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Autore Discussione: SINISTRA DEMOCRATICA -  (Letto 66277 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Dicembre 02, 2007, 06:57:24 pm »

Riforme, la sinistra: nessun accordo senza di noi


Il giorno dopo la Yaltina, come il quotidiano del Prc, Liberazione, ha chiamato il vertice tra Walter Veltroni e Silvio Berlusconi, la sinistra alza il tiro. E avverte il leader del Pd: nessuna riforma senza di noi.

Il primo a fare la voce grossa è stato venerdì il segretario di Rifondazione Franco Giordano che aveva messo in guardia da una legge elettorale che «non può essere appannaggio privatistico di forze politiche». E dopo il faccia a faccia aveva aggiunto: «Non so che cosa abbiano deciso concretamente – dice riferendosi all’incontro tra i leder del Pd e del Ppl – ma questo giro di consultazioni non può prevedere un'ipotesi di legge elettorale compiuta».

Sabato gli fa eco il leader di Sinistra democratica Fabio Mussi: «Si può discutere di tutto – ha detto – ma non di una legge esagerata nel senso che non deve essere cucita come un abito sartoriale addosso al Partito democratico e al Partito di Berlusconi». Nessun accordo, taglia corto, che sia «come le forche caudine». E soprattutto, aggiunge, nessuna fretta: «Mi pare – ha detto – si stia dando la data di scadenza al Governo per iniziativa del Partito democratico e del neo-partito di Berlusconi: grazie alla fretta che hanno i due maggiori partiti in campo – conclude – nel 2009 è probabile che si vada a votare».

Chiede un confronto con la coalizione anche il leader dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio: «È urgente un vertice dell'Unione – ha ammonito – bisogna discutere di una legge elettorale che permetta ai cittadini di conoscere l'alleanza e di scegliere deputati e senatori».

L’accordo tra Veltroni e Berlusconi non va giù nemmeno al Pdci. Il segretario dei Comunisti Italiani Oliviero Diliberto invita Veltroni a «non cadere nella trappola» di Silvio Berlusconi: «Veltroni – spiega Diliberto – si deve rendere conto che sta parlando con un soggetto che nel corso degli anni ha cambiato idea innumerevoli volte».

Dal canto suo, Veltroni rassicura gli alleati, e non solo. «Lo spirito con cui lavoriamo – ha dichiarato dopo l’incontro con Berlusconi – è di rispetto con tutti gli interlocutori politici, indipendentemente dalla loro grandezza». Ma, avverte, «alla fine il consenso non sarà al 100%».

Pubblicato il: 01.12.07
Modificato il: 01.12.07 alle ore 21.28   
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« Risposta #46 inserito:: Dicembre 03, 2007, 10:18:08 pm »

Una due giorni partecipata, ricca di contenuti e di speranze

Stati Generali a Milano: una Sinistra nuova è possibile

di Chiara Cremonesi*


"Gli Stati generali della Sinistra metropolitana milanese hanno conseguito un risultato straordinario che non era scontato. Usciamo da questi due giorni con più idee, contenuti, con un retroterra culturale e politico che sostanziano il nostro agire. Usciamo con più determinazione politica. Grazie allo sforzo congiunto delle forze politiche della Sinistra, delle associazioni e dei movimenti, delle singole e dei singoli, i promotori degli Stati generali si sentono incoraggiati a proseguire in questo lavoro".
Con queste parole si sono chiusi gli Stati generali della Sinistra metropolitana milanese, promossi da SDpSE, Verdi, PRC, PdCi e da diverse associazioni. Due giorni di lavori che si sono aperti con una grande assemblea plenaria in una sala gremita (600 posti a sedere e numerose persone assiepate in piedi), dove alle relazioni tematiche si sono alternati gli interventi dei leader politici nazionali: Fabio Mussi, Franco Giordano, Orazio Licandro e Natale Ripamonti. Lo sforzo unitario, la ricerca di una sintesi alta si sono dimostrati fin dalla preparazione dell'iniziativa:
tutti gli interventi dell'assemblea plenaria erano infatti concordati e non "lottizzati" tra i promotori. L'assemblea si è aperta con un ordine del giorno, letto da un giovane compagno di SDpSE, contro la violenza degli uomini sulle donne. Abbiamo poi aperto i lavori con un documento congiunto dei promotori nel quale si afferma che in Italia, e ancora di più a Milano, c'è bisogno di una sinistra nuova e unita che sappia aggiornare la sua "cassetta degli attrezzi" perché sono insufficienti le sue forze e le sue idee della tradizione novecentesca che oggi rischiano di farla soccombere alla marginalità nella scena politica e a un perpetuo minoritarismo, senza riuscire a dare risposte all'altezza della situazione.
Insomma, se una Sinistra grande e forte serve all'Italia, è ancora più necessaria a Milano.
In plenaria si sono poi svolte le relazioni tematiche: Antonio Pizzinato sull'Antifascismo; l'avvocata Maria Grazia Campari sul Conflitto tra i generi; Susanna Camuso (Segretaria regionale CGIL) su Diritti di cittadinanza e laicità; Damiano Di Simine (Presidente regionale di
Legambiente) su Ambiente e territorio; i sociologi Roberto Biorcio e Tommaso Vitale rispettivamente su Metropoli, culture e convivenza e Lavoro e welfare.
Dopo la plenaria tutti i partecipanti si sono divisi in gruppi tematici che hanno lavorato con il compito di riportare un indice delle questioni che meritano l'elaborazione e l'azione di una nuova Sinistra.
È stato molto interessante veder discutere insieme parlamentari, amministratori, esponenti del mondo associativo e "normali" cittadini: si sono svolte discussioni intense, come non se ne vedevano da tempo, soprattutto per chi era abituato agli sbadigli e alla disattenzione dei congressi di partito.
Ed è forse questo il dato politico più importante: la voglia di discutere e l'averlo fatto iniziando a intercettare e a coinvolgere la cosiddetta "sinistra diffusa".
Anche verso di loro abbiamo la grande responsabilità di proseguire un lavoro che garantisca l'unità e l'apertura e la sollecitazione di organismi, singole e singoli.
È questo il contributo milanese all'Assemblea generale dell'8 e del 9 a Roma.

*Coordinatrice milanese Sinistra Democratica. Per il Socialismo Europeo

da sinistra-democratica.it
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« Risposta #47 inserito:: Dicembre 04, 2007, 12:11:31 pm »

''E' un'esperienza complessa, molto dura e anche molto affascinante, intendo portarla a termine''

Vendola: ''Io leader 'Cosa Rossa'? Già impegnato nel governo della Puglia''

Il governatore in visita al Palazzo dell'Informazione dell'Adnkronos: ''Ho un impegno con il mio popolo e la mia gente''.

Poi sulla fiducia posta da Prodi sul Welfare: ''Credo che ci sia stata una certa arroganza da parte del presidente del Consiglio'' (video)


Roma, 3 dic. (Adnkronos/Ign) - "Sono impegnato in un'esperienza complessa, molto dura e anche molto affascinante che è quella di governare un territorio di oltre 4 milioni di abitanti". Il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, in visita al Palazzo dell'Informazione dell'Adnkronos, riafferma così l'impegno nel governo regionale facendo sfumare l'ipotesi di una sua possibile leadership alla Cosa Rossa. "Ho un impegno con il mio popolo, la mia gente, la mia regione - sottolinea - intendo portare a termine questa esperienza".

Secondo Vendola la costruzione di un soggetto unico della sinistra non deve partire con un dibattito sulla leadership bensì sul programma. "Spero che questo cantiere parta con il piede giusto - dice - e non è quello dell'indicazione di un leader bensì di una piattaforma, di una carta dei valori, di un orizzonte programmatico per una sinistra del futuro".

Poi una stoccata a Prodi sul Welfare. "Credo che ci sia stata una certa arroganza da parte del presidente del Consiglio nel porre una fiducia che non aveva ragione di essere" commenta il governatore secondo il quale non si è andato all'approfondimento dei problemi che "riguardano milioni di persone".

"Approfondire la tematica dei lavori usuranti non è sventolare una bandierina ideologica - spiega il presidente della Regione Puglia - ma farsi carico di cosa è diventato per tante persone il lavoro".

Un intervento a tutto campo, quello di Vendola, che parla anche di nucleare e immigrazione. "Noi non intendiamo ospitare alcun sito per il deposito delle scorie nucleari" mette in chiaro, commentando il lavoro avviato con il tavolo tecnico tra Regioni e ministero dello Sviluppo economico per arrivare all'individuazione di un sito per il deposito nazionale delle scorie nucleari.

"Anzi - prosegue - il tema del sito delle scorie nucleari è un elemento di contraddizione nei confronti di questa curiosa nostalgia per le centrali atomiche che è tornata nella discussione pubblica. Pensiamo, poco 'berlusconianamente' che il futuro non sia nel nucleare ma sia nell'energia del vento, del sole, dell'idrogeno, delle fonti rinnovabili".

Quanto all'immigrazione, il governatore dice no al 'far west': "Credo che se militarizzeremo le nostre città, se andremo incontro a un'idea di 'Far West' del governo dei problemi della sicurezza, l'insicurezza crescerà".

"Lo abbiamo già visto in tanti altri Paesi del mondo - rimarca - più sicurezza significa più diritti, significa ricostruire per i giovani l'idea del futuro perché l'insicurezza nasce da lì". E conclude osservando che "bisogna cercare le cause e non capri espiatori contro cui di volta in volta accanirsi in riti di esorcismo: l'insicurezza si combatte rideterminando le condizioni di sicurezza con quartieri dal volto più umano, agibili, con servizi sociali, trasporti, illuminazione e lavoro. Significa ricostruire il filo rosso delle relazioni nelle comunità e tra le persone".

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« Risposta #48 inserito:: Dicembre 04, 2007, 12:12:47 pm »

POLITICA

Colloquio a Montecitorio con il presidente della Camera

Bertinotti: per Prodi l'ultimo appello sarà sui salari

"Il progetto del governo è fallito noi siamo già oltre l'Unione"

"Palazzo Chigi ha finito con l'aumentare la distanza dal popolo della sinistra"

"Il Cavaliere è un animale politico, è attendibile la sua disponibilità a fare le riforme"

di MASSIMO GIANNINI

 

"Dobbiamo prenderne atto: questo centrosinistra ha fallito. La grande ambizione con la quale avevamo costruito l'Unione non si è realizzata...". Alle cinque del pomeriggio, nel suo ufficio a Montecitorio, Fausto Bertinotti sorseggia un caffè d'orzo, e traccia un bilancio amaro di questo primo anno e mezzo di governo. È presidente della Camera, ci tiene a mantenere il suo profilo istituzionale, non vuole entrare in campo da giocatore. Ma le sue parole, quelle del vero leader della sinistra radicale, alla vigilia del meeting della Cosa Rossa di sabato prossimo, lasciano un solco profondo nel cammino della legislatura e nel destino delle riforme.

Bertinotti non fa previsioni, sulla durata del governo. "Non posso, non voglio", dice. Ma fa un ragionamento politico per molti versi "definitivo", sullo stato della maggioranza. "Voglio premetterlo: non ci deve essere nervosismo, da parte di Prodi. Usciamo da questa prigione mentale: io non so quanto andrà avanti, può anche darsi che duri fino alla fine della legislatura, e non ho nulla in contrario che questo accada. Ma per favore, prendiamo atto di una realtà: in questi ultimi due mesi tutto è cambiato". È nato il Pd, e la Cosa Rossa viaggia verso lidi inesplorati. Nel frattempo, Prodi ha accontentato i "moderati", sia sulla Finanziaria, sia sul Welfare.

Per il capo di Rifondazione ce n'è abbastanza per dire che "una stagione si è chiusa". Ora niente sarà più come prima: "Un governo nuovo, riformatore, capace di rappresentare una drastica alternativa a Berlusconi, e di stabilire un rapporto profondo con la società e con i movimenti, a partire dai grandi temi della disuguaglianza, del lavoro, dei diritti delle persone: ecco, questo progetto non si è realizzato. Già questo ha creato un forte disagio a sinistra. Poi si sono verificati fatti che lo hanno acuito. Ne potrei citare centomila...". Risultato: "Abbiamo un governo che sopravvive, fa anche cose difendibili, ma che lentamente ha alimentato le tensioni e accresciuto le distanze dal popolo e dalle forze della sinistra".

Questa, per Fausto il Rosso, è "la condizione reale". E forse irreversibile. Bertinotti cita Lenin, e la differenza tra strategia e tattica. "Il grande tema, per la sinistra radicale, è uno solo: l'autonomia. Torna una grande questione, che nacque nel '56, con i fatti di Ungheria, con la rottura nel Pci, con lo scontro Nenni-Togliatti. Lì nasce una grande cultura politica, una storia enorme, Riccardo Lombardi. È l'autonomia di un progetto, che da allora la sinistra ha cancellato, rimosso. Oggi, per la sinistra radicale, il tema si ripropone. Devi vivere nello spazio grande e nel tempo lungo, per creare una grande forza europea per il 21° secolo. Se questa è l'ambizione, allora tutto va ripensato. Essere o meno alleati del Pd, stare o meno dentro questo governo: tutto va riposizionato in chiave strategica".

Questo riposizionamento strategico, secondo Bertinotti, è appena iniziato. "Alla fine del percorso - chiarisce il leader - io voglio riconoscere al Pd il diritto a trovarsi gli alleati che vuole, ma voglio garantire a noi il diritto di tornare all'opposizione". Dunque la stagione dell'Unione è al capolinea? "Intellettualmente io sono già proiettato oltre. Ma politicamente ancora no". E qui torna Lenin. Fissata la strategia del tempo lungo, c'è da occuparsi di tattica "hic et nunc", come dice il presidente della Camera. La tattica impone di combattere, ancora, dentro il quadro delle alleanze consolidate, e dentro il perimetro del governo in carica. Ma ad alcune condizioni irrinunciabili: "So bene, e ho persino orrore a pronunciare il termine: "verifica". Ma è chiaro che a gennaio serve un confronto vero, che prende atto del fallimento del progetto iniziale ma che, magari in uno spettro meno largo di obiettivi, rifissa l'agenda su alcune emergenze oggettive. E viene incontro alle domande della società italiana, con scelte che devono avere una chiara leggibilità "di sinistra". So altrettanto bene che queste scelte devono essere assunte dall'intera coalizione. Ma stavolta, davvero hic Rhodus hic salta. Sul Welfare, come si è visto, la sinistra radicale non ha aperto nessuna crisi. Ciò non toglie che il governo ha ormai molto meno credito a sinistra di quanto non lo avesse qualche mese fa...".

Bertinotti rinuncia a fare l'elenco delle "centomila cose" su cui il centrosinistra ha rinunciato a imporre la sua visione ("dalla laicità dello Stato alla politica estera"). "Ma se si vuole tentare una nuova fase della vita del governo, vedo due terreni irrinunciabili: i salari e la precarietà". È soprattutto sui primi, che il "padre nobile" del Prc fonda il suo ultimo avviso a Prodi: "Dai sindacalisti a Draghi, tutti dicono che la questione salariale è intollerabile. Ebbene, io mi chiedo: questa denuncia induce il governo a prendere qualche iniziativa, oppure no? Il 65% dei lavoratori italiani è senza contratto: posso sapere se questo per il governo è un problema, oppure no? In Francia Sarkozy ha aperto un confronto molto aspro, lanciando l'abolizione delle 35 ore e dicendo che se lavori di più guadagni di più: posso sapere se in Italia, dai metalmeccanici ai giornalisti, il governo ritiene ancora difendibili i contratti nazionali di categoria, oppure no? Non c'è più la scala mobile, ma intanto i prezzi stanno aumentando in modo esponenziale: tu, governo, non solo non vuoi indicizzazioni, ma con la fissazione dell'inflazione programmata hai contribuito pesantemente a tenere bassi i salari. Dunque c'entri, eccome se c'entri. E allora, in attesa di sapere cosa farai sui prezzi, posso sapere cosa pensi del problema dei salari? E attenzione: qui non basta più ripetere banalmente che "bisogna rinnovare i contratti". Io voglio sapere se il governo ritiene giuste o meno le rivendicazioni. Voglio sapere se ritiene opportuno restituire il fiscal drag, o se invece si vuole assumere la responsabilità di continuare a non farlo. Insomma, io voglio una bussola. Voglio decisioni che rimettano il centrosinistra in sintonia con la parte più sofferente del Paese. Che altro devo dire? Ridateci Donat Cattin...".

Dunque, appuntamento a gennaio. Se Prodi non raccoglie, questo invito potrebbe essere davvero l'ultimo. Questione di tattica, che per la Cosa Rossa, prima o poi, dovrà necessariamente coincidere con la strategia. Ma allo stesso modo, per Bertinotti, la tattica offre un'altra formidabile opportunità, stavolta a tutto il sistema politico: il dialogo sulle riforme. Stavolta l'accordo è "una possibilità reale". Nei due poli "si è affermata una larga condivisione su due punti essenziali. Primo: l'attuale sistema istituzionale ed elettorale è un fattore di riproduzione della crisi politica. Dalla Finanziaria al Welfare, tutto dimostra che il bicameralismo perfetto non funziona più. Secondo: la lunga transizione dalla Prima Repubblica è fallita. La barca si è messa in moto nel '93, ma non ha raggiunto l'altra riva, è in mezzo al fiume e va alla deriva con un duplice difetto: le maggioranze coatte (buone per vincere ma non per governare) e il trasformismo endemico. Insomma, questo sistema bipolare è fallito, e tutte le forze politiche hanno capito che se non va in porto una riforma, la crisi istituzionale diventa inevitabile, e travolge tutto. Si apre un panorama da Quarta Repubblica francese".

Di qui la convergenza possibile su un nuovo sistema elettorale. "Il sistema proporzionale, con clausola di sbarramento e senza premio di maggioranza, è una soluzione ragionevole", sostiene Bertinotti. "Soprattutto, è coerente con l'evoluzione del quadro politico: il Pd, il Partito del popolo del Cavaliere, la Cosa Rossa, lo spazio al centro. Siamo in una fase costituente di nuove soggettività politiche. La legge elettorale che scegli non è più levatrice del cambiamento, ma è una sua conseguenza. Con il proporzionale torni alla ricostituzione di alcuni fondamenti di democrazia attiva, che sentiamo ormai vacillare. Torni alla radice della Costituzione di 40 anni fa, torni a individuare nei partiti il cardine del sistema. Sei dentro la nervatura della democrazia, che non può non fondarsi sulla rappresentanza".

A Rifondazione il ritorno al proporzionale è sempre piaciuto. Normale che il suo leader lo benedica. Meno normale, in questo clima di sospetti, è che benedica anche l'apertura del tavolo con Berlusconi: "Senta, qui bisognerà prima o poi che un certo centrosinistra decida se il Cavaliere è un protagonista della politica italiana, oppure no. Io, che al contrario di Blair considero quanto mai attuale il cleavage destra/sinistra, penso che lo sia. Penso che sia un animale politico, che muove da processi reali di una parte della società, che incorpora l'antipolitica ma dentro una soggettività politica, chiaramente di destra. E penso che Berlusconi abbia preso atto della crisi del sistema e della crisi del centrodestra. Dunque, se rileggo le sue mosse, considero attendibile che anche lui, stavolta, cerchi un accordo per rinnovare il quadro politico-istituzionale".

Via libera alle riforme, via libera alla trattativa con il Cavaliere. Anche in questo caso, Prodi non deve innervosirsi. Finalmente è passata l'idea che il dibattito sulla legge elettorale non pregiudica l'esistenza del governo. "Non ci sono due maggioranza diverse, una per il governo, una per la riforma, che si escludono l'una con l'altra". Ma certo, se vuole durare, il Professore deve imprimere una svolta fin dai primi giorni del 2008. In caso contrario, sarà davvero la fine. L'ultima battuta di Fausto dice tutto: "Come vedo Prodi, mi chiede? Con tutto il rispetto, di lui mi viene da dire quello che Flaiano disse di Cardarelli: è il più grande poeta morente...". Visse ancora alcuni anni. Ma gli ultimi furono terribili.

(4 dicembre 2007)

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« Risposta #49 inserito:: Dicembre 04, 2007, 12:14:23 pm »

Verso l'Assemblea dell'8 e 9 dicembre 2007 (4 dicembre 2007)

Migrazione e cittadinanza

di Franca Sibilio*


E’ possibile anche invertire l’ordine, e parlare di cittadinanza  e migrazione . I due termini sono posti tra di loro in contrapposizione dialettica, per cui la cittadinanza rappresenta, per cosi’ dire, la tesi , mentre  il fenomeno della migrazione rappresenta l’antitesi.
Della tesi la parola cittadinanza conserva tutta l’astrattezza e la genericità, anche se, come acutamente osserva Costa, attualmente l’estensione del suo campo semantico consente un’utilizzazione molto più pregnante e significativa.

La cittadinanza implica l’appartenenza ad una comunità e l’appartenenza a sua volta determina il possesso di diritti e di doveri, la possibilità di identificazione in uno scenario fatto di norme, di regole, di procedure finalizzate al bene comune.
Il concetto di cittadinanza può essere vissuto in senso più ristretto, può rimanere ancorato a questa o a quella  “città “ e dar luogo quindi al cosiddetto patriottismo cittadino, che sfocia a volte anche in deleterie forme di campanilismo, e che dà luogo a stereotipi e pregiudizi, oppure può essere vissuto in senso planetario e generare, quindi, una consapevolezza del valore universale dei diritti.

Questa visione più ampia  è quella che ha consentito storicamente il passaggio dal concetto di suddito a quello di cittadino, espressione usata orgogliosamente dai rivoluzionari francesi  e che ha aperto la strada a quella cultura della mondialità che consente a noi oggi di dichiararci cittadini del mondo, pur senza perdere la nostra identità.

La migrazione è l’antitesi della cittadinanza, poiché la legittimità della migrazione si basa essenzialmente su di un diritto spesso ignorato: il diritto di fuga. Tra i diritti del cittadino c’è anche questo, il diritto di fuggire da un contesto per chiedere  asilo in un altro contesto.
Molti,moltissimi sono gli studi compiuti sul fenomeno migratorio e sulle sue cause politiche, economiche, sociali. Ma ciò che accomuna la ricerca sull’argomento,pur nella varietà della sfumature prese in considerazione, è lo scenario della società contemporanea che ne deriva. La nostra società è caratterizzata da grandi movimenti di popolazioni. Non si tratta di fenomeni omogenei o riconducibili a cause certe, si tratta piuttosto di storie spezzate, disseminate in regioni geografiche diverse, ma che hanno in comune la stessa capacità di scardinare la temporalità omogenea dell’ipotetica identità nazionale.

Le ricerche sul fenomeno se condotte soprattutto nell’ottica della quantità non riescono a cogliere quelli che sono stati definiti i tratti  “diasporici “ della storia dell’uomo errante contemporaneo. E’ possibile, operando l’hegeliano Aufhebung dell’antitesi, superare la contrapposizione cittadinanza/migrazione, costruendo una sintesi che chiameremo ,ad esempio , “Stato”?
Il processo è irto di difficoltà, poiché oggi si assiste ad una crisi dello stato sociale che rappresenta la cifra della crisi generale dei meccanismi integrativi. Romano Prodi ha affermato che ogni immigrazione di successo deve sfociare nella cittadinanza, ma la normativa fin qui strutturata, sia a livello nazionale che europeo, non è sufficiente a garantire il pieno inserimento del migrante. La posizione lavorativa, ad esempio, non sempre funziona come via di accesso alla cittadinanza, che non deve essere considerata un dono, una concessione da parte di “cittadini più cittadini” a frange di popolazione considerata altra da sé. Non può esistere una cittadinanza “ottriata”, poichè anche la cittadinanza, come la libertà, va conquistata.
Per giungere a questo concetto di Stato come territorio di tutti i cittadini ugualmente liberi e consapevoli bisogna superare la visione del mondo etnocentrica. Questo superamento si ottiene decostruendo la cultura dominante a quattro livelli: linguistico, psicologico, strumentale, strutturale. La decostruzione dell’etnocentrismo consentirà l’approccio e l’apertura  al planetarismo.

*Osservatorio Euromediterraneo e del Mar Nero

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« Risposta #50 inserito:: Dicembre 04, 2007, 12:16:49 pm »

Verso l'Assemblea dell'8 e del 9 dicembre 2007 (4 dicembre 2007)

Pianificazione unico metodo di intervento nelle politiche ambientali

di Francesco Guadagno*


L’attuale stato dell’ambiente in Italia è figlio di decenni di politiche miopi, prone ad interessi particolari di amministratori locali e di politici nazionali, nonché di imprenditori ed industriali troppo spesso senza scrupoli. Di una visione complessiva come di tanti comportamenti individuali che si sono costantemente posti in contrasto col bene comune. Risultato evidente ne è l’interminabile lista di tutte le emergenze che ininterrottamente affliggono così tante aree e così tanti ambiti nel nostro paese.

Non sorprende più di tanto che dette emergenze riguardino ambiti di rischio diversissimi, da quelli strettamente geologici a quelli di derivazione più specificamente antropica, sol che si pensi alla maniera in cui si è esplicato il rapporto tra la comunità umana ed il territorio nel nostro paese negli scorsi decenni. L’attività edilizia è in tal senso paradigmatica. Se fino agli anni ’70 essa è stata in tanta parte affidata alla speculazione privata, cercando di giustificare la necessità del processo con la ricostruzione o con il boom demografico, a partire dagli anni ’80, con l’introduzione del condono, si è sostanzialmente incentivata la soluzione dell’abuso, a tutto discapito della sicurezza di comunità divenute sempre più vulnerabili alla molteplicità di rischi geologici che minacciano quasi ogni area dell’Italia. L’idea che anima lo strumento del condono, l’istituzione di un trade-off tra fiscalità e qualità dell’ambiente, è chiaro indice del modo in cui la tutela del capitale naturale sia stata considerata nella scena politica.
Senza arrivare agli eccessi che hanno caratterizzato alcune delle grandi città italiane, come la Napoli del periodo laurino, è in generale mancato un intervento pubblico strutturato e continuato, impegno che altrove in Europa ha prodotto gran parte dell’abitazione, soprattutto per le classi di censo meno elevato. In Italia si è invece assistito ad una produzione sovrabbondante di cubature, che continua ancor oggi, pur in un paese che ha ormai completato la propria transizione demografica, e che non riesce comunque a garantire la fruizione generalizzata del diritto alla casa. Ci si è concentrati soprattutto sull’aspetto quantitativo della crescita, che è stato in passato una bandiera delle sinistre, laddove invece è oggi questione centrale l’accesso universale ad una abitazione di qualità, che implica qualità dell’ambiente costruito e dei servizi che lo corredano.

Gli ultimi due decenni, soprattutto, in un mercato ulteriormente privato di controlli dalla privatizzazione dell’urbanistica, dal succedersi dei condoni, dalla pianificazione “per emergenze”, hanno visto il moltiplicarsi degli abusi, grazie a politiche di laissez faire, certo inquadrabili in un andamento globale, sul quale però le sinistre italiane troppo spesso si sono appiattite acriticamente, permettendo la letterale devastazione del paesaggio nel nostro paese

Da questo punto di vista esistono notevoli parallelismi con il terzo mondo, anch’esso caratterizzato da fenomeni di informalità estesa, da quegli enormi slum che accolgono ad oggi almeno un miliardo di persone, da mosaici urbani incontrollati che vedono aree residenziali sorgere a fianco ad impianti industriali estremamente inquinanti, dalla totale assenza di servizi alla popolazione, dalla carenza di riconoscimenti politici, dalla moltiplicazione esponenziale di ogni tipo di rischio. Si tratta di conseguenze che si sono dimostrate automatiche in ogni luogo in cui gli Stati si sono ritirati o hanno diminuito la loro presenza nella gestione dei servizi pubblici. Il mercato formale non è mai stato in grado di soddisfare i bisogni che non rendono (vedi gli esempi dell’acqua privatizzata).

A tali incontrollati modelli di sviluppo può riferirsi quanto è accaduto e continua ad accadere in Campania. Ripetitive crisi connesse, da una parte, ad eventi a carattere naturale quali quelli idrogeologici,  sismici, vulcanici e le cosiddette crisi idriche, dall’altro, a fenomenologie di utilizzo antropico del territorio (rifiuti, inquinamenti), costituiscono manifestazione evidente di una ottusa gestione delle comunità umane, priva di qualsivoglia visione d’insieme a lungo termine.La Campania, caso nazionale possibilmente tipico, si atteggia a traguardo negativo pericolosamente vicino per molte regioni del meridione come del centro-nord. L’esasperazione delle problematiche cui qui si assiste è solo in parte da porre in relazione a semplici considerazioni demografiche, dal momento che vi dimora circa il 10% della popolazione nazionale, con picchi di concentrazione residenziale e produttiva nelle zone costiere, ove si raggiungono densità tra le più alte in Europa.E’ quindi un contesto di riferimento la Campania, memento mori di un’intera nazione se le sue politiche ambientali continueranno in direzioni scellerate e prive di un’unitaria visione olistica, di una pianificazione del territorio, nello specifico, che tenga in considerazione ogni aspetto dell’inscindibile relazione tra uomo e natura.  La programmazione e la pianificazione in nessun caso possono prescindere da una concreta analisi dei bisogni effettivi. Coinvolgere le comunità è essenziale per la loro emersione, la sussidiarietà è uno svolgimento essenziale, che deve essere però sostenuto ed appoggiato.

Pianificare è essenziale per sottrarre al saccheggio diffuso l’ambiente. Esso è un bene veramente pubblico e l’unico ad a avere un peso economico e di benessere sulla vita di ciascuno, è solo attraverso la sua tutela che è ammissibile una effettiva produzione di cultura e socialità ed un reale aumento del tenore di vita. Non è più ammissibile oggi una crescita economica basata sulla sua predazione, com’è stato nel sud Italia per tutti i decenni in cui l’edilizia è stata una delle poche  attività economiche trainanti. Deteriorare l’ambiente significa concentrare le risorse economiche nelle mani dei pochi diretti interessati a fronte di una perdita di ricchezza diffusa. La sua tutela deve quindi diventare una priorità assoluta per le forze progressiste. Anche perché il capitalismo neoliberista, a livello globale, spinge in senso esattamente contrario, propugnando la contrazione dei pubblici poteri, anche in materia di tutela del territorio, e spesso utilizzando gli stati di emergenza per trasformare de facto le società in senso antidemocratico. Una dimostrazione potrebbe forse esserne l’emergenza rifiuti in Campania. Procedure non partecipate, decisioni che fatalmente generano conflitti, mancanza di pianificazione a lungo termine, deterioramento del benessere collettivo, sono anche frutto del perenne stato di emergenza. Perdere la visione politica d’insieme per conferire le decisioni ai “tecnici”, che sono comunque portatori di idee che incidono in profondità sulla società, e sono quindi estremamente politiche, è uno degli strumenti tradizionalmente preferiti dal liberismo per spogliare un potere democratico della sua sostanza.

Tali politiche, che producono diseguaglianze, conflitti e disastri, e che di tali sciagure si nutrono, sono tra gli esempi più lampanti della contraddizione tra la crescita vista dagli indicatori finanziari e l’effettivo aumento del benessere di ciascuno, sono tra le cause della polarizzazione della ricchezza, della creazione di alcuni di quegli squilibri sociali, e contribuiscono ad alimentare l’assalto al nostro territorio. E’ stato spesso dimostrato che le politiche più efficaci per lo sviluppo durevole sono quelle che lasciano ampi margini alla partecipazione, che producono forse meno ricchezza nell’immediato, che incidono meno sugli indicatori della crescita, ma garantiscono l’incremento della fiducia, rinforzano le comunità, le rendono resilienti e vaccinate agli sconvolgimenti (alcune comunità post tsunami, alcune zone del centro di Salvador de Bahia), e sono più eque perché non si affidano ai meccanismi di trickle down che prevedono che dai ricchi prima o poi un pò di ricchezza arriverà ai poveri. Esse agiscono, però, direttamente sugli aspetti problematici dello sviluppo.

La questione dello sviluppo e la questione della salvaguardia dell’ambiente diventano quindi necessità di democrazia per l’equità economica. L’equa distribuzione delle ricchezze può passare attraverso il loro incremento a patto che si spogli l’idea della crescita dalle illusioni dell’economia tradizionale. L’equità si persegue meglio con procedure partecipate e pianificate che permettano l’identificazione degli effettivi bisogni della popolazione. L’equità non può essere perseguita senza la tutela dell’ambiente, perché l’ambiente come bene davvero comune è quello che più naturalmente è equamente distribuito. Per questo la sua tutela dovrebbe essere una priorità assoluta, soprattutto per la sinistra. E ciò ancor più in un periodo drammatico ove non è ancora possibile stabilire gli effetti reali dei cambiamenti climatici, sebbene evidenze palesi si siano oggi già  manifestate. La crisi idrica in atto in molte regioni d’Italia, in Campania in particolare ove sussiste una condizione di deficit idrico che raggiunge il 60%, o quanto accaduto nell’ambito degli eventi di frana che hanno colpito a macchia di leopardo varie regioni d’Italia, sono manifestazioni evidenti dei mutamenti e dell’inadeguatezza del territorio. Partecipazione ed equità sono, quindi, aspetti rilevanti per lo sviluppo esattamente quanto la tutela ambientale.

*docente di Studi Geologici ed Ambientali, Università del Sannio

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« Risposta #51 inserito:: Dicembre 04, 2007, 11:29:22 pm »

Mussi: Fausto aiuta i cultori delle mani libere.

Bindi: abbiamo fatto cose importanti

Veltroni: «Non indebolire il governo»

Il leader del Pd dopo l'attacco di Bertinotti all'esecutivo: «Così si mettono a rischio le riforme»

 
ROMA - Un giudizio senza appello: «Il centrosinistra ha fallito». Le parole pronunciate da Fausto Bertinotti in un'intervista a Repubblica provocano reazioni contrastanti nella coalizione di governo. Tanto che, dopo le dichiarazioni di quasi tutti i leader del centrosinistra, tocca a Walter Veltroni intervenire in prima persona per difendere l'esecutivo: «Penso che in questo momento creare difficoltà al governo significhi indebolire la prospettiva della riforma elettorale e di quella istituzionale» afferma il segretario del Pd. «Il governo - sottolinea Veltroni - deve continuare il suo lavoro e il Parlamento deve fare le riforme necessarie al Paese. Per me questo è un legame molto stretto». Inoltre, conclude Veltroni, «indebolire il governo in questo momento significa fare un favore al centrodestra». A proposito dell'ipotesi di una verifica di governo, chiesta da più parti, il sindaco di Roma risponde: «Mi fa venire il mal di fegato». E in effetti fonti di Palazzo Chigi, mentre trapela l'irritazione di Prodi, affermano che quella di gennaio non sarà una verifica ma solo il punto della situazione a 360 gradi su quanto fatto fino ad ora.

MUSSI: SERVE PIU' CONFRONTO - Prima di Veltroni, il duro giudizio del presidente della Camera sull'operato del governo aveva suscitato le critiche - più o meno dure - di quasi tutti i partiti della maggioranza, anche quelli della "Cosa Rossa" (Rifondazione esclusa, ovviamente) a pochi giorni dagli Stati Generali dell'8 e del 9 dicembre. Il più esplicito è Fabio Mussi: «Può capitare che una grande forza politica debba stare all'opposizione, per forza di numeri o per libera scelta. Ma non esiste, voglio dirlo a Fausto Bertinotti, una grande forza politica che non parta sempre da un'ambizione di Governo». La critica investe anche il piano del metodo. «Se si vuole una sinistra nuova e unita, bisogna fin da ora confrontare per tempo posizioni e decisioni politiche, possibilmente condividerle», spiega il leader di Sd. «Dare per finito il Governo e morta l'Unione vuol dire offrire un'occasione d'oro ai teorici delle 'mani libere' e ai cultori del bipartitismo» conclude il ministro.

PECORARO: INGENEROSO - Ma anche dai Verdi i commenti sono tutt'altro che entusiasti: «È ingeneroso parlare di fallimento del governo Prodi» dice il ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, il quale riferisce di aver parlato con Bertinotti e di averlo sentito convinto a chiedere solo l'applicazione del programma. Ma Pecoraro avverte: «Una cosa è la richiesta di verifica, altra cosa fare un regalo a Berlusconi facendo cadere il governo».

FERRERO: SALTO DI QUALITA' - Il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, è invece d'accordo nel ritenere che il governo Prodi abbia deluso le attese degli elettori di sinistra. L'esponente del Prc dice: «Credo che ci sia bisogno di un salto di qualità che approfondisca la capacità di produrre giustizia sociale e redistribuzione del reddito». A chi gli chiede se sia del tutto negativo il giudizio sul governo e se non veda differenze con il precedente esecutivo di centrodestra, Ferrero spiega che «è evidente che c’è una grande differenza: per dirne una, Berlusconi favoriva sostanzialmente l'evasione fiscale, qui la si contrasta pesantemente. Ma il punto è che questo salto di qualità non è sufficiente a rispondere a una realtà sociale di profonda crisi».

BINDI: SCELTE IMPORTANTI PER IL PAESE - Il ministro della Famiglia, Rosy Bindi, respinge invece al mittente le critiche del presidente della Camera: «Sono affermazioni delle quali credo che si assumerà la responsabilità. Io penso - aggiunge Bindi - che il centrosinistra, anche grazie al contributo di Rifondazione, abbia compiuto scelte molto importanti per il Paese». L’esponente del Pd elenca i meriti dell’esecutivo: «Ha continuato l'opera di risanamento, ha combattuto l'evasione fiscale, ha iniziato una redistribuzione a favore delle fasce più deboli e ha avviato la riforma del Welfare. Cose auspicate e contenute nel programma: credo che questo non sia un fallimento ma siano risultati importanti».

DAMIANO: ORGOGLIOSI - Anche il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, difende i risultati raggiunti dal governo. «Il centrosinistra - ha detto Damiano a margine di un convegno - sta realizzando il programma dell'Unione, e soprattutto sui temi sociali abbiamo portato numerosi interventi positivi e importanti. Anche la lotta al lavoro nero e al precariato sono stati tratti distintivi di questo governo e quindi mi pare che dobbiamo essere orgogliosi di questi risultati».

MASTELLA: FAUSTO FACCIA IL PRESIDENTE DI TUTTI - Più duro l'attacco di Clemente Mastella a Bertinotti: «Se vuole ripetere la vicenda del 1998, ce lo dica. Rifondazione vuole consultare gli iscritti? L'Udeur, avendone di meno, fa prima e quindi faremmo prima noi a togliere la spina...». Per Mastella «i Presidenti delle Camere non sono leader di partito. Sono Presidenti di tutti, tanto è vero che neppure votano. Bertinotti scelga: o fa il Presidente della Camera o fa il leader di partito». Il Guardasigilli ribadisce che «se il governo è in pericolo di vita è meglio andare alle elezioni» e si dice contrario all'egemonia di Pd e Pdl nei rispettivi schieramenti.

DILIBERTO: ASPIRARE AL GOVERNO - Anche il segretario dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto, replica a Bertinotti, senza però citarlo espressamente. «Noi stiamo lavorando per l’unità della sinistra. Convintamente. L'unità della sinistra - prosegue il leader del Pdci - è il presupposto per pesare di più sulla scena politica e per potersi poi candidare, con maggiore ruolo, in un sistema di alleanze, al governo del Paese. È la vocazione ad essere "partito di governo" non autocondannato all’opposizione a prescindere, che ha sempre caratterizzato - conclude Diliberto - la storia dei comunisti italiani».

04 dicembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #52 inserito:: Dicembre 05, 2007, 10:54:18 pm »

Non più "Cosa Rossa", la sinistra sceglie l'arcobaleno



Il logo de La Sinistra e l'Arcobaleno, anticipato dall'agenzia Dire

Basta chiamarla Cosa Rossa. Il nuovo soggetto che riunisce Rifondazione, Pdci, Sinistra Democratica e Verdi si chiama “La sinistra e l’arcobaleno”. Almeno così dicono i segretari dei quattro partiti coinvolti, che si sono incontrati mercoledì in vista degli Stati generali che si terranno l’8 e 9 dicembre alla Fiera di Roma. Ma è lo stesso Diliberto, segretario del Pdci, ad ammettere che «abbiamo evitato le polemiche e gli argomenti che ci dividono». Dunque, ancora non si sa se alle prossime elezioni amministrative i partiti presenteranno liste comuni, né se il «segno grafico» presentato – nessuno si azzarda a chiamarlo simbolo – sarà davvero il nuovo marchio distintivo della federazione. Il dibattito, insomma, è ancora tutto aperto, e non mancano le note stonate.

Più di tutto, è l’annosa questione della falce e martello a scaldare gli animi degli esponenti della sinistra. Ma anche la scelta tra forza di lotta o di governo, va ancora condivisa. Dopo le affermazioni del presidente della camera Fausto Bertinotti sul «fallimento» del governo Prodi, si sbilancia Oliviero Diliberto, leader del partito che ha lasciato Rifondazione proprio in seguito alla scelta del Prc di far cadere il primo governo Prodi, nel 1998. «Noi – spiega il segretario dei Comunisti Italiani – abbiamo la vocazione ad essere una forza di governo, bisogna vedere se ci sono le condizioni per farlo. Non è obbligatorio. Ma all'opposizione – ha concluso – si va se si perde». La pensa così anche Fabio Mussi, leader di Sd: «La vocazione di una forza grande è sempre di essere forza di governo, ma – aggiunge – vocazione di governo non significa che dobbiamo stare per forza al governo». Comunque, tiene a precisare riferendosi all’uscita di Bertinotti, «la sinistra unita non deve essere una caserma». Nessuna subalternità, quindi.

Ma ad alzare la testa, sono anche gli esponenti minori dei partiti, quelli che accusano i vertici di Prc, Pdci, Sd e Verdi di aver fatto tutto da soli, senza coinvolgere la base. «Siamo ormai molto distanti non solo dal comunismo – dice il deputato Gianluigi Pegolo, militante dell’Ernesto, la minoranza del Prc – ma anche da una sinistra che si rispetti: il tutto si riduce ad una scritta e a un arcobaleno. Quella che si annuncia è una sinistra light che ha perso ogni riferimento nel mondo del lavoro anche nel simbolo: la Cosa Rossa delude». È arrabbiatissimo anche Marco Rizzo, coordinatore del Pdci: «Se il simbolo definitivo non avrà la falce martello ben visibile – minaccia – non sarò d'accordo». «Perché – continua – in una confederazione dove i comunisti sono la stragrande maggioranza si dovrebbero cancellare i simboli del lavoro? I nomi e le cose – ammonisce – vanno a braccetto».

Pubblicato il: 05.12.07
Modificato il: 05.12.07 alle ore 16.47   
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« Risposta #53 inserito:: Dicembre 08, 2007, 03:54:33 pm »

Verso l'Assemblea dell'8 e 9 dicembre (8 dicembre 2007)

Contributo critico agli Stati Generali della Sinistra


Una unità progressiva e crescente della sinistra in Italia è necessaria per farla uscire dalla condizione di sinistra più debole d’Europa, debolezza che si è accentuata con la formazione del PD, formazione di natura e vocazione neo-centrista.

Una sinistra forte, unita e rinnovata è essenziale per superare la sua frammentazione, che è nel contempo causa ed effetto della sua debolezza, se confrontata con il radicamento sociale ed elettorale delle formazioni di sinistra di altri paesi europei. Dalla Spagna al Portogallo, dalla Francia alla Germania e alla Gran Bretagna, dalla Grecia ai paesi scandinavi, persino nei paesi, già facenti parte del sistema sovietico, la sinistra, nelle sue varie espressioni, ha una consistenza maggiore di quella italiana.

L’orizzonte internazionale dell’azione politica non può essere ignorato per non fare operazioni di respiro provinciale: l’Italia è un paese importante, ma non è l’ombelico del mondo.

I processi di globalizzazione dell’economia, della finanza e della comunicazione richiedono una analisi adeguata ed una risposta politica allo stesso livello dei problemi da affrontare e risolvere nell’interesse della maggioranza dell’umanità.

Nei casi in cui la integrazione delle economie e lo sviluppo del commercio internazionale aumenta il prodotto interno lordo, comunque la distribuzione della ricchezza non soltanto è ineguale, ma anche crescente è la disuguaglianza, in termini di proprietà e di reddito, tra la minoranza più ricca e la maggioranza più povera, comprese le classi medie.

Nei paesi più industrializzati la parte di ricchezza destinata ai redditi di lavoro, dipendente ed autonomo, è in costante diminuzione, come potere d’acquisto e di frequente anche in termini assoluti, rispetto ai profitti ed alle rendite finanziarie, che godono altresì di un più favorevole trattamento fiscale.

Questo fenomeno è riscontrabile nella maggior parte dei paesi europei, ma particolarmente accentuato in Italia, aggravato dall’aumento del costo della vita.

Le privatizzazioni e liberalizzazioni hanno beneficiato per una trascurabile parte i consumatori, ma creato monopoli ed oligopoli privati preoccupati di massimizzare i profitti da rendita di posizione, più che investire in ricerca ed innovazione tecnologica.

Nei paesi con più alto tasso di sviluppo degli ultimi anni, come la Cina e la stessa Federazione Russa, lo sviluppo economico, notevole in termini di tasso di crescita del PIL,  non ha ridotto le disuguaglianze,  semmai le ha accentuate a favore di oligarchie politiche ed economiche, che detengono il potere grazie ad un ferreo controllo burocratico e poliziesco, che limita le libertà democratiche dei cittadini e dei mezzi di informazione.

Persino in paesi molto più democratici, come l’India, lo sviluppo economico impetuoso non ha eliminato e nemmeno ridotto le discriminazione di casta, né ha rafforzato le libertà civili e sindacali.

In generale lo sviluppo economico, senza regole diverse dalla massimizzazione del profitto, ha creato e continua a creare minacce all’ambiente ed a rarefare le risorse energetiche non rinnovabili, nonché a provocare, insieme con altri fattori politici ed ambientali, esodi biblici di popolazioni per sfuggire alle guerre, alle carestie, alle discriminazioni etniche o religiose, alla povertà ed alla mancanza di libertà.

Le tensioni sono destinate a crescere, tanto più quanto più non vi è uno sforzo coordinato e corale per risolvere i problemi dell’umanità, in particolare di quella più sfavorita, cui non è garantita nemmeno l’acqua potabile, un’istruzione elementare e le cure sanitarie di base: tutti problemi risolvibili con una frazione minima delle risorse destinate alle armi ed alle guerre.

La globalizzazione accelera lo sviluppo capitalistico, ma anche le sue contraddizioni, potrebbe quindi far maturare più rapidamente le condizioni obiettive favorevoli alla sua riforma ed, in prospettiva, al suo superamento per costruire un ordine sociale nuovo. Una moderna forza socialista nei paesi più sviluppati deve assicurare una linea d'azione politica e parlamentare di netto stampo antiprotezionista, contro il peso della burocrazia amministrativa e la sua corruzione, contro lo strapotere delle banche e delle società finanziarie che non producono direttamente ricchezza.

Nei servizi pubblici si devono privilegiare gli interessi dei cittadini utenti, come anche si devono ripensare le liberalizzazioni e le privatizzazioni indiscriminate, parassitarie ed inefficienti.

I problemi non possono essere risolti da nuove guerre preventive, o con l’ erezione di muri invalicabili per difendere i paesi ricchi dai poveri del mondo, né con la  diffusione di sentimenti di insicurezza ed identitari da scaricare sui diversi e sugli emarginati.

Una nuova sinistra non può che essere pacifista, internazionalista, cosmopolita ed europeista, per quanto ci concerne più direttamente come italiani.

Una società multietnica e multiculturale non può che fondarsi su un laicismo rigoroso delle istituzioni pubbliche e nella estensione della libertà e della democrazia.

Una società libera e laica deve consentire a tutti, secondo le rispettive individuali inclinazioni, di essere riconosciuti e tutelati nella loro specificità o di essere integrati e persino assimilati in una comunità che ripudia ogni discriminazione legale o di fatto per ragioni di genere, nascita, provenienza, razza, lingua, religione od orientamento sessuale.

Una sinistra unita in Italia deve promuovere il progressivo avvicinamento a livello europeo delle forze progressiste e di sinistra sui temi economici, sociali ed ambientali e sui diritti civili e di libertà anche con i liberali, che nel resto d’Europa, specialmente nei paesi nordici, sono formazioni laiche e democraticamente progredite.

Una sinistra unita e rinnovata deve rifiutare la violenza, quale che sia la sua giustificazione: i popoli sono sempre stati vittima della violenza.

In casi eccezionali si può ammettere la legittima difesa dalle violenze o dalle minacce di violenzascatenata da altri, se non è possibile altra risposta da parte dell’ordinamento giuridico nazionale o da quello internazionale.

Il potere si conquista e si gestisce soltanto con libere elezioni e con il consenso della maggioranza.

La sinistra contemporanea ha legato indissolubilmente il proprio destino alla libertà ed alla democrazia, in tutte le sue forme dalla democrazia rappresentativa alla democrazia diretta fino alla democrazia partecipativa.

La sinistra unita italiana si deve compromettere in un impegno europeista, cioè per la creazione di una comunità politica soprannazionale, retta da istituzioni democratiche, rispettosa delle conquiste economiche e sociali dei lavoratori, strumento di pace e di cooperazione internazionale.

L’Europa deve avere una particolare responsabilità verso quelle parti del mondo già soggette al proprio dominio coloniale e sfruttamento economico.

Per le peculiari ragioni storiche delle migrazioni europee ed in senso opposto dell’esilio politico latinoamericano e dei vincoli così creati, è l’America Latina il primo banco di prova di un ruolo ed iniziativa autonoma dell’Europa nello scenario internazionale.

In nessun’altra epoca, dopo la sconfitta delle dittature militari, vi sono state le potenzialità  di oggi per una crescita democratica e sociale dell’America Centrale e Meridionale, grazie anche al riscatto delle popolazioni indigene. Il processo in corso dal Brasile al Cile, dall’Argentina all’Uruguay, dal Perù all’Ecuador, dalla Bolivia al Venezuela deve essere sostenuto politicamente dalla sinistra europea ed italiana e reso possibile economicamente da un diverso e più equo rapporto dei paesi europei con quelli americani.

Confrontarsi con le esigenze di sviluppo di quei paesi è un compito più difficile che esaltarsi per ogni espressione di sentimenti antigringos e continuare ad eccitarsi per i miti rivoluzionari, come Cuba, senza accorgersi delle degenerazioni autoritarie, repressive e poliziesche che la caratterizzano.

L’obiettivo di una sinistra italiana unita, larga e plurale in un contesto europeo non può essere perseguito se si ripropongono le divisioni e le discriminazioni del passato.

La frattura politica ed ideologica tra socialisti e comunisti propria del XX secolo deve essere superata nella comune visione di un socialismo nel XXI secolo: socialismo che, a differenza dei profeti del nuovismo rinunciatario, riteniamo sempre possibile ed attuale.
Una società socialista, come recitava il primo statuto del PSOE,  è una” società senza classi composta da persone libere, uguali, rispettate e intelligenti”.

Le divisioni tra riformisti e rivoluzionari, tra socialdemocratici e massimalisti non hanno più senso: sono state divisioni tragiche, che hanno indebolito la sinistra di fronte all’instaurarsi del nazismo in Germania e del fascismo in Italia, ma comunque di altro spessore e dignità di quelle che vogliono perpetuare la teoria e la prassi delle due sinistre, una “riformista” e l’altra “alternativa” o “antagonista”.

Con la teoria e la prassi delle due sinistre non si potrà mai avere una sinistra a vocazione maggioritaria, cioè in grado di aspirare a dirigere il governo del paese e non semplicemente di stare ogni tanto al Governo.

Se le sinistre sono due, la sinistra non vincerà mai le elezioni.

La teoria e la pratica delle due sinistre comporta di dare la patente di sinistra “riformista” al PD, che invece è una formazione neocentrista.  E comporta anche il fatto che la sinistra cosiddetta “radicale” si auto-confinerebbe al ruolo di eterno comprimario, di alleato un po’ riottoso ma subalterno al PD se sta al governo, oppure di irrilevante area di testimonianza e di protesta se sta all’opposizione.Una sinistra incapace di sfidare il PD in termini di capacità di governo ed innovazione è funzionale al progetto neo-centrista delle alleanze libere ed intercambiabili.

In ogni caso, non siamo interessati ad una sinistra unita che programmaticamente  si trovi meglio all’opposizione a coltivare i suoi angusti orticelli piuttosto che al governo per risolvere, componendole, le contraddizioni tra realismo ed utopia.
L’orizzonte europeo impone a tutta la sinistra italiana, in tutte le sue sensibilità e provenienze, socialiste, comuniste ed ambientaliste di abbandonare la critica a priori nei confronti del socialismo democratico, che si riconosce nei valori, nella storia e nelle esperienze della socialdemocrazia e che si organizza nel PSE e nell’Internazionale Socialista.

Soltanto così si potrà costruire una sinistra unita, espressione del suo vasto popolo e non sommatoria burocratica ed elettoralista di gruppi dirigenti autoreferenziali, più preoccupati del loro personale destino che della creazione, anche in Italia, finalmente di una sinistra forte, innovativa e moderna perché unita, plurale, autonoma e laica.

Nell’immediato una sinistra larga, unita e plurale deve ripartire dal dialogo e dal confronto con quelle forze che non saranno presenti a Roma: non si può parlare di Stati Generali della Sinistra se non sono coinvolte tutte le sue espressioni.

In tale contesto ci dobbiamo riferire particolarmente ai movimenti di cittadini autonomamente organizzati, alle realtà militanti ed alla Costituente Socialista, con la quale dobbiamo stabilire precise e stringenti azioni comuni nelle istituzioni e nella società. Diritti civili, laicità, libertà di ricerca, tutela dell’ambiente e difesa del potere d’acquisto di salari, stipendi, redditi da lavoro autonomo e professionale, rinnovamento, consolidamento ed estensione dello stato sociale sono terreni sui quali è possibile trovare un’intesa e definire un programma comune.

Felice Besostri (Lombardia)
Francesco Barra (Campania)
Giuseppe Bea (Lazio)
Claudio Bergomi (Lombardia)
Marco Bertozzi (Umbria)
Ettore Carettoni (Roma)
Simone Fabrizi (Umbria)
Ernesto Fedi (Toscana)
Roberto Giulioli (Roma)
Alessandro La Noce (Lazio)
Luca Lecardene (Sicilia)
Gianni Nardone (Lazio)
Ivo Pasquetti ( Toscana )
Paolo Preziosa (Lombardia)
Luigi Ranzani (Lombardia)

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« Risposta #54 inserito:: Dicembre 08, 2007, 03:55:48 pm »

Verso l'Assemblea dell'8 e 9 dicembre (8 dicembre 2007)

L’8 e il 9 partire per contaminarsi

di Luciano Chiodo*


Credo che uno dei nodi più urgenti da affrontare sia quello relativo al rapporto tra rappresentanza politica e rappresentanza sociale.
Sinistra Democratica è nata per rinnovare e unire la sinistra in un soggetto unitario e plurale, sottolineandone la necessità storica, anche, alla luce della nascita del PD, ma, nondimeno, a partire da una riflessione critica sui ritardi culturali e progettuali della sinistra in Italia.

Ritardi che vengono da lontano e che nel periodo 2001-2006 avevano visto la nascita e lo sviluppo di grandi movimenti sociali, con un ruolo determinante del movimento sindacale, che avevano cercato di rispondere, con esiti diversi, ai vuoti di iniziativa della rappresentanza politica.
Nel 2006 si è poi entrati in una fase di riorganizzazione  della rappresentanza politica, con il consolidamento dell’Unione, attraverso le primarie e la stesura del Programma, e la costituzione del Governo di centrosinistra.

Con la nascita del PD il ruolo della rappresentanza politica si rafforza ulteriormente, con analisi e opzioni programmatiche non condivisibili, che sono alla base della nascita di Sinistra Democratica e del processo unitario della sinistra.

E’ quindi del tutto “normale”, e direi positivo, che oggi il problema del rapporto tra rappresentanza politica e rappresentanza sociale si riproponga  in un quadro diverso da quando quest’ultima doveva farsi carico anche di un ruolo non suo.

Ed è anche normale che nel confronto sul Protocollo del 23 luglio emerga il problema del rapporto tra rappresentanza politica e rappresentanza sociale, tra l’azione delle forze politiche per l’attuazione del Programma elettorale dell’Unione e il ruolo delle parti sociali, tra la Concertazione e il ruolo del Parlamento.

Non è possibile eludere questi nodi e le risposte non sono semplici, ma fanno parte del grande lavoro di analisi e di elaborazione che abbiamo di fronte per costruire una Sinistra veramente nuova nel rapporto con la società.

Sappiamo che non è sufficiente unire l’esistente ma è necessario innovare, partendo dalle culture, dai percorsi, dalle esperienze maturate a livello collettivo e personale, per costruire una sintesi alta in grado di rispondere alle sfide del XXI secolo, ed è quindi necessario contaminarsi, iniziando a parlarsi, confrontarsi, senza nascondere le differenze, sui contenuti e le forme del nuovo soggetto che vogliamo costruire.

In questo senso gli Stati Generali dell’8 e 9 dicembre rappresentano l’inizio del processo unitario organizzato, necessario per moltiplicare le occasioni di “contaminazione”, attraverso una prima fase federativa aperta, ricordandoci che dobbiamo innovare anche nella ricerca sulla forma-partito, per andare oltre le esperienze del secolo scorso, che vivono una evidente e profonda crisi di partecipazione democratica.

L’8 e il 9 rappresenta la partenza del percorso che  tutti coloro che vogliono contaminarsi non possono che vedere con speranza.

*CGIL Lombardia

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« Risposta #55 inserito:: Dicembre 08, 2007, 10:38:40 pm »

8/12/2007 (21:5)

- IL NUOVO SOGGETTO POLITICO

La Cosa Rossa si presenta a Roma "Verifica urgente, ma non la crisi"
 
Giordano lancia la Sinistra arcobaleno: «Un nuovo soggetto che ambisce a trasformare la società italiana»

ROMA


«Un nuovo soggetto politico che ambisce a trasformare la società italiana». Così il segretario di Rifondazione Comunista, Franco Giordano, definisce la Sinistra arcobaleno, che sta nascendo alla nuova Fiera di Roma. «Qui vediamo una mescolanza, un nuovo rapporto che non è soltanto la sommatoria di forze politiche - spiega Giordano lasciando uno dei "workshop" della prima giornata - è una sinistra che ha le radici ben piantate nel mondo del lavoro, ma che assume il confronto con le altre culture pacifiste, ambientaliste, femministe. In Italia non ci sono più soltanto il Partito democratico e Berlusconi, ma c’è una sinistra fatta di gente in carne ed ossa che si propone di disegnare un profilo di trasformazione della società italiana».

Secondo il ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, «qui semplicemente si costruisce la sinistra». A chi gli chiede se sarà di governo o meno risponde: «È la sinistra, poi potrà capitare che stia al governo o all’opposizione, ma non nasce per una cosa o per l’altra». Ferrero ribadisce la sua preferenza per una Federazione sul modello della vecchia FLM, la Federazione unitaria dei Lavoratori Metalmeccanici: «Occorre garantire la partecipazione di tutti per un soggetto plurale che non sia più il partito classico».

Sulla partecipazione al governo Giordano osserva: «Noi abbiamo voluto soltanto aprire un confronto con l’Esecutivo di Prodi, ma poi abbiamo sempre votato a favore. Qualcun altro, invece, ha scelto la strada di non discutere e ha votato contro. Chi fa più male al governo: noi o loro?».

Più orientato alla costruzione del partito unico è il sottosegretario allo Sviluppo Economico Alfonso Gianni, che rileva: «Questa è una forza unitaria della sinistra e più unitaria è, meglio è. C’è bisogno di un punto di riferimento politico che faccia rinascere la sinistra nel Paese: un partito delle masse, non di massa».

Per il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, quello che si presenta alla Fiera di Roma è un «copione rovesciato rispetto alla politica tradizionale: non il rimbalzo di polemiche tra leader o la fibrillazione a volte indecifrabile degli schieramenti, ma una grande partecipazione popolare, l’approfondimento delle questioni che riguardano le persone, ma anche il Pianeta. L’idea che emerge è un pò quella di un rito battesimale, non di un rito di morte come troppe volte in passato è capitato alla sinistra. È la costituente, la gestazione di qualcosa di veramente nuovo».

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« Risposta #56 inserito:: Dicembre 08, 2007, 10:40:50 pm »


SINISTRA: ASSENZA INGRAO DA ASSEMBLEA IMBARAZZA RIFONDAZIONE

GIORDANO, TROVERA' MODO PER FAR SENTIRE SUA PRESENZA


Roma, 8 dic. - (Adnkronos)

- Spesso capita che sia un'assenza a fare notizia e quella di Pietro Ingrao, leader storico della sinistra comunista, dall'assemblea della Sinistra e gli Ecologisti alla nuova Fiera di Roma si fa sentire.

Soprattutto tra gli esponenti di Rifondazione, partito di cui Ingrao fa parte e che oggi avrebbe dovuto essere un po' il 'padre' dell'aggregazione delle forze di sinistra che proprio dall'assemblea prende il via.

Non a caso, proprio all'ingresso del padiglione che ospita la manifestazione, c'e' un grande banchetto pieno di copie di un libro. Si tratta di 'La pratica del dubbio' proprio di Pietro Ingrao.

E i dubbi che oggi lo storico leader ha espresso in un'intervista a 'La Stampa' rimbalzano nei conciliaboli dell'affollatissima assemblea alla nuova Fiera di Roma.
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« Risposta #57 inserito:: Dicembre 08, 2007, 10:42:01 pm »

8/12/2007 (7:29) - IL COLLOQUIO

Il gran rifiuto di Ingrao: "Cosa Rossa senza me"
 
«Serviva la fusione. Bertinotti? Da presidente della Camera non avrei mai parlato come lui di Prodi»

RICCARDO BARENGHI
ROMA


Il grande vecchio della sinistra italiana non ci sarà. Pietro Ingrao ha deciso di non partecipare agli Stati generali della Sinistra-Arcobaleno, oggi e domani alla nuova Fiera di Roma. Nonostante sia il nume tutelare di quest’area politica, nonostante molti degli attuali dirigenti e militanti della sinistra radicale ancora lo guardino come un faro nella nebbia, nonostante abbia partecipato con tutti i suoi 92 anni al corteo del 20 ottobre – fece titolo il suo grido dal palco: «La lotta continua» – nonostante tutto questo, Ingrao non ci sarà. Il programma prevedeva che domenica a mezzogiorno lui arrivasse insieme a Fausto Bertinotti. Ma Bertinotti arriverà da solo.

La ragione ufficiale è che domani, alla stessa ora, Ingrao deve presentare il suo ultimo libro, La pratica del dubbio. Ma quella vera è che Ingrao «non è convinto» (sua frase storica che usò all’XI congresso del Pci nel 66: «Cari compagni, se dicessi che mi avete convinto non sarei sincero»...), non è convinto di come si stia costruendo questo nuova Cosa a sinistra: «La Federazione non mi persuade, avrei capito una fusione. Ossia la nascita di un nuovo Partito e pure consistente. Ma così non ne capisco il senso. Quando per esempio Mussi ha rotto coi Ds, secondo me avrebbe dovuto entrare in Rifondazione. Cioè in un Partito riconoscibile e riconosciuto dalla gente che incontro per strada. Per non parlare di Diliberto, chi rappresenta Diliberto?». E quindi? «E quindi mi sembrano troppo frantumati, troppo timidi, ci vorrebbe più linearità, più nettezza, più semplicità di condotta. Più coraggio insomma».

Detto questo, Ingrao però precisa che certo lui non vuole fare la parte del «vecchio professorino, per carità, ci mancherebbe che alla mia età mi mettessi a dare lezioni... Non ci vado ma spero che questa nuova Cosa cammini. La situazione politica generale è così confusa, così deteriorata che c’è assoluto bisogno di una consistente forza di sinistra».

Lui che ha sempre vissuto di politica, si sente oggi sempre più estraneo alla politica. Considera Prodi «un moderato, Veltroni altrettanto», e questo governo «non mi soddisfa per niente». Non sa perché Mastella stia lì, e ce lo chiede: «Che fa, che vuole Mastella». Non sappiamo rispondergli. Confessa anche che non ha nemmeno capito le ragioni dell’ultima uscita del suo amico Fausto – «un vero amico per il quale nutro grande affetto e stima» – ossia quell’intervista a Repubblica in cui attaccava pesantemente il governo e Prodi in persona paragonandolo a un «poeta morente». Al vecchio leader della sinistra comunista, quella sortita non è piaciuta per motivi istituzionali, «quando io ero Presidente della Camera non ho mai fatto nulla del genere né ho mai pensato di farlo». Ma anche per motivi politici, gli è sembrata un’iniziativa estemporanea e troppo solitaria: «Con chi ne ha parlato, con chi l’ha concordata?». E soprattutto: «Perché l’ha fatta, a cosa voleva portare, cosa voleva ottenere?». Domande alle quali Ingrao non ha trovato ancora risposta, e che lo lasciano interdetto.

Tuttavia, anche senza di lui la Cosa rossa, anzi ormai multicolore, comincia a muoversi. Oggi pomeriggio i lavori si articoleranno in diversi work-shop, ovvero seminari tematici. Domani invece sul palco si alterneranno dirigenti nazionali e locali, fino naturalmente ai leader dei quattro partiti che costituiscono la Federazione: Giordano, Mussi, Pecoraro e Diliberto. Si capirà allora se a questo primo passo ne seguiranno altri, se cioè si tratterà solo di una semplice Federazione, che poi significa in sostanza poco più di un cartello elettorale, oppure se l’idea sia sul serio quella di far nascere un nuovo soggetto politico. Insomma un nuovo partito, con conseguente scioglimento dei quattro esistenti. Non è affatto detto che vada così, tutt’altro: le divisioni non mancano su molti temi, dal rapporto col governo alla legge elettorale. Così come non manca la paura di contaminarsi, di sciogliere la propria forza senza sapere dove andrà a finire, di rinunciare al proprio ruolo, al proprio simbolo, al nome. Insomma all’identità. E infatti tutti dicono che pure se si uniscono, ognuno resta con la propria identità, saranno insomma «un soggetto plurale» (un bell’ossimoro). Comunque almeno alle prossime elezioni amministrative, saranno insieme sotto lo stesso simbolo. Una prima prova per misurare il consenso, che nei sondaggi attuali oscilla tra l’8 e il 12 per cento.

Infine, il problema del leader. Che non c’è. Avrebbe dovuto essere Bertinotti, ma fa un altro lavoro e non ha nessuna intenzione di dimettersi da dove sta. E tra quelli disponibili, nessuno ha le caratteristiche adatte, oltre al fatto che ognuno è geloso dell’altro. Potrebbe allora spuntare fuori un outsider, per esempio Nichi Vendola, sponsorizzato proprio da Bertinotti. Ma prima i quattro dovranno decidere se saranno una Cosa sola o quattro cose che si uniscono all’occorrenza (le elezioni) per poi marciare divisi. Dopo di che mettersi d’accordo su chi sarà il loro capo. Ci riusciranno?

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« Risposta #58 inserito:: Dicembre 09, 2007, 05:07:04 pm »

9/12/2007 (9:11) - STATI GENERALI

Cosa Rossa, applausi per Ingrao: "Urge unità a sinistra, fare presto"
 
L'assemblea della Sinistra Arcobaleno a Roma

Arrivo a sorpresa dell'ex presidente della Camera che aveva criticando il progetto della "Sinistra-Arcobaleno"


ROMA
«Porto un saluto caldo e pieno di speranza. La mia speranza e anche il sentimento che provo trovandovi qui è che da questo incontro e dalle cose che succederanno nel Paese esca rafforzata l’unità delle sinistre». Così il leader storico comunista, Pietro Ingrao, interviene a sorpresa all’assemblea plenaria della federazione Arcobaleno. Un intervento durato circa 10 minuti, iniziato con una lunga ovazione dei partecipanti e con un lungo abbraccio con i leader dei partiti, Franco Giordano, Fabio Mussi e Oliviero Diliberto.

Ingrao, una standing ovation
Dopo i dubbi dei giorni scorsi, l'anziano leader comunista è stato accolto da una standing ovation alla nuova Fiera di Roma. Ingrao è giunto accompagnato dal direttore di Liberazione Piero Sansonetti, che oggi ha pubblicato in prima pagina sul quotidiano del Prc una breve intervista nella quale l’anziano leader della sinistra comunista smussa le sue critiche alla federazione Arcobaleno, riferite ieri a La Stampa. «Ho deciso di venire», spiega ai cronisti, e poi ribadisce: «Spero che venga una spinta grande all’unità della sinistra, sono queste le parole che mi premono».

L'invito del leader: «Fate presto»
Ingrao, salito sul palco con una sciarpa rigorosamente rossa, ha più volte ripetuto una raccomandazione: «Fate presto! Fate presto perché la vostra unità urge, il Paese ne ha bisogno e perché abbiamo davanti a noi quella che è la condizione tragica del lavoro in Italia». Lo storico leader comunista ha ricordato la recente tragedia di Torino e, rivolgendosi ai militanti della sinistra, ha aggiunto: «proprio in nome dei caduti di Torino lancio un grido». Quindi, alzando il tono della voce ha esortato: «unitevi, unitevi!».

«Uno scatto in più che segni un mutamento di clima»
«Mi rivolgo prima di tutto alle donne e ai giovani - ha detto Ingrao - occorre andare avanti uniti per il riscatto del lavoro. Questa è la condizione tragica in cui vivono oggi tanti lavoratori». Interrotto da diversi applausi, Ingrao ha inoltre rivolto un appello ai compagni affinché facciano «uno sforzo, uno scatto in più che segni un mutamento di clima». «Non sono chiare le cose in questo Paese - ha detto Ingrao - nemmeno come viene condotto il Governo. Ciò che è chiaro invece è questa destra reazionaria e odiosa».

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« Risposta #59 inserito:: Dicembre 09, 2007, 05:07:56 pm »

9/12/2007 (8:14)

Sinistra a malincuore "Meglio tenerci il prof"

Cosa Rossa, gli stati generali

AMEDEO LA MATTINA

ROMA


Dentro o fuori il governo? Se i dirigenti dell’ex Cosa rossa diventata «La Sinistra» decidessero di fare un referendum con questo quesito, la base risponderebbe «dentro». A malincuore, contorcendosi le budella, certo, ma di cedere ai Mastella, Dini, Binetti, Rutelli no, mai. Se potessero, molti dei militanti che sono venuti alla nuova Fiera di Roma per le prove tecniche di «Sinistra», li prenderebbero a morsi. Per non parlare poi di Berlusconi, Fini, Bossi e Casini: con loro nemmeno un caffè. Il Cavaliere qui, tra rifondaroli, verdi, comunisti ed ex diessini, è ancora l’«uomo nero»; e pensare che possa ritornare al governo fa venire loro l’ulcera. Allora, meglio ingoiare rospi, battere i pugni sul tavolo per spostare il mitico «asse a sinistra», fare la faccia truce al tavolo della verifica e che Dio ce la mandi buona. E’ questo, grosso modo, il «popolo» al quale oggi Giordano, Mussi, Diliberto e Pecoraro Scanio parleranno al padiglione 1 allestito come se fosse il congresso fondativo di un nuovo partito.

Al banchetto dove vendono il libro del ministro Ferrero sull’immigrazione, Francesca Conti, impiegata, è delusa da questo governo: «Non conosco una persona tra i miei amici che non si senta sbandata. Io vivo da sola con un figlio e il mio stipendio a Roma mi basta appena per pagargli l’asilo, pagare l’affitto di casa e mangiare. Sono incazzata nera. Mi auguro un’inversione di rotta, ma in ogni caso questo governo non va messo in crisi. L’idea che possa tornare Berlusconi mi fa accapponare la pelle». Dieci metri più in là, Giorgio Aurigi vende «Liberazione». Non è molto ottimista sul futuro della «Sinistra» e della sua capacità di incidere sulla politica dell’esecutivo: «Tuttavia bisogna stringere i denti e andare avanti». «Che alternativa abbiamo? - s’interroga Andrea Angioni, coordinatore provinciale della Sinistra Democratica -. Non possiamo condannarci all’opposizione eterna e fare solo cortei con le bandiere rosse». «Attenzione - avverte Marco Nesci, consigliere regionale del Prc in Liguria -, la verifica dovrà essere vera sul piano delle questioni sociali, altrimenti meglio uscire dal governo». Emanuele Chieppa dei Verdi è invece soddisfatto dell’esecutivo; e quando gli facciamo notare che l’Italia in Europa è il fanalino di coda sull’ambientalismo, risponde che grazie a Pecoraro Scanio stiamo recuperando terreno. «Se guardiamo cosa hanno fatto quelli che ci hanno preceduto... Noi almeno siamo riusciti a mettere in Finanziaria le detrazioni fiscali per i pannelli solari e imposto delle condizioni per i rigassificatori. Prodi è il migliore punto di equilibrio».

Al workshop sul Welfare, il deputato e psichiatra Luigi Cancrini del Pdci sta spiegando che nelle cliniche private degli Angelucci, acquirenti dell’«Unità», medici e infermieri il contratto collettivo nazionale se lo sognano. Quando finisce di parlare, ci dice che questo governo deve essere tenuto in piedi «anche con la respirazione bocca a bocca, perché l’alternativa è l’inciucio con il centro». Ma c’è anche nel partito di Diliberto chi, come il baby Stefano Perri, pensa che sia arrivato il momento staccare la spina a Prodi. La lancetta si sposta verso il pessimismo soprattutto tra i ragazzi. Elena Carradori di Venezia, con esperienze di cooperante nei Balcani, è convinta che sarà difficile far sterzare a sinistra questo governo: «Questa esperienza di governo è finita».

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