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Autore Discussione: Le parole di luce di Zanzotto  (Letto 2620 volte)
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« inserito:: Aprile 19, 2011, 06:32:55 pm »

Le parole di luce di Zanzotto

La 3a D alle radici della poesia

di III D, liceo Virgilio

studenti liceo virgilio roma da zanzotto
Storia in versione ridotta di un gruppo di studenti del Liceo Classico Virgilio (III D) di Roma e del loro professore.

LA FOTOGALLERY

Cerchiamo: Andrea Zanzotto, Dante Alighieri, Giacomo Leopardi.

Oggetto: i sentieri della lingua e della poesia.

Ore 5.00, 16 aprile 2011. Roma, Lungotevere dei Tebaldi 17. Secondo ragione si dovrebbe ritenere che la notte stia finendo ma l’alba tarda a salire. Avvolti da un cielo stellato ci adattiamo alla meno peggio sui sedili del nostro autobus: destinazione Pieve di Soligo, in provincia di Treviso. A poco a poco le stelle si spengono e avanza la luce, come di una nuova creazione, quella che ci attende. Siamo presi da una voglia pare inconsueta: ascoltare la voce di una poeta, dare alla foto di uno scrittore i movimenti freschi dell’uomo. Difficile indovinare l’intensità delle passioni che affioreranno dall’incontro, dopo che ne abbiamo letto il sottofondo magico, “dietro il paesaggio”, e i poli germinativi della sua lingua per dire immagini e cose. Ma la sua lingua che pur non sapendo da dove venga, “nel momento in cui viene, monta come un latte” (da “Filò”) e sembra segnare per noi un’apertura verso il futuro.

0re 6.00, 16 aprile 2011, sulla Roma-Firenze verso il “paesaggio”. Come solo può accadere nei sogni è il canto I del Paradiso di Dante che ci ridesta dal torpore; poi sapremo che è la voce di Giorgio Albertazzi: La gloria di colui che tutto move / per l'universo penetra, e risplende / in una parte più e meno altrove. Siamo su “un altro pianeta”, come commentava ieri Paolo Conti sul Corriere della Sera? Non credo ma abitare questo desiderio per la letteratura può suscitare qualche interrogativo. Ci siamo così assunti il carico di un viaggio lungo e faticoso, come quello allo scoperta dei testi (non dei resoconti sui testi), pervasi da un puro sentire per la conoscenza, l’unica vera forza che ci possa portare fin lassù, tra le terre trevigiane. (Eleonora Danese)

0re 7.30, 16 aprile 2011, area di sosta. Davanti a tazze di caffè caldo e cornetti appena sfornati ci ristoriamo ad un area di servizio. Il coraggio non manca e riprendiamo la strada.

0re 12.00, 16 aprile 2011, Pieve di Soligo. Abbiamo il privilegio di visitare la casa natale del poeta, incontrare la sorella che la abita, incamminarci lungo la Cal Santa. Un piccolo sentiero di poche case abitate, dove d’estate la gente – ricorda il poeta - si sedeva all’aperto e il dialetto che vi si parlava, fondeva il linguaggio della natura a quello umano. Un nido per Zanzotto sonoro e favoloso, deposito di parole e di emozioni. E mentre sediamo per un breve ristoro siamo raggiunti dal figlio, Fabio Zanzotto, insostituibile Cicerone. (Eleonora Danese)

0re 14.00, 16 aprile 2011, Pieve di Soligo. Siamo a casa del “Signore della lingua”. Passo gran parte del mio tempo a cercare delle risposte e, trovando come unica e inamovibile quella della cultura, mi affanno in egual modo a trovare conferme, supporti, spinte infuocate. Difficile ora, in questo momento della nostra storia italiana, in cui tutto sembra indirizzato verso un buio utile, vantaggioso, facile, proficuo economicamente. Gli occhi del “Signore della lingua” esprimono una potenza assoluta, sono straordinariamente più forti delle chiacchiere dei parlamentari, dei gossip da salone televisivo. Sono evasivi, belli. Sedere nel salotto di Andrea Zanzotto, annusare i fiori del suo giardino, vedere vecchie foto di famiglia, avere visitato la casa paterna ora abitata dalla sorella, è una scossa, una riscossa. Un fulmine a ciel sereno? No, perché il cielo non è sereno e pochi se ne accorgono. Pensavo che catturare le parole del poeta, annotarle per tenerle sempre con me sarebbe stata la cosa più giusta da fare, più confortante, quantomeno. Invece non riuscivo a sfuggire al suo sguardo e ogni incrocio era spaventosamente carico di emozioni e spinte vitali. I suoi occhi, da novantenne indebolito ma coraggioso, erano un inno alla cultura e, come tale, un inno alla vita. La sua mano tremolante mi sembrava ben più forte e rassicurante di quella agitata in tanti comizi. Per un momento, mi è parso di toccare l’essenza più profonda, il mio cuore si espande verso l’infinito. Facile connessione con quello di Leopardi, pensavo. Ma il maestro sottolinea: “in questo megatempo in cui l’uomo non si è ancora abituato a vivere, si perde ed è colto da un senso di naufragio”. Un amico civettuolo lo incalza: “simile al naufragio dei sensi e della parola con cui si chiude l’Infinito di Leopardi?" No, risponde il poeta, perché quello è “dolce”, mentre il naufragare di oggi è più pervasivo”. Credevo che avrei provato una sorta di sudditanza, di inadeguatezza, di incompatibilità stando cosi a stretto contatto con colui che tramite i suoi versi tante volte mi aveva destabilizzato. Eppure, sin da subito ho sentito un’empatia e una sincronia mai incontrate. Ora mi sento forte e dall’alto della mia leggerezza, in compagnia dei “signori della lingua”, più forte verso gli altri signori che sento stanno affossando il nostro futuro. (Emanuele di Francesco).

Ore 15.00 Il verde, qui, ha un colore diverso. E’ una frase pronunciata da una compagna, una semplice osservazione che è bastata a rendermi consapevole del luogo in cui mi trovavo. Un verde luminoso, quasi profondo nella calma in cui è inserito, quello del paesaggio di Pieve di Soligo, di cui tanto avevamo parlato affrontando la lettura del poeta. Il tema del verde torna più volte nei suoi versi ma, immersa in essa, immersa ho colto, probabilmente per la prima volta, il vero significato di quelle parole. E solo allora ho iniziato a provare un'emozione forte, coinvolgente, per ciò che stava avvenendo. Quando per la prima volta ho incontrato il suo sguardo ho provato un'emozione difficile da esprimere, è stato come se avessi colto l'essenza dei suoi versi, della sua persona che ha vissuto quasi tutto il secolo precedente. E' un uomo di poche parole Zanzotto, che dice molto di più semplicemente con lo sguardo, certamente un po' stanco, ma che sembra non curarsi del proprio corpo novantenne; uno sguardo vivo, intelligente, profondo, comprensivo, coinvolgente. Ascoltandolo rispondere brevemente alle nostre curiosità, non riuscivo a distogliere gli occhi da quelli del poeta, avevo l'impressione di poter imparare più da quello sguardo che da qualunque altra parola, credo che la forza del pensiero che vive in quegli occhi non mi abbandonerà facilmente, una sensazione profonda, rassicurante. Abbiamo studiato e letto tanta poesia in questi ultimi anni io e i miei compagni, ma dopo quest'esperienza fondamentale sembra di averla conosciuta più intimamente e di averne colto l'insostituibile ruolo. La poesia e la cultura non sono niente di vago e inconsistente, ma qualcosa che ci permette di conoscere e attraverso le quali ci conosciamo. Mi vengono in mente le parole di Zanzotto sulla natura e sul paesaggio, temi cardine della sua poesia. “La natura”, risponde il poeta “è tutto l'insieme degli esseri che esistono, vivi e morti e tutti quelli che hanno conosciuto come funziona l'organismo naturale, dovrebbero sentirlo come un dato di fatto”. Con un lieve sorriso, un po' malinconico, Zanzotto ci ha trasmesso il senso profondo della poesia, del suo essere creatore di versi in un’Europa melograno di lingue. (Giulia Olga Fasoli).

Ore 16.00, partenza in direzione di Ravenna. Corriamo alla tomba di Dante. Inutile, è chiusa. Ci accontentiamo di una discreta sistemazione in un hotel. Ceniamo. Chi si ritira esausto, chi passeggia per le vie del piccolo centro storico con lo stesso ritmo di aspettative e pensieri.

Ore 8.00, domenica 17 aprile, Ravenna. Impossibile partire senza visitare il monumento di Dante. I battenti però sono sempre chiusi ma ci accostiamo ai marmi per un saluto. E’ lui l’onnipresente nei programmi, lo si studia per mesi nelle ore di lettere: e non solo la Commedia - che accompagna per tre anni il percorso di formazione alla letteratura italiana- ma anche la Vita nova (per la lirica antica e le origini dell’autobiografia), il Convivio (per la figura del Dante-filosofo), il De vulgari eloquentia (per la storia della lingua). In sostanza coincide con lui, con la sua opera, quasi tutto ciò che del Medioevo che la gran parte di noi studenti italiani dobbiamo conoscere. Eppure anche qui facciamo eccezione: come dimenticare le nottate sul Canzoniere di Petrarca, le varie redazioni e il codice degli abbozzi? Torniamo a un crocevia di personaggi letterari ma reali, a un mappa delle nostre letture e dei nostri studi a tratti furiosi.

Ore 11.30, domenica 17 aprile: Recanati, La Città della Poesia. E’ il cartello che ci accoglie. I riferimenti a Giacomo Leopardi sono ovunque: vie, alberghi, ristoranti, negozi tutti parlano la lingua della sua poesia. Non è difficile perdersi, abituati a una consolidata topografia letteraria: da Via colle dell'infinito e Via del passero solitario saliamo verso il borgo, sostando prima sulla piccola piazza del Sabato del villaggio dove una scrittura esposta ricorda quei “fanciullini [che] gridando / su la piazzuola in frotta, / qua e là saltando, / fanno un lieto rumore." Entriamo nella dimora Leopardi partecipi di quell’avversione per il "patrio ostello" – così definito nei versi del Primo amore - dove visse costretto fino al 1822 quando per la prima volta si allontanò, diretto a Roma. Sono alla ricerca dei suoi volumi, violentati per farne florilegi, idilli, componimenti dotti e un velo di malinconia si stende in aria e sul viso perdendomi nella biblioteca, con l’aiuto della fantasia. Ciò che mi affascina non è tanto la mole, seppur notevole, ma quell'unica finestra posta nella stanza dove il Poeta, dopo sette anni di "studio matto e disperatissimo", compose i primi versi. Da qui si domina la piccola piazza sulla quale vide i compaesani apprestarsi a preparare la festa della domenica, "venir fuor la femminetta a còr dell'acqua della novella piova", scendere al tramonto dai campi (ora nascosti da edifici costruiti successivamente) una " donzelletta" con un "mazzolin di rose e viole". Da lì udiva Silvia cantare e la osservava filare. Creature destinate a un destino trionfale tramite quei versi, personaggi condotti a compimento perché non sono più abbandonati ai margini di appunti addensanti sui nostri manuali e la loro bellezza per me si sprigiona. Muovendosi per quelle sale, indugiando tra uno scaffale e l’altro, appaiamo sospesi, volti a un montaggio nuovo e personale delle cose che ora sembrano montarsi da sole. Imbrigliati dalla fatale necessità di fare ritorno a Roma, ci dirigiamo come rabdomanti averso il luogo per antonomasia della poesia leopardiana: "l'ermo colle". Odore di passato, forza germinativa del sole che ci illumina mentre sdraiandoci su quella che immaginiamo essere stata la sua siepe, abbiamo le sue parole in gola per arrenderci a "interminati spazi", "sovraumani silenzi e profondissima quiete". Non occorrevano commenti e parafrasi perché siamo stati abitati dalle parole di quegli spazi. Impossibile? No, allo stesso modo con cui Leopardi si sentì così vicino a Torquato Tasso, da piangere a Roma presso la sua tomba. (Camilla Peraldo).

Ore 19.00 Roma, Lungotevere dei Tebaldi. Saluti, ringraziamenti, congratulazioni. Abitare questi desideri è stato già qualcosa. Dopo le sollecitazioni intense di Andrea Zanzotto e l’omaggio riverente ai luoghi della memoria dantesca e leopardiana, ritorno con queste vite a Roma. Mi chiedo quante volte mi abbiano indicato la strada migliore da seguire, grazie il loro ascolto, nell’accostarmi alla verità della vita attraverso le parole della poesia e della prosa. Non sanno di essere stati la chiave di un successo: l’avere imparato a cosa prestare attenzione, trovando non solo significativa ma “sacra” la parola dell’altro. Hanno idee virtuose e semplici per la loro vita. Spero che non dimentichino quello che la filologia ha loro insegnato: che nel decifrare niente è uguale e che occorre attenzione, pazienza e rigore per poi scegliere. L’itinerario sulle orme dei grandi è terminato. Domani tutti nuovamente sui banchi perché, come amo ricordare con D.F. Wallace, la cultura è realmente il lavoro di una vita ma comincia… adesso.

Nihil ex nihilo. Nulla dal nulla. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza la generosa accoglienza di Andrea Zanzotto e del figlio Fabio e l’interessamento fattivo di Gianni Zagato, un genitore.

19 aprile 2011
da - unita.it/culture/le-parole-di-luce-di-zanzotto
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