarie si associano temporaneamente sotto banco, concertano le loro iniziative in modo opaco. I Ds di D'Alema vogliono rafforzare il mondo cooperativo affiancandolo alla Bnl. Vogliono trasformare Unipol in un grande attore della finanza e dell'editoria con l'acquisizione anche del Gruppo Riffeser (Nazione, Resto del Carlino, Giorno), come ammette anche Consorte quando è in vena di sincerità. Silvio Berlusconi vuole creare un polo bancario gradito alla Lega (Bpi, Antonveneta) e mettere le mani sul Corriere della Sera per contrapporlo al gruppo L'Espresso-la Repubblica e dopo il Corriere, sottratto alla presa di Mediobanca, forse anche Generali, chissà. L'Intrigo si avvantaggia dell'ambizione di Antonio Fazio di occupare al Colle la poltrona lasciata presto libera da Ciampi; della capacità di Gnutti, Consorte, Fiorani e (nome che non viene mai profferito) Francesco Gaetano Caltagirone di avere rapporti con tutti; di immobiliaristi o nouveaux entrepreneurs come Stefano Ricucci disponibili ad affrontare qualsiasi avventura se può procurare plusvalenze, denaro sonante tassato al 12 per cento, nel minor tempo possibile.

Nell'affresco che Ricucci affida ai magistrati compaiono Berlusconi, D'Alema, Letta, Fassino, Prodi, Rovati, Fazio, misteriosi argentini, una banca enigmatica, qualche cappuccio massonico, banchieri che si accreditano su l'uno e l'altro fronte... Nelle migliaia di pagine dove sono trascritte le dichiarazioni del "furbetto", si intravede la qualità di un "caso" assai rumoroso in cui una politica debole e per nulla trasparente sostiene affari fragili e per nulla trasparenti nell'attesa che, rinforzati gli affari, si possa irrobustire anche la politica - come nucleo di potere e di autorità. Questo è il "caso" e non il rumore.

"Era tutto un "Ciao Piero", "Ciao Massimo""
Ora è utile una seconda scena. Perché, sostiene Stefano Ricucci, si comprende la morale della favola. Una morale innocua, "giusta", sostiene.
Via Barberini, Roma. Il quartier generale di Francesco Gaetano Caltagirone. Dal 14 luglio del 2005, sono al lavoro i sette del "contropatto" della Banca Nazionale del Lavoro. Sono lì chiusi da quattro, cinque giorni. Se la devono sbrigare con Gianni Consorte e Ivano Sacchetti di Unipol. Questa è la verità di Stefano Ricucci:

"... Dotto', chi parlava con la Banca d'Italia con il Governatore (Fazio), chi con Francesco Frasca (capo della vigilanza), quell'altro parlava con Fassino, quell'altro ancora parlava... Era un tutto "ciao Piero", "ciao Massimo". Non è che per me non sia positivo. In fondo, quell'operazione è un vantaggio politico, una fusione politica, un concetto del genere l'accetto, è una cosa buona... Poi, scusi eh!, Consorte si compra Bnl con i suoi soldi. Ne aveva i mezzi perché consideri che Unipol ha fatto un aumento di capitale di 2 miliardi e 6 di euro. Assolutamente sottoscritto, eh! ... Che Unipol avesse avvertito prima e dopo e durante Fassino e D'Alema o quant'altro è pure giusto, ma che Caltagirone è il suocero di Casini e non l'avverte? Scusa, eh! Parlavano al telefono sempre, lì davanti a me. Caltagirone parlava con il suo genero di assegni, era tutto pubblico, noi stavamo lì davanti a tutti...".

Ricucci, il furbetto, è arrivato al consesso con un'idea in testa, bella tosta e golosa: "Il prezzo fissato ad azione, era 2,40 euro. Volevano vendere a 2,40, gli altri. Tutti d'accordo. Io m'impuntai. Consorte salì a 2,70. Io dissi: se volete io vendo a 3 euro. Non è che mi potete convincere... Se voi volete, vendete voi, vorrà dire che io non vendo... Fecero l'iradiddio per due giorni, fino a quando Caltagirone mi dice: "Guarda, è un'operazione di sistema, è di qua, è di là"".

"E' un sistema moggiano"
Sostiene Ricucci: "Dottor Cascini, mo' le spiego: per appoggiare l'operazione Antonveneta, dentro Bpi (Banca popolare italiana di Fiorani), c'era Carige, Banca popolare di Vicenza, Deutsche, Dresner, Unipol e Banca popolare dell'Emilia Romagna, quasi tutti sotto l'1,9. Al centro Fiorani e Gnutti, che sono soci, non so se mi spiego. Ma voi avete mai fatto un'indagine su Fingruppo? E allora voi vedete quali sono le società estere... Fate voi, mica le posso fare io, queste indagini, no? Sono soci di fatto Fiorani e Gnutti, come Coppola, Zunino, Banca Intermobiliare. Soci di fatto. E' un sistema moggiano. Ora guardate Unipol. E' uguale! Carige, Banca popolare dell'Emilia Romagna, Banca popolare di Vicenza... Fiorani era l'elemento di trait d'union tra Banca d'Italia e Unipol, la persona di fiducia per l'operazione Antonveneta, la persona di fiducia del Governatore, ma l'altra persona di fiducia di Fazio era l'ingegnere Caltagirone. Caltagirone telefonava al Governatore... andava a casa... andava a pranzo dal Governatore insieme a Fiorani. Quindi, Caltagirone rappresentava quest'operazione su Roma per Bnl e Fiorani al Nord per l'operazione Antonveneta. E' il segreto di Pulcinella".

Quindi, è il segreto di Pulcinella che le scalate ad Antonveneta e a Bnl fossero iniziative complementari della stessa operazione di un riassetto politico-finanziario, per dir così, incoraggiato e protetto da Forza Italia, nel Nord-Est, dai Ds nella Capitale con il contorno non irrilevante di una spartizione (o assalto) all'informazione. Una simmetria coerente. Che - non se ne comprende il motivo - lascia sempre sullo sfondo come se fosse un uomo invisibile l'attivismo di Francesco Gaetano Caltagirone, l'ingegnere che prima di sgombrare il campo a vantaggio di Consorte, è interfaccia di Fiorani e interlocutore del Governatore.

"Vuole che mi uccidano?"
I pubblici ministeri appaiono molti incuriositi da Caltagirone e soprattutto da un pacchetto "ballerino" di quasi il 10 per cento di Bnl, che non vota nelle assemblee, un "blocco" che sembra fantasma o di un fantasma. Formalmente intestato a investitori argentini.

Al solo parlarne, Ricucci fa un salto.
"Lei che cosa sa degli argentini?", gli chiedono.

Ricucci. "Non deve parlare con me di questi argentini... Lei si convochi Bonsignore e Caltagirone e se lo faccia dire, che lo chiede a me? Io non so niente. Conosce Caltagirone? Lo convochi. Conosce Bonsignore? Lo chiami. Sa chi è Catini? No. Si chiami anche lui. Tutti e tre. Si mette qui e se lo fa spiegare, ma che glielo dico io? Io non so niente... Si chiami quei tre... Anzi non sono tre... Chiami anche la Banca Finnat e Giampiero Nattino. Chiami Vincenzo De Bustis ("un banchiere che ha rapporti privilegiati con D'Alema" si legge nell'"Intrigo", ndr). Sa che cos'è la banca Finatt? Chi è Nattino?".

"E che fa questo Nattino?".

Ricucci. "... Ma lei vuole che a me mi uccidono stasera qui dentro. Lei forse non si rende conto di chi sta a toccare lei. Mi faccia la cortesia, lei lasci perdere questo dottore... io lo dico per me poi, se lei vuole andare avanti, lo faccia. Lei fa quello che gli pare, ci ha 600 persone che la proteggono, ma a me chi mi protegge? Nessuno, su questa roba...".

Ricucci bluffa? Drammatizza? Spara balle?
Naturale che i pubblici ministeri vogliano tornarci su, qualche interrogatorio dopo: "Adesso parliamo della banca Finatt".
 
Francesco Gaetano Caltagirone, costruttore e editore del Messaggero, con Pier Ferdinando Casini, compagno della figlia Azzurra

Ricucci. "Senta, dotto', secondo me, la Finatt è una banca molto vicina a... al mondo della massoneria, di clienti molto... ma comincio dall'inizio... E' un fatto che io, quando sono dovuto scendere al 4,99 in Bnl, l'operazione l'ha curata tutta la Finatt per conto di Caltagirone, le azioni mie finirono a Bonsignore e mi sembrò tutto molto strano. Perché non farlo direttamente? Ma ci fu un altro fatto, più importante di questo. Quando sono entrato io in Bnl c'era un patto che io ho dovuto accettare: Caltagirone poteva nominare due consiglieri di cui il presidente della Bnl. Dopo un po', io dico a Coppola e Statuto (anche loro immobiliaristi e azionisti Bnl): ma scusa, i soldi sò soldi, il cinque per cento mio è come il tuo non cambia niente, dico: perché avete accettato questa clausola? Ma lui, Caltagirone, rappresenta anche altre persone, mi rispondono. All'epoca si parlava di questo Macrì, che erano però tre fratelli argentini. Da quello che io ho capito però le cose non stanno così. Me lo spiegò una volta Francesco Frasca, il capo della Vigilanza. Era l'aprile del 2005, prima dell'assemblea della Bnl. Frasca mi disse: ... tanto poi quelli, gli argentini, fanno riferimento all'ingegnere Caltagirone. Ma, dottò, la verità è che un conto sono gli argentini, che di quel dieci per cento avevano soltanto il cinque, e che appoggiavano Caltagirone - è vero, me lo aveva detto proprio lui - un conto è l'altro cinque per cento che era direttamente di Caltagirone appoggiato su hegde funds. Me lo disse, anche Frasca, quando mi incontrò a maggio del 2005. Mi disse: "l'Ingegnere Caltagirone che comunque ci ha di più (del 5 per cento...)" e Fazio era comunque informato di questa cosa perché Caltagirone è amico di famiglia, sono amici di famiglia, mica è amico mio".

I pubblici ministeri ritornano ancora, e più volte, sulla Finnat: "Perché lei assegna alla banca Finnat questo ruolo centrale?".

Ricucci sbotta: "Ah, da quando ero piccolo così, lo sa tutta Italia che la massoneria... De Bustis, Caltagirone, Nattino sono tutti... la massoneria". Ci mancava soltanto la massoneria in questa metà del "caso" - Unipol-Bnl-Caltagirone - secondo Stefano Ricucci. Per raccontare l'altra metà del disegno o dell'Intrigo - Lodi-Antonveneta-Corriere della sera - bisogna cominciare da una bugia che il "furbetto" con il tempo e qualche interrogatorio correggerà, e di molto. "... 'Sta mitica cosa che io e Berlusconi... Berlusconi non c'entra niente con Rcs...".
(1.continua)

(16 giugno 2007) 

 
« Ultima modifica: Giugno 17, 2007, 11:38:38 am da Admin » Registrato
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« Risposta #7 inserito:: Giugno 17, 2007, 11:37:13 am »

POLITICA
L'inchiesta.

L'immobiliarista Ricucci ricorda il tentativo di scalata di due anni fa

Secondo la sua deposizione, anche Romano Prodi lo cercò in quel periodo

"Così assaltai il Corriere della Sera con la benedizione di Berlusconi"

di GIUSEPPE D'AVANZO

 QUANDO a Stefano Ricucci tocca spiegare come, perché e con il sostegno di chi, si è lanciato nell'avventura della scalata alla Rizzoli-Corriere della Sera, la prende larga. Glissa, dissimula, mente a gola aperta. Gli hanno trovato dei biglietti di auguri per Silvio Berlusconi e nell'interrogatorio del 24 maggio 2006 il "furbetto" alza polvere. Dice: "Biglietti di auguri? E allora? Tre volte glieli ho mandati, senza conoscerlo, ma è il presidente del Consiglio, cioè... io, Berlusconi, non l'ho mai votato, io ho sempre votato... comunque, Berlusconi, io lo stimo come imprenditore, come politico per me non vale niente... però fino a quando è presidente del Consiglio gli mando gli auguri, no? Mica solo a lui li mando. Pure al Governatore (Antonio Fazio). Pure a D'Alema glieli ho fatti, pure a Fassino, pure a Prodi. Mi ricordo come se fosse adesso, Prodi mi ha telefonato l'8 luglio. Angelo Rovati me l'ha portato... ".

Sei giorni dopo - è il 30 di maggio - Ricucci cambia spartito. I pubblici ministeri Giuseppe Cascini e Rodolfo Maria Sabelli non gli credono. Cascini dice: "C'è qualcos'altro, Ricucci...". La lingua gli si scioglie allora, anche se non del tutto. "Dotto', allora forse non ci siamo capiti, io le dico tutto per filo e per segno... di tutto. Credetemi, Berlusconi, con Rcs, non c'entra nulla. Io, Berlusconi, l'ho visto nella mia vita soltanto una volta, il 22 giugno 2005 all'inaugurazione dell'auditorium della Confcommercio. C'erano 500 persone. Ci appartammo in sette, otto in foresteria per prendere l'aperitivo. C'era Billè, Carletto Sangalli, il presidente di Microsoft Paolucci, Resca dell'Eni... Berlusconi mi fece una battuta : "Lo sa perché ce l'hanno tutti con lei? Perché io e lei ci accomuna una cosa: ci piacciono a tutti e due le belle donne". Punto. Questa è la mia chiacchierata... La mia storia con Rcs è un'altra. Ora vi dico...".

"Rcs operazione prioritaria"
Ecco la ricostruzione di Ricucci. E' solo una prima approssimazione della sua verità. "Fiorani e Gnutti, che sono soci di fatto, stavano facendo quest'operazione su Antonveneta per creare un polo del Nord-est delle banche. Fiorani mi dice che, attraverso me, si può avere un ruolo in un giornale importante come il Corriere della sera che un domani potrebbe dar credito al livello mediatico a quell'operazione. Io non mi tiro indietro e ci sto perché - mi dico - qui il rischio è zero. Nella peggiore delle ipotesi, se la scalata non va in porto, la Banca Popolare Italiana di Fiorani mi può ricollocare il 15 per cento delle azioni Rcs anche a parità di prezzo. E allora dov'è il rischio? Dunque il fatto Rcs nasce come operazione prioritaria per me, per Fiorani, per altri... Il 31 maggio, dopo l'assemblea in Banca d'Italia, ne parlo con Gnutti. Era assolutamente d'accordo. Mi dice: "Guarda, io prendo più del 5 e poi parlo con Tronchetti Provera, con Lucchini... Però prima dobbiamo chiudere l'operazione Antonveneta che già è un caos così... e poi tu hai già cominciato l'operazione. No?".

Era maggio e io già ci avevo il 10 per cento ed ero messo così. Con Paolo Ligresti (il figlio di Salvatore) ci ho un buon rapporto. Lucchini è un vicepresidente di Gnutti in Hopa. Gnutti ha un buon rapporto con Tronchetti... Per farla breve, avevamo individuato una quota del 10 per cento del 58 per cento del patto dell'epoca che poteva essere accomodante con la nostra iniziativa. E poi c'era Romiti - io con Piergiorgio sono amico - anche se conta poco, ci ha l'1 per cento. Quindi avevamo individuato quattro/cinque persone del patto che potevano essere d'accordo nel rivalutare Rcs a un prezzo di 6, 6 e mezzo euro... Io avevo cominciato a comprare nel 2004 a 3 euro, 3 euro e mezzo ché, secondo me, Rcs era sottovalutata. Avevo comprato fino al 2 per cento, poi arrivai al 5 e mi ricordo benedette le parole del presidente Geronzi (Capitalia) che mi dice: "Non superare mai il 5 per cento", io purtroppo sbagliando non gli ho dato retta. Ad aprile del 2005 ero già andato oltre il 5 - ero al 5,6 per cento - e, da aprile 2005 al 2 agosto del 2005, ho comprato altri 130/140 milioni di titoli pari al dieci e poi ancora fino al 13, fino a 15, fino al 20, 924 che è stato il limite massimo e il mio obiettivo finale perché se tu hai una partecipazione superiore al 20 per cento hai diritto e il vantaggio di poter convocare addirittura un'assemblea ordinaria. Questo era l'obiettivo che io avevo dopo aver dato l'incarico al professor Natalino Irti, che era membro del cda di Rcs, nominato come consigliere indipendente da Pirelli, da Tronchetti. Allora dico a Irti: "Guardi, professore, mi faccia la cortesia, lei mi deve... io devo entrare nel patto, dobbiamo cercare di convincere un po' lei se riesce a parlare con Tronchetti, un po' Gnutti se riesce a parlare con il dottor Tronchetti, un po' io ... riesco a parlare attraverso l'avvocato Ripa di Meana con Capitalia, un po' Gnutti che riesce a parlare con Lucchini che è il suo vicepresidente in Hopa...".

Prodi: "Si rilassi, si diverta, ci vediamo dopo la vacanza"
Non è che Ricucci se ne stesse con le mani in mano in attesa del lavoro di Irti. Tenta, con le sue forze, di entrare in contatto con il patto. Ricorda: "Un giorno Claudio Costamagna (ieri Goldman Sachs, oggi consulente per le strategie di Capitalia) venne da me e dice: "Guarda, mi devi fare un monumento perché Bazoli sembra che ci sta... si stia per convincere" tant'è che poi il patto incarica il professore Rossi, questo ai primi di giugno, che venne in ufficio da me insieme a Angelo Rovati... Sapete chi è, dotto'? Quello di Prodi... e infatti Prodi mi telefonò pure. Angelo Rovati me lo passò. Ho detto: "Guardi, professore che io vorrei incontrarla perché dobbiamo cercare di convincere il professor Bazoli (Banca Intesa)". Era l'8 luglio (2005) alle ore 15,30 - io stavo in banca per farmi gli auguri del matrimonio. "Ci dobbiamo vedere - dice - adesso rilassati, divertiti, una settimana, dieci giorni e poi ci vediamo subito dopo le ferie"".

Sostiene Ricucci che le acque davvero si muovono. "Il professor Guido Rossi riceve l'incarico dal presidente del patto Gaetano Marchetti, per iscritto, e io ci ho il documento scritto, per trattare la mia quota. Mi chiama il professor Irti e mi dice: "Ricucci, guardi ho ricevuto una telefonata dal professor Rossi e vogliono trattare con lei". Era metà giugno e dopo alcuni incontri, mi offrono 5 euro ad azione e io dissi no...".
Dunque, per Ricucci l'operazione Rcs è limpida come acqua fonte. Non ha "seconde intenzioni" o mandanti, per dir così, politici. Supporters sì, mandanti no. Unico interesse della cordata di Fiorani è installarsi al Corriere e riceverne qualche utile mediatico perché nelle loro avventure ne hanno bisogno. Un'operazione, per di più, facile facile perché non presenta, per Ricucci, rischi. Se fallisce, Fiorani (Bpi) gli compra le azioni in eccedenza, gli "fa il convertibile". Il "furbetto" ha poi un obiettivo suo: entrare al Corriere come nel salotto buono della finanza italiana, perché "dotto', sostiene Ricucci, solo così ti accrediti...". Ricucci non ha alcun interesse a difendere il 20 per cento. Non vuole pestare i piedi a nessuno. Vuole complicità, comprensione, non la guerra.

Il 20 per cento gli serve soltanto per forzare il blocco dei controllori. Una volta entrato in casa, è disposto a cedere tutta l'eccedenza del 5 per cento intascando discrete plusvalenze, da 3 euro/3 euro e mezzo a 6/6 e mezzo, "anche se tutte le banche di affari - aggiunge - mi hanno detto che Rcs può tranquillamente stare all'8 con gli asset che ha...". Un'operazione tecnica, e nulla più. Ma, dalla ricostruzione, mancano ancora troppe schede. Troppi attori frenetici, intercettati al telefono, restano senza ruolo nel copione. Ubaldo Livolsi, consigliere Fininvest e consulente finanziario. Romano Comincioli, parlamentare di Forza Italia. Alejandro Agag, già segretario generale del Pse e genero dell'ex. premier spagnolo Josè Maria Aznar. Per un verso o per un altro, tutti questi nomi conducono a Silvio Berlusconi (di Agag è stato testimone di nozze), ma Ricucci esclude ripetutamente che abbia avuto un ruolo anzi, di fatto, di conoscerlo. Lo abbiamo visto. I pubblici ministeri riescono, però, a saperne di più quando ricostruiscono il ruolo nella scalata Rcs di Lagardère Active Media, il gruppo editoriale francese, capitalizzato in borsa per 8/8,5 miliardi di euro, proprietario in Italia di Hachette-Rusconi. Ricucci concede a questo punto qualche ricordo più coerente.

Letta: "Segua questo canale, mi sembra buono"
Dice Ricucci: "L'operazione Lagardère l'ho cominciata a fine giugno. Il 21 giugno. Livolsi mi chiama e mi dice: "Guarda, Stefano, che mi ha chiamato Alejandro Agag - che io non conoscevo - perché mi ha chiesto il presidente Berlusconi di mettermi in contatto con lui... che Lagardère già ha fatto un appuntamento perché è interessato a investire una discreta somma sul mercato italiano nei media... C'era stato un pranzo in aprile tra Arnaud Lagardère, Alejandro, Berlusconi perché Lagardère voleva acquisire una rete o addirittura una partecipazione molto importante in Mediaset. Ve lo ricordate, no?, che Mediaset aveva collocato sul mercato circa il 17 per cento delle azioni e c'era tutta 'sta roba del conflitto di interessi eccetera... Berlusconi gli disse: "Guarda, al momento noi non vendiamo né reti ... né questo... né quello - così mi ha detto poi Alejandro - qualora ci fosse l'opportunità di investire nei media o comunque in un settore editoriale, te lo faccio sapere. E glielo ha fatto sapere poi a giugno, attraverso Alejandro, che c'era questa opportunità di poter dare un mano su quest'operazione Rcs.

Alejandro mi disse che fu contattato da Berlusconi quando su tutti i giornali c'era 'sta operazione mia e quindi gli disse: "Chiama Livolsi... in modo tale che vi mettete in contatto con Ricucci e vedete se ci sono le opportunità...". Livolsi mi disse questo il 21 giugno e mi disse pure "io ne vado a parlare con Gianni Letta (sottosegretario alla presidenza del Consiglio) adesso, ho un appuntamento". Poi, da lì mi chiamò ancora e mi passò Letta al telefono. Non è che Letta s'è messo a parlà di Lagardère, della riunione con Berlusconi.. tre parole m'ha detto: "... Mi sembra che sia una buona opportunità, segua questo canale con Livolsi che mi sembra buono. Arrivederci! Tenetemi informato attraverso il dottor Livolsi...". Ritorna al telefono Livolsi e mi dice: "Aspettami, perché io poi alle otto vengo da te...". Venne Livolsi e mi spiegò di Letta, che addirittura si era preso l'impegno di fare accreditare questa operazione anche dal suo omologo francese, dal sottosegretario francese che avrebbe parlato con Largadère per poter dare una benevolenza su ... una benedizione su questa operazione".

Berlusconi: "Mi tenga informato attraverso Livolsi"
Ora il racconto di Ricucci si fa più nitido. "Il 22 giugno ho incontrato Berlusconi alla Confcommercio. Ci appartammo un po', in due o tre persone, io, Berlusconi e ... Billé e Comincioli, perché c'era pure Comincioli, e Berlusconi, mi disse: "... massimo appoggio... mi sembra una situazione ideale... Lagardère è un grosso gruppo internazionale, se si mette a fianco a lei è una bella operazione... è un'operazione che ha un certo... sì, vada avanti, mi raccomando... Tenetemi informato. Per qualsiasi cosa, sono a disposizione, c'è il dottor Livolsi, c'è Romano", Pippo disse perché lo chiama così Comincioli che si conoscono da bambini... Io, tramite Livolsi e Comincioli, parlo con Letta. Senonché io non gli dissi tutto a Berlusconi, tant'è che io a Comincioli lo richiamai successivamente e gli ho detto: "Guarda, che tu me devi fà incontrà Berlusconi, ma da solo, perché io gli devo dire che... se io vado avanti molto con questa operazione così importante, io ci ho la trattativa che sto facendo con il patto attraverso il professor Rossi - ho detto - Livolsi neanche le sa 'ste cose qua".

E qui però 'sto Berlusconi non sono mai riuscito a incontrarlo. Comincioli mi dice: "Ma che gli devi di', dimmelo a me che glielo dico io...". Io gli ho detto: "Tu non capisci niente su 'ste cose... sò cose che devo spiegà io". Niente da fare. Io però chiamavo ogni sabato a casa di Livolsi per fare il sunto della settimana. Ogni sabato alle 12 gioca a tennis... Lui gioca e io lo chiamavo per sapere delle trattative con Lagardère. Livolsi, che mi faceva da advisor, mi coordinava tutta questa operazione qui, poteva andà a trovare ad Arcore il presidente, lui abita lì, è vicino... Comincioli invece sta a Milano. Alcune volte ci andava Comincioli da Berlusconi e alcune volte ci andava Livolsi e gli parlavano della trattative con Lagardère perché voleva essere informato. Ogni quindici giorni veniva poi a Roma Alejandro e andava a Palazzo Grazioli...

L'operazione con Lagardère era un'operazione industriale molto più complessa ... e che io ci avevo bisogno di un partner industriale... Le cose stavano così. Io dovevo arrivare al 29, 9 per cento, poi avrei consegnato un 24 per cento a Lagardère, mi sarei tenuto il 6. E, a quel punto, ci sarebbe stata l'Opa. Non io, no! E che io lanciavo l'Opa! L'Opa la lanciava Lagardère! L'idea era creare una fusione tra il gruppo francese e Rcs per poter creare un'azienda importantissima... si sarebbe arrivati ad avere un'azienda da 13/14 miliardi di euro di capitalizzazione... un gruppo editoriale importantissimo... era un progetto che aveva una sua valenza industriale fortissima. L'idea era costruire il rapporto tra un socio industriale e cinque istituti bancari. Mediobanca, è vero, ha il 14, 7 per cento di una società che vale 3 miliardi. Un pensierino ce lo fa se quella società vale 14 miliardi. La Fiat? La Fiat non era un problema. In quel momento aveva il titolo debolissimo, al minimo storico negli ultimi dieci anni, 4 euro e mezzo. Ha il 10 per cento di Rcs, ma se Lagardère lancia l'Opa, d'accordo con Mediobanca (e a questo lavorò Tarak Ben Ammar) a 6 euro, 6 euro e mezzo, Fiat come avrebbe potuto reagire in modo negativo a un'offerta di 600/700 milioni di euro quando le banche che sono nel patto Rcs, da Mediobanca a Intesa a Capitalia sono i principali creditori del gruppo Fiat che vantavano 3 miliardi di euro di convertendo? Non era questi gli handicap erano altri. Uno, se il patto era d'accordo, ma l'altro era che l'Antitrust doveva dare l'okay perché Lagardère è proprietario in Italia di Hachette-Rusconi che doveva essere scorporata e fusa con Rcs Periodici e qui l'Antitrust non avrebbe dato mai il consenso... E' il blocco che ci aveva Lagardère. La difficoltà di convincere Mediobanca e l'Antitrust. E infatti alla fine Arnaud Lagardère, che aveva posto sempre due condizioni - prezzo e autorizzazione del patto - mi disse: "Noi non possiamo andare su questo progetto in quanto il patto ci ha detto che non si può fare, primo. Secondo, c'è un problema di antitrust". Ma io comunque ci avevo la via d'uscita di Fiorani, che mi comprava tutto l'eccedente, che mi faceva il convertibile. Quindi me ne stavo tranquillo. Il rischio non c'era. Non ci sarebbe stato, se non avessero arrestato Fiorani...".

(2, fine. La precedente puntata è stata pubblicata il 16 giugno)

(17 giugno 2007) 

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« Risposta #8 inserito:: Giugno 18, 2007, 12:29:46 pm »

POLITICA

Intervista a Stefano Ricucci: "Non sono io quello che ha la rogna"

Dopo la pubblicazione dei suoi interrogatori, il raider va al contrattacco

"Ecco la mia verità su Prodi il Cavaliere e le scalate"

di PAOLO BERIZZI

 
MILANO - La prima puntata Stefano Ricucci l'ha letta all'Argentario, nella splendida villa Feltrinelli. Un regalo che si è fatto nel 2005 e dove si è sposato con Anna Falchi sedici giorni prima che iniziassero i suoi due anni horribilis. La seconda nella casa di Roma, al principio di una domenica afosa e gravida di pensieri. Adesso, per la prima volta da quando lo hanno arrestato (era il 18 aprile 2006), Ricucci parla. Racconta la sua verità sugli interrogatori ai pm romani. Ne ha per tutti il "compagno Ricucci", come si era definito al telefono con il senatore diessino Nicola Latorre. Inizia con uno sfogo: "Basta, adesso basta. Continuo a essere perseguitato e messo in mezzo a tutto. Sono il vaso di coccio, il più debole e dunque il più comodo da attaccare".

Andiamo con ordine. Lei ha detto ai pm che ottenne da Berlusconi il via libera per l'assalto alla Rcs.
"Questo è quello che ho letto sui giornali. Non è così. A parte che non c'è mai stata nessuna scalata a Rcs. Io ho solo comprato delle azioni, la mia era una partecipazione, e basta. E poi su Berlusconi io non ho mai detto una cosa del genere. Sono sciocchezze montate ad arte per schiacciarmi".

Nessuno si inventa nulla. Ci sono verbali in cui lei parla del suo incontro con l'allora presidente del consiglio.
"Allora, come ho detto ai pm io Berlusconi l'ho incontrato una sola volta: il 22 giugno del 2005 all'inaugurazione del centro congressi della Confcommercio. Siamo saliti in foresteria con altre venti persone. Berlusconi mi ha fatto delle domande: m'ha detto "vedo che lei è attivo in tutte queste operazioni, bravo!". E' normale, credo, che il presidente del consiglio sia incuriosito da un giovane imprenditore. O no? Per questo, visto che in quel periodo ero impegnato su Rcs, Antonveneta e Bnl, gli ho illustrato in due parole i miei piani. Ma non c'è stato nessun via libera, che scherziamo...?"

Dunque Berlusconi non le ha mai dato nessuna benedizione nell'operazione Rcs?
"Macché benedizione, io dopo quell'incontro ho cercato di fissare un appuntamento con lui tramite Romano Comincioli. Volevo parlarci con Berlusconi, certo. Volevo vederlo con calma. Mi dica quale imprenditore non vorrebbe parlare dei suoi progetti con il presidente del consiglio. Ma quell'appuntamento non c'è mai stato".

In compenso c'è stata una telefonata con Gianni Letta.
"Certo. Me lo passò Livolsi, il quale era stato contattato da Alejandro Agag - che io non conoscevo e che rappresentava l'advisor di Arnaud Lagardère - perché l'editore francese voleva investire in Italia, nei media o comunque nel settore editoriale. Io avevo trattato la vendita delle mie azioni Rcs con il patto di sindacato, ma la trattativa naufragò nel maggio giugno 2005. E così un mese dopo si era profilata questa strada Lagardère. Letta, in tre parole, mi disse che quella era una strada buona. Ma senza nessun interesse particolare... Questo per dire che dietro di me non c'è mai stato nessuno. Né Berlusconi né Prodi né D'Alema. Nessuno. Dietro Ricucci c'è solo Ricucci".

Lei parlò anche con Prodi. Al telefono. Era l'8 luglio 2005. In quel periodo era scatenato su Rcs, comprava azioni su azioni arrivando fino al 20,924 di partecipazione.
"Mi telefona Angelo Rovati e mi passa Prodi che mi fa gli auguri per il matrimonio. Dico al professore che voglio parlargli dei miei piani. Ok, mi dice, ci vediamo dopo le vacanze. Ma poi è scoppiato il finimondo, e non se ne è fatto più niente".

Il presidente del consiglio ieri ha detto che l'Italia è un paese avvelenato dove l'aria è irrespirabile.
"Ha ragione. Questo è un paese dove si continuano a fare processi mediatici, dopo due anni ancora si mette in croce Ricucci. Io mi chiedo: ma perché anziché fare i processi sui giornali non si fa un processo vero? Poi voglio vedere che succede. Scusi, parlare con un politico è un reato?".

Lei ha raccontato ai magistrati che c'era un sistema bipartisan per scalare Bnl e Antonveneta. Che glielo aveva detto Francesco Gaetano Caltagirone. Un sistema che lei ha definito moggiano. È vero?
"Io ho solo detto che il sistema bancario in quel momento era deciso da Bankitalia. Voglio dire: è logico che le acquisizioni e tutto quanto vengano in qualche modo interfacciate con la prima banca del Paese. Ma è un segreto di Pulcinella".

E Casini che parla di assegni con il suocero Caltagirone che cos'è?
"Se Casini e Caltagirone sono legati da un vincolo di parentela, immagino che parleranno. Giusto? Al telefono, a cena, quando si vedono".

Casini ha detto che non l'ha mai conosciuta né ha mai parlato con lei. E' sembrato molto irritato, ha preso le distanze.
"E' vero che non ci siamo mai conosciuti. Ha ragione. Non ho mai avuto nessun interesse a conoscerlo. Era il presidente della Camera, non c'è nessun motivo per cui dovessi incontrarlo".

Nemmeno Veltroni è stato tenero con lei. Secondo il sindaco di Roma il sistema democratico italiano è in crisi perché ancora si pubblicano dichiarazioni di un "personaggio come Ricucci".
"E io gli rispondo: ma come si permette? Che strumenti ha in mano per dare un giudizio spregiativo? Mi ha sposato, e oggi dice queste cose. Ha per caso in mano delle carte? O qualche sentenza? Io ne ho una della Corte suprema di cassazione che dice che rigetta il sequestro sul cash collateral dei titoli Antonveneta".

Torniamo alla scalata Rcs.
"Io non volevo scalare Rcs. Volevo solo entrare nel patto di sindacato, superare il 20 per cento che è la soglia oltre la quale hai diritto e il vantaggio di poter convocare un'assemblea ordinaria. Ad aprile del 2005 ero già andato oltre il 5 per cento, e da aprile 2005 al 2 agosto del 2005 ho comprato altri 130-140 milioni di titoli fino, gradualmente, al 20,924. Ma non volevo impossessarmi di niente. Mi interessava essere il sedicesimo uomo nel patto di sindacato, sedere al tavolo di chi governa il potere economico in Italia, i Bazoli, i Tronchetti Provera, i Della Valle".

Come mai Fiorani, ex ad della Banca popolare italiana, decide di finanziarla con 700 milioni per comprare azioni Rcs. Per una banca è una scelta scellerata. Che disegno c'era dietro?
"Innanzitutto non è che Fiorani mi ha dato 700 milioni euro così, un bel giorno di colpo. Io ho iniziato a lavorare con Bpi nel 2001. Mano a mano ho avuto un affido che nel 2005 ha raggiunto 700 milioni. Ma dietro non c'era nessun disegno né input".

Nemmeno da parte di Fazio?
"Assolutamente. L'ho incontrato una sola volta, ai primi di maggio 2005. Un imprenditore che ha partecipazioni in Rcs, Bnl e Antonveneta mi sembra il minimo che chieda un appuntamento con il governatore della Banca d'Italia".

Sono passati due anni da allora. Lei è stato tre mesi in carcere. Oggi si torna a parlare delle sue operazioni, delle sponde che cercava ugualmente a destra e a sinistra. Perché si parla ancora di lei, del "furbetto del quartierino" che voleva scalare la finanza italiana?
"Perché sono il vaso di coccio. E' comodo darmi addosso, sono il più debole. Tra Fiorani, Gnutti, Caltagirone, Consorte e Ricucci, il più fragile sono io".

Lei si rende conto di rischiare di mettere in crisi tutti gli assetti politici italiani?
"Guardi, è ridicolo. Ogni volta che i due schieramenti politici si fanno la guerra, in mezzo ci sto sempre io. Nel 2005 c'era uno scontro di potere finanziario, oggi c'è uno scontro politico, e ci risiamo. Prendono le distanze da me come se avessi commesso chissà quale reato. Ma non ho fregato nessuno, non ho danneggiato i risparmiatori, ho già restituito alle banche un miliardo e 600 milioni".

Se è finito in carcere qualche errore l'avrà commesso.
"Sono l'unico uomo in Italia che è stato arrestato per aggiotaggio".

Non ha mai pensato di essere un moscerino tra gli elefanti della finanza italiana?
"Sì l'ho pensato e lo penso tuttora. Vogliono schiacciarmi perché non ho le spalle coperte da nessuno. Con chi se la devono prendere: con Caltagirone? Con Consorte?".

Che cosa ne pensa di quanto ha detto Montezemolo alla recente assemblea di Confindustria?
"Ha ragione. La politica è debole. Se si riduce a parlare di fatti vecchi di due anni, dai quali non si evince nulla, è evidentemente in crisi. Questo è un sistema malato, che non riesce a risolvere i problemi del paese".

Chi ha votato alle ultime elezioni politiche?
"I Ds. D'Alema è il migliore politico che abbiamo. Un grande statista".

Se si andasse al voto oggi?
"Rivoterei D'Alema".

Anche se i Ds confluiscono nel Partito democratico?
"Sono contrario al Partito democratico. I Ds hanno una grossa storia, non possono fonderla con un partito come la Margherita che non ce l'ha".

Adesso lei sembra l'unico appestato. Ci sono anche altri che hanno la peste?
"Sono stato tartassato e perseguitato dai media. Ad altri non è stato riservato lo stesso trattamento. Sembra che solo la mia società ha sede in Lussemburgo e invece basta andare sul sito della Consob: Exor-Ifil, Pirelli, la Dorint di Della Valle. Hanno tutte sedi in Lussemburgo. Hanno cercato di distruggermi ma non ci riusciranno. Ci ho messo 18 mesi per risolvere la questione Antonveneta, ce ne metterò altrettanti per risolvere tutto il resto e farmi sbloccare i 140 milioni che sono ancora sequestrati".

Se dovessero processarla e condannarla si avvarrebbe dell'indulto?
"Mai. L'indulto è stato fatto per proteggere i poteri forti, i banchieri che sono già stati rinviati a giudizio e persino condannati in primo grado. Io continuo a essere solo indagato, non ho ricevuto nessuna condanna. Checché ne pensi Veltroni...".

La scalata a Rcs è andata male. Oggi le interesserebbe avere un giornale?
"Non mi interessava diventare editore del Corriere, né tanto meno mi interessa oggi avere un giornale. Voglio solo che mi lascino in pace, a me e alla mia famiglia, e mantenere l'azienda che ho creato in 25 anni di lavoro. In Italia il successo è un reato".


(18 giugno 2007) 

da repubblica.it
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« Risposta #9 inserito:: Giugno 19, 2007, 06:07:49 pm »

Il ministro degli Esteri a Ballarò: «L'aria si è fatta irrespirabile»

Scalate, D'Alema: «Io non ho sbagliato» «Rischiamo di pagare un prezzo molto alto come Paese.

La confusione è enorme».

Scalata Rcs, «dietro Ricucci solo Ricucci»
 


ROMA - Il vicepremier Massimo D'Alema conferma le parole che Romano Prodi ha pronunciato sabato durante la crociera sul Po: «Qui c'è un'aria irrespirabile e un clima piuttosto preoccupante». Il ministro degli Esteri lo ha fatto aprendo la puntata di Ballarò in risposta ad una domanda del conduttore Floris. «Rischiamo di pagare un prezzo molto alto come Paese e c'è un clima di enorme confusione», ha aggiunto D'Alema che, a proposito dell'attuale governo ha sgombrato il campo dai dubbi: «Se cade si va alle elezioni. Non si possono usare le riforme per scardinare l'equilibrio politico. Non ne vale la pena».

BNL: «NESSUNA COLPA» - «Le notizie rese pubbliche in modo inopportuno non hanno alcun interesse di natura giudiziaria e neppure alcuna rilevanza di carattere etico: io non ho preso soldi nè fatto affari, ritenevo soltanto che se Bnl fosse stata acquisita dal movimento cooperativo sarebbe stato meglio». Il ministro attacca sulla vicenda della scalata alla Bnl e della sua relazione con Consorte. Le polemiche legate alla diffusione di intercettazioni «creano un'enorme confusione che determina un gravissimo danno al Paese - ha poi aggiunto Massimo D'Alema nella trasmissione di Rai Tre. «La gente si chiede quando vengono lanciate queste terribili accuse, quali siano le conseguenze. Dopo di che non succede niente perché gran parte di quelle accuse non avevano un minimo fondamento. Se qualcuno ha sbagliato sia perseguito ma io non ho sbagliato nel modo più assoluto. Noi - ha precisato poi D'Alema - guardavamo con favore al progetto di creazione di una grande banca vicina al movimento cooperativo perché una grande banca avrebbe potuto essere utile all'economia italiana».

DANNO ALLA MAGISTRATURA - Sulla vicenda D'Alema ha anche detto che la pubblicazione delle intercettazioni «rappresenta un danno per l'immagine della magistratura, non della politica».

«CONSORTE NON E' AL CAPONE» - «Allo stato dei fatti neppure Giovanni Consorte, del quale io non sapevo che perseguisse propri interessi in questa vicenda, non è neppure stato rinviato a giudizio. Eppure ne parlano come se fosse Al Capone». E' un'altra delle affernazioni di Massimo D'Alema a «Ballarò». «In un Paese civile - ha anche aggiunto il ministro - le persone si processano, non si impiccano».

«DIETRO A RICUCCI C'ERA SOLO RICUCCI» - «A volte le intercettazioni sono anche utili perché hanno dimostrato che dietro la scalata di Stefano Ricucci a Rcs non c’ero io, come invece è stato scritto». «Si scrisse che dietro Ricucci c’ero io - ha ricordato D'Alema -. Le intercettazioni a volte servono e dimostrano che non era vero. Si è capito che dietro Ricucci c’era Ricucci che cercava agganci qua e là». Quindi, rivolgendosi al direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli, ospite della trasmissione, il ministro degli Esteri ha aggiunto: «Vedo che lo scettro del Corriere è saldamente in mano tua e questo mi fa piacere perché è in buone mani».

PD, SPAZIO A VELTRONI - Sul Partito democratico, prima D'Alema fa sapere di non essere un candidato alla segreteria e poi apre a Veltroni: «Io penso che Veltroni sia un potenziale segretario del Partito democratico, ma anche candidato del centrosinistra alla guida del governo che forse è qualcosa di più importante del ruolo di segretario».

19 giugno 2007

da corriere.it
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« Risposta #10 inserito:: Giugno 20, 2007, 03:26:27 pm »

POLITICA

I VERBALI.
Gli interrogatori di Ricucci sulla vicenda Unipol

Attacchi a Della Valle, Abete e al figlio di Ciampi

"Così i vertici della Finanza passavano i dossier riservati"

di WALTER GALBIATI ed EMILIO RANDACIO


MILANO - Azioni di lobbying, ma non solo. Gli interrogatori davanti ai pm di Roma di Stefano Ricucci sono ricchi di retroscena inediti sulle operazioni messe in atto dai "furbetti del quartierino" e sulle grandi manovre per condurre in porto le scalate alle banche e alla Rcs.

"I dossier dalla Finanza al Giornale"
Secondo l'immobiliarista romano, c'è stata una regia nel fare uscire notizie coperte da segreto durante le indagini.

Ricucci: "Nel primo incontro che io feci a casa di Tavano (ex ufficiale dell'esercito arrestato con Ricucci, ndr), nel quale c'era anche questo Carano (tenente colonnello della Gdf, indagato per violazione del segreto istruttorio, ndr), si parlò dell'argomento che lui diceva... lui Carano, diceva che era deluso, che era stato estromesso dalla carica delle operazioni Unipol e Bnl... diceva che praticamente lui aveva ragione e non avevano ragione i vertici, ... ce l'aveva con i vertici, no? Che dice lui che era stato estromesso da questa indagine, secondo lui in malo modo, in quanto si voleva affossare le operazioni "Unipol/Bnl" per aver dato una copertura politica della sinistra diciamo, mentre si voleva andare contro di me, su Rcs, che io non ci avevo nessuna copertura politica... io pur convenendo con lui sulla seconda parte, eh, no, questo gli sto dicendo la verità, non ero d'accordo su quello che invece lui diceva su Unipol/Bnl, perché per quanto mi riguarda, l'operazione Bnl fu fatta... fu fatta in modo del tutto legittimo...

C'era il Tavano che invece alimentava e dava ragione a Carano, tant'è che dice "ah, questa cosa dobbiamo farla uscire sui giornali, bisogna dirla questa cosa" e la fece uscire anche su "il Giornale" e diedero questa relazione a Nuzzi (inviato del "Giornale", ndr). Tutta questa cosa che lui diceva, questa relazione che lui aveva fatto, non so con chi.... l'ha fatta uscire sul giornale".

Pm Cascini: "Chi l'ha fatta uscire, Tavano o Carano?"

Ricucci: "Loro due, non lo so mo' chi, eh, eh, comunque eccola, uscì.

Pm: "Ma che l'hanno fatta uscire loro sul giornale...

Ricucci: "Sì, sì".

Pm: "È una sua deduzione o gliel'hanno detto?"

Ricucci: "No, me l'hanno detto... non è che io ho visto le due persone che sono andate dal giornalista in persona, però mi hanno detto..."

"I finanziamenti Bnl"
Secondo il racconto del fondatore della Magiste, in Bnl molte operazioni finanziarie passate nascondono più di un mistero.

Ricucci: "Ci sono dei rapporti molto importanti dentro la Bnl, perché se no non si spiega tutta questa lotta per avere il controllo di questa banca. Non è una banca che guadagna 2 miliardi o un miliardo di euro l'anno, anzi sempre peggio fino al 2004. (...) Perché il Bilbao, perché Generali, perché Della Valle, perché Abete ha fatto tutto questo? Perché non si indaga un po' su questi altri signori. (...) Dentro alla Bnl sono state fatte delle operazioni nel tempo non tanto consone. Ad esempio i finanziamenti alla Tipografia Abete, i finanziamenti quando sono state acquisite le quote da parte di Della Valle, i finanziamenti fatti al figlio di Ciampi, e via discorrendo. I finanziamenti fatti ... il famoso finanziamento... nel bilancio stava a costo zero, ha fatto un finanziamento da circa un miliardo di euro all'Iraq.

Si disse che nel giugno 2003, fu finanziato attraverso la Bnl di Zurigo, Della Valle per comprare a 1 euro le azioni. Un presidente che finanzia il suo migliore amico che a sua volta sta nel suo consiglio di amministrazione, non è tanto legale! Finanziare le proprie aziende, non è proprio consono... il presidente della banca. Non ci sono prove. (...) Per avere le prove dovresti avere il potere per andare a vedere tutte le pratiche di fido e tutte ... chi ce l'ha? Perché io non ce l'ho, noi ci abbiamo provato, ci hanno tagliato le mani, eh! Io le posso spiegare questo che le sto dicendo, sul fatto ... per esempio una triangolazione sui finanziamenti fatti da Bnl di Zurigo a comprare a 1 euro e poi è stato un prezzo di obbligazione con la Dorint lussemburghese (società di Della Valle, ndr) e sottoscritto da Capitalia in Lussemburgo, questo gli posso dire".

La mediazione
di Galliani e Ben Ammar
Nel verbale del 5 giugno 2006, Stefano Ricucci spiega anche le operazioni di lobby esercitate per sorreggere la sua scalata ad Rcs. Accanto alla figura del banchiere vicino al gruppo Mediaset, Ubaldo Livolsi, spuntano anche i nomi del produttore cinematografico Tarak Ben Hammar, che ha anche una quota in Mediobanca, e del vice presidente del Milan, Adriano Galliani.

Ricucci: "... facendo anche riferimento alla telefonata di Galliani che dice che ti ha fatto un assist Berlusconi perché lui lanciò delle agenzie, quando uscì dai giornalisti (giugno 2005, inaugurazione sede Confcommercio)... c'erano tutti i giornalisti e disse (Berlusconi) delle frasi positive su di me...."

Ricucci: "Io Adriano lo conosco, Adriano Galliani lo conosco da tanto tempo".

Si scopre che Ricucci, nel luglio 2005, è stato intercettato diverse volte al telefono con il numero due del Milan dai finanzieri che indagavano su Antonveneta. Il 2 luglio, a pochi giorni dall'ufficializzazione dell'Opa, un altro contatto.

Pm Cascini: "Quindi quando lei dice qui in questa conversazione con Galliani, domani lo vedo, si riferisce al gran Presidente, di chi state parlando"?

Ricucci: "Perché io dovevo vede Alejandro Agag... mi aveva detto che andavamo a casa sua e invece dopo non ci siamo più andati... e Agag mi ha detto "forse domani viene anche il Presidente" e quindi io quando parlo con Galliani gli ho detto: "forse domani lo vedo", perché sapevo che a casa di Agag doveva andarci anche Berlusconi..."

Ricucci: "Tarak, da quello che mi ha detto Livolsi è stato sollecitato da lui per poter dare forza e conoscenza al gruppo Lagardere (gruppo editoriale francese, che ha trattato con Ricucci l'acquisto delle azioni Rcs rastrellate, ndr). Tarak non è che ha fatto nulla, è stato soltanto un signore che conoscendo il mondo finanziario francese ha rafforzato all'interno di questa trattativa la nostra possibile unione in Rcs... e sicuramente ci avrà messo una buona parola il presidente, perché il presidente Berlusconi conosce molto bene Tarak".


(20 giugno 2007) 

da repubblica.it
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« Risposta #11 inserito:: Giugno 20, 2007, 03:27:50 pm »

POLITICA

I reati ipotizzati dai pm della capitale sono aggiotaggio, insider trading e ostacolo all'attività degli organi di vigilanza

Unipol-Bnl, indagati a Roma Fazio, Caltagirone, Coppola, Ricucci e Statuto

Le iscrizioni, un atto dovuto, per le attività del "contropatto"

 
ROMA - Per la scalata di Unipol a Bnl sono indagati a Roma l'imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone, l'ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio, gli immobiliaristi Danilo Coppola, Stefano Ricucci e Giuseppe Statuto, oltre a un'altra ventina di persona. I reati ipotizzati sono, a vario titolo e a seconda delle singole posizioni, aggiotaggio, insider trading, ostacolo all'attività degli organi di vigilanza.

Le nuove iscrizioni nel registro degli indagati sono un atto dovuto dopo le dichiarazioni di varie persone coinvolte nell'inchiesta, tra le quali Ricucci, e dopo le risultanze investigative che i pm Giuseppe Cascini e Rodolfo Sabelli hanno affidato ai militari del nucleo valutario della Guardia di Finanza.

Oggetto di questo nuovo filone di inchiesta è l'attività del 'contropatto' formato da immobiliaristi e finanzieri nell'estate del 2004 per contrastare il patto che guidava Bnl (con gli spagnoli del Banco del Bilbao interessati alla scalata grazie all'appoggio di Generali e Doint, la società di Diego Della Valle). Al vaglio degli investigatori ci sono passaggi, ritenuti sospetti, di azioni tra soci del 'contropatto', che avevano portato alla raccolta e alla vendita a Unipol di oltre il 27 per cento di Bnl con plusvalenze per decine di milioni di euro.

Stando alle indiscrezioni, al termine di indagini durate mesi, le Fiamme Gialle hanno ricostruito i movimenti di circa l'80% del capitale della banca romana tra la fine del 2003 e il 31 maggio del 2005. Movimenti che avrebbero fruttato plusvalenze milionarie che sarebbero imputabili in gran parte ai membri del 'contropatto' di cui facevano parte Caltagirone, Ricucci, Coppola, Statuto, i fratelli Lonati e Vito Bonsignore.

L'inchiesta parte due anni fa, quando la procura di Roma accende il faro sulla lotta in atto tra Bbva e Unipol. Nel registro degli indagati finiscono l'allora numero uno di Via Stalingrado, Giovanni Consorte, il suo ex vice Ivano Sacchetti e il finanziere bresciano Emilio Gnutti.

L'attività degli inquirenti si concentra inizialmente sul ruolo avuto dalle autorità di vigilanza (a partire dall'iter autorizzativo di Bankitalia all'Opa di Unipol) e sulla ricostruzione dei passaggi azionari che gravitano intorno alla scalata. Le indagini proseguono con l'apertura di un nuovo filone di indagine relativo alla dismissione, a fine 2005, di 133 immobili di Unipol. Per quella vicenda vengono indagati ancora, per appropriazione indebita, Consorte, Sacchetti e altre 12 persone, tra cui l'imprenditore Vittorio Casale.

Questo fino alla svolta di oggi. Con le nuove iscrizioni nel registro degli indagati. Secondo quanto si apprende l'iscrizione dell'ex governatore Fazio sarebbe imputabile a un'interpretazione "estensiva" delle norme bancarie che vietano a uno o a più imprenditori in cordata di superare il 15% del capitale di una banca.

(19 giugno 2007) 

da repubblica.it
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« Risposta #12 inserito:: Giugno 25, 2007, 07:10:55 pm »

Attualità

L'ESTATE DEI FURBETTI

C'è Doris intorno a Fiorani
di Peter Gomez


Gli uomini del Cavaliere a fianco del banchiere durante l'assalto ad Antonveneta. In testa Ermolli e il patron di Mediolanum 

Silvio Berlusconi il suo primo generico assenso lo aveva dato già nel luglio del 2004. "Se il governatore Antonio Fazio è d'accordo la cosa si può fare", aveva detto in Sardegna l'allora presidente del Consiglio, al big boss della Banca Popolare di Lodi Gianpiero Fiorani, dopo averlo sentito illustrare, con sei mesi d'anticipo, il suo progetto di assalto alla Banca Antonveneta. E a Cesare Previti si erano illuminati gli occhi. "Se poi l'operazione va in porto, mi raccomando, che sia mio figlio a prendersi l'incarico di fare il legale", aveva subito aggiunto il senatore.

Così, dopo l'ok del capo, erano entrati in azione tutti gli altri. E per il successo di Fiorani si era mossa l'intera Fininvest. Sì, proprio la Fininvest, perché la storia che adesso ci regalano le carte dell'inchiesta milanese sulle scalate bancarie dell'estate 2005, non è solo una squallida epopea bipartisan in cui politici di ogni colore intervengono pesantemente sul mercato, ma è anche e soprattuto una vicenda in cui a far la parte del leone sono i più stretti collaboratori del Cavaliere. Quelli storici. In parlamento, per conto di Fiorani, operano come lobbisti l'ex manager del Biscione ed ex sottosegretario, Aldo Brancher e l'ex numero uno di Publitalia, Marcello Dell'Utri. Fuori, tra banche e imprese, si danno invece da fare il socio storico di Berlusconi in Mediolanum, Ennio Doris, e il più ascoltato tra i consiglieri di Arcore: il presidente di Medusa Film, Bruno Ermolli. Tanto che nei mesi precedenti all'assalto ad Antonveneta, Fiorani vede il Cavaliere solo tre volte, ma si tiene in contatto costante con i due. Al banchiere di Lodi interessa in particolare Doris che fa parte del patto Deltaerre, cioè del gruppo di azionisti proprietari dell'Antonveneta. Attraverso di lui Fiorani pensa di poter convincere gli altri soci a allearsi alla Bpl e a non cedere alle lusinghe di Abn Amro, in quel momento già intenzionata ad acquisire l'istituto padovano. Al primo incontro Doris sembra però "diffidente". Poi prende informazioni e si scioglie. La questione non è interessante solo dal punto di vista economico, visto che la gara con Abn avrebbe fatto salire il prezzo delle azioni. Al fondo di tutto avrebbe potuto esserci anche un interesse personale di Berlusconi: quello di fare cassa cedendo a Bpl le proprie quote in Mediolanum.

A ventilare a Fiorani questa possibilità è Ermolli in persona. "Dei progetti strategici, della posizione che riguarda il presidente del Consiglio, se ne occupa Ermolli. Vada da lui", suggerisce Doris. E Fiorani ubbidisce. Gli parla di Antonveneta e quando spiega di voler cedere a Mediolanum la rete di promotori finanziari di Bpl per poi diventare socio stabili della banca di Doris e Berlusconi, Ermolli considera: "Lei ha un argomento importante: a Berlusconi potrebbe interessare monetizzare una parte del suo investimento in Mediolanum". Doris però nicchia. Sostiene che Silvio, per il momento, non ha nessuna intenzione di uscire da Mediolanum, ma comunque comincia a darsi da fare per il successo della Lodi. "Era scatenato", racconta Fiorani, "per esempio si era operato a presentarmi Giustina Destro, l'ex sindaco di Padova (poi designata da Fiorani come membro del consiglio di amministrazione di Antonveneta, ndr) e aveva fatto lo stesso con Giancarlo Galan (governatore del Veneto ed ex manager Publitalia, ndr)". Con Doris dalla sua, Fiorani tocca il cielo con un dito: "Lui era legato a Berlusconi e dunque aveva un peso 'specifico' maggiore rispetto agli altri pattisti", spiega, raccontando come fosse riuscito a convincere i soci di Deltaerre a passare con lui. Quasi in contemporanea vengono rinsaldati i rapporti con il numero due di Unicredito, Fabrizio Palenzona (che secondo Fiorani riceve centinaia di migliaia di euro) "perché ritenevo utile ottenere coperture da parte della Margherita, partito di cui è esponente". E si stringe l'accordo con la Unipol di Gianni Consorte. Il manager rosso annuncia allora che i Ds avrebbero appoggiato la scalata, ma che non avrebbero difeso il mandato a vita del governatore. Fiorani non si preoccupa. Intanto ha in mano quasi tutto il parlamento. E durante il dibattito sulla legge sul risparmio scrive personalmente il testo di una serie d'interventi a difesa del suo grande protettore Fazio. Ricorda il segretario di Fiorani:"Dopo averli trasmessi, li distruggevo, come mi aveva ordinato. Ho sicuramente trasmesso questi interventi a Maroni (Lega), Alemanno (An), Grillo (Forza Italia) e Tarolli (Udc)". Quando si dice il primato della politica.

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