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Autore Discussione: SINISTRA DEMOCRATICA -  (Letto 62440 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Luglio 20, 2007, 07:55:31 pm »

20/7/2007 (7:46)

Romano in bilico tra Walter e la pasionaria
 
Il bivio tra due mondi

FEDERICO GEREMICCA
ROMA


Da una parte il prodismo delle origini, cioè l’ulivismo della prima ora col suo arredo politico-ideale - fatto di primarie, bipolarismo e il massimo d’apertura alla «società civile» - rappresentato dal duo Bindi-Parisi, col sostegno delle «liste uliviste» cui starebbe lavorando il ministro Giulio Santagata. Dall’altra, la proiezione futura dell’ulivismo, cioè il centrosinistra di domani, senza Prodi, più pragmatico, spregiudicato, incarnato dal ticket Veltroni-Franceschini, col supporto di Rutelli e dei suoi «coraggiosi» che già chiedono mani libere sul fronte delle alleanze. In mezzo, probabilmente, Enrico Letta, che è per Prodi quel che lo zio Gianni fu per Berlusconi; più le candidature (e attenzione a considerarle di sola testimonianza) di Furio Colombo, del blogger Adinolfi e di Jacopo Gavazzoli Schettini, direttore dell’Agenzia europea di investimenti Standard Ethics.

Ecco, questo è - al momento - il parterre. E se questo è il parterre, per chi voterà il 14 ottobre Romani Prodi? Non è la prima volta che il Professore è chiamato a spiegare per chi o per cosa voterà. Gli accadde all’epoca del boicottato referendum sulla procreazione assistita (e in quella occasione si limitò a dire che avrebbe comunque votato, che era poi l’aspetto fondamentale della questione, considerata la campagna astensionistica che fu lanciata); e ancora, con meno insistenza, alle ultime politiche, quando Ds e Margherita presentarono liste autonome alla Camera. Stavolta, però, l’interrogativo per Prodi è forse ancor più imbarazzante perché rischia di metterlo in possibile rotta di collisione con un pezzo del suo mondo e del suo passato (già in fila a raccogliere firme per Rosy Bindi) oppure, paradossalmente, di farlo finire in minoranza nel nascente Pd se, come tutto lascia prevedere, le primarie incoroneranno come leader Walter Veltroni.

Non è questione, naturalmente, di rapporti personali. E’ che, a differenza di quel che si poteva forse immaginare, nella corsa alle primarie si vanno ormai nettamente delineando piattaforme politiche diverse. Infatti, la dichiarazione con la quale Walter Veltroni ha assunto e fatto proprio il «manifesto dei coraggiosi» di Francesco Rutelli sta cambiando il profilo di una candidatura all’inizio applaudita da tutti. Se Veltroni, come il leader della Margherita, pensa che il governo in carica sia al di sotto delle aspettative e che per il futuro il Pd debba aprirsi ad alleanze diverse, che lo sottraggano al «ricatto» della sinistra radicale, è evidente che introduce nella campagna per le primarie un elemento di assoluta (e rilevante) novità politica: soprattutto se, per render possibili quelle alleanze diverse, uno dei passaggi obbligati è l’abbandono del sistema elettorale maggioritario.

E’ contro questa ipotesi politica - e dunque non semplicemente per arricchire il parterre dei partecipanti - che il duo Bindi-Parisi ha deciso di scendere in campo, con il sì al referendum elettorale ed un chiaro avvertimento: «Il programma del Pd - ha sottolineato ieri la Bindi - deve partire da un sostegno forte al governo Prodi, senza ambiguità e tatticismi. In più dico: all’Italia serve un bipolarismo maturo, non un ritorno al passato». E’ anche per questo che tutti gli uomini di Prodi - da Parisi a Santagata e da a Barbi a Monaco - sono schierati con Rosy Bindi, verso la quale Flavia Prodi, ascoltata «consigliera» del premier, nutre affetto e stima particolari. Così, la pressione sul Professore cresce: «Se sono la candidata di Prodi? Assolutamente no - ha correttamente chiarito ieri la Bindi -. Ma a tutti farebbe piacere avere il suo sostegno». E dunque: chi sosterrà, alla fine, Romano Prodi? O meglio ancora, perché in fondo questo è il punto: per quale tipo di Partito democratico voterà il premier? E se scendesse in campo anche Enrico Letta - braccio destro di Prodi e possibile punto di equilibrio tra le due posizioni finora in campo - ciò agevolerebbe o renderebbe ancor più complicata la scelta che il premier dovrà compiere? Difficile, per ora, rispondere.

Ma va forse annotato lo sfogo riservato ieri ai giornalisti da Angelo Rovati, amico e consigliere di Romano Prodi, dopo aver firmato per il referendum elettorale: «Ho deciso di firmare dopo le dichiarazioni dei maggiori responsabili del nascente Partito democratico che si sono dichiarati a favore di una riforma alla tedesca con sbarramento al 5 per cento, per cui il maggioritario non ci sarà più e si tornerà al vecchio proporzionale... Ora dovrò pensare bene se aderire o no al Pd, che non sarà altro che una riedizione della Dc, partito al quale mi onoro di appartenere». Questa è l’aria che tira, insomma, in quello che viene definito il «clan Prodi». Dal che si può dedurre che stavolta non sarà facilissimo per il premier tenere assieme - come tante altre volte in passato - il diavolo e l’acqua santa...

da lastampa.it
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« Risposta #16 inserito:: Luglio 21, 2007, 11:59:32 pm »

Ma per la sinistra radicale l'accordo è restrittivo e va cambiato

Rizzo: "E' un vero e proprio tradimento delle ragioni dei lavoratori"

Pensioni, Marini: "Dopo molta attesa raggiunto un punto di approdo positivo"

Bondi: "Solo chi non ama l'Italia e gli italiani può parlare bene della riforma"

Maroni: "E' un vero disastro, un pasticcio assoluto che scontenta tutti"
 

ROMA - Il presidente del Senato Franco Marini manifesta apprezzamento per la riforma delle pensioni, al centro di molte polemiche: "C'era molta attesa - ricorda Marini - è stata una trattativa difficile, e mi pare che, conclusivamente, dopo molta fatica si sia raggiunto un punto di approdo positivo".

"Mi pare - ha aggiunto Marini, a margine di una cerimonia in onore di Siro Riccioni, comandante degli alpini che, nel 1943, a Creta salvò 272 persone da morte certa per mano dei tedeschi. riferendosi alla riforma - che così sia largamente capito dalla nostra opinione pubblica".

Ma le posizioni della sinistra radicale non si sono certo ammorbidite: "L'accordo è un vero e proprio tradimento delle ragioni dei lavoratori, per certi versi è peggio della controriforma Maroni", denuncia Marco Rizzo, capo delegazione del Pdci all'europarlamento.

"Il progetto è restrittivo - sostiene ancora Rizzo - Il sistema delle quote che avrebbe dovuto garantire più elasticità di scelta ed evitare altri scalini successivi al primo, in realtà non è molto vincolante. Lo scalone viene diluito in 3 scalini e poi si va anche oltre, riducendo fortemente i margini di scelta dei lavoratori. Insomma, pagano i soliti noti. Serve la mobilitazione generale e l'impegno totale di tutti quelli che si dichiarano ancora di sinistra".

Di battaglia parlamentare parla anche il segretario del Partito dei comunisti italiani Oliviero Diliberto: "Non nascondo di essere molto irritato", ha ribadito oggi a Pordenone. "La delusione è grande - ha aggiunto - perchè da un governo di centrosinistra ci saremmo aspettati politiche a favore dei lavoratori non contro i lavoratori. Qui si aumenta l'età pensionabile e la si aumenta fino a 62 anni. Non mi sembra un gran risultato. Siccome questo è un accordo sindacale, ma va tradotto in una legge la battaglia proseguirà in Parlamento".

E mentre la rabbia della base arriva attraverso le lettere pubblicate oggi da Liberazione, con le quali i lettori chiedono che "Prodi torni a casa", il segretario di Rifondazione Comunista Franco Giordano attenua la durezza del giudizio espresso a caldo sulla riforma approvata dal governo: "Abbiamo espresso - ha dichiarato Giordano - un giudizio politico molto critico sullo scalone, un giudizio che però raccoglie anche elementi positivi, come l'innalzamento del rendimento delle pensioni dei giovani. Ci impegniamo naturalmente nel dibattito parlamentare e nelle attività sociali, a modificare l'impianto dello scalone che ora lenisce le sofferenze ma non modifica l'impianto di fondo".

Nessun ammorbidimento invece da parte dell'opposizione: "Solo chi non ama l'Italia e non rispetta gli italiani, ed è interessato unicamente al mantenimento del suo potere - ha scritto in una nota il coordinatore nazionale di Forza Italia, Sandro Bondi - può parlare dell'accordo sulle pensioni, peraltro un accordo non concluso e messo in discussione da varie componenti della maggioranza di governo, come di una scelta riformista, con il coro greco dei grandi quotidiani".

E anche l'ex ministro del Welfare Roberto Maroni, in un'intervista al quotidiano Il Messaggero, definisce l'accordo sulle pensioni "un vero disastro, un pasticcio assoluto che non accontenta il palato raffinato della Ue, nè quello più rustico della sinistra radicale".

(21 luglio 2007)
 da repubblica.it
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« Risposta #17 inserito:: Luglio 22, 2007, 02:43:21 pm »

22/7/2007
 
La disfatta della sinistra
 
RICCARDO BARENGHI

 
Ma dove sta questa sinistra radicale massimalista estremista che vince sempre? Ma chi l'ha vista questa invincibile armata che condiziona il governo, gli tarpa le ali, gli impedisce di dispiegare tutta la sua potenza riformista? Al di là del leit motiv, ormai quasi un luogo comune, che da più di un anno anima il dibattito politico e giornalistico - interviste di leader politici, editoriali, interventi televisivi che seguono sempre lo stesso schema - vediamole le vittorie dei nostri radical. E scopriremo che sono molte di più le loro sconfitte, anzi che sono quasi esclusivamente sconfitte.

L'ultima, cocente, è ovviamente quella sulle pensioni, tanto che i dirigenti di Rifondazione minacciano fuoco e fiamme, non solo una battaglia in Parlamento per cambiare l'accordo ma addirittura un referendum tra i loro elettori per farli decidere se ha ancora senso restare nel governo. Se avessero vinto, direbbero tutt'altro. E se torniamo a un anno fa, ci ricordiamo che sul Dpef di allora il ministro Ferrero votò contro. Poi, certo, arrivò la Finanziaria che fu all'inizio corretta in senso redistributivo, così da suggerire quell'infelice manifesto, «Anche i ricchi piangono». Peccato che poi piansero anche i poveri, non a caso i fischi a Mirafiori se li beccarono sia i leader sindacali sia quelli del Prc, accolti nelle fabbriche non certo come vincitori. Nel frattempo - e questa può essere una mezza vittoria - riuscirono a bloccare l'offensiva di Fassino e Rutelli sulla Fase due del governo, ma fu una magra consolazione.

Poche settimane dopo infatti la sinistra radicale lanciò la sua parola d'ordine: risarcimento sociale. Che tra l'altro era un'implicita ammissione di sconfitta: finora abbiamo pensato al risanamento, quindi ai sacrifici, adesso dobbiamo aumentare salari e pensioni. Ma i salari sono rimasti fermi, le pensioni non aumentano (tranne quelle minime, un euro al giorno, grande vittoria), lo scalone viene trasformato in scalini, l'età per uscire dal lavoro cresce. Il risarcimento insomma non è arrivato e nemmeno si intravede all'orizzonte.

Così come non arriva la cancellazione della «famigerata» legge Biagi, e nemmeno la sua profonda modifica. Così come non è stata ancora neanche discussa la nuova legge sulle droghe che dovrebbe sostituire quella considerata super repressiva voluta da Fini. Per non parlare dei Dico, battaglia che non è stata magari la bandiera della sinistra radicale (concentrata troppo sulle questioni sociali e poco sui diritti civili) ma che comunque è andata male: i Dico non ci sono, e forse non ci saranno nemmeno i loro sostituti Cus.

Si dirà, ma c'è la politica estera. Giusto, il ritiro dall'Iraq per esempio. Peccato però che fosse stato deciso già prima delle elezioni. La missione in Libano? Perfetto, ma non è stata certo una battaglia della sinistra radicale, semmai del ministro degli Esteri. Così come è stato Massimo D'Alema a decidere di cambiare la linea della nostra diplomazia, in senso più antiamericano, più antiisraeliano e più filopalestinese. Rifondazione e gli altri possono al massimo applaudire, concordare, appoggiare, ma non certo rivendicare una loro vittoria. Se poi ci spostiamo in Afghanistan, altro che vittorie: i nostri soldati sono sempre lì, di ritiro non si parla più, sono arrivati anche i terribili Predator, e la tanto agognata Conferenza di pace, grazie alla quale la sinistra del centrosinistra si è autocostretta a votare e rivotare la missione, è morta prima di nascere. Vogliamo aggiungerci anche la base di Vicenza? Aggiungiamocela.

Sarebbe ingeneroso tuttavia non segnalare i (pochi) risultati ottenuti da questa parte della coalizione di governo, la nuova legge sugli immigrati, il piano sulla casa e l'indulto. Che purtroppo non si è rivelato una grande iniziativa, visto che gli stessi elettori del centrosinistra (e della sinistra) non hanno affatto gradito, e infatti nessuno dei suoi leader politici ha poi avuto il coraggio di rivendicarlo come una battaglia vinta, meglio stenderci sopra un velo pietoso.

Morale della favola. La sinistra radicale ha scelto il governo per cambiare il Paese secondo le sue idee ma si ritrova al massimo a ridurre il danno (sempre dal suo punto di vista), ossia a frenare gli eventuali eccessi di riformismo. Nulla di più. Non molto viste le sue ambizioni, anzi molto poco: e ne è così consapevole che si prepara a chiedere ai suoi elettori se deve restare o andarsene dal governo.

da lastampa.it
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« Risposta #18 inserito:: Luglio 24, 2007, 06:11:59 pm »

Fabio Mussi: «Non è stato un colpo di testa, lo scalone di Maroni andava superato»
Maria Zegarelli


L’unità a sinistra è un progetto che traballa prima ancora di essere compiuta. Franco Giordano, segretario Prc, critica duramente l’accordo governo-sindacati sulle pensioni, mentre Oliviero Diliberto, Pdci, promette una calda estate sullo stesso tema. Fabio Mussi, Sd, ministro dell’Università e della Ricerca controbatte: «Sarebbe un errore imperdonabile se si dovessero creare le condizioni che minacciano l’apertura di una crisi di governo da sinistra».

Ministro, ha letto l’intervista rilasciata da Giordano?
«Sono abituato a considerare le situazioni concrete. Sulle pensioni esistono due leggi in vigore: la Dini che prevedeva la revisione dei coefficienti, cioè la riduzione delle prestazioni pensionistiche; la Maroni, che prevedeva dal 1 gennaio 1998, il salto di 3 anni per tutti i lavoratori. Dunque, occorreva correggerle, in modo favorevole ai lavoratori, non si è trattato di un colpo di testa del governo».

Giordano critica lo scalone...
«Il salto previsto da Maroni viene spalmato in quattro anni, un provvedimento che riguarda qualche centinaio di migliaia di lavoratori che andrà in pensione prima di quanto previsto dalla legge; la quota 97, con i 61 anni di età è prevista per il 2013, previa verifica sullo stato dei conti della previdenza. Attualmente l’età di pensionamento media reale supera i 60 anni. Il giudizio deve essere dato considerando tutti gli aspetti dell’accordo».

Su quali di questi lei ha ancora riserve, o promuove a piene voti?
«Questa partita tra governo e sindacati non è ancora chiusa. Ci sono due aspetti importanti: competitività e mercato del lavoro. Il modo in cui verranno risolte queste due questioni sarà decisivo per la valutazione finale. Non sono d’accordo sugli sgravi fiscali per il lavoro straordinario e ritengo l’intervento sul lavoro a tempo determinato debba essere risolutivo, in grado cioè di contrastare davvero la precarizzazione dei giovani».

Diliberto annuncia battaglia contro la controriforma. Sembra che parliate di cose diverse.
«Analizziamo qualche punto: la pensione di vecchiaia delle donne non viene toccata - anche se l’Europa chiede il contrario - e alla base di questa resistenza italiana c’è una particolare attenzione alla condizione delle donne che, a parità di qualifiche hanno stipendi più bassi e quindi più bassa contribuzione; nella vita lavorano due volte, perché hanno a carico anche il lavoro di cura, una funzione sociale di primario valore. Vengono salvaguardati i lavoratori precoci, quelli con 40 anni di contribuzione e aumentano le finestre di uscita. Per la prima volta viene applicata una tabella dei lavori usuranti, la tabella Salvi allargata. Infine, c’è, sia pure in una forma non perentoria, il minimo del 60% dello stipendio per i i giovani che hanno lavori discontinui. Certo, si poteva fare anche di più, ma il complesso di questi provvedimenti, non giustifica questa opposizione frontale. È una condotta che rischia di far saltare il banco».

Perché, secondo lei?
«Mi preoccupa il fatto che ai fari accesi sulle pensioni corrispondano sempre più spesso luci basse sul tempo di lavoro, sulla qualità del lavoro».

Sicuri di riuscire a fare l’unità a sinistra?
«Sono abituato ad assumermi la responsabilità politica per tenere una posizione quando viene meditatamente presa, per più di 24 ore. Voglio dire a questi compagni che non abbandono il progetto dell’unità a sinistra. Vanno prese sul serio le parole quando sparliamo di unità e rinnovamento della sinistra. E voglio ricordare anche che all’incontro politico del 7 giugno tra Rc, Pdci, Verdi e Sd, ha fatto seguito quello con i segretari delle tre confederazioni sindacali. Lì si è preso un doppio impegno: pretendere che il governo di cui facciamo parte e sosteniamo lavorasse non alla rottura ma a un accordo con i sindacati; e nel caso di raggiunto accordo, che non avremmo giocato al più uno. Poi, Rc ha scartato, mentre in un incontro successivo il Pdci ha confermato questa posizione politica. Sarebbe un errore imperdonabile se si dovessero creare condizioni che minaccino un’apertura della crisi di governo da sinistra».

Sarebbe la seconda volta. Non c’è il pericolo che gli elettori non vi seguano più?
«Stavolta non capirebbero. Si sono già espressi un anno fa, a noi spetta l’assunzione di responsabilità di scelte essenziali per il paese. L’arretratezza sociale italiana non è sul sistema previdenziale. Siamo indietro su altro. Dal tasso di occupazione, soprattutto femminile; ai servizi sociali efficienti per tutti ; al livello di qualità della rete delle infrastrutture; università, ricerca scientifica, innovazione tecnologica».

Pubblicato il: 24.07.07
Modificato il: 24.07.07 alle ore 13.53   
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« Risposta #19 inserito:: Luglio 29, 2007, 12:02:53 pm »

Toni duri da Rifondazione: «In autunno sarà battaglia»

Welfare e precari, Prodi gela la sinistra

Sircana: «Nessun passo indiettro. Protocollo non si tocca».

Insorge la sinistra. Ma Damiano apre: «Si può scrivere meglio»   
 

ROMA - Sulla strada del Welfare Romano Prodi non è disposto a far soste o rallentare. A chiarirlo è il portavoce del governo Silvio Sircana, che in una nota precisa: «Nessun passo indietro da parte del presidente Prodi sul protocollo sul Welfare. Il presidente, nel corso dell'incontro di ieri (venerdì, ndr) - prosegue Sircana - ha confermato quanto già scritto nella lettera al segretario generale della Cgil, resa nota nei giorni scorsi, ribadendo la sostanziale non emendabilità del protocollo».

FERRERO E PECORARO SCANIO - Dura la replica del sottosegretario all'Economia, il verde Paolo Cento: «Il protocollo sul Welfare - dice - va cambiato radicalmente». Cento ricorda come quel testo «non è condiviso né dalla Cgil, per cui è evidente il problema sociale, né da quattro forze della maggioranza e questo pone un problema politico». Gli fa eco il ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero. «A questo punto - dichiara l'esponente di Rifondazione comunista - prevedo che in autunno ci sarà una grande battaglia politica in Parlamento e anche nel Paese». E poi, minaccioso, aggiunge: «Prodi dice che il protocollo sul Welfare non si può cambiare? Noi non ci rassegnamo all'idea che il programma con cui l'Unione è stata votata sia stravolto con il plauso di Confindustria e le proteste dei lavoratori». Smorza i toni invece Alfonso Pecoraro Scanio: «Sul protocollo del governo su pensioni e welfare - sostiene il ministro dell'Ambiente - non vogliamo procurare strappi interni alla coalizione, il protocollo del 23 luglio va migliorato ma seguendo il programma di governo».
 
DAMIANO - Intanto il ministro del Lavoro Cesare Damiano sostiene che le condizioni per una revisione del modello contrattuale del 1993 sono «mature» e sarebbe «utile» un cambiamento della durata dei contratti riportandola a tre anni sia per la parte economica che quella normativa. Il governo, dichiara Damiano, è «pronto» ad aiutare le parti sociali nel percorso di revisione del sistema contrattuale ma «l'impulso» deve arrivare da loro. Intervistato in serata dal Tg3 Damiano apre ai contestatori: «Un accordo fra governo e parti sociali è fatto di concertazione e quello è l'accordo. Naturalmente si può scrivere meglio nel momento in cui lo si traduce in legge per dissipare eventuali timori o incomprensioni. Poi il Parlamento è sovrano e potrà decidere autonomamente quali ulteriori valutazioni e modifiche portare ad un accordo».

CGIL - La dichiarazione di Sircana arriva all'indomani dell'incontro tra il premier e i quattro ministri "dissidenti" Ferrero, Bianchi, Mussi e Pecoraro Scanio. La Cgil intanto non ha ancora firmato per intero il protocollo presentato il 23 luglio. Fonti vicine al segretario generale Guglielmo Epifani spiegano che per il leader sindacato la lettera inviatagli da Prodi con l'invito a sottoscrivere il protocollo «non risponde a molte questioni poste».

29 luglio 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #20 inserito:: Luglio 30, 2007, 04:28:03 pm »

Russo Spena: «Macché ’98. Il problema c’è, ma anche gli spazi per risolverlo»

Luca Sebastiani


«Certo è sorto un problema, ma per risolverlo ci vogliono i nervi saldi». Giovanni Russo Spena, capogruppo di Rifondazione Comunista al Senato, non si nasconde dietro a un dito, ma allo stesso tempo, pur considerando «complicato» il problema della maggioranza, invita alla calma e rifiuta di parlare di riedizione del ‘98. Questa volta, dice, il contesto è diverso e gli spazi di mediazione ci sono.

Senatore, dopo le posizioni assunte dalla sinistra radicale sull’accordo sulle pensioni e il protocollo Damiano, in molti cominciano a parlare di spettro del ‘98. È d’accordo?
Al di là di come viene montata la situazione, credo che la situazione sia completamente diversa da allora e anzi mi sembra anche un po’ irresponsabile chi voglia dimostrare il contrario. Oggi abbiamo punti di riferimento abbastanza precisi sui quali orientarci, innanzitutto il lavoro di unità e di mediazione che la coalizione ha condotto fin qui. Certo, ora c’è un problema, ma ci vogliono i nervi saldi per risolverlo.

Qual è il problema visto da voi?
Il problema è un punto di politica sociale importante su cui le forze della sinistra alternativa, firmando un programma, avevano puntato molto, ma credo che fare una campagna contro Rifondazione o Diliberto sia un po’ fuori dal tempo perché, invece, non ci si accorge che c’è un malessere incredibile nel popolo dell’Unione, come confermato i sondaggi. Il vero tema oggi non è il ‘98, ma capire come il governo guidato da Prodi possa recuperare il consenso e, avrebbe detto Gramsci, la connessione sentimentale con il proprio popolo. Noi pensiamo che si possa fare attraverso un progetto di redistribuzione sociale forte. Questa è la nostra proposta, nessuna rottura.

Qual è la strada per evitare la rottura, ci sarà la trattativa o si arriverà in Parlamento?
La trattativa ci dev’essere necessariamente, ma noi non ci rassegnamo alle posizioni che il governo ha espresso in questi giorni. Perlomeno sui punti della decontribuzione delle ore straordinarie e sulla legge 30 vi sarà, credo, conflitto sindacale e certamente emendamenti.

Il rischio del ‘98 è anche quello di arrivare in Parlamento e non trovarvi i numeri. Ci sono gli spazi per arrivare prima ad un accordo?
Damiano ha detto che alcune cose sono riscrivibili. Prodi stesso si dice tranquillissimo. Insomma, io credo che gli spazi ci siano oggettivamente, bisogna vedere se le volontà politiche permetteranno l’accordo.

Secondo lei che cos’è che può ostacolarlo?
Temo due cose. Da un lato credo che la Confindustria e altri poteri forti abbiano deciso che questo governo non va bene e che questa maggioranza dev’essere cambiata.

Si sta riferendo anche al manifesto dei Coraggiosi e alle maggioranze di nuovo conio?
Penso che certamente il manifesto dei coraggiosi in qualche modo facesse sponda, anche se timidamente, a queste esigenze di alcuni settori della borghesia. E questo è un problema che Prodi forse dovrebbe capire. Guidando la collegialità del governo come ha fatto negli ultimi due accordi affossa se stesso e il governo.

Qual è il secondo ostacolo all’accordo cui faceva riferimento?
Credo che sia stia creando una specie di cabina di regia dentro il governo di cui fa parte Prodi, Padoa Schioppa e i due vicepresidenti. Questo significa che da un lato decidono in pochi con una mediazione interna e dall’altra parte la sinistra alternativa viene chiamata a ratificare. Questo non l’accettiamo

Insomma Senatore, è ottimista o no sul rientro?
Proprio ottimista direi di no, nel senso che la vedo di fronte una situazione complicata, ma sono convinto che utilizzeremo tutti gli spazi di mediazione.


Pubblicato il: 30.07.07
Modificato il: 30.07.07 alle ore 7.51   
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« Risposta #21 inserito:: Agosto 22, 2007, 10:45:51 pm »

Ferrero: «Non vogliamo la crisi, ma rispettateci»

Felicia Masocco


Il rischio di crisi «esiste nella misura in cui il programma dell’Unione diventa carta straccia». Per il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero «il Partito democratico ha in mano il pallino, deve decidere se accettare i diktat di Bonino e di Dini che nulla hanno a che vedere con il programma, o se stare nel solco che quel programma ha tracciato». Il protocollo sul welfare è un compromesso interno al Pd, afferma, «la sinistra non è stata coinvolta». «L’ultima cosa che voglio è rompere la coalizione», «lo riterrei una sconfitta». «Ma una coalizione non è una caserma, riconosce la pari dignità e media».

Tira aria di crisi economica, mentre il protocollo sul welfare divide la coalizione. Damiano dice di fare attenzione a non tirare troppo la corda. Si spezzerà secondo lei?
«Penso di no. Il protocollo che pure ha elementi positivi, su due punti non è coerente con il programma: non tira via le norme che permettono che la flessibilità diventi precarietà, mentre lo scalone si è trasformato in scalini molto ravvicinati. Su questi punti chiediamo di cambiare. Credo peraltro che sugli elementi di crisi, sia Padoa-Schioppa che Prodi diano risposte sbagliate».

Il rigore non va bene?
«L’austerità non risolverebbe i problemi. Seppure applicassimo in modo thatcheriano la via del rientro dal debito per evitare spese più alte per gli interessi, si avrebbe, poniamo, una riduzione di 10 miliardi di euro a fronte di 1600 miliardi di debito complessivo, lo 0,6%, è inessenziale».

Lei quale strada indica?
«Occorre rafforzare l’economia reale sul terreno della ricerca, del potenziamento dell’apparato industriale, seguendo la via alta allo sviluppo, e questo nel protocollo non c’è. Occorre rendere più stabile e sicuro il lavoro e redistribuire reddito, cosa che nei ragionamenti di Padoa-Schioppa mi pare scomparsa. Penso che chiedere di migliorare il protocollo in sede di discussione parlamentare e dare risposte effettive ai problemi posti dalla finanziarizzazione dell’economia, vadano nella stessa direzione. È una ricetta coerente con il programma dell’Unione che tiene assieme politiche sociali ed economiche».

È un punto di vista a fianco di altri all’interno della coalizione. Farlo valere può portare alla crisi di governo. Se la sente di assumere questo rischio?
«Il rischio esiste nella misura in cui il programma dell’Unione diventa carta straccia. Secondo me il Partito democratico, che ha in mano il pallino, deve decidere se accettare i diktat della Bonino e di Dini che nulla hanno a che vedere con il programma dell’Unione, o se stare nel solco che ci siamo dati con il programma. Noi vogliamo andare nella direzione su cui abbiamo chiesto i voti per dare una risposta al berlusconismo. Non è stata una campagna elettorale moderata. E tentiamo di evitare che il tutto si trasformi in un braccio di ferro tra partiti. Anche la manifestazione risponde alla necessità di non sequestrare la discussione nelle sedi partito, ma farne un confronto di società».

La manifestazione sulla precarietà del novembre scorso si trasformò in un corteo contro il governo, Cioè contro voi stessi. Ha torto chi dice che è un paradosso?
«Intanto non ho sentito mai argomenti di questo tipo quando Mastella, Fioroni e pressoché tutti i sottosegretari della Margherita sono andati al Family Day che mi risulta fosse una manifestazione contro un disegno di legge approvato dal governo. Questo avere due pesi e due misure per cui se lo fa l’asse centrista della coalizione è un contributo al dibattito, se lo fa la sinistra ci sono i barbari alle porte, è inaccettabile. Ci vuole almeno pari dignità politica».

Non c’è stata nel caso del protocollo?

«Quel compromesso è sostanzialmente interno all’orizzonte politico del Partito democratico. La parte sinistra dell’Unione, un terzo dei parlamentari, a spanne un terzo dei voti dell’Unione, non è stata coinvolta nella gestione del protocollo. Non si può fare prima l’accordo senza tener conto di una parte consistente della coalizione e poi, in nome della patria, dire che non si tocca nulla. Esiste una coalizione. Ripeto, il pallino ce l’ha in mano il Pd. Deve decidere se guida una coalizione di carattere riformatore e quindi fare i conti con le posizioni della sinistra, non dico di accettarle, ma di mediare con queste posizioni e quelle del movimento operaio, visto che mi risulta che anche la Cgil abbia qualche sofferenza».

Le sorti del governo sarebbero in mano al Pd?
«Deve scegliere se dialoga di qua oppure se dialoga con i poteri forti e spacca il movimento operaio. L’ultima cosa che voglio è rompere la coalizione, ma è una coalizione, appunto, non una caserma in cui qualcuno sottoscrive un accordo e qualcun altro che non è stato tenuto in conto deve semplicemente votarlo. Una coalizione chiede una mediazione. Il programma era una mediazione, non era il programma di Rifondazione. Sul lavoro a tempo determinato ci abbiamo passato le giornate a limarlo, come mai adesso è carta straccia? Mi dispiace, la coalizione riconosce la pari dignità, sia pure con pesi diversi».

Damiano afferma che il programma si sta applicando...
«Le propongo di fare uno specchietto di cinque righe mettendo a confronto quello che dice il programma sui contratti a termine e quello che dice il protocollo così gli elettori si fanno un’idea se ho ragione io o Damiano».

Non è che alla fine ha ragione chi afferma che la manifestazione di ottobre sia più un messaggio per il Pd che altro?
«No, parla al governo, solo che l’azionista di maggioranza è il Pd, non si prescinde. E per quanto mi riguarda l’obiettivo non è nei termini “o la va o la spacca”, ma produrre coerenza del governo rispetto programma. Per far coesistere le diverse anime della coalizione bisogna avere un’idea di società: nel programma c’era e c’è. Io sulle liberalizzazioni la penso diversamente da Bersani, ma abbiamo fatto un compromesso e non chiedo di nazionalizzare Alitalia. Chiedo il rispetto di quel compromesso. Invece si media sul programma come se fosse la mia posizione, spingendo i risultati sempre più a destra».

Ministro, lei non sembra molto turbato, eppure...
«Sono tranquillo perché se noi non dicessimo nulla sulle cose che non vanno, succederebbe che le persone che hanno votato l’Unione la prossima volta non andrebbero a votare. E si rafforzerebbe la presa della destra populista sui ceti più deboli. Si porrebbero le condizioni per perdere le prossime elezioni a mani basse».

È la stessa conclusione a cui arriva Damiano, lui però parte dal rischio di una replica del ‘98. Rifondazione uscirà dalla coalizione?
«Nel ‘98 un programma non c’era per cui valeva solo la dialettica tra forze politiche. Oggi ci attacchiamo come pazzi al programma perché è quella la strada per evitare il rischio. Io lavoro per scongiurarlo, lo riterrei una grave sconfitta».

Pubblicato il: 22.08.07
Modificato il: 22.08.07 alle ore 10.29   
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« Risposta #22 inserito:: Settembre 02, 2007, 12:17:01 pm »

Pecoraro Scanio: «Non vado a un corteo contro il governo»

Wanda Marra


Un concerto va bene, un corteo no. Così il Ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, interviene sulla polemica in corso nella sinistra radicale, e non solo, sulla manifestazione del 20 ottobre. Dopo che Mussi ha lanciato l’idea di un’assemblea al posto di un corteo e Mastella ha minacciato la crisi di governo se qualche ministro scende in piazza, Pecoraro, dunque, propone una terza via.

Ministro, Mussi ha proposto di trasformare la manifestazione del 20 ottobre in un’assemblea. Voi siete d’accordo?

«Noi, come Verdi, saremmo per un grande concerto, una grande iniziativa musicale e di dibattito, una Woodstock a favore dei giovani. Insomma, siamo per un nuovo modo di manifestare, non per il vecchio corteo, che si trasforma automaticamente in una protesta contro il governo».

Ma se il corteo alla fine si farà, voi parteciperete?

«Né io, né i Verdi partecipiamo a una manifestazione contro il governo».

Quindi, siete sulla posizione di Mussi?

«Io sono d’accordo con quello che aggrega più persone e che mette insieme le forze sociali che vogliono partecipare. Sarei per una sorta di Young day a favore dei precari. Un’assemblea andrebbe anche bene, ma è chiaro che si tratterebbe di qualcosa di più ristretto. Sono per una grande manifestazione, ma non per un corteo che, ripeto , finirebbe automaticamente per essere contro il governo».

Mastella ha detto che se il 20 ottobre ci saranno dei Ministri in piazza sarà crisi di governo. Cosa replica?

«Se la manifestazione è contro il governo, io non ci andrò. Ma Mastella, che è andato al Family day, è l’ultimo che può dare lezioni. E né lui né altri possono dare indicazioni. Se c’è una forza leale al governo e a Prodi sono proprio i Verdi, che in questa materia sono i primi della classe. Lavoriamo perché il 20 ottobre non ci siano iniziative che danneggino la coalizione. Un grande concerto potrebbe essere un segnale positivo. Ma il rischio è che si trasformi tutto in un gossip su come si manifesta, in un dibattito che si alimenta sul chiacchiericcio. Invece, facciamo una seria Finanziaria innovativa».

Mastella a Telese ha anche detto alla sinistra radicale che se fosse seria come lui, si starebbe al governo non per 5 anni ma per 50. E ha ribadito che dire che le alleanze non sono eterne non è più un’eresia...

«A Mastella vorrei dire che è al governo anche grazie a noi. Se cambia il sistema bipolare ognuno è libero di scegliersi le alleanze che vuole. Se invece questo resta, le alleanze devono essere di centrosinistra».

Le diverse posizioni sulla manifestazione del 20 ottobre sembrano mettere già a dura prova il percorso della Cosa Rossa. Si tratta di una strada ancora percorribile?

«La Cosa Rossa non esiste, è un’invenzione dei giornalisti. E i Verdi, che comunisti non sono mai stati, non partecipano alla Cosa rossa, ma a un’Alleanza arcobaleno. Siamo per una grande alleanza, che riunisca un’area del 15-20%. Se no, noi facciamo i Verdi».

Pubblicato il: 01.09.07
Modificato il: 01.09.07 alle ore 8.37   
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« Risposta #23 inserito:: Settembre 08, 2007, 09:09:40 pm »

"Cosa Rossa", accordo della Sinistra dell'Unione


Unità della sinistra per contrastare il Partito Democratico. In poco più di due ore i segretari della sinistra dell’Unione hanno riposizionato la bussola su un obiettivo comune: la nascita di un nuovo soggetto unitario, una priorità che corre parallelamente al lavoro da impostare tutti insieme sulla Finanziaria.

Certo, alcuni nodi da sciogliere restano ancora sul tavolo: la manifestazione del 20 ottobre contro il protocollo sul welfare, che non convince del tutto Fabio Mussi ed Alfonso Pecoraro Scanio, e poi i distinguo sulla riforma della legge elettorale. Il tema, accennato solo marginalmente, sarà affrontato in un'apposita riunione forse già la prossima settimana. La riunione di venerdì, la prima dopo la pausa estiva, è servita però a serrare le file dopo i contrasti degli ultimi giorni sulla manifestazione del 20 ottobre, divisioni che avevano rischiato di mettere in serio pericolo il futuro dell'unità a sinistra.

Il punto sui cui Franco Giordano, Oliviero Diliberto, Fabio Mussi e Alfonso Pecoraro Scanio hanno rinsaldato l'intesa è il rischio che il governo diventi un monocolore del Partito democratico. Un pericolo reso ancora più reale da una sinistra divisa che non riesce a incidere sull'azione di governo. Il problema posto all'attenzione dei presenti da Fabio Mussi, che ha tenuto la relazione introduttiva, ha subito trovato il consenso di tutti. Per contrastare il Pd, il ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio avrebbe proposto di dare vita nel più breve tempo possibile ad un gruppo di lavoro che si occupi delle forme attraverso cui poter organizzare un soggetto unitario.

Convinto che si debba al più presto avviare la fase unitaria è anche il segretario del Pdci Oliviero Diliberto. Un soggetto unico della sinistra, avrebbe spiegato il segretario dei Comunisti Italiani, serve per contrastare la politica messa in campo dal Pd, bisogna accelerare visto che fino ad ora, è l'opinione di Diliberto, la “Cosa Rossa” ha dato una brutta dimostrazione. Il banco di prova per tastare concretamente l'unita della sinistra sarà la costruzione della legge finanziaria. Di fronte ad un'assenza di «collegialità nelle decisioni» all'interno del governo, i vertici di Prc, Verdi, Sd e Pdci hanno deciso di affidare ai capigruppo la stesura di un documento in cui saranno contenute le proposte della sinistra per la manovra economica.

«Non siamo l'intendenza che segue il Partito democratico», avverte il capogruppo del Prc al Senato Giovanni Russo Spena, mentre il leader di Rifondazione Franco Giordano è ancora più chiaro: dobbiamo evitare che «il Pd detti legge in campo economico e sociale». Oliviero Diliberto ribadisce che «nessuno vuole aprire un braccio di ferro con il governo», ma quest'ultimo «deve tener conto delle istanze della sinistra». Quello che deve essere chiaro agli alleati insomma è che «l'esecutivo non finisce con il Pd».

Il calendario dei prossimi giorni dunque è già segnato: la stesura del documento, che già sabato sarà presentato al vertice dell'Unione nelle sue linee generali, e poi la presentazione del testo in un'assemblea pubblica a cui prenderanno parte tutti i parlamentari dei 4 partiti. Se la “battaglia” sulla finanziaria è il collante per l'unità della sinistra, restano le riserve di Sd e Verdi sull'appuntamento del 20 ottobre. Prc e Pdci ribadiscono che la manifestazione si farà, Pecoraro Scanio e Fabio Mussi non chiudono la porta ma chiedono chiarimenti sul programma alla base della manifestazione.

Pubblicato il: 08.09.07
Modificato il: 08.09.07 alle ore 17.04   
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« Risposta #24 inserito:: Settembre 08, 2007, 09:11:27 pm »

Marina Sereni:«La svolta deve essere confermata nei fatti»

Federica Fantozzi


Belle armonia e collegialità, ma domani non sia un altro giorno. Marina Sereni, vicecapogruppo dell´Ulivo alla Camera, apprezza l´«atteggiamento unitario» ma avverte: «Questa svolta non sia subito sconfessata. La competizione a sinistra non può varcare il confine che mette in pericolo la vita del governo».

Un vertice da cui tutti sono usciti contenti. Quanto durerà l´happy end?
«Ognuno è entrato con le sue priorità forti ed è uscito con un atteggiamento unitario e collegiale. Speriamo che questa svolta non venga smentita dalle dichiarazioni del giorno dopo. Dobbiamo immedesimarci nello stato d´animo del Paese. Stiamo ottenendo risultati su welfare e lavoro, ma la tensione perenne tra le forze della coalizione li offusca».

Quale è stata la causa del miracolo della collegialità ritrovata?
«C´è una data precisa: a fine settembre bisogna varare la Finanziaria. Nel dibattito estivo sono state contrapposte espressioni che non lo sono come riduzione della pressione fiscale e tagli alla spesa pubblica, o equità per le fasce più deboli e attenzione allo sviluppo. Sembrava che ogni componente della maggioranza avesse priorità tali da escludere le altre. Spero ci si sia resi conto che non è così».

Non sembra semplice conciliare rigore e manovra leggera.
«Padoa Schioppa pone una questione gigantesca: la spesa pubblica è mal distribuita e va riorganizzata. È un processo complesso, sarebbe irrealistico pensare di poterlo costruire con una Finanziaria. Bene il Libro Verde del ministro, ma la sfida proseguirà».

Amato vuole risorse per il pacchetto sicurezza. Mastella avverte che senza soldi non si cantano le messe. Fioroni deve pagare i docenti. E si potrebbe continuare.
«Le priorità non sono dei singoli ministri. La sicurezza è un´esigenza di tutti. E non servono solo risorse ma anche riforme legislative e riorganizzazioni: ha ragione Padoa Schioppa».

La coperta per qualcuno sarà comunque troppo corta.
«Sui temi caldi bisogna fare delle scelte. Lo sviluppo è l´albero da cui fare discendere i rami: infrastrutture, scuola, ricerca, reddito delle famiglie. E se si agisce sulla sicurezza servono certezza della pena e rapidità dei processi».

D´Alema ha detto che ci sono troppi dipendenti pubblici ma non si possono cancellare. Che fare?
«Una spesa grande non è sempre efficiente. Sulla P.A. abbiamo firmato un memorandum: il governo ha trovato le risorse, ora il sindacato rispetti il patto».

Non è che i buoni propositi di armonia si infrangeranno il 20 ottobre?
«La responsabilità di tutti sta nel cercare equilibrio e coesione anziché scontro distruttivo. Non può prevalere la competizione a sinistra. Il Pd è competitivo perché imbraccia la bandiera dell´innovazione, da sicurezza a welfare, ma non si può mai varcare il confine che mette in pericolo il governo».

Mutatis mutandis, è il ragionamento che vale per le primarie?
«Esatto. È utile il confronto tra le differenze finché non diventano insormontabili».

Pubblicato il: 08.09.07
Modificato il: 08.09.07 alle ore 12.40   
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« Risposta #25 inserito:: Settembre 14, 2007, 11:54:19 pm »

Sd al bivio: "Cosa rossa" o "Costituente socialista"?

Mussi: una sinistra unita e plurale



«Tra Rifondazione e il nascente Pd c’è spazio per una Costituente socialista». Valdo Spini, vicecapogruppo alla Camera di Sinistra democratica, manda un messaggio al compagno di schieramento e leader della corrente fuoriuscita dai Ds. L’auspicio è che si abbandoni il «difficile processo unitario» che la Sd sta faticosamente percorrendo insieme a Rifondazione, Comunisti italiani e Verdi per una “Cosa Rossa” della sinistra. Hanno sottoscritto l’appello, tra gli altri, anche Gavino Angius, Enrico Boselli e Franco Grillini. E altri si starebbero preparando a farlo. È il presidente onorario dell'Arcigay a ribadire che «ci sono altri indecisi dentro Sd. Sarà decisivo il consiglio di domani (sabato 15 settembre) e penso che da sabato avranno tutti le idee molto più chiare». Quanti siano i transfughi non si sa. O nessuno si vuole sbilanciare. Il presidente della Rnp Roberto Villetti, uno dei sospetti, non ha voluto fare numeri.

La proposta comunque sarà presentata ufficialmente al Comitato promotore Nazionale di Sinistra Democratica convocato per sabato 15 settembre. «Nonostante gli sforzi generosi di Sinistra Democratica, appare chiaro - si legge nel comunicato di Spini - che le condizioni delle forze politiche di quella che si chiamava un tempo sinistra alternativa, hanno bisogno di momenti non facili né semplici di chiarificazione, così come dimostra la tormentata vicenda della manifestazione del 20 ottobre».

Per questo, lasciate da parte le velleità di una grande area di sinistra, gli esponenti di Sd devono «prendere il coraggio a quattro mani» scrive Spini, e aprire «un cantiere della costruzione del Socialismo europeo in Italia» che non sia solo «ricomposizione dei residui della diaspora socialista Italiana, proponendolo come campo di lotta e di mobilitazione politica». Si vedono dei margini di manovra: «Sd peraltro deve capire che c'è un spazio potenziale importante tra Pd e Rifondazione che non si presta ad essere coperto dalla “Cosa Rossa”, ma che chiede una rappresentanza per le sue esigenze di coerenza riformatrice, di laicità, di pluralismo». Sostegno al cantiere socialista arriva anche da Lanfranco Turci, vicecapogruppo della Rosa nel pugno alla Camera, convinto che «non si tratta di una operazione nostalgica». E chiede a Mussi di «decidere se restare in una “Cosa rossa” che si va radicalizzando sulle posizioni della Fiom o essere coerente con l'opzione socialista dichiarata all'ultimo congresso dei Ds».

Salvi: Spini non si preoccupi
«Le preoccupazioni del compagno Spini sul carattere riduttivo che avrebbe la cosiddetta “Cosa rossa” sono condivisibili, ma abbiamo già reso chiaro che non è questo il nostro progetto politico». La risposta, decisa ma interlocutoria, arriva da Cesare Salvi, capogruppo di Sd al Senato. «Ritengo al tempo stesso altrettanto riduttiva la proposta della Costituente socialista, perché elude pregiudizialmente il tema della costituzione di un grande partito che sappia far vivere al suo interno, in modo plurale, le diverse culture, tradizionali e nuove, della sinistra italiana. La nostra collocazione nel socialismo è una scelta serie e definitiva: proprio partendo da qui la nostra funzione deve essere quella di sostenere la più ampia unità della sinistra» ha concluso Salvi.

Mussi: La “cosa rossa” cammina
La risposta di Fabio Mussi alla sollecitazione di Spini non è arrivata. Ma sul futuro del soggetto politico unitario della sinistra si era espresso con un giorno di anticipo. A chi gli chiedeva a che punto fosse la “Cosa rossa” il ministro dell’Università, ospite a Torino alla Festa di Rifondazione giovedì sera, aveva assicurato che «cammina», annunciando «un documento con il quale condurremo insieme la battaglia per la legge finanziaria». Quando al dna del nuovo soggetto politico, Mussi ha dato le coordinate: «Sarà una sinistra unita, plurale e federata. È un passo che si può fare».

Pubblicato il: 14.09.07
Modificato il: 14.09.07 alle ore 20.07   
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« Risposta #26 inserito:: Settembre 15, 2007, 10:54:32 pm »

La Sinistra democratica sceglie l'unità della sinistra "plurale"

Ma non sarà in piazza il 20 ottobre

Pasquale Colizzi


Il progetto di unità a sinistra prosegue.

Con qualche piccola fibrillazione l'assemblea del Comitato nazionale della Sinistra democratica ha approvato a larghissima maggioranza la linea proposta dal coordinatore Fabio Mussi. Su circa 250 componenti, ci sono stati solo 5 voti contrari e 5 astenuti. Si sono tenuti fuori Valdo Spini e alcuni esponenti che venerdì avevano lanciato un appello per traghettare la Sd verso una Costituente socialista. Il documento proposto dal ministro dell’Università invece conferma la validità del programma di convergenza di Sd con Prc, Pdci, Verdi per una forza «che abbia un peso alla sinistra del nascente Partito democratico e che risponda alle spinte che in questo senso arrivano da vasti settori della società e della cultura». Lo strumento però, come si legge nel documento, «non sta nella Costituente socialista nè nella “cosa rossa”», formula invisa a larga parte del movimento ambientalista ma più pragmaticamente in una «federazione», un «soggetto pesante» che possa aspirare a consensi «a due cifre». Perchè è vero che questo non è «un progetto con una scadenza» ma esiste pur sempre «una questione di tempi» e la nascita di un nuovo soggetto politico «implica realisticamente delle difficoltà». La piattaforma su cui lavorare secondo Mussi sono i quattro principi enunciati al seminario di Orvieto: pace, ambiente, lavoro e libertà.


La manifestazione del 20 ottobre: nè aderire, nè cannoni contro

A margine del suo intervento l’ex leader della Sinistra Ds ha avuto tempo di toccare molti punti dell’attualità politica. A cominciare dalla manifestazione del 20 ottobre. All’appello di Rifondazione, Liberazione e manifesto hanno risposto la Fiom e tessere della sinistra in ordine sparso. La Sd ha scelto la formula del «né aderire, né cannoni puntati». Spiega: «Non sono superate le nostre obiezioni, ma è un passaggio sul quale non c'è identità di vedute». Però riconosce la libertà di tutti di portare in piazza le proprie ragioni: «Non si può pensare – ha precisato a margine della riunione - che manifestare sia una specie di attentato a governare, è una sciocchezza». Anche perchè non si tratta «dell’alfa e l’omega della storia».


Lo strappo della Fiom

«La Cgil ha una lunga storia di dialettica interna anche se lo strappo della Fiom è preoccupante», rientra nel gioco della dialettica. Tuttavia «nessuno vuole una crisi del sindacato» soprattutto in periodi in cui «è ingiustamente attaccato per la presunta incapacità di rappresentare i lavoratori». Piuttosto, precisa il leader Sd «non vorremmo nemmeno vedere il “partito della Cgil” e il “partito della Fiom”», che non farebbero un buon servizio alla politica del paese.


Documento unitario sulla Finanziaria

Il banco di prova per l’unità a sinistra, secondo Mussi, non è la manifestazione del 20 ottobre ma ci sarà molto prima. Infatti si prepara una iniziativa unitaria - con Rc, Pdci e Verdi - in vista del varo della Finanziaria, che si voterà a partire dal 28 settembre. Mussi assicura che c’è già un documento firmato che sarà presentato al premier Prodi. I punti sui quali si tenta di intervenire sono la questione dei “lavori usuranti”, per i quali si chiede di superare la soluzione prevista dal ministro dell’Economia Padoa-Schioppa che vorrebbe un contingentamento a quota 5mila per questo tipo di pensioni. Si vorrebbe poi far passare il principio che nessuno può avere una pensione inferiore al 60% del suo stipendio: una misura che verrebbe incontro a tutti quelli, soprattutto giovani e precari, che attualmente e per molto tempo sono restati fuori dal sistema contributivo.

Sul fronte pensioni però bisogna dare una stretta: ci deve essere un «esito legislativo» entro il 31 dicembre. Dal 1 gennaio infatti scatterebbe la riforma Maroni. Quanto poi alla questione del lavoro, le misure di correzione alla Legge 30 non sono assolutamente adeguate, con l’abolizione di forme contrattuali “atipiche” già poco utilizzate e quindi ininfluenti per un cambiamento radicale della situazione attuale. Il fronte a sinistra proporrà un collegato «fuori dalla sessione di bilancio (e quindi dalla legge Finanziaria) in modo da avere più tempo per una discussione.


Valdo Spini: il progetto di Costituente socialista continua

«Fino al 14 ottobre Mussi doveva restare liquido», non forzare il processo di unione a sinistra e prendere qualsiasi decisione dopo la nascita della Costituente del Partito democratico. Ci sarebbe stato un tentativo di prendere tempo nell’appello di Valdo Spini per una Costituente socialista. L’appello è poi diventato un documento allegato al tavolo di presidenza non messo ai voti. Tra le venti adesioni alla sua proposta c’erano le firme del leader dello Sdi Enrico Boselli, di Gavino Angius (oggi assente), Siso Montalbano e i deputati Fabio Baratella e Franco Grillini, Lucio Villari e Paolo Bagnoli, esponenti politici come Alberto Nigra e Franco Benaglia. A questo punto Spini conferma l’intenzione di andare avanti, lavorando con i colleghi europei per una Costituente del socialismo europeo. Dal leader Sd comunque c’è una mano tesa ai socialisti: «Ho chiesto allo Sdi di vederci. Hanno declinato l’invito, per ora». Però resta l’apertura ad un loro apporto nel campo della «laicità» su temi come la legge 194, i Dico ormai affossati, il ruolo invasivo della chiesa su scienza ed eutaniasia. «C'è da raccogliere milioni di firme». E cita un articolo di Ugo Intini appena uscito su Liberazione, che sostiene: «Basta divisioni tra sinistra radicale e socialisti: ci sono più cose che ci uniscono che differenze».


Pubblicato il: 15.09.07
Modificato il: 15.09.07 alle ore 19.05   
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« Risposta #27 inserito:: Settembre 27, 2007, 10:04:40 am »

Il retroscena Rifondazione guida la rivolta «Siamo stanchi di berci tutto»

Giordano: «Stavolta andremo fino in fondo».

Mussi: «Pronti a strappare».

In Transatlantico si «gioca» a chi farà la crisi: Di Pietro e Dini «i pericolosi»
 

Ministri che vanno, ministri che vengono nel Transatlantico. La Finanziaria non piace a nessuno e il governo sembra quasi non essere affar loro. «Io questa Finanziaria non la voto e se Prodi non cambia idea, strappiamo»: Fabio Mussi, titolare dell'Università, trattiene a stento la rabbia parlando con i compagni della «Cosa rossa».

Mussi è pronto a rompere, i ministri della Cosa rossa potrebbero non votare la finanziaria se non cambia radicalmente, i malumori, però, non riguardano solo l'ala sinistra. «Qui sopravviviamo, ma per quanto? Forse Tommaso Padoa-Schioppa più che dei conti dovrebbe preoccuparsi dei voti che ci resteranno dopo questa finanziaria»: Beppe Fioroni, ministro della Scuola, reduce da una visita a palazzo Chigi, si sfoga con i colleghi della Margherita davanti all'aula di Montecitorio. Ma è soprattutto la «Cosa rossa» che è partita all'attacco. Ancora alla Camera, questa volta tra i parlamentari di Rifondazione, nel cortile di Montecitorio.

Il leader Franco Giordano si sfoga con i compagni di partito: «Noi abbiamo fatto delle aperture anche sull'Ici. Sull'Afghanistan ci siamo comportati correttamente. E Prodi per tutta risposta incontra Lamberto Dini e subito dopo ci viene a dire che le rendite finanziarie non possono essere tassate. Bene, allora noi gli rispondiamo che questo non lo possiamo accettare. Loro pensano che noi non possiamo fare cadere il governo e che quindi dobbiamo berci tutto?
Non è così. Non siamo più disposti a subire, sbagliano se lo credono: non è che per paura di una crisi di governo o del voto noi non andiamo fino in fondo questa volta».

L'atmosfera è surriscaldata dalle parti di Rifondazione comunista. L'onorevole Ramon Mantovani è scatenato: «Perché non ci prendiamo il merito di mandare a casa questo esecutivo? Io, del resto, non avrei votato neanche la finanziaria dello scorso anno». Ce l'ha con tutti, Mantovani, anche con Ferrero: «Ho visto che vuole far scrivere sul vino: fa male alla salute. Io farei tatuare sulla sua fronte: il governo fa male alla salute». E il leader del Pdci Diliberto non è meno duro: «Io questa finanziaria non me la posso intestare e non voglio ascoltare una mediocre lezione universitaria sulla finanziaria da Padoa Schioppa».

Si torna in Transatlantico. Continua il via vai dei ministri. Ma ministri per quanto? Il guardasigilli Clemente Mastella è grigio in volto, cambia colore (e diventa rosso) solo quando gli si parla del volo sull'aereo di Stato. E le sorti del governo? «Non mi interessano. Mi sono indifferenti ». Paolo Ferrero, ministro della Solidarietà sociale, uno dei pezzi grossi di Rifondazione comunista, cammina lesto per i corridoi della Camera e spiega a chiunque incontri: «Il no di Prodi alla tassazione delle rendite finanziarie non è accettabile».

Ancora Fioroni, con un sorriso forzato, cerca di stemperare la tensione...come può: «Sulla finanziaria non si cade. Poi il governo si troverà di fronte a un bivio. Ma una cosa mi sembra del tutto evidente: se Prodi cade si va al voto perché un governo tecnico o istituzionale Berlusconi non lo sosterrà e lì decide lui, perché tutti gli altri suoi alleati sono dei quaquaraqua». Sempre in Transatlantico. Tra i leader politici ci si chiede: chi staccherà la spina? La sinistra radicale rompe per ricucire, dicono quasi tutti. «Se fossi in Prodi mi preoccuperei di Di Pietro e Dini» ragiona Mastella. «No, Di Pietro non ce lo vedo, ma effettivamente Dini potrebbe essere il killer», riflette ad alta voce Giordano.

Dagli Usa Dini continua a dire ai suoi di tener duro. Di Pietro invece è a Roma. Ha incontrato Prodi. Un colloquio non del tutto rassicurante. Il ministro delle Infrastrutture ha spiegato al presidente del Consiglio che lui non giocherà di conserva con la Cdl, mercoledì prossimo, al Senato, ma in cambio le deleghe di Visco hanno da essere congelate. Ben più rassicurante per Prodi il colloquio che Di Pietro ha avuto con Fini: «Finché nel centrodestra c'è Berlusconi io non mi posso muovere».

A Palazzo Chigi, intanto, Prodi rimugina su difficoltà e pericoli. La lettura dell'intervista di Marco Follini al Corriere della Sera in cui l'ex leader dell'Udc lo invita a dimettersi dopo la finanziaria lo ha insospettito («bella riconoscenza! ». Perché Follini fa questa sortita proprio adesso? Ma le falle nella maggioranza sono tante e tapparle tutte è impresa improba. Amara la constatazione del premier, costretto a mediare, negare, concedere: «Ogni forza politica cerca visibilità e fa rivendicazioni, ognuno gioca per sé, possibile che non si rendano conto che la caduta di questo governo non equivale a una mia sconfitta ma a una sconfitta di tutto il centrosinistra!?».

Maria Teresa Meli
27 settembre 2007
 
da corriere.it
« Ultima modifica: Ottobre 02, 2007, 05:34:59 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #28 inserito:: Ottobre 02, 2007, 05:35:30 pm »

2/10/2007
 
La sinistra radicale nella morsa
 
FEDERICO GEREMICCA

 
Adesso che le posizioni sono tutte note e gli attori in campo hanno definito e annunciato tattiche e strategie per la guerra in tre tempi attorno al cosiddetto protocollo del Welfare (assemblee nelle fabbriche, referendum e manifestazione della «cosa rossa» il 20 a Roma), è probabile che Fiom e sinistra radicale si stiano chiedendo come è stato possibile ficcarsi in un tale cul de sac. Infatti, in ragione della ferma posizione in difesa degli accordi di luglio assunta da Prodi («Il protocollo è immodificabile») e da decisivi settori della maggioranza (che minacciano la crisi se l’intesa sancita a suo tempo andasse per aria) davvero non si capisce quale dei possibili epiloghi sia più imbarazzante per i leader della sinistra radicale. Il dato emerso con disarmante nettezza è oggi del tutto chiaro: la sorte del protocollo sul Welfare e quella del governo Prodi sono ormai indissolubilmente legate.

Perché ciò sia avvenuto - a parte la rilevanza dell’intesa che sancisce, come è noto, anche il superamento del cosiddetto «scalone» in materia di pensioni - è presto detto: gli accordi di luglio sono diventati una sorta di cartina al tornasole dell’interminabile sfida tra la parte riformista e quella radicale della maggioranza di governo, oltre che il terreno di esercitazione per gruppi e «microrganismi» (dall’Udeur all’Italia dei valori, fino ai liberaldemocratici di Lamberto Dini) insofferenti verso gli attuali equilibri della coalizione e forse verso la coalizione tout-court. È questo irrigidimento delle posizioni che rende assai improbabili modifiche sostanziali al protocollo sul Welfare. Ed è appunto tale dinamica ad avere spinto la sinistra radicale in un vicolo cieco: una strada quasi senza uscita anche nel caso - dai più considerato assai improbabile - di vittoria dei «no» nel referendum operaio voluto dalla Fiom.

È quasi una morsa, infatti, quella nella quale si è lentamente ritrovata stretta la sinistra radicale. Da una parte, l’ipotesi di una sconfitta nelle fabbriche, che toglierebbe qualunque senso alla sua azione in sede di governo e Parlamento (e forse perfino alla manifestazione già indetta per il 20 ottobre) per una modifica dell’intesa di luglio; dall’altra, la quasi certezza che anche una improbabile vittoria dei «no» al protocollo non sortirebbe o quasi effetti sul piano della modifica degli accordi sottoscritti tra governo e parti sociali l’estate scorsa: salvo, naturalmente, precipitare l’esecutivo verso una crisi il cui sbocco più probabile appaiono oggi le elezioni e il conseguente (stando ai sondaggi) ritorno del centrodestra al governo.

È in fondo anche per questo che toni e argomenti dei leader della Fiom e della sinistra radicale stanno lentamente cambiando col passar delle ore: per i primi, quel che ora è soprattutto importante «è che i lavoratori vadano a votare, perché la cosa peggiore sarebbe una scarsa partecipazione» (Gianni Rinaldini); i secondi, invece, mettono l’accento sul valore di una «prova di democrazia» e sul fatto che «lavoratori che chiedono un diritto sono i migliori alleati di un governo progressista». Del resto, se su uno dei due piatti della bilancia c’è la concretissima ipotesi di una crisi di governo e di una possibile sconfitta elettorale, la prudenza crescente è comprensibile. Già una volta Rifondazione mandò a gambe all’aria Romano Prodi (1998): ne seguirono una lunga agonia politica e poi cinque anni di governo Berlusconi. Ripercorrere oggi l’identica strada sarebbe incomprensibile: forse e prima di tutto proprio per gli elettori della costruenda «cosa rossa».

 
da lastampa.it
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« Risposta #29 inserito:: Ottobre 04, 2007, 04:10:34 pm »

Bologna, Prc e Verdi abbandonano Cofferati

Adriana Comaschi


Servono al Prc per mettere fine a quello che il segretario bolognese Tiziano Loreti chiama «un matrimonio che Cofferati non voleva più». È l'epitaffio dell'Unione a Bologna: il Prc esce dalla maggioranza (dalla giunta era uscito da tempo), Verdi e occhettiani sono sulla stessa linea. E il Pdci non esclude, visto il nuovo quadro, di ritirare dalla giunta il suo assessore.

Il sindaco non si scompone, anzi ribalta l'accusa: «Erano già fuori di fatto, sono arrivati ponendo pregiudiziali del tutto incomprensibili, "se parli o scrivi una lettera ad An per noi equivale a una rottura con la sinistra". Prenderò atto delle loro decisioni». E «andrò avanti», spiega Cofferati: con Ds, Dl, un consigliere Ecodem e quelli che tra le altre forze di sinistra volessero continuare il confronto.

Come i due consiglieri Sd, Gian Guido e Milena Naldi, che hanno scelto di accettare la proposta del sindaco. Perché Cofferati al vertice si presenta con un rilancio. Certo, sul dialogo con An nessuna marcia indietro. Il sindaco ribadisce le sue ragioni: il tema della sicurezza è «di interesse generale», dunque su quello raccoglierà «anche valutazioni e consensi delle forze politiche di opposizione». Prima però (e dunque prima di dare una risposta ad An sulle proposte avanzate dai finiani) di sicurezza discuterà con la maggioranza.

Cofferati si dice anche disponibile ad approfondire il documento portato dai "ribelli", magari per arrivare «a un eventuale testo integrativo del programma di mandato». Uno spiraglio per Gian Guido Naldi, secondo cui ieri sono rimasti da sciogliere «nodi politici fondamentali».

Cofferati lancia un messaggio distensivo anche ai collettivi, che sabato sono pronti a manifestare a Bologna proprio contro le politiche della giunta. Come Crash, che sgomberato ad agosto è alla ricerca di un nuovo spazio e accusa il sindaco di saper solo reprimere, ignorando le esigenze dei giovani. Cofferati sceglie la linea soft contro gli occupanti di case, vicini al Prc, che pure ha bacchettato più di una volta: «Se vogliono incontrarmi e parlare dei loro obiettivi e delle loro rivendicazioni, io sono disponibile».

Un'apertura che può pesare anche nel confronto interno alla maggioranza: la Margherita in Comune aveva invitato «tutti» a «non alzare ancora i toni del dibattito» proprio in vista del corteo di sabato.

E dopo l'attacco di Cofferati al questore per la sua gestione della manifestazione dei centri sociali di sabato scorso, la vicesindaco Dl Scaramuzzino e due assessori Ds (tra cui Libero Mancuso) chiedono che «il confronto tra le istituzioni possa riprendere speditamente».

Intanto Rifondazione consuma il suo addio. «Cofferati ha delegittimato la maggioranza - accusa il capogruppo Roberto Sconciaforni - . Noi avevamo chiesto un segnale preciso: che chiarisse i termini del rapporto con An di cui nessuno della maggioranza ha la minima idea». Da Roma il presidente dei senatori Prc Giovanni Russo Spena plaude: «C'è poco da dire, Cofferati ha portato avanti provvedimenti securitari, anche d'intesa con An: è evidente che non può avere il consenso di Rifondazione. La responsabilità è sua. Ha espresso una linea inaccettabile per noi e per ogni democratico».

Il capogruppo finiano Enzo Raisi invita Cofferati a dare tempi certi alla sua risposta ad An. Ma allo stesso tempo si dice pronto a «sfiduciare» il sindaco in Consiglio, se i numeri lo consentissero.


Pubblicato il: 04.10.07
Modificato il: 04.10.07 alle ore 9.18   
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