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Autore Discussione: DOMENICO QUIRICO. L'avvento del profugo globalizzato  (Letto 2325 volte)
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« inserito:: Marzo 06, 2011, 11:50:18 am »

4/3/2011

L'avvento del profugo globalizzato

DOMENICO QUIRICO

E’ la prima assistenza che li accoglie, un metro dopo aver infranto la frontiera della salvezza, con la valigia che schiaccia dorsi piagati, a piedi nudi, allucinati, disfatti, gente che pare condannata a essere in agonia fino alla fine del mondo. Prima della distribuzione del pane, prima dell’acqua, le umili endiadi della sopravvivenza finora previste nel lessico essenziale dei profughi.

Non è più così per i sopravvissuti di Ras Jedir, schiavi stranieri evasi dalla prigione petrolifera di Gheddafi, così innumerevoli da non aver diritto a dati certi, ottantamila già passati di qui, centomila, duecentomila ancora in trappola, chissà. Appena entrati in Tunisia sfilano non davanti a cucine di emergenza, ma davanti a banchetti che offrono la tentazione fondamentale del cellulare: Nokia modello terzo mondo, costo quaranta dinari, venti euro; e poi le schede per caricarli e le batterie di ricambio. Seguono i banchi che mettono a disposizione telefonini predisposti «per chiamate internazionali»: due dinari al minuto. Non caro.

Complimenti a questi trafficanti che si sono gettati, rapaci e accorti, sulla frontiera della disperazione. Non più con sigarette, o cibo. Hanno capito, loro, i nuovi ritmi del mondo, chi oggi è davvero nudo. Un tempo l’uomo apparteneva al luogo dove si sentiva al sicuro. Era quella la sua casa. Oggi appartiene a quello in cui può comunicare. La Libia era per questi uomini in fuga la paura in quanto muta. La violenza poliziesca che ricordano con maggiore astio non sono le ore passate sulle strade ciabattando verso la frontiera, gli oggetti rubati, le botte: quello è il normale fardello del debole, del povero. Che accettano, rassegnati. Li indigna solo il fatto che prima di lasciarli andare abbiano fracassato i loro telefonini e sequestrato le schede. Per impedire che portassero con sé testimonianze di quanto accade nella zona rimasta ancora sotto il Colonnello. La Tunisia è la salvezza perché si può comprare un cellulare. E parlare.

A Ras Jedir constatiamo la nascita di una nuova figura, il profugo globalizzato. Innanzitutto non sogna di sfamarsi, si sente libero solo quando impugna una scatoletta di plastica che gli consente di comunicare con il mondo intero. La sterminata famiglia degli esclusi è ormai quella di chi è lasciato in silenzio. Nel Maghreb con il telefonino si alimentano rivoluzioni che scompigliano dittature preistoriche e sguaiate. Singolare contrappasso: anche le vittime di questi virtuosi sconquassi lo impugnano per sentirsi in salvo.

Attenzione.
I fuggiaschi di Ras Jedir non sono studenti, intellettuali, tecnici. Sono decine di migliaia di fellah egiziani, di manovali del Bangladesh, di operai turchi, di sguatteri filippini. Non si preoccupano se la Grande Macchina della Carità internazionale darà loro subito una tenda e un pasto, di quando ci sarà la possibilità di tornare a casa. Questi erano i dannati di Goma, del Ruanda, della Somalia, catastrofi umanitarie ancora dell’era antica. Dimentichiamoli. Qui siamo nel mondo nuovo, nell’Africa del telefonino.

Bisognerà tenerne conto, cambiare le nostre certezze per l’assistenza internazionale. Il kit di pronto intervento deve essere allargato, il biscotto ad alto contenuto energetico, le tende che si montano in tre minuti, il medico, non bastano più, bisognerà aggiungere il telefonino umanitario. Rendiamo omaggio ai pionieri, che sono francesi, la Ong «Télécoms Sans Frontières»: fornisce già alle vittime delle catastrofi il servizio gratuito di telefoni satellitari. Una loro postazione è nel campo di raccolta vicino a Ras Jedir; davanti alla tenda si formano code lunghissime. Più lunghe di quelle dove distribuiscono il pane.

da - lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali
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