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« inserito:: Settembre 03, 2007, 12:13:55 am » |
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STORIA / LA DOPPIA VITA DEL GRANDE INVIATO DEL 'CORRIERE DELLA SERA'
Indro, Miss Brulatour e le SS
di Enrico Arosio
L'uscita dal carcere concordata con i nazisti.
La fuga in Svizzera assieme a una spia di Salò.
I sospetti degli antifascisti.
Uno studio svela le bugie di Montanelli
La guerra incattivisce tutti, anche gli eroi, e per salvare la pelle Indro Montanelli, il 14 agosto 1944, si arrangiò come tanti. Accolto alle 11 del mattino, orario più da signori che da profughi, al posto di confine italo-svizzero di Novazzano, in Ticino, il giornalista caduto in disgrazia al 'Corriere della Sera' dopo l'occupazione tedesca dell'Alta Italia, appena giunto a Bellinzona mise a verbale tre corpose bugie. Era evaso dal carcere di San Vittore, disse; era stato processato e condannato a morte dai tedeschi, aggiunse; dopo l'8 settembre era stato "organizzatore di bande di partigiani", anzi aveva "organizzato la stampa clandestina, su ordine del Comitato di liberazione nazionale". Tre bugie, appunto; ma utili a salvarsi la pelle e ad accreditarsi come rifugiato antifascista in una drammatica estate in cui anche la Svizzera - non solo la milizia, le brigate nere, i tedeschi - aveva indurito la sorveglianza ai confini.
Con chi era fuggito Montanelli, che nel novembre 1944 era stato da Mussolini stesso, sul 'Corriere' normalizzato dalla Rsi, denunciato tra sei giornalisti "profittatori del fascismo", e dunque tacciato di traditore più che di antifascista? Con uno strano trio: il generale Bortolo Zambon, figura di secondo piano del Cln Alta Italia, la sua segretaria, e una bella signora americana, Dorothy Gibson Brulatour, che dichiarò di possedere i mezzi per mantenere nella Confederazione gli altri fuggitivi. Amica di Montanelli, la Gibson è figura da romanzo: scozzese, ex stellina del cinema muto in America, nel 1912 sopravvissuta al naufragio del Titanic con la madre, viveva in Italia dal 1928 dove fu sospettata più volte di spionaggio filo fascista. Che ci facevano i tre, ufficialmente accompagnati da un prete pietoso? In realtà, la finta evasione da San Vittore fu un'operazione orchestrata da un personaggio assai temuto, il più potente agente doppiogiochista della Repubblica sociale, Luca Ostèria ('Dottor Ugo'), in accordo con il capo della Gestapo a Milano, il criminale di guerra Theodor Saewecke, onde accreditarsi, come salvatore di antifascisti di pregio, presso i circoli alleati in Svizzera in vista dell'imminente tracollo del nazifascismo.
Sui nove mesi di Montanelli nella Confederazione si sapeva poco. Le informazioni, si scopre ora, erano spesso imprecise, abbellite o inventate: truccate dal protagonista. Questa la tesi, assai dura, di un libro che Feltrinelli pubblica a fine settembre e che 'L'espresso' ha letto in anteprima: 'Passaggio in Svizzera. L'anno nascosto di Indro Montanelli', scritto da Renata Broggini, ricercatrice specializzata sulle vicende dei rifugiati italiani durante la Seconda guerra mondiale. Ha sondato gli Archivi federali di Berna e Bellinzona, l'Archivio di Stato a Roma, memoriali, epistolari, naturalmente gli scritti di Montanelli, e raccolto testimonianze nuove. E il risultato è imbarazzante: Montanelli appare come un manipolatore della propria biografia, impegnato con tutta evidenza ad addolcire, dopo gli anni da entusiasta del fascio, il suo rientro nell'Italia libera.
Broggini riscrive molti episodi, da lui minimizzati o travisati, che gettano una luce sconcertante, pur in tempo di guerra, sulla statura morale del più celebrato giornalista italiano. Montanelli non operò da spia in favore dei tedeschi, questo Broggini lo esclude con nettezza. Ma volle accreditarsi come antifascista fin da subito, a Lugano; si vantò, fece imprudenze, ebbe toni sprezzanti. Si lamentò dell'ostracismo ("Trattato come un cane") dei fuorusciti, gli antifascisti storici, che sospettavano in lui una spia. Ma più che i suoi ardori di volontario in Africa orientale, gli esuli gli rimpoverarono la finta fuga autorizzata dai tedeschi. Il ruolo avuto da Ostèria fu infatti divulgato incautamente dallo stesso Montanelli, parlando troppo, per superbia o presunzione o cinismo; il 'Dottor Ugo' ne uscì bruciato, e vanificato il suo avvicinamento agli alleati di Allen Dulles (lo arresteranno gli inglesi, mesi dopo). Gli antifascisti italiani, va detto, erano di scorza dura, erano vittime vere del regime: Ernesto Rossi si era fatto 13 anni di carcere, Terracini 18, Spinelli 17 tra cella e confino. Il bell'Indro era arrivato in macchina in orario da matinée teatrale, con una ricca americana e un generale di secondo piano, guidato da una spia filotedesca che salutava sorridente le SS ai posti di blocco.
Singolari antefatti. Montanelli era sposato da nemmeno due anni con una graziosa giovane austriaca, Margarethe (Maggie) de Colins de Tarsienne, che lavorava al salone Elizabeth Arden in via Montenapoleone. Lui fuggiva nella libera Svizzera, e lei, già agli arresti a Milano, il 7 settembre veniva tradotta al campo di concentramento di Gries presso Bolzano; Margarethe, nelle intenzioni di Saewecke, doveva garantire che il giornalista liberato non desse noia ai tedeschi. Divenne ostaggio prima ancora di capirlo (non era una donna politicizzata, né un'intellettuale). Come commentò poi Filippo Sacchi, che era stato direttore del 'Corriere della Sera': "Guardo come un portento quest'uomo che se ne è venuto via lasciando la donna che ama in quelle grinfie, dopo avercela messa lui con la sua imprudenza".
A che cosa si riferisce? Al doppio arresto, il 5 febbraio 1944, di Indro e di Maggie. Altro episodio che Broggini ricostruisce con puntiglio. Montanelli, non rientrato al 'Corriere' dopo l'8 settembre, ostracizzato dai fascisti, è nascosto a Milano quando, nell'autunno '43, un bel giorno chiede aiuto a Filippo Beltrami detto il Capitano, architetto milanese, capo partigiano sopra il lago d'Orta. Il giornalista raccontò sempre che fu Beltrami a chiamarlo per condividere la guida di una formazione: tutto inventato, dice Broggini, forte della testimonianza della vedova Giuliana Gadola: fu Montanelli a chiedere aiuto ai Beltrami per scappare da Milano. Ma l'elegante giornalista non salì mai in montagna. Si fermò a Pella, sul lago d'Orta, nella villa dell'industriale Mario Motta (antifascista, sodale di Beltrami). Montanelli disse poi che il contatto con Beltrami saltò perché il Capitano fu il giorno stesso catturato e ucciso dai tedeschi: falso di nuovo; Beltrami fu ammazzato una settimana dopo, il 13 febbraio. "Il massimo della sua resistenza partigiana Montanelli l'ha fatta in villa Motta", testimonia Giuliana Beltrami. E proprio per la "cretinata" di voler far recapitare dall'autista dei Motta un biglietto a sua moglie a Milano (la casa di piazza Castello era sorvegliata), Montanelli fece arrestare lei, se stesso e l'incolpevole Motta. Il quale, divenuto sospetto, fu da allora tenuto d'occhio dai fascisti, nel novembre 1944 prelevato da una squadraccia e trucidato da due militi travestiti da partigiani.
In Svizzera Montanelli si ingegna. Riesce a evitare il campo di lavoro, obbligatorio per gli internati privi di mezzi. Aiutato prima dalla signora Gibson, poi da antifascisti che lo fanno scrivere per giornali elvetici, 'Libertà' e 'Illustrazione Ticinese', quindi da un cugino medico, Riccardo Montanelli, e da due signore estoni (che Indro aveva conosciuto quando nel '37 era stato inviato in Estonia dal ministro Bottai, raccomandandolo dopo la sua radiazione dal partito fascista per un articolo irrispettoso). Se c'è da ingraziarsi la stampa socialista lo fa. Se c'è da accreditarsi presso gli azionisti si dice amico di La Malfa. Se serve, loda persino il comunista Terracini. Al padre Sestilio, nel gennaio '45, scrive: "Ti dirò che sono benissimo coi liberali e i democristiani, malissimo coi comunisti, socialisti, e partito d'Azione". Per alcuni mesi si fa trasferire a Davos, la località della 'Montagna incantata' di Mann, anche grazie al cugino, mentre altrove gli internati italiani trasportano fieno, patate o letame. "Meglio la tubercolosi degli italiani", ebbe a scrivere Montanelli in 'Soltanto un giornalista', ricordando l'ostilità di cui si sentiva vittima da parte degli antifascisti (e della retorica antifascista, con la quale nel dopoguerra avrebbe brillantemente polemizzato per decenni, al 'Corriere' e poi al 'Giornale').
La Broggini, impietosa, smaschera una fantasia dopo l'altra. In carcere, a Gallarate, poi a San Vittore, non vi è traccia di una effettiva "condanna a morte"; quando 'evade', così risulta, è ancora sotto inchiesta. Il presunto maggiore Boehme, cui Montanelli attribuì il suo 'Todesurteil' (appunto la condanna a morte), non poteva trovarsi a Gallarate nel 1944. Il giornalista ricordò un telegramma di Mussolini che "chiedeva la mia immediata fucilazione"; altrove il telegramma era firmato dal ministro Buffarini Guidi; un'altra volta raccontò che per salvarlo dalla morte era intervenuto dalla Finlandia il maresciallo Mannerheim, eroe della resistenza antisovietica: non vi è nessuna prova di queste tre affermazioni, dichiara Broggini.
Montanelli fece chiedere aiuto al cardinale Schuster. Minimizzò invece il ruolo protettivo di sua madre, Maddalena Doddoli: forse non rientrava nella sua idea di virilità? Fu proprio lei, donna tutt'altro che sprovveduta, a tessere i contatti con Luca Ostèria tramite una segretaria tedesca del comandante Saewecke (che pochi giorni dopo l' 'evasione' ordinerà la fucilazione dei martiri di piazzale Loreto). E fu lei a premere con insistenza su Ines Chionetti, moglie del maresciallo Graziani, capo dell'esercito della Rsi. E vi fu l'ufficiale delle SS italiane Felice Bellotti (l'autrice riscopre una sua testimonianza del 1962) che insieme al funzionario Valerio Benuzzi, interprete di Buffarini Guidi, aiutò a mediare tra Graziani, Buffarini e il comando tedesco. Buffarini non era contrario alla liberazione di Montanelli. E anzi, quando arrivò Ostèria, forse la liberazione era già stata decisa (girò anche un assegno di mezzo milione di lire proveniente da Aldo Crespi editore del 'Corriere'). Montanelli, è la tesi dell'autrice, "fu usato". Dallo spavaldo Ostèria, ansioso di riciclarsi politicamente. E in effetti, poiché ebbe un ruolo anche nella liberazione di Ferruccio Parri, Ostèria sarà poi da Parri chiamato a Roma a dirigere il servizio d'informazione della presidenza del Consiglio.
Montanelli sopravvive con la levità di un giocoliere. Scrive per giornali svizzeri. Pubblica con lo pseudonimo Calandrino che irrita gli antifascisti. Cerca di accreditarsi come un Candide senza macchia con il pamphlet 'Ha detto male di Garibaldi', sottotitolo 'Testamento di un italiano qualunque' (e Broggini, perfida, lo avvicina al qualunquismo di Guglielmo Giannini). Verso la fine della guerra Indro scrive al padre che nel peggior dei casi emigrerà in Sud America. Confida commosso di aver assistito in carcere nelle ultime ore il partigiano Vittorio Gasparini (uno dei fucilati di piazzale Loreto): falso anche questo.
L'ennesima fantasia Indro Montanelli la produce a guerra appena finita. S'inventa di essere rientrato a Milano subito dopo la Liberazione, il 27 o 28 aprile. E di aver assistito, sdegnato, il giorno 29 all'atroce esposizione del Duce, di Claretta e dei gerarchi alla pompa di benzina di piazzale Loreto. In verità Montanelli, così gli archivi svizzeri, rientrò in Italia il 22 maggio 1945. Non vide mai il Duce appeso. Era una bugia da giornalista smanioso, o un altro fiore per abbellire una biografia speciale. In attesa di nuove fortune.
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Cacciatrice di esuli Renata Broggini, nata a Locarno, negli ultimi anni si è specializzata come storica degli internati ed esuli italiani in Svizzera nella Seconda guerra mondiale. Il suo libro più importante è 'Terra d'asilo. I rifugiati italiani in Svizzera 1943-45' (Il Mulino, 1993). Ha pubblicato 'La frontiera della speranza' (Mondadori, 1998), sugli ebrei italiani fuggiti nella Confederazione. E ricostruito numerose vicende biografiche dell'emigrazione, dai diari di Filippo Sacchi alle esperienze elvetiche di Eugenio Balzan, Eugenio Cefis, Edda Ciano, Franco Fortini, Alberto Mondadori, Luigi Comencini. Dall'8 settembre al ritorno in Italia 1943 12 settembre. Montanelli non si ripresenta al 'Corriere della Sera'.
Entra in clandestinità.
Ottobre. Scrive due articoli antifascisti per la stampa svizzera (non pubblicati).
24 novembre. Mussolini pubblica il suo nome sul 'Corriere' in un elenco di sei giornalisti "profittatori del fascismo".
1944 25 gennaio. Contatta il capo partigiano milanese Filippo Beltrami.
4 febbraio. Dal lago d'Orta, rifugiato dall'industriale Motta, per un'imprudenza fa arrestare la moglie Maggie a Milano.
5 febbraio. Arrestati Montanelli e Motta. 13 febbraio. Beltrami ucciso dai tedeschi. Montanelli in carcere a Gallarate.
9 maggio. Trasferito a San Vittore.
Estate. Richieste di aiuto al cardinale Schuster, presso il maresciallo Graziani e il comando tedesco.
1 agosto. Esce dal carcere grazie alla spia Luca Ostèria e al nulla osta delle SS.
14 agosto. Entra in Svizzera col generale Zambon e l'americana Dorothy Gibson.
Settembre. A Lugano. Contatti e attriti con espatriati politici. Scrive per 'Libertà'.
Ottobre. Evita il campo di lavoro.
25 ottobre. Si trasferisce a Davos , insieme al cugino Riccardo, medico.
Dicembre. Inizia a scrivere per 'Illustrazione Ticinese'. La Gendarmeria lo segnala come "persona sospetta".
1945
Gennaio. Prima puntata del pamphlet 'Ha detto male di Garibaldi'.
Febbraio e marzo. Soggiorna a Berna. Altre collaborazioni.
Aprile. Si congeda da Piero della Giusta del Clnai a Lugano. Chiede il rinnovo del permesso di soggiorno.
22 maggio. Montanelli lascia la Svizzzera.
da espressonline.it
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