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Autore Discussione: Se non ora quando?, le DONNE scendono in piazza il 13 febbraio in 117 città  (Letto 2765 volte)
Admin
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« inserito:: Febbraio 08, 2011, 09:50:48 pm »

13 febbraio, Camusso: senza dignità c'è regressione


'Se non ora quando?', le donne scendono in piazza domenica 13 febbraio in 117 città.

Una mobilitazione che non vuole «giudicare altre donne o dividere le donne in buone e cattive» ma chiede un Paese «che rispetti le donne».


Tra le tante adesioni quelle di Susanna Camusso, Concita De Gregorio, Flavia Perina, Silvia Costa, Francesca Comenici, Titti di Salvo, Francesca Izzo che hanno presentato l'iniziativa nella sede di stampa estera, appellandosi a donne, ma anche uomini «amici delle donne», perché domenica si esca dalle case e si scenda in piazza. Comencini sottolinea la pluralità di donne che hanno aderito (il sito ha raggiunto in meno di una settimana oltre 51 mila firme) e precisa che «la mobilitazione non intende condannare nessuna donna: abbiamo invitato le organizzatrici di tutte le città a evitare slogan di questo tipo».

L'invito quindi è a tutte le donne «perchè escano dalle case e si facciano sentire». Il segretario della Cgil, sottolineando la «assoluta trasversalità» delle adesioni, invita a guardare al cuore del problema, la libertà e la dignità delle donne in un «Paese che vede le donne come oggetto di discussione quando va bene o come oggetto e basta. Con la negazione della dignità e dei diritti delle donne non c'è futuro, c'è una grande regressione».

Troppo spesso infatti ad esempio «quando si parla di prostituzione si parla delle donne e non dei clienti, questa è una modalità insopportabile. Si guarda il dito e non la luna». Flavia Perina, deputata Fli, individua il dato «politico», quello cioè della «rappresentanza femminile» e come si arriva ad incarichi istituzionali o nelle liste bloccate«.

A Roma la manifestazione è fissata per le 14 alla terrazza del Pincio, Piazza del Popolo, e sarà aperta dalla lettura di una 'orazione civile' scritta dalla poetessa Patrizia Cavalli.

8 febbraio 2011
da unita.it/italia
« Ultima modifica: Febbraio 10, 2011, 11:34:58 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Febbraio 10, 2011, 11:33:39 am »



Il grande errore è andare in piazza per conto di altri


Viva le manifestazioni che sono l'espressione collettiva di un pensiero e di un sentire, garantita costituzionalmente. E ben vengano. Sia chiaro però che non esiste pensiero collettivo: si pensa in prima persona o non si pensa. Le masse fatte di persone che non pensano in prima persona, sono cieche o manipolate. Sto citando la filosofa Simone Weil. E pensare non è reagire al detto di altri con un sì o con un no, ma situarsi con il proprio desiderio e interesse nei confronti di quello che accade.

Attenzione anche al fascino dei grandi numeri cui ci siamo abituati con la Rete. È abbastanza ovvio che i grandi numeri non rendono giusta una posizione. Ma rendiamoci conto di una cosa meno ovvia e cioè che firmare o manifestare in massa non può rimpiazzare che si faccia in prima persona tutto quello che si può fare nei contesti in cui ci troviamo a vivere.

Qui spunta un primo interrogativo sulla manifestazione del 13. Secondo me, c'è il pericolo che la manifestazione venga usata da quelli che a suo tempo non hanno fatto quello che avrebbero dovuto fare. Che cosa? Il lavoro proprio di una classe dirigente, che era d'intercettare e bloccare un uomo come Berlusconi che non era adatto agli uffici politici, neanche dal punto di vista strettamente legale. Siamo in una democrazia costituzionale e rappresentativa: la piazza non dovrebbe essere necessaria quando si tratta di scegliere e cambiare gli uomini al governo. Se la piazza è diventata necessaria, vuol dire che qualcuno o molti non hanno fatto quello che dovevano fare quando sarebbe stato efficace, ed è esattamente così che è andata.

A questo punto della faccenda si fa appello alle donne. Che senso ha? Come altre, io ci ho visto una strumentalizzazione dei loro sentimenti. Il sentire femminile, per me, è una cosa profonda e delicata che attiene alla vita del corpo sociale. Comunemente le donne, e io sono una di loro, detestano la prostituzione. Ed è su questo sentire che, dopo l'ultimo scandalo berlusconiano, si è fatto leva: gesto criticabile perché il nostro sentire immediato, in sé giusto, non può tradursi in atti politici senza le necessarie mediazioni. Queste sono mancate. Le critiche avanzate da alcune femministe in proposito sono state accolte, per fortuna. Andando avanti in questa direzione, deve diventare chiaro che lo scambio tra soldi e sesso, sesso e potere è una pratica diffusa tra gli uomini, compresi i politici sia di destra sia di sinistra. E che il capo del governo, da questo punto di vista, non è un'eccezione. Grazie a quella presa di coscienza accanto alle donne scenderanno in piazza anche uomini a manifestare la loro distanza da un sessismo che ancora imbeve di sé la cultura politica e non soltanto.

Ma questa è anche la ragione per cui bisogna insistere con le critiche. Che una decida di partecipare oppure di stare altrove e altrimenti, in ogni caso la discussione in corso tra donne significa non consegnarci ciecamente a operazioni politiche nelle mani di uomini i cui orizzonti non oltrepassano la bottega del politico vecchia maniera. La forza non vista ma reale del femminismo italiano sta trasformando il momento presente in un confronto che fa luce anche sulla sua ricchezza di pensiero. L'essere altrove e altrimenti, è una figura fondante del femminismo: marca la differenza femminile e opera una rottura nei confronti di cose già decise da altri. Ma non meno importante è anche il desiderio di esserci nel mondo e di contare con tutte le proprie qualità. Qui tocchiamo un altro punto delicato del dibattito presente, per me il più delicato. Ascoltando e leggendo, mi sono resa conto che partecipare alla manifestazione significa, per molte, sentire di esserci e di essere attive. Agli occhi di queste, molte delle quali giovani, una come me che critica e non aderisce di slancio, appare fredda e distaccata. Una simile impressione mi dispiace e mi fa torto. Ma resisto alla voglia di spiegare quanto, come e dove intensamente io ci sono anche in questa congiuntura, preferisco affrontare questo nodo del protagonismo femminile che sembra dividerci tra donne.

La rivolta femminile degli anni Settanta è nota per le sue manifestazioni pubbliche ma il suo aspetto non appariscente è stato e rimane molto più efficace. Questo aspetto riguarda l'esserci in prima persona con il proprio desiderio, non delegare niente di essenziale ad altri ma creare relazioni di fiducia e trasformare la propria esistenza in una libera impresa. Insomma, dare vita a un'economia di mercato non dominata dal profitto ma dalla forza dei desideri. Una manifestazione come quella di domenica prossima entra in questo gioco? Ci vai, per te. Non andarci contro qualcuno per conto di altri.

Luisa Muraro

10 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/cronache/11_febbraio_10
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Admin
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« Risposta #2 inserito:: Febbraio 10, 2011, 11:35:43 am »

Il sale sulla coda

Le donne italiane come la piazza egiziana

Le richieste sono le stesse: più democrazia, libertà, accesso alle professioni


Il giorno 13 febbraio le donne scenderanno in strada a protestare. In tutta Italia. Questa la notizia che sta correndo come una lepre per la Rete, con poca risonanza sui giornali. La Rete ormai si sta rivelando come lo strumento più rapido e libero di informazione. È la Rete che ha permesso l'incontro di migliaia di persone in piazza per protestare contro la prepotenza del governo egiziano, inamovibile, sordo ormai alle ragioni di chi soccombe, incapace di rinnovarsi, impermeabile a ogni richiesta di democrazia: libertà di parola, di pensiero, di movimento, meritocrazia, lavoro per i giovani, guerra alla corruzione dilagante.

Cosa chiedono oggi le donne italiane? Paradossalmente, in un Paese che si definisce libero, chiedono, proprio come i ragazzi tunisini ed egiziani, libertà di parola, di pensiero, maggiore democrazia, guerra alla corruzione, accesso alle professioni. In uno dei Paesi più sviluppati del mondo, nel disinteresse generale, stiamo assistendo a una crescente svalutazione del pensiero e della volontà femminile, a una spinta per il ritorno a casa, a una perdita costante di lavoro e di prestigio. Il nostro è il Paese d'Europa dove le donne lavorano meno fuori casa, e dove, nonostante alcuni casi eclatanti, la rappresentanza nelle istituzioni e nei luoghi del potere si riduce ogni anno.

Al posto della valorizzazione e della meritocrazia, si sta radicando nella mente dei più giovani una idea mercantile dei rapporti umani. Ai ragazzi si suggerisce di affinare le proprie capacità intellettive per andare poi a offrirsi nei mercati globalizzati. Alle ragazze si propone di vendere, subito e a buon prezzo - perché al contrario delle competenze, il corpo sessuato perde valore con il crescere e il maturare - la sola cosa che sulla piazza vale sempre di più: un corpo da consumare. Se non è questa una mostruosa, sottile e ossessiva induzione alla prostituzione femminile, cosa è?

Sia chiaro, ciò avveniva anche ai tempi di Tolstoj. Il quale, solo fra tanti uomini ligi, accusato di pazzia e perversione, ha avuto il coraggio di scrivere, in forma romanzesca e saggistica, che il matrimonio era un mercato delle vacche, in cui si mettevano in vendita corpi di ragazze al miglior offerente. Con il sacrificio generazionale di talenti e capacità straordinarie, con la mutilazione quotidiana di cervelli e cuori capaci. Di questi sacrifici non importava niente a nessuno. Ma allora era la famiglia che si adoperava per piegare le volontà giovanili, le aspirazioni alla libertà. Ora è la cultura di mercato, che passa soprattutto attraverso le seduzioni di plastica della televisione, di molto cinema e della moda.

Non è un caso che la mentalità del mercato vada a braccetto con l'idea poco democratica di un capo carismatico. Wilhelm Reich, nel suo studio sulla psicologia di massa, racconta molto bene l'intreccio di paure, illusioni, odi e frustrazioni da cui nasce ogni tentativo di imporre un regime di autorità. E le donne sono le prime a venire irreggimentate. Il loro storico bisogno di un capo - indotto e introiettato a furia di botte simboliche e reali - le rende docili prede. Su questo conta chi di quel mercato si fa padrone e manipolatore senza scrupoli.

Dacia Maraini

08 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/cronache/11_febbraio_08
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« Risposta #3 inserito:: Febbraio 10, 2011, 11:36:39 am »


Il confronto | le donne

La scelta di esserci delle cittadine dalla vita normale

Care donne intelligenti, care donne pensanti, care donne impegnate e/o palpitanti, care donne (e qualche caro uomo) dei distinguo, che manifestate, non manifestate, discutete del perché manifestare; avete parlato con le donne (e con qualche uomo) mai invitate a intervenire sui giornali, con quelle e con quelli che nelle piazze di domenica 13 saranno maggioranza? Voi ne concionate come se si trattasse di un esamino di condotta e quoziente intellettivo per le donne italiane. Come se fosse un convegno con autocoscienza. Come se fosse una riflessione psico-filosofica o socio-moral-politica, o un troppo sollecitato mea culpa. Mi dispiace, non ci sto. Per me quella manifestazione non è quello, e non ha neanche ha le parole e le scarpette delle donne eccellenti che la promuovono. Ha la faccia di Manuela, che fa il medico ospedaliero e arriverà con sua figlia dopo una notte di guardia; di Nadia, ricercatrice scesa dai tetti che diceva «io con quelle sciurette non ci vado» e poi ha deciso di esserci; di Antonella, che fa la mamma e l'impiegata e domenica, per una volta, non cucina. Non sono radical chic. Sono cittadine. O meglio, vogliono tornare a esserlo.

Cittadine, e abitanti di un Paese civile. Non femminucce strumentalizzate (di questo le accusano, come se fossero minus habens); persone che vogliono essere strumento di un cambiamento. O perlomeno testimoniare un disagio fortissimo. Ed essere parte di quella che è stata definita «rivolta della decenza». Decenza, non bacchettonismo. Anche se basta poco per essere definite bacchettone, in questa Italia che ha perso il senso del pazzesco; dove tutto, anche gli anziani governanti con le minorenni, può venire relativizzato. E forse è questo che disturba, di queste donne che si danno appuntamento domenica. Il non voler relativizzare, il non badare a polemiche e rivalità, l'andare in piazza per un motivo chiaro: chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi. L'appello delle promotrici della manifestazione è vago e a tratti stucchevole. Si conclude con un «è tempo di dimostrare amicizia verso le donne» francamente patetico, neanche un'associazione cinofila chiederebbe in questi termini solidarietà per gli amici a quattro zampe. Però chi va domenica non ci fa caso; va per protestare e recuperare l'onore perduto, in qualche modo.

Per onore, sì, non per moralismo. Alcune tra le più colte, sulla prostituzione femminile, apprezzano il pensiero di Luisa Muraro. Ma oggi come oggi trovano più attuali le considerazioni di José Mourinho. Le sue accuse (va bene, parlava d'altro, ma ha lasciato il segno) di «prostituzione intellettuale» fanno riflettere sulla società italiana più di tante tristi liti sulla disponibilità delle donne. E tante donne, ora, vorrebbero cominciare a sentirsi, anche loro, Special Ones, e non pezzi di ricambio. E loro, quelle normali, a parlarci paiono più consapevoli di tante polemiste (e polemisti). Dicono che per la prima volta nella nostra storia il mondo guarderà le donne italiane. Dicono che uno scatto d'orgoglio e una prova di forza sarebbero necessari per salvare la dignità di questo Paese; fuori dall'Italia e dentro di noi. Ieri un'amica - normale, non radical chic, appassionata di storia militare - citava un uomo eterosessuale, maschilista, bellicoso e sbevazzone, Winston Churchill. Scherzando parafrasava un suo celebre discorso del 1940: «Contemplando i pericoli con occhio disilluso, vedo grandi motivi per una vigilanza intensa e un'azione, ma nessuno per il panico e la disperazione.... Prepariamoci al nostro dovere, e comportiamoci in modo tale che, se la Repubblica italiana dovesse durare mille anni, le donne diranno "questa fu l'ora migliore"». Non sappiamo se domenica dopo pranzo sarà la «finest hour» delle italiane; ma sarà un'ora decente, nonostante tutto, probabilmente.

Maria Laura Rodotà

10 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
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