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Autore Discussione: GIULIA BONGIORNO  (Letto 4393 volte)
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« inserito:: Gennaio 22, 2011, 05:36:42 pm »

LA LETTERA

Noi donne calpestate, non possiamo tacere

di GIULIA BONGIORNO*

Caro direttore,
quando è in corso un'indagine che riguarda un personaggio pubblico, l'immancabile amplificazione mediatica che ne consegue è insidiosissima. Di solito, gli elementi divulgati sono soltanto quelli raccolti dai pubblici ministeri. Si finisce così per attribuire il crisma di verità a tesi parziali.

E l'idea che se ne fa l'opinione pubblica può risultarne alterata. Da avvocato, sento quindi l'obbligo di sottolineare che l'indagine sul premier Silvio Berlusconi non deve fare eccezione: prima di formulare giudizi in merito alla fondatezza delle accuse mossegli dalla Procura, bisogna senza dubbio attendere gli sviluppi processuali. Fatta questa doverosa premessa, voglio però subito precisare che non sono affatto d'accordo con quanti usano questo ragionamento come arma per stroncare ogni tipo di riflessione critica: in questi giorni ho infatti sentito invocare la presunzione di innocenza per mettere a tacere chi contestava non la consumazione di reati ma fatti storici oggettivamente emersi, fatti che nessun processo potrà mai cancellare.

In definitiva, se prima di condannare è necessario aspettare che si faccia chiarezza sulla sussistenza di certi reati, non si può ignorare che non tutto quanto è emerso in questi giorni è "in attesa di giudizio": il contesto oggettivo in cui sarebbero maturate le vicende processuali non ha improvvisamente squarciato un velo e mostrato un profilo imprevisto e del tutto inedito del premier.

Nelle aule di Milano
si discuterà se Silvio Berlusconi abbia o meno consumato i reati di prostituzione minorile e di concussione, ma non erano necessarie le vicende sottostanti a queste contestazioni  -  né una sentenza  -  per conoscere la sua opinione sulle donne. Un'opinione che, se non ha rilevanza penale, ha tuttavia un'enorme rilevanza politica. Un'opinione da lui stesso espressa in modo inequivocabile con battute, barzellette, colloqui pubblici e privati. Un'opinione già delineatasi attraverso le dichiarazioni di Veronica Lario, quelle più recenti di Barbara Berlusconi (due testimoni molto attendibili), le vicende di Noemi Letizia e Patrizia D'Addario, nonché attraverso la singolare questione di alcune donne prima forse inserite nelle liste delle candidature alle Europee del 2009 e poi da quelle liste sicuramente scomparse. Quello che Silvio Berlusconi sembra maggiormente apprezzare nel genere femminile è l'avvenenza, al punto da far passare in secondo piano requisiti di ben altro spessore (credo sia rimasta impressa nella memoria di tutti la rozzezza della battuta all'onorevole Rosy Bindi); ancora meglio, poi, se a un aspetto fisico di un certo tipo si accompagnano giovane età, accondiscendenza e disponibilità ad abdicare al proprio spirito critico.

Di fronte a tutto ciò, ho sentito obiettare che si tratterebbe di questioni attinenti alla vita privata del premier e che dunque  -  appunto per questo  -  dovrebbero riguardare soltanto lui e la sua coscienza.

No, non è così.

Non c'è spazio per sostenerlo: lo stile e la filosofia di vita di un uomo che riveste la carica di presidente del Consiglio non possono non ripercuotersi sulla vita pubblica. Lo dimostra il fatto che Berlusconi, con le sue parole e i suoi comportamenti, ha inferto una ferita a tutte le donne italiane: alle donne che studiano e lavorano (spesso percependo stipendi inadeguati o, come nel caso delle casalinghe, senza percepirli affatto), a tutte noi che facciamo fatica un giorno dopo l'altro; alle donne che per raggiungere ruoli di rilievo non soltanto a certe feste non ci sono andate, ma hanno semmai dovuto rinunciare a vedere gli amici; a quante, invece di cercare scorciatoie, hanno percorso con dignità la strada dell'impegno e del sacrificio. E a coloro alle quali è stato chiesto, più o meno esplicitamente, di scegliere tra vita privata e vita pubblica, perché conciliare un figlio con il successo sarebbe stato troppo difficile: con il risultato che hanno rinunciato alla maternità o che ci sono arrivate ben oltre il momento in cui avrebbero voluto.

A ciascuna di loro  -  nel momento in cui le donne vengono scelte e "premiate" in base non al merito ma a qualcos'altro che con la professionalità, l'impegno, l'intelligenza ha poco o nulla a che fare  -  è stata riversata addosso l'inutilità del suo sacrificio.

Brucia, questa ferita. Brucia anche perché non sfugge che sono davvero in tanti a sottolineare, forse persino con un pizzico d'invidia, la fortuna e il fascino di un uomo più che maturo circondato da giovanissime più o meno avvenenti che si contendono i suoi favori, pronte a tutto pur di compiacerlo. Anche se, in un paese maschilista come il nostro, la complicità tra uomini turba ma non sorprende.

Ma non si tratta esclusivamente di una ferita inferta alla dignità della donna, c'è di più; mai le battaglie del presidente del Consiglio hanno coinciso con le battaglie delle donne. Basterebbe a tal proposito ricordare che negli elenchi delle priorità di questo governo, che via via vengono snocciolate, figura di tutto   -  in primis, battaglie contro magistrati "comunisti"  -  , ma mai, mai, battaglie a favore delle donne. Come se le donne non avessero problemi concreti e indifferibili.

Come si può ipotizzare che le leggi per combattere pm "politicizzati" siano più urgenti di quelle che dovrebbero venire incontro alle necessità di tutte noi?

E allora non copriamo con l'alibi del segreto istruttorio, o con il fragile scudo della privacy, ciò che segreto non è, e nemmeno riservato.

Ma sono le donne che per prime devono farsi forti della loro dignità e della consapevolezza del loro valore  -  senza distinzione di età, credo politico, provenienza geografica  -  per esprimere a voce alta lo sdegno che questa mentalità suscita, ne sono sicura, nella stragrande maggioranza di noi.

Se credono, gli uomini continuino pure ad ammirare e a sostenere Silvio Berlusconi; le donne, per favore, no.

*L'autrice dell'articolo è presidente commissione Giustizia della Camera

(21 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2011/01/21/news/noi_donne_calpestate_non_possiamo_tacere-11473950/?ref=HREA-1
« Ultima modifica: Ottobre 16, 2011, 10:09:31 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Febbraio 13, 2011, 07:37:48 pm »

Migliaia di manifestanti a roma e milano.

Bongiorno: «hanno paura di voi»

Donne e uomini in piazza per la dignità «Siamo più di un milione nel mondo»

Gelmini: poche radical chic. Finocchiaro: venga a vedere.

Cori contro il premier: «Dimettiti». Corteo a Montecitorio

 
MILANO - Donne in piazza in tutta Italia (e non solo), la parola d'ordine è "se non ora, quando?". In 230 città della Penisola sono già iniziate le manifestazioni «per chiedere più rispetto per libertà e i diritti delle donne», senza bandiere di partiti e sindacati, ma con la precisa richiesta di dimissioni del premier Berlusconi.

ROMA - In piazza del Popolo a Roma è stato allestito un palco rosa con lo slogan "Tempo di esserci tutte e tutti, vogliamo un Paese che rispetti le donne". Dalla folla sotto al palco si è levato un urlo rivolto al presidente del Consiglio: "Dimettiti". Tanti i cartelli: "ex-cavaliere, qui!", "ci ruba soldi cultura e dignità". L'attrice Isabella Ragonese ha dato il via alla manifestazione romana: «Sono una bambina, non ho fatto il femminismo, sono una precaria, sono una madre, sono una commessa, un'impiegata e oggi mi dimetto da tutto. Oggi 13 febbraio scendo in piazza» ha detto tra gli applausi. Quindi è partito dal palco l'"urlo delle donne indignate", dopo un minuto e mezzo di silenzio: «Se non ora quando?», e la piazza ha risposto «Adesso!». Poi la "conta": «Siamo più di un milione nel mondo» ha detto l'attrice Angela Finocchiaro. Presenti a Roma i vertici del Pd e la leader della Cgil Camusso. «Berlusconi da tempo dovrebbe andarsene ed è quello che gli chiedono queste piazze» ha detto Pier Luigi Bersani, segretario del Pd. La deputata di Fli Giulia Bongiorno ha parlato dal palco: «Non sono qui per criticare i festini hard, ma per farlo quando diventano sistema di selezione della classe dirigente - ha detto nel suo intervento, applauditissimo -. Chi tace in questa situazione può diventare complice. Questa non è una piazza di moralisti, come ha detto qualcuno nei giorni scorsi, questo è un modo per sminuire la vostra presenza qui. Si ha paura di voi». Una selva di fischi si leva quando dal palco viene citato Giuliano Ferrara. Si levano anche diverse voci in difesa del presidente della Repubblica Napolitano. Molte donne (oltre un migliaio) si sono staccate dalla manifestazione in piazza del Popolo ed è partito un corteo spontaneo che ha raggiunto Montecitorio: le manifestanti, che urlano slogan contro il premier, hanno scavalcato le transenne e sono arrivate davanti alla porta della Camera. All'interno del gruppo, alcune protestano in difesa delle escort.

MILANO - A Milano l'appuntamento era in piazza Castello, dove si sono radunate migliaia di manifestanti accomunati dalla sciarpa bianca, sotto una selva di ombrelli per la pioggia. «Questo è un prologo» ha detto Antonio Di Pietro, che partecipa al raduno milanese, del referendum sul legittimo impedimento che lui chiede sia fissato il 19 maggio, cioè con il secondo turno delle amministrative. Presenti anche Nichi Vendola, il candidato sindaco Giuliano Pisapia e la consigliera di zona del Pdl Sara Giudice, che ha raccolto le firme per chiedere le dimissioni di Nicole Minetti. «Quello di oggi credo sia un colpo mortale per il berlusconismo - ha detto Vendola -. Il premier ha portato l'attacco al cuore dello Stato».

LE MANIFESTAZIONI - A Napoli sono scese in piazza 100mila persone: niente bandiere, solo un tricolore. Molte donne indossavano magliette bianche con la scritta "Mi riprendo il mio futuro". A Palermo diecimila manifestanti in piazza Verdi: presenti anche molti uomini e famiglie con bambini. «Senza rendercene conto - dicono alcune delle partecipanti - abbiamo superato la soglia della decenza. Il modello di relazione tra donne e uomini, ostentato da una delle massime cariche dello Stato, incide profondamente negli stili di vita e nella cultura nazionale, legittimando comportamenti lesivi della dignità delle donne e delle istituzioni». «Tante donne sono impegnate nella vita pubblica - dicono le organizzatrici -. Ma questa ricca e varia esperienza è cancellata dalla ripetuta, indecente, ostentata rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale. E ciò non è più tollerabile». I sardi hanno risposto con manifestazioni in una ventina di piazze all'appello del Comitato organizzatore "Se non ora quando". A Cagliari ci sono personalità dello spettacolo, della cultura, del mondo cattolico, universitario, della politica, non solo del centrosinistra: Renato Soru, il leader regionale della Cgil Enzo Costa. A Bari un corteo di 10mila persone sta sfilando per le strade, presenti anche migliaia di uomini; negli striscioni si legge "chi governa deve dare il buon esempio e non chiedere il legittimo impedimento", "indisponibile".

CENTRO-NORD - A Pescara piazza Sacro Cuore è piena come non accadeva da decenni; assenti i rappresentati del Comune, guidato da una giunta di centrodestra. A Pesaro un migliaio di persone sta partecipando alla mobilitazione in piazza del Popolo: "siamo stufe di mantenere una classe dirigente venduta e comprata", "vogliamo dignità", "non sono una sua dipendente" si legge sugli striscioni. Grande adesione a Bologna: tra i partecipanti il candidato a sindaco per il centrosinistra Virginio Merola. Migliaia di persone anche in piazza dei Giudici a Firenze. A Genova più di cinquemila persone si sono ritrovate in piazza Caricamento; presenti il sindaco Marta Vincenzi e l'europarlamentare Sergio Cofferati. "Berlusconi, tu ci Ruby la libertà": è uno dei cartelli della manifestazione in corso a Venezia. Campo Santa Margherita è completamente pieno, gli autobus intasati in terraferma che hanno lasciato gente a terra. Novemila donne hanno partecipato al raduno secondo le organizzatrici. Dal palco una studente ha letto una "Lettera a Ruby" che comincia con «preferiamo chiamarti Karima» e un appello contro «il modello di relazione tra donne e uomini ostentato da una delle massime cariche dello Stato». A Torino piazza San Carlo è affollata come nelle storiche manifestazioni del Primo Maggio. «Siamo 100mila» dicono gli organizzatori. A Trieste tremila persone hanno affollato piazza Unità d'Italia. Le donne italiane sono scese in piazza anche all'estero. A Tokyo un gruppo di manifestanti ha protestato «contro il degrado della politica e della cultura». Un migliaio di donne, ma anche tanti uomini e famiglie al completo, si è radunato a Bruxelles: sui cartelli "noi non siamo in vendita", "ora, te ne devi andare ora", "bandire Berlusconi dal Consiglio europeo", "Silvio enjoy bunga bunga in jail". Più di 150 persone hanno partecipato al presidio davanti alla sede delle Nazioni Unite di Ginevra.

I COMMENTI NEL PDL - La manifestazione per la dignità delle donne è uno dei temi del dibattito politico. «Coloro che scendono in piazza sono solo poche radical chic che manifestano per fini politici e per strumentalizzare le donne - attacca il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini -. Non vengano a raccontarci di voler difendere la loro dignità, quando sono le prime a bollare automaticamente come prostituta qualsiasi donna metta piede in casa del premier. Si tratta delle solite eroine snob della sinistra». Le risponde Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd, da piazza del Popolo: «Il ministro Gelmini sbaglia: dovrebbe venire di persona a vedere, è una vera manifestazione di popolo. Insieme alla dignità delle donne, Berlusconi offende la dignità dell'Italia». «Credo che la Gelmini abbia perso un'altra occasione di stare zitta»: così Susanna Camusso, leader della Cgil, anche lei alla manifestazione romana. Questa l'opinione del ministro della Difesa Ignazio La Russa: «Sarebbe bello che le donne scendessero in piazza per ragioni vere, non per strumentalizzazioni contro il governo». Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera: «A scendere in piazza è lo schieramento anti berlusconiano fondato sulla sinistra a testimonianza che è essa, insieme a un nucleo di magistrati politicizzati, ad aumentare sempre più la tensione ampliando i termini dello scontro politico». Francesco Storace, segretario nazionale de La Destra: «Le donne che scendono in piazza sono figlie di quelle che nel '68 invitavano a fare l'amore e non la guerra. Oggi fanno la guerra a chi fa l'amore. E una sinistra disperata».

L'OPPOSIZIONE - Di tenore diverso le dichiarazioni degli esponenti dell'opposizione. Ed è stato durissimo l'intervento di Gianfranco Fini all'Assemblea Costituente di Futuro e Libertà a Milano: «Basta considerare la donna in ragione della sua avvenenza e della disponibilità. Siamo diventati lo zimbello del mondo occidentale». «La dignità delle donne deve riguardare tutti, destra, sinistra e anche noi uomini» ha detto il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini. «È una manifestazione importante di protesta civile, è un importante sentimento che emerge, è la dignità che esplode. Ma poi bisogna proseguire» ha detto la senatrice del Pd Livia Turco, arrivando alla manifestazione di piazza del Popolo a Roma. E la presidente del Partito Democratico Rosy Bindi, anche lei in piazza del Popolo: «Vogliamo porre al centro della nostra vita e della vita del Paese la parole dignità, dignità della persona, della donna, della democrazia».

Redazione online
13 febbraio 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/cronache/11_febbraio_13
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« Risposta #2 inserito:: Febbraio 18, 2011, 04:48:11 pm »

"Basta essere complici"

di Marco Damilano

Giulia Bongiorno, avvocato ed esponente dei finiani, lancia un appello alle donne del Pdl: "Non è più il momento di tacere per obbedire al capo. Oggi stare zitte significa accettare una cultura che ci sottomette"

(17 febbraio 2011)

Roma, alla manifestazione di piazza del Popolo, è stata tra le più applaudite, sfoderando sul palco la grinta che ben conoscono Silvio Berlusconi e l'avvocato Niccolò Ghedini: "Basta con le carriere politiche nate nei festini", ha scandito. Giulia Bongiorno, da presidente della commissione Giustizia della Camera vicinissima a Gianfranco Fini, i suoi no al Cavaliere li ha detti in tempi non sospetti: bloccando le leggi sul processo breve e sulle intercettazioni. Ora chiede alle colleghe del Pdl un atto di coraggio: "Tacere oggi significa essere complici". Sul processo non entra nel merito, vorrebbe suonare tranquillizzante per il Cavaliere: "Berlusconi dovrebbe essere felice di essere giudicato da tre donne...". Ma avverte su eventuali colpi di mano parlamentari per strappare la competenza a Milano: "Se vuole continuare a fare il premier non può ricorrere alle scorciatoie, deve affrontare a viso aperto il processo e dimostrare nel dibattimento l'infondatezza delle accuse".

Il premier ha accusato la piazza delle donne di essere puramente anti-berlusconiana. Per lei quali obiettivi deve darsi questo movimento?
"Questo moto spontaneo e grandioso fa paura e si tenta di indebolirlo attribuendogli una matrice politica: invece alle manifestazioni ha partecipato una folla eterogenea, moltissimi dei presenti erano lontani dalla politica. È la spontaneità della risposta il dato più importante, la forza di questo movimento. Quello che unisce persone diversissime tra loro è molto più dell'antiberlusconismo: sicuramente è anche gente stanca di Berlusconi, ma è soprattutto gente che crede nelle donne. L'Italia non può più rinunciare ad avere donne in ruoli chiave".

Anche alla leadership? Nichi Vendola ha candidato Rosy Bindi alla guida di una coalizione democratica. I tempi sono maturi per un premier donna?
"Siamo già in ritardo. Pensare a un premier donna e a una squadra di governo composta da donne valide non è un'anomalia, non è una scelta dettata dall'emergenza. Sarebbe una svolta, una risposta all'esigenza di novità e di cambiamento che è arrivata in queste settimane".

Lei fu la prima donna nel Pdl a ribellarsi a Berlusconi. Al punto che il Cavaliere ordinò: "Levatemela di torno". C'è una difficoltà tutta al femminile di lavorare con questo premier?
"Sì, sono stata considerata molto "disubbidiente" perché ho esposto il mio punto di vista indicando gli effetti rovinosi di alcuni provvedimenti fortemente voluti dal premier. Nel Pdl nessuno lo contraddice, anche quando è evidente che sta commettendo un errore. "La penso come te, ma non si può dire," mi sussurrava qualcuno. Ecco, secondo me l'accondiscendenza non aiuta. Quando ritenevo che fosse giusto farlo, io ho sempre contraddetto i miei maestri e i miei leader, e questo non significa che non li stimassi o che non mi fidassi di loro. Sicuramente poi, nel caso del Pdl, il fatto che le obiezioni venissero da una donna le rendeva addirittura impensabili, prima ancora che indigeste. Ma il maschilismo è trasversale: quando ho cercato di portare avanti il provvedimento che avrebbe permesso alle madri di dare il proprio cognome al figlio, ho sbattuto contro un muro eretto dagli uomini dei diversi schieramenti. Il provvedimento infatti si è arenato".

Cosa dice alle sue colleghe del Pdl che ancora oggi difendono a spada tratta il premier?
"La difesa del proprio leader non deve tradursi in atti di autolesionismo. Secondo me, oggi tacere significa essere complici".

Lei è stata l'avvocato di Giulio Andreotti: cosa consiglia all'imputato Berlusconi?
"Berlusconi ha i suoi avvocati, non ho nessun consiglio da dare. C'è chi dice che a conti fatti Andreotti ci ha rimesso a non sottrarsi al processo, avrebbe potuto conservare il suo potere ancora a lungo. Mi limito a un sola osservazione: un uomo delle istituzioni le istituzioni deve rispettarle sempre. Altrimenti contraddice se stesso".

Andreotti, però, non era più a Palazzo Chigi. Qui c'è un presidente del Consiglio imputato per concussione e prostituzione minorile, tutto il mondo ne parla. Può restare al suo posto?

"Non credo che sia questo il punto centrale. Un premier può farsi processare restando in carica, ma ciò che non è accettabile è che un presidente del Consiglio attacchi sistematicamente tutta la magistratura. Questo atteggiamento ha generato un fortissimo conflitto istituzionale. Le dimissioni sono una scelta, ma il rispetto della magistratura e delle procedure è un obbligo. L'imputato presidente del Consiglio deve tenere presente che gli imputati comuni di fronte a questi atteggiamenti potrebbero sentirsi legittimati a emularlo".

Non è questa la strada scelta da Berlusconi, per ora. Si parla di una mozione della maggioranza per strappare il processo a Milano e di una nuova legge sul legittimo sospetto...
"Non so quale possa essere la strada. Ma non può essere quella delle scorciatoie: se Berlusconi vuole continuare a fare il premier deve affrontare il processo a viso aperto e dimostrare nel dibattimento l'infondatezza delle accuse e la sua innocenza".

Lei si è opposta ad alcune leggi del governo Berlusconi in materia di giustizia: in quali la forzatura ad personam era più evidente?
"Mentre provvedimenti come il lodo Alfano - molto contestato dalle opposizioni - possono avere una ratio nell'esigenza di tutelare una funzione e non creano effetti negativi sulla collettività, altri avrebbero avuto conseguenze devastanti sul sistema. Una delle prime formulazioni del testo sulle intercettazioni avrebbe messo il bavaglio alla stampa: forse è stato questo il provvedimento in cui ho ravvisato i maggiori pericoli anche per la libertà".

A dire di Berlusconi, c'era un patto segreto tra l'Anm e Fini per bloccare le leggi sulla giustizia in cambio di una non specificata impunità.
"Escludo qualsiasi patto di questo genere, e non solo perché Fini - non avendo alcun processo - non ne avrebbe avuto alcun bisogno. Questa accusa mi fa ridere: sono stata io a dare i consigli a Fini sulla giustizia, so perfettamente da cosa erano dettate le sue scelte: esclusivamente dalla volontà di non sconquassare il sistema".

Sul processo breve sono in arrivo altri strappi?
"La riduzione dei tempi dei processi è un imperativo, ma quello che viene definito "il processo breve" i processi non li abbrevia: li cancella. Sulle intercettazioni, quello che non si dice è che dopo lunghi dibattiti era stato portato in aula un testo sul quale c'era l'ok di Alfano. Io stessa avevo partecipato alle ultime trattative. Ma se c'era l'accordo, perché adesso questa marcia indietro?".

Cosa ha pensato quando ha saputo che Berlusconi sarà giudicato da tre donne?
"La saggezza di un giudice non dipende dal suo sesso. E comunque, dato che in questi giorni Berlusconi ha detto di avere la massima considerazione delle donne, non potrà che esserne felice".

   
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« Risposta #3 inserito:: Marzo 09, 2011, 06:32:50 pm »

LA LETTERA

Il coraggio di fare da sole

di GIULIA BONGIORNO


Caro direttore, di fronte al declino morale, politico e sociale che caratterizza oggi il nostro Paese, molti invocano  -  come "indifferibile"  -  un rinnovo della classe dirigente.

La soluzione più immediata con la quale si immagina di venire incontro a questa diffusa esigenza di rinnovamento è il ricambio generazionale: volti giovani, selezionati con criteri rigorosamente meritocratici, al posto di quelli anziani. Tuttavia questo ricambio, in sé auspicabile, sarebbe insufficiente: svecchiare su base meritocratica oggi non basta. Oggi serve anche altro. Perché tra il passato e oggi c'è il caso Ruby, che ha cambiato profondamente le donne italiane: non sono più disposte a sopportare le umiliazioni, né ad accettare la subdola tecnica della minimizzazione, ovvero il ridimensionamento delle anomalie di cui sono vittime. Lo stesso premier continua a citare pubblicamente il bunga bunga con un sorriso sulle labbra che sarebbe inspiegabile, incomprensibile, se non fosse diretto a suscitare l'indulgenza, quando non la complicità e l'applauso, di chi lo ascolta. Probabilmente, con il preciso scopo di trasformare nell'ennesima barzelletta quell'"opzione harem" che non è in grado di giustificare.

Subire passivamente la tecnica della minimizzazione, lasciando che il tempo sbiadisca la vergogna, sarebbe un errore gravissimo, per gli uomini come per le donne. Al contrario, il caso Ruby deve rimanere scolpito nella memoria di tutti come un monito, un exemplum in negativo
dal quale prendere le distanze con sdegnata fermezza e che ci aiuti a orientare le nostre scelte.

Se le donne vogliono scongiurare il ripetersi di una umiliazione così rovinosa è necessario che si facciano promotrici e protagoniste di una trasformazione culturale rivoluzionaria il cui primo traguardo è una presenza più consistente delle donne stesse all'interno della classe dirigente: alla guida del paese, alla testa delle aziende, ai vertici delle istituzioni culturali e dei media. Soltanto quando ricopriranno ruoli di potere, questa trasformazione potrà compiersi davvero.

In quel momento, tutto il peggio subìto dalle donne nel corso della storia diventerà una faretra di frecce al loro arco. Nessuno come loro, abituate da sempre a faticare il doppio per realizzare i loro desideri e raggiungere i loro obiettivi, costrette a inventarsi un giorno dopo l'altro una strategia di sopravvivenza tra casa e luogo di lavoro, chiamate continuamente in causa da compagni, mariti, figli, genitori, che richiedono cure e attenzioni, è in grado di ascoltare, riflettere, mediare. Di trovare soluzioni anteponendo il bene comune al proprio. E allora, parafrasando il titolo di un bel romanzo uscito qualche anno fa, "un giorno, quel dolore sarà utile".

Si assisterà all'esito naturale di un processo che ha già preso avvio e che deve realizzarsi in maniera sempre più consistente, ampia e diffusa: i sacrifici sostenuti dalle donne per affermarsi impediranno loro di usare i festini hard come criterio di selezione della classe dirigente e le spingeranno a ricercare e a distinguere, costantemente, il merito; le discriminazioni patite le indurranno a rifiutare leggi ad personam e le guideranno nella formulazione di norme che assicurino una giustizia uguale per tutti, mentre l'assenza di forme di tutela legislativa che le ha penalizzate in passato le condurrà a rispettare, sempre, anche le leggi non scritte; e le contestazioni con le quali si sono ribellate ai soprusi e alle ingiustizie le porteranno ad accogliere le critiche come contributi costruttivi, anziché a respingerle per partito preso come forme di insubordinazione fini a se stesse. D'altro canto, dal momento che alle donne non è mai stato perdonato niente e i loro errori li hanno sempre pagati cari, se sbaglieranno sapranno lasciare il comando immediatamente - di certo, comunque, prima che qualcuno invochi le loro dimissioni. E infine, dato che non dimenticheranno il caso Ruby, rifiuteranno come ripugnante la sola idea di usare il loro potere per risolvere questioni private.

Ecco perché le donne devono avere il coraggio di pretendere di essere protagoniste. Ma devono pretenderlo subito e non aspettare un imprecisato futuro in cui si realizzeranno le condizioni adatte. Non c'è tempo per aspettare e soprattutto è inutile illudersi: nessuno creerà quelle condizioni, nessuno agevolerà l'ascesa delle donne, nessuno offrirà loro quelle chances.

Le donne devono fare tutto da sole. Ma sono abituate anche a questo.

(09 marzo 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/cronaca
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« Risposta #4 inserito:: Ottobre 16, 2011, 10:04:35 am »

Intervista

'Per il Cav. niente salvacondotto'

di Susanna Turco

'La legge sulle intercettazioni è contro la libertà. Berlusconi deve andarsene, senza tutele legali.

E Casini ha capito prima di Fini che con Silvio non si andava lontano"

Colloquio con l'ex presidente della Commissione Giustizia Giulia Bongiorno

(13 ottobre 2011)

Di Berlusconi parla solo al tempo imperfetto, o comunque al passato: "E' arrivato al tramonto. Dovrebbe andarsene e basta. E altro che salvacondotto". Su Alfano è cortesemente scettica: "Dimostrerà di avere le doti da leader quando imparerà a dire no al premier, senza viverlo come un tradimento". Di Casini dice un gran bene: "Ha capito prima di Fini che con Berlusconi non si andava lontano". Fino a poco tempo fa, di tutta questa politica Giulia Bongiorno non avrebbe accettato di parlare. Occhio dunque all'avvocato inflessibile, regina di spade affilate nel far la guerra a Berlusconi ("Ma combattere non è una scelta, è una necessità").

Ex legale prodigio del processo Andreotti, ex sostenitrice del referendum contro la legge sulla fecondazione assistita, ex tecnico "semplice" prestato alla politica, la Bongiorno sembra in procinto di reincarnarsi di nuovo, anzi forse ha già cominciato. In un politico a tutto tondo, magari. Terremoto permanente, lei, del resto. Così, dopo aver messo tutta la sua determinata prudenza nell'impersonare il ruolo di consigliere giuridico di Gianfranco Fini, ha allargato il suo spettro d'azione. Nell'ultimo anno è, fra l'altro, saltata sul palco di "Se non ora quando", ha ribaltato la sentenza di primo grado del processo Meredith, partorito un figlio, finito di sistemare foto e libri nello studio che fu di Andreotti, avviato un'azione legale contro il policlinico Gemelli per il caso Tbc, valutato la candidatura a sindaco di Palermo. Insomma, non solo commi, non più discussioni con Ghedini, basta pure con lo stereotipo di "signorina No" che si è guadagnata, appunto rifiutando sempre i diktat del premier. Sono gli altri che dicono sempre sì "a uno schioccar di dita del premier", ha chiarito giorni fa. Quando, al Cavaliere, ha messo il suo ultimo paletto sul disegno di legge sulle intercettazioni, dimettendosi da relatrice dopo che il Pdl ha confermato la sua volontà di dare una ulteriore stretta alle norme che limitano gli ascolti.

"Ritengo che quella sulle intercettazioni sia la legge simbolo di questa legislatura", dice: "Simbolo, anzitutto, della grande illusione che ha voluto dare Berlusconi". Quale illusione? "La sua fortuna è stata quella di aver saputo intercettare gli umori post Mani Pulite. E' stato capace di dare una risposta a coloro che ritenevano ci fossero stati degli eccessi: si è presentato come l'uomo che voleva portare avanti un'idea di libertà, contro il giustizialismo e le manette. Una grande trovata iniziale, che gli ha portato molti voti. Tanti anni dopo, la legge sulle intercettazioni, oltreché naturalmente - scopo principale - servire a lui, voleva rappresentare anche un segnale del tipo "sono dalla parte delle vittime della giustizia". Però, alla fine, come al solito, Berlusconi ha fatto prevalere il proprio interesse su quello degli elettori: così ha creato una legge che tradisce persino il nome del suo partito. Questa è una legge che tradisce la libertà: di informazione, di cronaca. Quindi non è vero che a Berlusconi interessi la libertà: gli interessa la sua propria, di libertà, casomai. Così come pensare o prevedere il carcere per i giornalisti dimostra che il suo garantismo viene annunciato in teoria, e tradito in realtà". L'illusione, dunque, è svelata, dice Bongiorno, e la "maschera calata": ed è per questo che "Berlusconi non riesce a comunicare più se stesso: perché dopo tutto quello che ha fatto, nessuno può credergli più".

Sulle gambe della legge per limitare le intercettazioni, del resto, ha camminato anche la rottura tra il premier e Fini. Storia che lei conosce bene, e da vicino. "Dopo tanto discutere eravamo arrivati a un compromesso, un accordo che il Pdl ha stravolto senza nemmeno averne pronto un altro. Una scelta che non riesco a capire. Hanno dimostrato mancanza di politica, alla fine. Si dice sempre che Berlusconi è un grande e cattivissimo stratega: secondo me, invece, c'è tanta improvvisazione; cambiano idea quotidianamente a seconda di quel che si legge sui giornali, e così diventano poco credibili. E faticano anche a raggiungere i loro obiettivi".

Anche Angelino Alfano cade sotto la scure. "Come ministro della Giustizia, ha solo siglato col suo nome il famoso lodo: per il resto si è prodotto in semplici annunci, né mi pare che in commissione Giustizia in questi anni abbiamo fatto altro che occuparci di Berlusconi". Come potenziale leader del Pdl, il giudizio è appena più sfumato: "E' un politico intelligente, però questa sua grande fedeltà a Berlusconi, se da un lato gli ha dato tanto potere, dall'altro pare bloccarlo. Le doti necessarie a fare il leader dimostrerà di averle se si distaccherà da Berlusconi: se continuerà a credere che ogni no significhi un tradimento, non credo che ce la farà". Un futuro del Pdl senza Berlusconi, del resto, Bongiorno stenta a vederlo: "Partito e leader per ora coincidono, e non so quanta strada possano fare, come organizzazione, tutte queste persone che dal premier hanno sempre accettato tutto".

Una cosa è certa: l'ora politica di Berlusconi è giunta. "Qualcuno gli chiede di fare come Zapatero, ma io sono contraria. Fargli fare altre due, tre cose? Per carità. Di tempo ne ha avuto, abbiamo visto quel che ha prodotto, in una legislatura la cui immagine simbolo potrebbe essere giusto quella di Berlusconi che racconta barzellette in mezzo all'Aula della Camera. Quell'istantanea rappresenta bene il suo disinteresse per ciò che accade al Paese. Del resto la produzione legislativa, tolte le leggi ad personam, per quanto concerne il mio campo è pari a zero. E già immagino cosa farebbe: processo breve, brevissimo, istantaneo". Rifiuta, Bongiorno, pure l'idea di un salvacondotto: "E' un discorso che mi fa ridere. Non mi pare che, quando Andreotti ha chiuso la sua carriera politica, ci siamo preoccupati di andare a risolvere il suo processo: lo è andato a fare lui, in aula. Non riesco a capire perché il problema giudiziario di Berlusconi dovrebbe diventare un fardello mio, o del Parlamento: è solo il suo".

In tutto questo discorso, che la Bongiorno sia deputata di Fli quasi si dimentica. Qualcuno vocifera di un raffreddamento del rapporto con Fini, ma lei parla di "piena sintonia". "Come mia scelta non sono mai stata al centro delle riunioni politiche, sia in An che in Fli. Ma nel progetto del Terzo polo io ci credo". Andreotti, del resto, aveva scelto l'Udc come approdo politico per lei, prima che lei preferisse Fini. "Casini ultimamente sta facendo molto bene: anche i sondaggi pare che lo premino. Ha indovinato in pieno, prima di Fini, che con Berlusconi il percorso non sarebbe stato lungo, e di questo gli va dato atto". Ciò detto, specifica Bongiorno, "io credo che il problema non sia tanto la condivisione di antichi ideali, ma dei metodi per affrontare i problemi concreti. E' una questione di finalità delle battaglie e di qualità delle persone. E mi sembra che ce ne siano di valide: nell'Udc Roberto Rao, per esempio, è una persone particolarmente capace, attenta, ed esperta".

L'avvocato, però, non intende farsi imbrigliare: "C'hanno tutti quest'ansia da collocamento, su di me. Ma io mi sento collocata benissimo anche senza avere un riquadro in cui scrivere destra, sinistra, centro. Mi arrivano miliardi di mail in cui si dice "anche se la penso diversamente da lei, perché sono di sinistra, le faccio i miei complimenti". Io ringrazio, ma mi sento avulsa da queste etichette che ritengo stra-superate. Io credo nelle battaglie, non mi interessa la matrice: "Se non ora quando" era di sinistra? Bene, per me è uguale".

Su Facebook, e in generale sul Web, c'è ogni tanto qualcuno che la candida come ministro della Giustizia, o addirittura come premier, ma lei non si scompone. "Mi fa piacere che mi vedano anche a prescindere dal ruolo tecnico, mi ha fatto piacere anche la proposta di correre a sindaco di Palermo. Però io per ora sto bene in questa posizione".

Con tutte le battaglie "neofemministe" che ha sempre fatto, non vedrebbe con favore la candidatura a premier di una donna, per le prossime elezioni? "Eccome. Sarebbe quella secondo me la vera svolta. Ma le vieto di farmi la domanda successiva".

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