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Autore Discussione: Claudio FAVA.  (Letto 11442 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Giugno 19, 2010, 06:22:31 pm »

Operai Fiat, il popolo Viola dov’è?

di Claudio Fava

L’indignazione, dalle nostre parti, è un mestiere dai tratti aristocratici. Ci si indigna per le libertà violate, per i bavagli all’informazione, per i puntigli e i principi: le piazze si riempiono di camicie viola e megafoni, i giornali dedicano dozzine di pagine a raccogliere i sentimenti di un intero popolo, si consultano opinionisti, padri della patria, oracoli, ci si incatena davanti ai cancelli della Rai o al portone perennemente chiuso di Palazzo Chigi. Nulla di tutto questo è accaduto ai margini della vicenda di Pomigliano. Ovvero di fronte all’offensiva padronale della Fiat contro i diritti degli operai, diritti indisponibili perché affermati e tutelati dalla Costituzione, come il diritto riconosciuto a qualsiasi lavoratore di poter scioperare per difendere le proprie ragioni.

Quel diritto, nella proposta di contratto di Marchionne, si trasforma in un viatico al giusto licenziamento come non accadeva nemmeno nella Fiat di Valletta. Marchionne e questo governo chiedono che, in cambio di investimenti sullo stabilimento di Pomigliano, i lavoratori della Fiat rinuncino al contratto collettivo, alla mensa, a turni di lavoro meno massacranti. Dice la Fiat: se volete che la fabbrica non venga smontata e portata in Polonia, queste sono le condizioni di lavoro e di contratto, prendere o lasciare. Qualcuno ha preso, qualcun altro ha lasciato ritenendo (è la posizione della Fiom) che, se passa a Pomigliano, questo modello contrattuale fondato sulla rinunzia ai propri diritti diventerà il modello obbligato su cui impresa e lavoratori regoleranno i loro rapporti e i loro conti ovunque in futuro.

Perché il popolo viola tace? Perché su questa battaglia di principi e di diritti non si sono ascoltate le voci alte e indignate che abbiamo registrato sul bavaglio ai giornalisti? Perché i direttori dei grandi quotidiani italiani hanno derubricato questa faccenda a una contesa interna alla Cgil e non a uno scontro di civiltà tra un mercato che non vuole lacci e lacciuoli e la civiltà del lavoro che è anzitutto luogo di dignità? Non lo dico per furia ideologica ma perché penso al paese materiale. Dove la materialità sono anche i 750 euro di cassa integrazione che percepiscono gli operai di Pomigliano, i diciotto turni di lavoro pretesi dalla Fiat, la rinunzia alla refezione, la promessa di tornare a una valutazione dei rendimenti in fabbrica scandita dai cronometri e dalla minaccia di licenziamento nella più ottusa tradizione taylorista.

Marchionne dice che l’abrogazione de facto del contratto nazionale di lavoro e la violazione delle garanzie costituzionali sarà un’eccezione, un pedaggio richiesto se si vuole evitare la chiusura dello stabilimento. Ma cosa impedirà in futuro alla Fiat, a questo governo o alla confindustria di invocare lo stesso principio d’eccezionalità per altre fabbriche, per altri contratti di lavoro da violare? Cosa impedirà che la messa in vendita del diritto di sciopero diventi prassi pretesa e imposta in tutto il paese? Cosa impedirà che Pomigliano D’Arco rappresenti il principio di una fine? La fine dello stato di diritto, del sindacato, dello statuto dei lavoratori, della responsabilità sociale delle imprese prevista dalla Costituzione.

E soprattutto: chi lo impedirà? I senatori dell’opposizione democratica che, in un paese in cui l’informazione pubblica è asservita ai capricci di Berlusconi, si sono lamentati per il troppo spazio concesso dai Tg alla Fiom? Lo impedirà Veltroni che parla di «accordo inevitabile», di una «condizione obiettiva» in nome di una non meglio precisata «sfida di innovazione?». Adesso si chiama innovazione togliere la mensa agli operai? Ma se per chiedere un investimento all’azienda più beneficiata nella storia italiana da contributi pubblici diretti e indiretti bisogna derogare al contratto, ai diritti e ai principi costituzionali, che senso ha tenere in vita i sindacati? Trasformiamo la Cgil in una bocciofila e lo Statuto dei lavoratori in una preghierina da catechismo e non se ne parli più. Dice Veltroni, e dice il vero: 1.600 permessi per fare i rappresentanti di lista tra gli operai di Pomigliano alle ultime elezioni politiche. Omette di aggiungere che 1.200 richieste portavano la firma del suo partito, il Pd.

Eppure su tutto questo tacciono quasi tutti. Finché si tratta di mandare al rogo Berlusconi, todos caballeros: ma se c’è da spendere un pensiero preoccupato sulla Fiat, sui poteri forti del capitalismo italiano, il più decotto e assistito d’Europa, le parole si fanno caute, non una sciarpetta viola ad agitare le piazze, non un megafono a spiegare davanti al portone sprangato di palazzo Chigi che questione sociale e questione democratica sono entrambe sofferenze di un paese molto malato.

19 giugno 2010
http://www.unita.it/news/commenti/100184/operai_fiat_il_popolo_viola_dov
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« Risposta #16 inserito:: Maggio 21, 2011, 04:20:23 pm »

Grillo, un Gattopardo a 5 stelle

Attacca tutti per non cambiare nulla

di Claudio Fava


Ci sono solo due politici in Italia, con un passato di brillanti intrattenitori (l’uno di piazze, l’altro di croceristi) che pensano di dover esercitare il mestiere della politica in perfetta, onnipotente solitudine, senza mai incrociare le parole e la faccia con un avversario: sono Silvio Berlusconi e Beppe Grillo. Dei quali non si ricorda, negli ultimi dieci anni, un solo pubblico confronto (tv, teatro, strada) con qualcuno che non la pensi come loro.

Ci sono stati solo due politici capaci di dire, senza tema di apparire ridicoli, «io non sono né di destra né di sinistra: io sono oltre». Uno era Charles De Gaulle (e forse qualche titolo lo aveva), l’altro è Beppe Grillo: sul suo blog, due giorni fa. E siccome le parole sono cosa seria, sempre sul blog, dopo averci comunicato che il suo movimento ha preso un consigliere a Bovolone e un seggio a Sala Baganza col 9,58%, Grillo spiega che lui ai ballottaggi non si schiera, tanto Moratti o Pisapia «sono la stessa cosa».

Per Grillo, laggiù a Napoli, anche De Magistris e Lettieri sono la stessa cosa: stesso fiato pesante, stesso programma, stessa metaforica munnizza: perché dunque sporcarsi le mani appoggiando il candidato del centrosinistra? «Di errori ne ho commessi molti e purtroppo ne commetterò altri», scriveva settimane fa Beppe Grillo, «uno dei più imbarazzanti è stato Luigi de Magistris».

Eppure me lo ricordo, Grillo, quando sbarcò a Bruxelles con De Magistris e Marco Travaglio, per regalarci una tirata contro l’Europarlamento con toni e argomenti da casalinga di Marsiglia (l’elettorato forte di Le Pen): basta con i fondi di Agenda 2000 che tanto vanno tutti alla mafia, basta con questo parlamento cimitero di elefanti, basta con questo chiacchiericcio inconcludente.
È un peccato. Non che Grillo non dia indicazioni di voto che tanto gli italiani sono stufi marci di chi li tratta come soldatini di piombo e ai ballottaggi spiega loro cosa dire, cosa fare, cosa pensare. È un peccato che Grillo si sia smarrito in questo delirio d’onnipotenza, unto anch’egli dal Signore, dalle piazze e da minime, presunte, scontate verità: tutti uguali i politici, tutti indegni, tutti vecchi.

Me lo sono sentito ripetere per trent’anni, in Sicilia, a ogni tornata elettorale quando in lista c’erano i notabili da centomila preferenze, quelli che piazzavano i famigli negli assessorati e facevano carte false per gli amici di Cosa Nostra, quelli che si mangiavano la politica e la vita degli altri senza nemmeno chiedere permesso, quelli che ti organizzavano cento varianti ai piani regolatori per i cento terreni degli amici che bisognava benedire. Quelli. E quando tu dicevi, avanti, proviamo a mandarli a casa, proviamo a riprenderci questa terra maledetta, proviamo a dire le cose che pensiamo, a trovarne uno onesto, a tenere la schiena dritta, proviamoci per una volta… ecco, ce n’erano tanti, come Grillo, che ti facevano una carezza in testa e ti spiegavano che tanto è tutta la stessa merda, la stessa pasta, lo stesso inciucio, destra e sinistra, Cuffaro e Borsellino, Pisapia e Moratti, De Magistris e Cosentino, e allora tanto vale turarsi il naso e stare dalla parte dei peggiori che almeno sono i più forti, sono furbi antichi e impuniti, e se promettono cose sfacciate poi le mantengono.

Io non lo so se Grillo pensi di essere davvero l’unico capace di buon senso. E non so nemmeno se le cose che dice su Pisapia le pensi davvero. Se fa parte dell’etica del suo movimento dare del “busone” a Vendola. Non lo so, non ancora, se questo signore c’è o ci fa. Ma ogni giorno che passa, ogni strepito suo che m’arriva, mi mette sempre più tristezza.

21 maggio 2011
DA - unita.it/italia/grillo
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