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Autore Discussione: Ossessione e sicurezza  (Letto 2275 volte)
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« inserito:: Settembre 22, 2007, 10:06:35 pm »

Ossessione e sicurezza

Gigi Marcucci


Un’assemblea in cui qualcuno grida: «I musulmani insegnano ai bambini come si uccide». Un coro di urla e invettive contro l’arrivo della moschea e gli amministratori che lo stanno propiziando. Una piccola guerra di religione, cavalcata dalla destra (e almeno in parte condivisa dalla Curia). Ma i crociati non sono i sanbabilini degli anni 70 né i loro emuli di Forza Nuova. Tutto avviene nel cuore rosso della Bologna del 2000: zona Pilastro, periferia est della città, meta di immigrazione italiana negli anni 60 e di immigrazione straniera dagli anni 90.

Un cuore che batte forte per la paura dello straniero, che si infiamma e quasi fibrilla quando il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli propone di portare un maiale a pascolare sul terreno destinato agli «infedeli». Un cuore di sinistra che sbanda pericolosamente a destra. Una guerra che fa leva sui timori di una fetta di periferia dove la politica, intesa come soluzione razionale dei problemi, ha fatto cilecca e l’ossessione per l’immigrato, entità percepita come pericolosa, è rimasta padrona del campo.

È successo solo poche settimane fa ed è stato un segnale d’allarme a cui se ne sono presto aggiunti altri: l’aggressione di due giorni fa ai rom del Tiburtino potrebbe essere archiviata come il gesto gravissimo di una squadraccia, se non fosse stata accompagnata, nella migliore delle ipotesi, dal tacito assenso di una comunità che tradizionalmente non vota a destra.

Questo significa che la realtà, in particolare quella delle nostre periferie, sta cambiando molto più in fretta di quanto partiti storicamente sostenuti da ceti medio-bassi riescano a capire. Il dato fondamentale è un’insicurezza diffusa, che spinge a cercare nei settori di popolazione più deboli e indifesi l’origine di mali nati altrove, come l’assenza o la precarietà del lavoro, la vita in pezzi di città dove manca una seria politica di integrazione, la difficoltà di arrivare a fine mese. Queste tensioni finora hanno prodotto una benzina che ha fatto funzionare bene il motore di alcuni partiti di destra (vedi Calderoli e il suo maiale), mentre sembra aver ingolfato quello dei partiti di sinistra.

Così i sindaci di centrosinistra aggiustano il tiro, l’ordinanza fiorentina contro i lavavetri viene riscritta dal sindaco Leonardo Domenici. A Bologna, Sergio Cofferati, paladino della legalità, frena sulla moschea: ribadisce che verrà fatta, ma avvia un «percorso partecipativo» per decidere dove sorgerà, se oltre al luogo di culto ci saranno spazi per attività ricreative e commerciali, per stabilire le dimensioni, inizialmente previste in seimila metri quadri. Correzioni di rotta, navigazione a vista in acque agitate, una sinistra che sembra afona e disorientata in ambienti che un tempo erano quelli prediletti per la battaglia politica.

Il caso bolognese sembra insegnare qualcosa. In primo luogo per la composizione della platea che al Pilastro ha detto no alla moschea. Non c’erano solo i leghisti e i loro slogan trucidi. «C’era anche gente di sinistra che li applaudiva», ha ricordato un partecipante. Del resto il Pilastro, oltre ad essere stato teatro di uno degli agguati più feroci della «Uno bianca» (4 gennaio 1991, tre carabinieri uccisi) fu anche il palcoscenico, sempre nei primi anni 90, di tensioni a sfondo razziale - tra cui l’assalto a colpi di bottiglie molotov contro gli immigrati che dormivano in un centro di accoglienza.

Un problema che la politica forse non è ancora riuscita a mettere a fuoco, il segnale che qualcosa sta cambiando. Forse la politica stessa. Bologna è stata, tradizionalmente, un laboratorio di partecipazione. Nella sua storia non c’è stato un solo amministratore che non abbia affrontato infuocate assemblee di quartiere, riuscendo - a volte con fatica - a costruire margini accettabili di consenso intorno alle scelte del Comune. Un successo dovuto soprattutto alla capillare presenza di associazionismo e politica. Questa volta il meccanismo non ha funzionato, il Pilastro se n’è andato dietro le sirene leghiste, nel silenzio dei principali esponenti dei partiti di sinistra. Il presidente di quartiere Riccardo Malagoli, ex ribelle del '77, ex militante di Rifondazione, si è sentito isolato dalla politica e dalla società civile, tanto da dichiararsi pronto alle dimissioni. «Mi aspettavo una reazione unanime - ha scritto Malagoli -, forte, "alta" di condanna. Reazione che non c'è stata». Si è registrato un vuoto che la sinistra ora deve cercare di riempire. Forse discutendo un po’ di più della condizione umana nelle città. O, come si diceva una volta, dei problemi della gente.

Pubblicato il: 22.09.07
Modificato il: 22.09.07 alle ore 10.18   
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