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Autore Discussione: E' morto Enrico Micheli, sottosegretario del governo Prodi e romanziere  (Letto 3438 volte)
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« inserito:: Gennaio 21, 2011, 05:29:39 pm »

E' morto Enrico Micheli, sottosegretario del governo Prodi e romanziere

Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2011 alle ore 11:44.

   
Enrico Luigi Micheli, morto questa mattina all'Ospedale d Terni, sua città natale, dopo una lunga malattia, era nato il 16 maggio del 1938. I funerali si terranno domani 22 gennaio alle ore 14,30, presso la Basilica di San Francesco a Terni. La messa sarà celebrata da monsignor Vincenzo Paglia, Vescovo della Diocesi di Terni-Narni Amelia. Lascia la moglie Maria Rita e due figli.

Laureato in Giurisprudenza a Siena, Enrico Micheli ha cominciato la sua attività da manager con Alitalia nel 1963 per passare in seguito all'Intersind e all'Iri, dove nel 1980 è diventato vicedirettore responsabile delle relazioni industriali. Dopo pochi anni Micheli arriva ad essere condirettore centrale, occupandosi di direzione del personale e politiche del lavoro. Nel febbraio del 1987 è stato nominato direttore centrale, responsabile della direzione politiche del lavoro e sviluppo risorse mentre nel giugno del 1993 Micheli è nominato direttore generale dell'Iri.

Micheli è stato uno dei più stretti collaboratori di Romano Prodi, anche all'Iri, e nel 1996 è stato uno dei fondatori dell'Ulivo, che vinse quello stesso anno le elezioni politiche nazionali.
Membro del Ppi, è stato sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri durante i governi Prodi I e Prodi II, D'Alema II e Amato II. Nel governo Prodi I è stato uno dei grandi protagonisti dell'ingresso dell'Italia nell'euro, assieme al ministro del tesoro Ciampi. Nel governo D'Alema è stato ministro dei lavori pubblici, contribuendo al rilancio del settore infrastrutturale nazionale.

Nei governi di centrosinistra, in particolare nel ruolo di sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri, è stato il tessitore delle politiche economiche e sociali e delle principali riforme varate dagli esecutivi, tenendo il rapporto con i partiti e con le forze sociali e contribuendo in misura spesso determinante a risolvere delicate problematiche e controversie.

Nel 1999 è stato eletto deputato alla Camera tra le file del'Ulivo, confermato nella tornata successiva (2001). Ha poi aderito al Partito Democratico, facendo parte della Direzione nazionale.

Uomo di grande cultura, Micheli ha scritto anche diversi romanzi, in particolare per la Sellerio: «Lo stato del cielo» (1993), «Il ritorno di Andrea» (1995), «La gloria breve» (1997), «L'uomo con il Panama» (1998), «Federico ed i colori della giovinezza» (2000), «L'Annunziata» (2001), «Le scale del Paradiso» (2003), «Il palazzo del Papa» (2005), «Italo» (2007). Il suo ultimo libro è uscito nel giugno 2010, con il titolo «Quando dalla finestra si vedeva l'Eur e noi sognavamo la rivoluzione».

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-01-21/morto-enrico-micheli-sottosegretario-113928.shtml?uuid=AaKwzb1C
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 21, 2011, 05:30:31 pm »

Tremonti, Padoa-Schioppa e la continuità che non vedo

di Enrico Micheli

Questo articolo è stato pubblicato il 07 settembre 2010 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 07 settembre 2010 alle ore 09:11.

   
Caro direttore,
ho visto che l'ultima intervista al suo giornale di Padoa-Schioppa, con cui afferma esservi una continuità tra la sua politica di ministro del Tesoro e quella dell'attuale ministro Tremonti ha suscitato alcuni interessanti commenti.
Se lei consente vorrei aggiungere il mio, che è, lo dico subito, in controtendenza rispetto ad alcune opinioni espresse dall'ex ministro del governo Prodi, di cui anch'io facevo parte nelle vicinanze del presidente del Consiglio di allora.
Premetto che ritengo Padoa-Schioppa un uomo intelligente e di vasta cultura a cui è andata e va la mia stima. Forse, dico forse, il suo problema è stato quello di aver affrontato una delicatissima vicenda politica (il cui sviluppo degenerativo abbiamo ahimè verificato in questi due anni) senza non dico entrare nella politica, sia pur mediocre qual è, ma senza quantomeno "annusarla", preferendo la referenzialità, peraltro giusta, con i grandi organismi finanziari internazionali, forse un po' meno con la Banca d'Italia.

Ho vissuto accanto a Prodi e a Ciampi, ho lavorato intensamente con quest'ultimo per giorni e giorni alla preparazione della Finanziaria per l'Europa del 1997, presi atto allora della sensibilità politica di Ciampi e della sintonia tra ministro del Tesoro e ministro delle Finanze (Vincenzo Visco, personaggio di grande rilievo ed essenziale per le operazioni che si andavano compiendo allora), che posso permettermi, credo, di dare questo giudizio errato o giusto che sia.
La mia impressione è che Padoa-Schioppa considerò fino a un certo punto la precaria situazione politica nel 2006 (margine ridottissimo al Senato che cominciò a erodersi sin dal primo giorno; errori di strategia e tattica politica commessi dai partiti dell'Unione sia all'atto della formazione delle liste, sia più tardi al momento delle nomine istituzionali quando furono condizionate da alcuni inaccettabili e incomprensibili aut-aut).
Ma veniamo ad alcuni punti del dissenso. Il governo Prodi si trovò da subito a gestire una procedura comunitaria per eccesso di deficit provocato da quel Tremonti oggi così elogiato che dal 2001 in poi aveva sbagliato i calcoli dopo aver errato le previsioni. Per inciso ricordo che in tutti i governi di centro-sinistra il deficit e il debito sono sempre calati e l'avanzo primario ha fatto qualche passo in avanti, al contrario del centro-destra dove è avvenuto esattamente il contrario.

Nell'estate 2006 Padoa-Schioppa con alcune dichiarazioni che furono considerate una vera e propria manifestazione di volontà informò in anticipo che avrebbe attaccato (giustamente) la spesa corrente, in particolare quella degli enti locali. Il che, considerando il vischioso contesto politico italiano, il corporativismo diffuso a tutti i livelli e una certa cecità della sinistra (del tipo, per esempio, di quella americana che critica la riforma sanitaria di Obama e nulla concede alle difficoltà del contesto congressuale che pur quella riforma doveva varare) scatenò una sorta di rivolta contro il governo guidata dai sindaci di centro-sinistra (Dominici, Veltroni, Cofferati).
Ricordo che un giorno en passant feci presente al capo dell'Anci che certe manovre spesso risultano suicide.
Durante la campagna elettorale, peraltro resa confusa dalla molteplicità e dalla scarsa sintonia delle voci che rappresentavano il centro-sinistra, due punti furono centrali: la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro; la non introduzione di nuove tasse. Quando si arrivò al dunque, cioè nell'autunno del 2006, i nodi da sciogliere erano molteplici. Fu deciso di operare su entrambi i versanti con un complicato tentativo di far quadrare i conti dal punto di vista fiscale. Come?

1. Non si poteva non mantenere la promessa fatta a Confindustria sul cuneo fiscale che in effetti fu varato con il risultato che Montezemolo, per ragioni politiche o altre che non conosco, in una famosa assemblea di maggio alzò il tiro duramente contro il governo, presente lo stesso Prodi.

2. Bisognava trovare i soldi con una complicata manovra fiscale tale da privilegiare i redditi più bassi con le detrazioni e applicare l'aliquota massima del 43% a cominciare dai redditi di 75mila euro lordi annui.
All'obiezione che ciò avrebbe colpito il ceto medio e il lavoro dipendente qualificato (bacino elettorale un tempo del centro-sinistra) la risposta fu che l'operazione toccava meno del 2% della popolazione trascurando con ciò quegli approfondimenti sociologici e politici che fanno dire oggi come ci sia una sorta di scomparsa del ceto medio a causa di una progressiva proletarizzazione provocata anche dal fatto che mentre i salari italiani sono tra i più bassi d'Europa, viceversa gli stipendi delle più alte fasce di management si sono assestati, soprattutto dal 2001 in poi, in una proporzione fino a 400 volte rispetto ai salari degli altri lavoratori. Inoltre fu necessario ovviamente tacitare i comuni e per questo fu loro consentito di introdurre il prelievo Irpef comunale con relativo acconto, vanificando con ciò quel poco che veniva ai redditi bassi dalle detrazioni.
Conseguenza: le buste paga di gennaio 2007 costituirono una grave delusione per la maggior parte degli italiani, soprattutto quelli del lavoro dipendente, che videro crescere il prelievo fiscale.
Per quanto riguarda la vicenda Alitalia dove Padoa-Schioppa dichiara di aver verificato, al pari di Marchionne, la rigidità del sindacato, vanno dette due cose, premesso che i sindacati non sono ormai un'organizzazione unitaria e che i due più ostili di allora furono proprio Cisl e Uil, quelli che concordano oggi con Marchionne:

3. l'azienda con tutte le sue perdite quotidiane fu messa inutilmente in vendita in Borsa per più di un anno senza che nessuno ovviamente si facesse avanti come era prevedibile;

4. una proposta informale, credo condivisa da Bersani e Visco, di operare come avevamo fatto con buoni risultati all'Iri in occasione dei disastri Ilva e Iritecna, fu del tutto ignorata.
La citata proposta prevedeva di creare attraverso una liquidazione volontaria una bad e una new company, dove la bad, cioè lo stato, si sarebbe accollata i debiti, ma poi li avrebbe, in tutto o in parte compensati con i proventi ottenuti attraverso la vendita in Borsa o a trattativa privata della new company provvista di un Roi di mercato. Tutt'altra cosa di ciò che ha fatto il centro-destra che si è accollato i debiti e quant'altro per incassare poco più che nulla dal contorto passaggio attraverso la gestione commissariale e la nuova azienda dei famosi "patrioti" guidati dal ragionier Colaninno.
La proposta sopra citata certo avrebbe richiesto un confronto forte e deciso del ministero azionista con il sindacato, confronto che non c'è mai stato, neanche alla fine quando fu affidato al povero Maurizio Prato, con il governo ormai in ordinaria amministrazione, il compito di vendere a trattativa privata.

Mi sembra infine che ci sia una contraddizione palese nelle parole di Padoa-Schioppa quando dichiara che tra i punti essenziali che il governo dovrebbe affrontare c'è la questione sociale e nello stesso tempo afferma di esser favorevole a una politica, quella dell'attuale governo, che da questo punto di vista ha fatto e fa pochissimo a differenza di altri (penso anche alla battaglia congressuale di Obama per i crediti di imposta per le piccole e medie imprese).
Il governo Prodi lasciò il rapporto debito-Pil attorno al 104% prima della crisi, oggi siamo intorno al 118 per cento. Un punto di Pil speso bene allora con alcune adeguate misure non avrebbe cambiato di molto la situazione, anzi secondo me avrebbe consentito un minore impatto della crisi.

N.B. Quanto raccontato in questa lettera fu anche oggetto di un incontro casuale che avvenne nel mio ufficio con il ministro Padoa-Schioppa qualche tempo prima della fine del governo Prodi.

* Enrico Micheli è stato sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Prodi

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