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Autore Discussione: DIARIO TRI/VENETO (2)  (Letto 63078 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Marzo 09, 2008, 12:44:21 am »

LO SOSTIENE IL CNEL

OLTRE 4 MILIONI GLI IMMIGRATI, PIU' INTEGRATI AL NORD EST

 
Gli immigrati presenti in Italia hanno superato nel 2007 la soglia dei 4 milioni, dei quali piu' di 3 milioni risultano residenti. Il loro standard di vita e' decisamente peggiore di quello degli italiani ed anche nelle regioni in cui e' vi e' un trattamento piu' egualitario si registra un gap di circa il 40% a sfavore rispetto alla situazione degli italiani. I migliori livelli di integrazione si registrano nel Nord est e nella fascia adriatica, dal Trentino al Friuli fino all'Abbruzzo, includendo pero' anche la Lombardia.

E' quanto sostiene una ricerca del Cnel presentata nel corso della "Giornata dell'integrazione", da cui emerge che le regioni che garantiscono un trattamento piu' ugualitario sono il Fiuli Venezia Giulia (63 punti contro i 30 della Puglia), il Trentino Alto Adige e il Piemonte. Lo studio rileva che per numero di presenze restano al primo posto Milano e Roma, ma l'aumento maggiore di popolazione straniera si e' registrato in Umbria e Marche: dal 1994 al 2004 la crescita e' stata del 400% (mentre a livello nazionale e' intervenuto il raddoppio), seguite dal Veneto e dall'Emilia Romagna (+300%).

A livello provinciale, si segnala Prato con un aumento della popolazione immigrata di ben 31 volte, seguita da Rimini (18) e Crotone (16). La densita' di immigrati per kmq e' massima nella provincia di Milano (156 per kmq), che distanzia Trieste (82), Prato (82) e Roma (64).

Le regioni che offrono le condizioni piu' favorevoli per l'integrazione sono il Trentino Alto Adige, il Veneto, la Lombardia, l'Emilia Romagna, le Marche, il Friuli Venezia Giulia. A livello provinciale, quasi la meta' delle province italiane (48 su 103) presenta condizioni potenziali per un'integrazione degli immigrati massimamente o altamente soddisfacente, contro un terzo (35) in cui tale potenziale e' basso o minimo.

(AGI) - Roma, 7 mar. -
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« Risposta #46 inserito:: Marzo 30, 2008, 04:18:20 pm »

Negli elenchi distribuiti alle Procure d’Italia ci sono anche imprenditori del Friuli Venezia Giulia e del Trentino Alto Adige.

Numerose le smentite 


Quaranta nomi veneti tra i conti di Vaduz 


Fra i titolari dei depositi in Liechtenstein anche un ex ufficiale della Guardia di Finanza in servizio a Treviso e Venezia
 
Venezia



Sono una quarantina i nomi di contribuenti veneti - soprattutto imprenditori, gioiellieri, commercialisti - che compaiono nella «lista italiana» con persone e società conti in Liechtenstein.

Tra questi anche un alto ufficiale della Guardia Finanza oggi in pensione. Il colonnelloStefano D'Archino, negli anni Novanta vicecomandante del Nucleo regionale di polizia tributaria di Venezia e poi responsabile de comando provinciale delle Fiamme gialle di Treviso, risulterebbe intestatario di un conto da 700 mila euro. Accanto al suo nome compare anche quello della moglieClara Zachin. Ma tra i coinvolti, quasi la metà (14), ha regolarizzato la posizione con il fisco italiano nel 2002, usufruendo dello scudo fiscale inventato dal ministro Tremonti. È il caso del «paperone» della lista veneta, l'imprenditore vicentino dell'acciaioNicola Amenduni(15,5 milioni di euro a Vaduz), che risulta aver regolarizzato i conti con la cosiddetta «integrativa semplice», una sanatoria che poteva riguardare un singolo anno e integrava gli importi già versati. Gli Amenduni, nei giorni scorsi, avevano escluso tuttavia il possesso di beni all'estero «in violazione o elusione della normativa fiscale», precisando che le partecipazioni in società estere erano state acquisite «nel pieno rispetto della normativa tributaria».

Altra facoltosa famiglia di imprenditori ricorsa nel 2002 al condono «tombale» è quella dei veronesi Facchini (Dino e i figli Mathias, Masha e Manuel) titolari fra l'altro con la Swinger International del marchio della moda Byblos. I 7,5 milioni di euro fatti rientrare in Italia con il condono avrebbero fatto finire nella lista del Liechtenstein anche due altri veronesi, il commercialistaRoberto Maria Rubini e il figlio Marco. I quali, precisano però, conti a Vaduz non ne hanno mai avuti; semplicemente, spiega Roberto Rubini, sono rimasti nelle tracce informatiche di Vaduz perché hanno agito professionalmente proprio per far rientrare i capitali dei Facchini.

Un altro veronese noto, il contePietro Arvedi D'Emilei, patron del Verona Calcio (1,2 mln) aveva a sua volta sistemato la propria posizione nel 2002, grazie alle leggi per il recupero dei capitali all'estero. Lo stesso vale per la famiglia di gioiellieri vicentini Chimento(6,3 milioni l'importo del conto intestato ad Adriano Chimento), che risulta aver usufruiti del condono fiscale. Compaiono anche la moglieTeresita Romio, Federica e Mario Chimento. In un'altra posizione Giancarlo Chimento e Gabriella Berti.

Nella lista vi sono poi nomi meno noti o sconosciuti ai più. Come quello di un piccolo imprenditore vicentino,Paolo Facci, di Schio, che a Vaduz aveva depositato qualche decina di migliaia di euro («il conto non arrivava a 100 mila» dice), condonati nel 2002, sostiene l'uomo. «Li ho riportati in Italia con lo scudo fiscale, ho regolarizzato tutto - spiega - ma fa male vedere che ora il mio nome compare comunque in questa lista infamante». Altri vicentini nella lista: Paola Costa, Emilia e Ruggero Garbin.

C'è poi chi nega di aver mai avuto conti a Vaduz, come un imprenditore padovano del settore dei metalli, Graziano Grosselle, di Cittadella: «Non sono io, si tratta di un omonimo», ha detto Grosselle. A questo nome vengono comunque attribuiti 650 mila euro non condonati. Per rimanere nell'Alta Padovana, nella lista diffusa c'è il nome dell'imprenditore nel settore delle macchine utensiliPiergiorgio Trevisan. Nel suo conto 1,5 milioni di euro che non risultano condonati. Non è indicata nessuna cifra in quello intestato alla moglieMaria Isabel Velasco Valladarescome pure in quelli attribuiti alle due figlie Nuria ed Eva Chiara.

Ma proprio con la pubblicità dei nominativi sono cominciate le polemiche sull'attendibilità della stessa poichè alcuni imprenditori che hanno letto il proprio nome, avevano sì portato somme di denaro all'estero anche ingenti, ma avevano regolarizzato la loro posizione con il fisco italiano dopo la normativa del 2002 facendo rientrare il denaro in Italia. Adesso si trovano in quella che alcuni di essi non hanno desitato a definire senza mezzi termine come "lista infamante". E nomi sono spuntati anche in Friuli.Lo ha confermato ieri il capo della procura Luigi Delpino, che però non ha voluto aggiungere altro. Da quanto si è appreso i documenti riguarderebbero uno dei componenti della famiglia Zanussi e in particolareAntonio Zanussi(gli altri Zanussi,Aldo, Emilia, Antino ed Elisa Guiotto sono domiciliati in Veneto ed è perciò competente un'altra Procura, quella di Belluno). «Non ho ricevuto nulla - ha detto ieri pomeriggio Antonio Zanussi - quello che so l'ho appreso dai giornali». Nel Bellunese risultano poi Franco De Pasqual (650mila euro), Osvaldo Valmassoi e Anita Casanova.. Altri nomi veronesi in lista quelli della famiglia Aspes: Giovanni, Claudia, Valentina, Marco Pietro, Pietro e Bertha Pernstich. E sempre nella città scaligera Peter Hinrich AxteInge Axt, e Liana Paccagnella.

Spostandoci oltre i confini veneti, va segnalato che nella lista di Vaduz risulterebbe anche Karl Schmid imprenditore altoatesino ex re dell'amaro Jaegermeister, in lista per un conto da milione e mezzo di euro. «Per me si tratta di una grande bufala. Io ho la coscienza a posto», ha spiegato.


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L’IDENTIKIT 
In lista industriali, sportivi e un parroco Polemiche sulla divulgazione delle liste
 
 
ROMA - Smentite, precisazioni e prese di distanza da presunti illeciti: ha provocato reazioni distinte la pubblicazione della lista italiana completa dei titolari di conti bancari in Liechtenstein su cui sono al lavoro 38 procure.
Alcuni negano di avere fondi milionari a Vaduz, altri escludono di essere la persona indicata nell'elenco ma c'è anche chi non ha problemi a confermare chiarendo di aver già regolato i conti con il fisco e con la legge. Complessivamente sono 390 gli indagati per omessa e infedele denuncia dei redditi ma tra le persone in questione diversi potrebbero, appunto, già aver sanato la loro posizione, anche attraverso la legge del cosiddetto scudo fiscale, mentre per altri, magari residenti all'estero o non cittadini italiani, potrebbe non ravvisarsi alcun reato.

«Quei soldi in Liechtenstein erano i guadagni del mio stabilimento in Austria, per i quali ho già pagato il condono» ha spiegato Romano Freddi, 74 anni, industriale del settore alimentare del mantovano, indicato nell'elenco con la moglie e due figli per otto milioni di euro. «Sì sono io e che problema c'è? Ho portato questi soldi in Liechtenstein 30 anni fa. Ho dichiarato tutto, ho pagato le tasse dovute e non ho niente da nascondere», conferma Dario Pruneri, imprenditore bolzanino di imballaggi di plastica, in lista con dieci milioni di euro.

Marco Piccinini ribadisce la sua «perplessità» sostenendo che un semplice controllo confermerebbe che egli non risiede in Italia dal 1972 e che non è cittadino italiano. L'ingegner Giampiero Pesenti, presidente del gruppo Italmobiliare, «ribadisce categoricamente di non avere alcun deposito bancario intestato in Liechtenstein.

L'ipotesi formulata di un deposito derivante dall'eredità della madre, Rosalia Pesenti, deceduta alla fine di agosto dello scorso anno è completamente destituita di fondamento in quanto non è ancora stato avviato l'iter esecutivo testamentario».

Smentita categorica anche dal senatore di Fi Luigi Grillo (650 mila euro):«Mai posseduto una cifra di tale enormità ». In Liguria, tra le persone chiamate in causa, c'è don Lorenzo Nanni, parroco di S. Pietro in Davagna un paesino del genovese: «Sono basito. Non so cosa dire» è stato il suo commento.

La diffusione dell'intero elenco ha provocato l'irritazione del viceministro all'Economia, Vincenzo Visco: «È un fatto grave che compromette l'immagine dell'Italia in Europa. Quei dati possono essere utilizzati a fini fiscali o per indagini penali, ma devono comunque restare riservati. Il fatto che ciò non sia avvenuto in Italia, unico Paese tra quelli coinvolti a violare in modo così plateale il principio della collaborazione internazionale, può indurre i nostri partner a considerare scarsamente affidabile il sistema paese e può compromettere la collaborazione internazionale nel contrasto all'evasione fiscale». La prossima settimana la Procura di Roma inoltrerà al ministero della Giustizia la richiesta di rogatoria internazionale per ottenere documenti ufficiali che avallino la lista «romana» di presunti evasori fiscali. Considerata la riservatezza di Vaduz, esiste però il rischio che la rogatoria non venga accolta.
 

 
da gazzettino.quinordest.it
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« Risposta #47 inserito:: Aprile 08, 2008, 10:13:19 pm »

Fassino: «I valori del Nordest sono anche i nostri»

Ninni Andriolo


«Prima con Berlusconi avevamo un’unica possibilità, adesso con il Pd abbiamo due opzioni tra le quali scegliere». Il Nordest raccontato dagli imprenditori del distretto del mobile dell’asse del Livenza, che incontrano Fassino in una cascina del Trevigiano.

Il Nordest raccontato da quelli che sono passati «dal tornio alle Mercedes», che esportano in Cina, in India o in America Latina e stipano di merci i Tir che intasano l’Autostrada che taglia il Triveneto.

Sommando il fatturato dei «capitani d’azienda» riuniti nella cascina Piovesan di Campomolino si raggiungono cifre da capogiro. Sono una cinquantina gli imprenditori che si danno appuntamento per il pranzo nella campagna trevigiana a pochi chilometri da Oderzo. Lì si consuma un rito ventennale che si ripete ogni lunedì, settimana dopo settimana, e che prevede la cena, qualche partita a scopone e interminabili discussioni sulle aziende, sull’economia e, naturalmente, sulla politica e sul governo.

Giovedì scorso, eccezione alla regola del lunedì, la tavolata era stata predisposta per Piero Fassino, che da settimane batte il Nord e aveva messo in calendario due giorni veneti fitti di incontri, comizi e appuntamenti. Qui, spiega l’ultimo segretario dei Ds, «c’è la più grande concentrazione di lavoro dipendente, ma anche di lavoro autonomo, d’Italia. Un valore forte che va riconosciuto, mettendo fine al luogo comune che identifica i lavoratori autonomi come evasori fiscali». Una volta l’anno, da quando era ministro per il Commercio estero, Fassino è ospite abituale della cascina Piovesan, proprietà di una nota famiglia di imprenditori del legno. Una solida costruzione contadina, circondata dalla campagna veneta, dove nulla suona come sfarzosa ostentazione di ricchezza. Se non fosse per le Porsche, Mercedes, Bmw e Suv parcheggiati nell’aia che fronteggia il fabbricato, il pranzo suonerebbe come una rimpatriata tra compagni di scuola che si raccontano una vita guadagnata lavorando sodo e senza sfarzi.

Tavola apparecchiata con tovaglie di carta e piatti di plastica, prosecco sorseggiato davanti al grande camino in pietra, tra una statua di Padre Pio e i poster del mago “David Cats” che, evidentemente, ha allietato qualcuno dei lunedì di casa Piovesan. Appese alle pareti le fotografie degli amici che hanno trasferito gli incontri di Campomolino da quando un certo bar del paese chiuse i battenti.

Luciano Benetton questa volta non c’è, perché è impegnato all’estero, ma non mancano le foto che lo ritraggono tra i commensali più assidui. Come non mancano quelle di Fassino. Gli imprenditori dell’asse del Livenza hanno lasciato per qualche ora la fabbrica per incontrarlo. Molti di loro votano abitualmente per il centrodestra, ma la stima per Fassino - che conoscono da anni - li spinge a non mancare l’appuntamento. E poi la novità del Partito democratico qui non passa inosservata e fa riflettere. Anche «la candidatura di Calearo rappresenta un mondo produttivo del Nordest che in passato ha guardato con diffidenza al centrosinistra», commenta l’ultimo segretario della Quercia.

Pranzano insieme e parlano dell’economia che non tira, delle tasse che pagano, dello Stato lontano dal Nordest, dei contributi «a pioggia e a fondo perduto» che non servono a nulla. Arrosto, polenta, formaggio e grande insalatiere colme di radicchio. Raccontano le scommesse vinte all’estero, le commesse ottenute in capo al mondo, le imprese che tirano.

«Non vogliamo soldi gratis dallo Stato», precisa uno di loro. Chiedono infrastrutture, servizi, efficienza amministrativa, federalismo fiscale, meno tasse e meno burocrazia. Ma chiedono, soprattutto, di essere riconosciuti dallo Stato per quelli che sono. Chiedono di non essere considerati pregiudizialmente come degli evasori. Rimproverano al centrosinistra di averli visti come «fumo negli occhi». Chiedono che il Sud marci più svelto, perché «non si può andare avanti con mezza Italia che produce e mezza no». «Le aziende investono se hanno fiducia nel governo», dice uno di loro, e si capisce che qui la fiducia nella politica, tutta la politica, scarseggia perché politica per loro vuol dire “casta”. Oggi a Campomolino c’è anche il vice presidente di Veneto Banca e lo stato maggiore dell’Unione industriali di Treviso, con il nuovo presidente che guida una struttura di 2500 imprese. Profondo Nordest, uno spaccato di mondo raccolto intorno a due grandi tavolate, dove troneggiano bottiglioni di vino rosso e di vino bianco. Alla fine, poi, con il caffè compare anche la grappa. Da piccolissime, in pochi anni, le imprese di chi partecipa all’incontro con Fassino sono diventate realtà economiche di tutto rispetto. «Da noi si fatica insieme agli operai - spiegano - E si guarda all’imprenditore come al padrone che deve piangere». Oggi, naturalmente, si parla anche di elezioni, di Veltroni e Berlusconi, del Pd che va da solo. Qui per contare chi ha votato a sinistra bastano e avanzano le dita di una sola mano.

Hanno guardato alla Lega e poi a Berlusconi, ma oggi si avverte un certo disincanto per il Cavaliere. Che, a dispetto dei consensi che ha rastrellato, da queste parti non è stato mai realmente amato. La cultura contadino-industriale di chi si è «fatto da solo», infatti, è lontana mille miglia da quella di chi ha messo in piedi un impero economico sotto l’ala protettrice della politica. Concorrenza e libero mercato sono parole sacre, da queste parti. E anche per questo Prodi, associato all’Iri ricorda un capitalismo di Stato che non seduce. «Abbiamo radici contadine, solidarietà ed equa distribuzione da noi sono valori condivisi - spiegano - Qui qualcuno era socialista e qualcun altro democristiano e abbiamo bevuto assieme al latte materno una cultura antica che ha lasciato un’impronta forte nel grande sviluppo industriale di queste zone... ». Il centrodestra che da queste parti la fa da padrone? «Se si è costretti a mangiare un’unica minestra - spiegano - anche se non ti piace devi fartela piacere lo stesso». Traduzione: il centrosinistra che mette «lacci e lacciuoli burocratici come ha fatto Pecoraro Scanio con le sue circolari ministeriali sull’ambiente», dimostra che «si guarda a noi con la puzza sotto al naso» e «non possiamo che prenderne atto». Anche adesso che c’è il Partito democratico? La novità è che la politica del Pd è arrivata, e anche qui il 14 aprile si potrebbero registrare sorprese.

Che si respiri qualcosa di nuovo è abbastanza evidente, lo si annusa, lo si avverte in modo epidermico. «C’è una grande attenzione per il Pd», sintetizza Fassino. Quando arriva il momento dei discorsi, alla fine del pranzo, Fassino spiega che «nell’ultimo Parlamento si contavano 39 partiti, mentre nel prossimo ce ne saranno al massimo 5» e che si è determinata «una vera e propria riforma del sistema politico provocata dall’entrata in scena del Pd». Veltroni ha avuto il coraggio di cambiare, sottolinea Fassino, «gli altri lo hanno copiato e si sono dovuti acconciare a fare la stessa cosa». «In effetti c’è stata una semplificazione - ammette Fiore Piovesan, imprenditore che appartiene ad un ramo della famiglia dei proprietari della cascina - E questo è utile, perché oggi un imprenditore può dire: bene c’è una sinistra che si colloca dove si colloca, e c’è una forza politica nuova della quale puoi condividere alcune cose e altre no. Ma quantomeno ci si comincia a riflettere sopra e ci sono due possibilità tra le quali scegliere».

A differenza del passato, quindi, in campo non c’è solo Berlusconi. E Fassino ripete a Campomolino quello che spiegherà anche a Padova, a fianco del sindaco Zanonato, o a Treviso o a Mestre, o davanti al gazebo Pd della Piazza Grande di Oderzo. «Noi qui governiamo 6 regioni su 8, molte province e molte città anche difficili come Bergamo, Brescia, Pordenone, Udine, Belluno. Altro che estranei, altro che lontani dal Settentrione». E agli imprenditori della cascina Piovesan l’ultimo segretario Ds spiega che «l’Italia non può rischiare di essere emarginata in Europa e nel mondo, come vorrebbero Maroni, Fini e Tremonti che propongono i dazi doganali. Oggi - sottolinea - il saldo commerciale con la Cina è in attivo come l’export dell’Italia. Insomma, è la qualità produttiva del Nordest che ci ha fatto vincere la sfida sui mercati, e senza dazi». E Fassino elenca poi i «cinque temi della questione settentrionale: lavoro, infrastrutture, pubblica amministrazione efficiente, fisco e sicurezza». Le infrastrutture, ad esempio, servono anche «perché le imprese sopportano un costo aggiuntivo, ogni mattina, quando le merci escono dai cancelli». Al nord, ripete Fassino, «c’è la società più dinamica e competitiva d’Italia. Ed è abituata a misurare ogni giorno il tasso di efficienza dello Stato e chiede alle istituzioni di essere all’altezza».

Quanto al fisco, poi, «il 70% dei contribuenti vive al Nord» e il Pd «vuole ridurre le tasse alle aziende e ai lavoratori dipendenti» e propone «la riduzione fiscale del 50% delle somme investite in ricerca e sviluppo, oltre al credito d’imposta per chi trasforma a tempo indeterminato il contratto di lavoro a termine». La sicurezza, ancora, che è problema impellente da risolvere. E che è «un diritto da garantire con le forze dell’ordine e la certezza della pena». Il pranzo è finito, Fassino saluta e risale in macchina. «Lo sanno che hanno un’altra possibilità concreta, diversa da quella di Berlusconi - spiega - Vedo un clima nuovo, la battaglia è competitiva e si tratta di convincere gli incerti, ma il Pd ha buone possibilità di vincere».

Pubblicato il: 07.04.08
Modificato il: 07.04.08 alle ore 8.13   
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« Risposta #48 inserito:: Luglio 05, 2008, 05:09:08 pm »

Aviano, in cinque contro gli Usa: via le bombe

Alessia Grossi


La Corte di Cassazione deciderà l'8 luglio se il Tribunale di Pordenone può o meno deliberare in merito alla causa intentata da cinque cittadini di Aviano contro gli Stati Uniti per ottenere la rimozione delle 50 armi atomiche presenti nella loro base Usaf.

Insomma, i cittadini di Aviano, minacciati dal rischio di vivere praticamente sulle bombe atomiche ne hanno chiesto la rimozione agli Stati Uniti tramite il tribunale di Pordenone, ma gli avvocati americani e il Procuratore Generale della Repubblica hanno obiettato che il giudice di Pordenone, in quanto magistratura ordinaria sarebbe «incompetente» a decidere in merito.

La questione posta dal comitato di Aviano «Via le Bombe» è che le armi nucleari costituirebbero una lesione ai diritti fondamentali dell'uomo. «Il pericolo per i cittadini - spiega Giuseppe Rizzardo, uno dei cittadini attori del processo - non sussiste infatti soltanto in caso di utilizzo della testate nucleari, ma è un rischio perenne e in quanto tale lede i diritti fondamentali dell'uomo».


Secondo gli Usa invece, il danno e il rischio eventuale che le testate nucleari potrebbero provocare ai cittadini di Aviano non sarebbero di competenza di un tribunale ordinario italiano dal quale giudizio gli Usa sarebbero immuni. A dirlo, secondo gli avvocati statunitensi, sarebbe l'articolo VIII comma 9 della Convenzione tra gli Stati «parti» del Trattato dell'Atlantico del Nord, quello che regola lo stato e l'invio delle truppe.

«Il nostro controricorso - dicono invece gli avvocati dell'associazione «Via le bombe atomiche» - si basa sul fatto che quell'articolo nella versione italiana manca manca del «non». Cioè al posto di scrivere: «lo Stato d'invio (in questo caso i militari di stanza nella base d'Aviano) per quanto concerne la giurisdizione civile dei Tribunali dello Stato ricevente, non può avvalersi dell'immunità dalla giurisdizione civile dei Tribunali dello Stato ricevente a favore dei membri di una forza armata o di un elemento civile» scrive: «può avvalersi ecc..» mancando del non.

«Poichè questo Trattato è valido soltanto nella versione francese ed inglese - sostengono i legali di Aviano- la Cassazione dovrebbe riconoscere l'errore di traduzione e attenersi al testo della Francia e dell'Inghilterra e riconoscere così la competenza del giudice di Pordenone a procedere non riconoscendo l'immunità agli Usa».

«Se il controricorso passasse l'8 luglio a quel punto si potrebbe entrare nel merito - spiega Giuseppe Rizzardo, per arrivare a dimostrare che le armi di Aviano non rispetterebbero gli standard di sicurezza previsti dal Ministero della Difesa italiano e quindi che vanno rimosse». Gli stessi standard, tra l'altro, non rispettati dalle altre 40 bombe atomiche americane presenti a Ghedi in provincia di Brescia, che tra l'altro è anche l'unica base italiana in Europa ad ospitare le bombe americane dopo lo smantellamento di tutte le altre perché ritenute inutili. «Da qui il pericolo che quelle di Ghedi finiscano proprio ad Aviano, considerata per ora una base più sicura» spiega ancora Rizzardo.

«Nel merito della questione - ricorda uno dei legali di «Via le bombe», bisogna tener presente però che avere i risarcimenti chiesti per la presenza delle testate atomiche e lo smantellamento delle bombe perché lesive della sicurezza e dei diritti umani non sarebbe comunque facile. Infatti, nonostante l'Italia abbia ratificato il Trattato di non proliferazione resta il fatto che per la legge americana il mantenimento di testate nucleari sul suolo straniero non costituisce nessuna minacci ma solo un beneficio».

Di tutt'altro parere, ovviamente, sono i cittadini di Aviano che vivono sulle bombe.

Ma la data del processo in Cassazione farebbe ben sperare. Proprio l'8 luglio del 1996 - infatti- ricorda Luisa Morgantini, vice presidente del Parlamento Europeo che ha ospitato la conferenza stampa alla sede italiana del Parlamento europeo di Roma - la Corte Internazionale dell'Aja ha stabilito che l'uso e la minaccia dell'uso delle armi atomiche è contrario al diritto internazionale».

«In realtà per riconoscere l'illegalità delle armi atomiche nel nostro paese basterebbe applicare l'articolo 11 della Costituzione italiana: L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali - spiega Lisa Clark- portavoce della campagna «Un futuro senza atomiche» e promotrice della proposta di legge di iniziativa popolare per l'eliminazione delle bombe atomiche americane in suolo italiano già all'analisi della Camera. In più ci sarebbe sempre il Trattato di non proliferazione ratificato dall'Italia quarant'anni fa - aggiunge la Clark - in base al quale Italia non solo si impegna a non produrre armi nucleari, ma anche a non ospitare sul suo territorio testate nucleari».

L'8 luglio 2008 potrebbe essere la data dell'inizio della messa al bando reale delle armi atomiche da «Aviano, dall'Italia, dal mondo».


Pubblicato il: 04.07.08
Modificato il: 04.07.08 alle ore 20.08   
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« Risposta #49 inserito:: Agosto 09, 2008, 06:30:42 pm »

2008-08-09 10:36


NUBIFRAGIO A GRADO, MORTI PADRE E FIGLIO


GRADO (GORIZIA) - Due turisti norvegesi sono morti a Grado (Gorizia) a causa del nubifragio che ieri sera ha colpito la località turistica friulana. Trombe d'aria e violenti nubifragi hanno colpito infatti ieri sera ampie zone del litorale del Friuli Venezia Giulia, da Trieste a Lignano Sabbiadoro (Udine).

Le vittime nel campeggio sono Stale Nilds Hammer, di 44 anni, e di suo figlio Dastrom di otto anni. La madre - che era con loro nella tenda del camping 'Al bosco' - è rimasta invece illesa. I tre sono stati travolti da un grosso albero caduto a causa delle forti raffiche di vento. Sempre a Grado - la cittadina turistica non è più isolata - una terza persona, un uomo di 61 anni, è rimasto gravemente ferito colpito da un ramo staccatosi da un albero. L'uomo, trasportato nella notte all'ospedale di Grado, è stato poi trasportato a Udine. Non è in pericolo di vita. La Protezione civile del Friuli Venezia Giulia ha allertato 150 volontari che da ieri sera sono all'opera a Grado, Palazzolo dello Stella, Marano e Lignano.

Il nubifragio ha colpito ampie zone del litorale, da Trieste alle foci del Tagliamento. I danni, secondo una prima e parziale stima, sarebbero molto ingenti. Colpiti diversi impianti turistici, abitazioni private, strutture pubbliche, ma anche le strutture viarie della zona hanno subito danni consistenti.
L'ospedale civile di Latisana (Udine) è al momento la struttura pubblica che ha subito maggiori danni. Dalla prime valutazioni effettuate dai tecnici della Protezione civile regionale, circa 800 mq della copertura dell'ospedale sono stati gravemente danneggiati. Al momento la parte interessata è stata coperta con teli di emergenza, ma si sta lavorando per realizzare una prima struttura solida, in attesa del rifacimento del tetto.

Il maltempo ha causato gravi danni anche al castello di Duino (Trieste), abitato dalla famiglia Torre e Tasso. Le violenti raffiche di vento hanno sradicato alcune decine di alberi secolari che sono caduti sui viali e su alcune ali del maniero del quattordicesimo secolo. Il castello è stato chiuso al pubblico. I danni sono ingenti quantificabili in diverse centinaia di migliaia di euro.

CIRCA 700 TURISTI SFOLLATI A GRADO
Sono circa 700 i turisti sfollati dai camping di Grado (Gorizia) che saranno ospitati nel Palazzetto dello Sport della località balneare colpita tra ieri notte e questa mattina da una tromba d'aria: lo ha affermato il coordinatore comunale della Protezione civile, Gianluca Felluga. "E' stata appena costituita l'Unità di crisi - ha affermato Felluga, interpellato dall'ANSA - per affrontare gli ingenti danni causati dal maltempo". Attualmente - ha detto Felluga - nel Palazzetto dello Sport sono ospitati circa 150 turisti allontanati dai camping, "ma stimiamo di arrivare a 700 ospiti in serata, al termine dei controlli nelle strutture turistiche che li ospitavano". I danni più gravi sono stati causati al camping 'Al bosco' dove un albero è caduto su una tenda causando la morte di due turisti norvegesi, padre e figlio.

APPELLO A TURISTI, ORA NON VENITE A GRADO
Il sindaco di Grado ha sconsigliato i turisti del Friuli Venezia Giulia di raggiungere l'isola d'oro. "Questo perché - ha spiegato Silvana Olivotto - stiamo predisponendo i primi soccorsi e stiamo mettendo in sicurezza tutte le strutture colpite dalla tromba d'aria. I turisti potrebbero ostacolare queste operazioni". A Grado sono stati colpiti diversi campeggi. nei vari punti critici stanno operando la Protezione civile e un centinaio di Vigili del fuoco provenienti anche da Veneto ed Emilia Romagna. 


da ansa.it


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un terzo uomo gravemente ferito. danni ingenti anche a lignano, marano e palazzolo
Tromba d'aria a Grado, muoiono 2 turisti
Stale Nilds Hammer, 44enne norvegese, e il figlio di 8 anni travolti da un albero mentre erano in tenda

GRADO - Due turisti norvegesi sono morti a Grado (Gorizia) a causa del nubifragio che venerdì sera ha colpito la località turistica friulana. Lo ha confermato la protezione civile del Friuli Venezia Giulia. Si tratta di Stale Nilds Hammer, di 44 anni, e di suo figlio Dastrom di otto anni. La madre - che era con loro nella tenda del camping «Al bosco» - è rimasta invece illesa.

LA TROMBA D'ARIA - I tre sono stati travolti da un grosso albero caduto a causa delle forti raffiche di vento. Sempre a Grado - la cittadina turistica non è più isolata - una terza persona, un uomo di 61 anni, è rimasto gravemente ferito colpito da un ramo staccatosi da un albero. L'uomo, trasportato nella notte all'ospedale di Grado, è stato poi trasportato a Udine. Non è in pericolo di vita. La Protezione civile del Friuli Venezia Giulia ha allertato 150 volontari che da ieri sera sono all'opera a Grado, Palazzolo dello Stella, Marano e Lignano. Il nubifragio e la tromba d'aria, infatti, hanno colpito ampie zone del litorale, da Trieste alle foci del Tagliamento. I danni, secondo una prima e parziale stima, sarebbero molto ingenti. Colpiti diversi impianti turistici, abitazioni private, strutture pubbliche, ma anche le strutture viarie della zona hanno subito danni consistenti.

700 TURISTI SFOLLATI - Sono circa 700 i turisti sfollati dai camping di Grado che saranno ospitati nel Palazzetto dello Sport della località balneare colpita tra venerdì notte e sabato mattina da una tromba d'aria: lo ha dichiarato il coordinatore comunale della Protezione civile, Gianluca Felluga. Il sindaco di Grado intanto ha invitato i turisti del Friuli Venezia Giulia a non raggiungere l'isola d'oro.


09 agosto 2008

da corriere.it


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9/8/2008 (6:56)
Tromba d'aria in Friuli, due morti
 
Dopo l'incidente in zona è scattato l'ordine di evacuazione
 
 

Un albero ha travolto la tenda di una famiglia norvegese in campeggio. Ci sarebbe anche un ferito in gravi condizioni
ROMA
Un uomo di nazionalità norvegese e il figlio di otto anni sono morti per le conseguenze di un violento nubifragio accompagnato da una tromba d’aria che ha colpito in nottata il litorale del Friuli Venezia Giulia, e in particolare la zona di Grado (Gorizia).

I due - hanno riferito le autorità cittadine - dormivano in una tenda in un campeggio della località turistica, quando un albero si è abbattuto su di loro spinto dal vento. La moglie dell’uomo e madre del bambino che giaceva loro accanto, è rimasta illesa. In zona è stato segnalato un altro ferito grave e per tutto il campeggio è scattato l’ordine di evacuazione, mentre il Comune si è subito allertato per offrire alloggi di fortuna a chiunque ne abbia necessità.

Il violento temporale, durato non più di 15 minuti, ha causato danni ingenti in molte zone del litorale nord orientale. Diverse strade, tra Lignano Sabbiadoro (Udine) e Monfalcone (Gorizia) sono rimaste bloccate a causa di alberi e massi caduti sulla carreggiata. La protezione civile, intervenuta con 150 volontari e dieci tecnici, la polizia stradale e il 118 hanno ricevuto numerose chiamate di soccorso, alle quali stanno cercando di fare fronte nonostante gli ostacoli alla viabilità.


da lastampa.it


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« Risposta #50 inserito:: Settembre 02, 2008, 10:02:43 pm »

Squillo per un politico, tre indagati a Trieste

 
TRIESTE (2 settembre) - Tre professionisti friulani sono indagati dalla Procura della Repubblica di Trieste per l'ipotesi di reato di favoreggiamento della prostituzione per aver favorito incontri di un esponente nazionale di Forza Italia con alcune prostitute. Le persone iscritte nel registro degli indagati sono l'imprenditore Riccardo Di Tommaso, proprietario della linea di esercizi commerciali Bernardi, l'avvocato Massiliano Basevi e l'albergatore Franco Marini.

L'inchiesta, condotta dal pm Raffaele Tito, fa riferimento a cinque episodi compresi nel periodo fra il novembre 2007 e la fine dello scorso marzo che sarebbero avvenuti a Udine nell'albergo di Marini. Gli incontri con le prostitute (in particolare sudamericane e dell'Est) sono stati scoperti nel corso di intercettazioni telefoniche relative a un'indagine di natura fiscale, alle quali - riportano oggi i quotidiani Il Piccolo e Messaggero Veneto - sono poi seguiti accertamenti del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Trieste, pedinamenti, interrogatori e verifiche telematiche. Nessun particolare è trapelato finora sull'identità del politico che non risulta indagato.

da www.ilmessaggero.it
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« Risposta #51 inserito:: Settembre 04, 2008, 06:57:48 pm »

CRONACA

Una legge regionale ferma la costruzione di 215 villette

Blitz di protesta anche al festival del cinema di Venezia

"Dal Molin, niente ampliamento" Gli Usa: stop al piano-caserma


dal nostro inviato MASSIMO PISA


VICENZA - Più che i comitati e i cortei, più che i ricorsi al Tar e i preannunciati blitz alla Mostra del cinema di Venezia, poterono un ufficio tecnico comunale e una leggina regionale. Che obbligano l'esercito americano a cancellare il contestatissimo ampliamento della caserma Ederle, le famigerate 215 villette da tre, quattro e cinque stanze da costruire a ridosso dell'aeroporto Dal Molin.

E a ripensarne uno meno ampio e più frazionato, piccoli insediamenti intorno a Vicenza sul modello della base Nato di Aviano. Il progetto originale, infatti, avrebbe obbligato il comune di Quinto Vicentino, 5.383 abitanti a nord-est del capoluogo, a bloccare ogni nuova costruzione per i prossimi dieci anni, in base al regolamento urbanistico della regione Veneto governata da Giancarlo Galan, proconsole di Berlusconi e ultrà della prima ora della base americana.

Da qui il passo indietro volontario dell'esercito a stelle e strisce.

"Quinto è morto", sentenzia l'ingegner Kambiz Razzaghi, il responsabile dell'ampliamento della Ederle che ha annunciato il passo indietro sull'edizione online del quotidiano Stars and Stripes, il giornale dell'Us Army per i soldati stanziati in Europa e nel Pacifico. Dove, curiosamente, in home page campeggia l'annuncio dell'esercito per il reclutamento di nuove truppe in Germania e a Vicenza. "Le leggi del posto salvaguardano le aree agricole dagli insediamenti urbani - spiega Razzaghi - e se il consiglio comunale di Quinto avesse dato il via libera, avrebbero superato la loro quota di costruzioni per i prossimi dieci anni. Nessun cittadino si sarebbe potuto costruire la casa. Loro non volevano, i nostri contractor italiani nemmeno e così è saltato tutto".

Colpa di un progetto, quello per l'ingrandimento del quartier generale della 173ª Brigata aerea americana, concepito con regolamenti diversi. Scartata la ricerca di una zona alternativa, visto che i regolamenti riguardano l'intero Veneto e che i lavori della Ederle 2 non erano ancora partiti, si è quindi deciso di adottare il modello Aviano, dove oltre una ventina di piccoli insediamenti sono sparpagliati nei comuni limitrofi.
La retromarcia promette di ridar fiato al Comitato "No Dal Molin", fiaccato dalla sentenza del Consiglio di Stato di fine luglio, aveva dato il via libera ai lavori smentendo una sentenza del Tar del Veneto e svuotando di significato il referendum consultivo annunciato dal sindaco di Vicenza Achille Variati (Pd) per il 5 ottobre. E rischia di cambiare anche il calendario delle proteste: per sabato i comitati avevano annunciato il via di un "campeggio nazionale" intorno alla Ederle, sorta di presidio per impedire l'avvio dei lavori.

E oggi una delegazione dei No-Dal Molin è attesa al Lido di Venezia per consegnare al commissario governativo alla base Paolo Costa il Premio Attila d'oro "come miglior devastatore di territori". L'ennesima polemica, l'ultima di quattro anni di battaglie, pareri governativi e carte bollate.

Costa ha già fatto sapere che "grazie al riutilizzo di edifici già esistenti, la base americana si amplierà conservando il più grande spazio verde vicentino che precedenti soluzioni volevano sacrificare". Il ritiro americano cancella tutto.


(4 settembre 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #52 inserito:: Settembre 05, 2008, 10:43:54 am »

Polenta e pellagra: una strage

Nella foto dell'archivio del "Gazzettino" di Venezia, due contadini veneti a cavallo tra Ottocento e Novecento.

Erano anni durissimi, per quelle terre oggi così ricche, che fornivano allora un terzo di tutta l'emigrazione italiana. Edoardo Pittalis, nel libro "Dalle Tre Venezie al Nordest", spiega che secondo i rapporti sanitari lungo il Terraglio, la strada per Treviso ingentilita parte per parte da splendide ville, "su 769 capifamiglia, 727 sono catalogati come "villici".

Il 65 % della popolazione adulta non sa leggere e scrivere, su 6.362 abitanti ci sono 541 pellagrosi. L'ospedale di Mogliano accoglie malati da tutto il Veneto, alla fine dell'Ottocento si registrano nella regione oltre 10 mila morti per pellagra".

Era la malattia delle tre "d": dermatiti, diarrea, demenza. La malattia della fame, dovuta all'eccessivo consumo di polenta: "Polenta da formenton/ aqua de fosso/ lavora ti paron/ che mi no posso".
 

dal sito di Gian Antonio Stella

 
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« Risposta #53 inserito:: Settembre 22, 2008, 06:47:13 pm »

I due volti del Nord-Est tra lavoro e razzismo


Toni Jop


Case, ville, capannoni, fabbriche, giardini, cancelli, case ville capannoni aziende. «Punto-linea-punto-linea», un «Morse» languido per chilometri e chilometri e i campanili a far niente, di tanto in tanto, immersi in questa disneyland pastello che scivola senza tempo tra Treviso, Asolo, Oderzo e oltre. Nord Est, fenomeno abusato, tra vizi e virtù; studi, analisi, servizi, reportage, è arrivato anche il cinema con Mazzacurati, Garrone, Molaioli, Munzi: una folla di sguardi per un «territorio» che ora passeggia vanesio nell’immaginario di mezza Europa: lì c’è la ricchezza, lì c’è il modello produttivo che funziona e riassume l’Italia che forse ancora non c’è, lì un terzo mondo, operaio e non solo, soffia positivo, alle spalle del marchio italiano, con la sua forza, con una capacità di soffrire e adattarsi che non ci appartiene più.

Infine, da lì esce quel nuovo-vecchio vocabolario odioso, razzista, che ha allarmato, nell’ordine: ogni sincero democratico, la Conferenza episcopale italiana, Bruxelles e tutte le organizzazioni di brave persone che si ispirano ai diritti fondamentali dell’uomo. Lì, c’è l’«eresia» delle panchine vietate agli estranei, di un ordine che rifiuta il meticciato culturale, che demonizza la diversità in una caccia disperata ad un paio di concetti che si vogliono rendere taglienti come un rasoio: identità e territorio. Lì c’è la Lega che conquista e strappa consensi ai berlusconiani proprio mentre predica e inietta nel tessuto sociale questa facile droga culturale che uccide l’elasticità delle risposte. Terribile. Ma se fosse questo, solo questo il «gas» che governa quella vasta realtà, avremmo un morto al giorno, ci sarebbe la «guerra» e la guerra dice che le contraddizioni sono insanabili, men che meno dalla politica, da questa politica. Invece, proprio lì vivono e lavorano (alcuni da due generazioni) oltre ottantamila immigrati, il 14-15% della popolazione totale, un rapporto molto duro se non è ingentilito da una spugna di ammortizzatori.

Quindi? Allora, forse, non c’è sintonia, non c’è coerenza tra quel vocabolario e quel che accade tutti i giorni tra casa, piazza e lavoro. Bossi urla fucili, ampolle padane, terroni a casa loro, Calderoli gli va appresso. Gentilini, dalla sua poltrona di vicesindaco trevigiano - lui, che non è attaccato al potere, sindaco per due legislature, non molla il governo della città anche se il prezzo da pagare è la rinuncia alla fascia da sindaco - rincara e impressiona i vescovi. Questi ultimi glielo fanno sapere che così, con quella ferocia non va e lui replica, in sostanza, mandandoli a quel paese, si facessero gli affari loro.

«Ma io no che non sono d’accordo con Gentilini - si libera Leonardo Muraro, presidente leghista della provincia di Treviso - la Chiesa può dire ciò che vuole e a volte può infastidire, ma fa il suo mestiere, non mi sentirete mai attaccare la Chiesa a quel modo». Alé: siamo in clima di sconfessione, nella stanza linda di questo amministratore, oppure è un abbaglio? «Figurarsi - prosegue - se appartiene alla nostra gente, cattolicissima, questa cultura reattiva nei confronti della Chiesa...no, no, qui siamo nel cuore del Veneto, nel cuore della vecchia “balena bianca” conviene non dimenticarselo...». Glielo sta dicendo a Gentilini? «E a chi sennò? Ovvio che ciascuno di noi è libero di comportarsi come crede, io anche». E non è che un amministratore leghista come lei, formato in area socialista, possa stancarsi un giorno di trascorrere gran parte del suo tempo a dimostrare che Gentilini e le sue parole non testimoniano la realtà di questo territorio? «Io faccio il mio lavoro, cosa vuole...e il mio lavoro consiste molto nel consentire che l’incrocio tra gli immigrati e la gente di qui non sia conflittuale, che se ne ricavi armonia umana e produttiva. Non è facile, sa? Alloggi, formazione...abbiamo persino inventato dei corsi supplementari di guida, gratuiti, dopo che ci siamo accorti che un gran numero di incidenti era provocato da immigrati che non avevano la cultura di una guida costretta in spazi ridotti e molto normata, ci proviamo. Io penso a come hanno trattato nel mondo gli italiani in cerca di un lavoro, di una nuova vita e mi muovo di conseguenza: per produrre rispetto e conoscenza, a loro chiediamo di rispettare le leggi, come a chiunque altro, e le nostre radici». Ma lo sa che il contatto produrrà nuove radici e nuove soggettività? E cosa fa il presidente della Provincia quando Gentilini si presenta alle elezioni dopo aver reso invisibile questo lavoro di armonizzazione sociale, lo vota? Ricordiamo l’obiettivo: conviene sapere come stanno davvero le cose nel cuore del Nord Est, nel cuore di quel vocabolario politico. E forse la scena imbrattata da Bossi, Calderoli, Borghezio e Gentilini non è fedele, non fa così testo. Ma se esiste un luogo in cui matura prima e meglio che altrove la cultura dell’incrocio tra le diversità è proprio il mercato del lavoro. Qui nel trevigiano la stragrande maggioranza degli immigrati è regolarizzata, ci tengono le aziende. Migliaia di aziende, piccole piccolissime, più o meno ricche, anche con cinque-sei addetti oltre alla famiglia del titolare. Conti in banca e lavoro duro sulla base di un’idea, un’idea sola: produrre microviti di precisione (a chi verrebbe in mente?) o anche segnaletica stradale poi venduta in mezza Europa. Fino all’altro ieri erano contadini, adesso hanno il giardiniere che cura l’erba attorno ai nanetti. Fino a ieri, racconta un funzionario del collocamento, arrivava un immigrato e chiedeva al principale: vorrei lavorare, l’altro lo guardava negli occhi e, fregandosene del colore della pelle e dei luoghi d’origine, gli domandava cosa sapesse fare, se aveva davvero voglia di lavorare. Se andava, andava. Adesso ci sono gli uffici interinali, sono loro che garantiscono le «buone assunzioni» alle aziende. Così l’imprenditore non sceglie più, si deve fidare di quel filtro. Quelli, che ci guadagnano e non vogliono sbagliare bersaglio sennò le aziende non se li filano più, irrigidiscono le maglie della selezione a loro garanzia. Pare che un certo numero di albanesi abbia dimostrato un cattivo rapporto col lavoro? Va bene, niente più albanesi, così niente marocchini, senegalesi sì, romeni sì, molto stimati tra l’altro; ci sono imprenditori gelosi delle loro maestranze romene. Giudizi che variano, a periodi, come la frutta di stagione; niente, in origine, di razzista, ma la localizzazione «nazionale» certificata dai collocamenti pone le basi di un edificio in costruzione: ci pensa la politica, il front-end della Lega in questo caso, a tirar su il muro del razzismo, della diffidenza, dell’ostilità, a sdoganare progressivamente i retropensieri da bar dello sport verso chiunque non parli veneto. E si coagulano situazioni, dall’uso selettivo delle panchine e dei bus, che autorizzano l’allarme apartheid.

Annalisa Andreetta ha una catena di supermarket che si espande in tre province. Centoventi dipendenti, alto turn-over, in crescita. Ha due lauree, una delle quali in economia, lavora col padre. Sposata, un figlio, un quadro completo, ascoltatela. «Oggi abbiamo dieci-dodici dipendenti extracomunitari, e non abbiamo mai fatto caso al luogo di provenienza. Può capitare che siano di più. Mai accorta che il loro rapporto col lavoro sia un problema diverso da quello della gente di qui. Non si ammalano più di loro, non hanno esigenze particolari. Non mi sono mai sognata di dire: quelli che vengono da lì, niente. Magari qualcun altro lo ha fatto, ma in tantissimi, che io sappia, no. Mio figlio frequenta scuole in cui una buona percentuale di compagni di classe esce da famiglie di immigrati. Colore della pelle variabile. Il piccolo torna a casa e racconta: mamma, c’era anche quello lì...quello col maglione rosso...La aiuto a capire cosa sto dicendo: quello col maglione rosso ha la pelle nera ma è stato connotato per il colore del maglione, non della pelle. Che significa? Che la scuola, questa scuola, non marchia, anzi, lavora bene e io ne sono felice. Qui molte cose funzionano e le sembrerà strano ma sono convinta che la cultura popolare profonda di questa terra, accogliente, solidaristica e pragmatica, sia in grado di condizionare l’operato di qualunque amministrazione pubblica, anche leghista; pare una bestemmia ma non lo è. Qui, la seconda generazione di immigrati si sta affacciando sul mondo imprenditoriale col piglio buono, sono tenaci, intelligenti, hanno una gran voglia di emancipazione e soprattutto hanno imparato a stringere i denti, meglio dei nostri figli». Perplessi? Buon segno, questa non è una ninna nanna intonata davanti a un plotone d’esecuzione.

Facciamo un salto, da Oderzo a Bassano, margine estremo di questo fazzoletto produttivo, bella e dolce come uno zucchero, aria da alpini e, rima per rima, da grappa Nardini. La conoscono in mezzo mondo. Il vecchio Nardini, un liberal di antico stampo, si affida sempre più a Cristina, sua figlia. È lei che ha voluto e realizzato, su progetto di Fuksas, le Bolle, due femminili espansioni di un luogo di lavoro al cui interno scorrono, in autonomia, arte e cultura. Adesso, il turismo ha scoperto questi mammelloni e ci si viene in gita, per vedere da vicino. «Mi pareva giusto che chi guadagna lasciasse un segno di apertura, di generosità, così...no, non mi sembra che i miei colleghi imprenditori condividano generalmente questa strategia...peccato. Chiusi, molto autosufficienti, conformisti, sì, ma si può estendere questo colore un po’ a tutta la società di questa terra. In fondo non cattiva, non tagliente, nemmeno avara, Veneto profondo, oratoriale, insomma. Quello delle servette e dei contadini ebefrenici di un buon cinema andato. È lo stesso Veneto: solo che contadino e servetta hanno fatto i soldi, cambiando passo alla storia, molto da soli, senza piagnucolare davanti ai botteghini della politica. Poco e niente a che vedere con la ferocia dei piani alti della Lega, non è roba nostra, è una forzatura che purtroppo anima, crea comportamenti, autorizza estremismi. È come se si fosse data dignità di governo a un pensiero corto, cortissimo, quello che domina le reazioni automatiche e che ha sempre bisogno di un antagonista, se non c’è te lo inventi. Il nero, l’africano, il foresto, a seconda delle esigenze. Del resto, tutto è avvenuto in uno straccio di tempo, il cambiamento è stato radicale: quarant’anni fa questa terra era grigia, povera, stringeva il cuore. Ovvio che la crescita abbia portato con sé una crisi di identità, si cerca di ritagliarla attribuendo identità negative agli altri, a chi viene da fuori. A Bassano, la presenza degli immigrati è meno critica che più in giù, ma sono immigrate la signora che mi aiuta in casa, l’accompagnatrice di mia madre e così via. Brava gente, in genere, che merita rispetto e una vita migliore. In fabbrica abbiamo sessanta dipendenti, nessun immigrato, ma solo perché qui il lavoro alla Nardini si tramanda di famiglia in famiglia, entrassero anche gli immigrati, non avrei proprio niente da obiettare. Però...», però? «...Mi sa che anche la sinistra dovrebbe farsi un esame di coscienza a proposito di questa deriva pararazzista...», si accomodi..«Ecco, il modo in cui è stato affrontato il problema dei romeni, ricorda? Non è stata anche la sinistra a nazionalizzare la questione della sicurezza legandola all’immigrazione che veniva da lì? Credo si sia commesso un enorme errore, come si fa poi a bollare le sparate vergognose di Bossi e compagnia senza provare un rimorso nel cuore? E al fondo del barile, ne sono convinta, non siamo ancora arrivati. Auguri a tutti noi». Vero, il tempo non promette bene.

Pubblicato il: 22.09.08
Modificato il: 22.09.08 alle ore 7.39   
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« Risposta #54 inserito:: Settembre 28, 2008, 04:47:27 pm »

Ai Benetton il Fontego dei Tedeschi

Offerta da 53 milioni e il palazzo è loro

La Edizione Property (braccio immobiliare della holding trevigiana) ha vinto l'asta per l'acquisto del prestigioso palazzo cinquecentesco ora sede delle poste. Nascerà un grande megastore


di Enrico Tantucci

 
Il palazzo Fontego dei TedeschiLo sbarco di Benetton al Fontego dei Tedeschi. E' stata Edizione Property - braccio immobiliare della holding trevigiana - ad aggiudicarsi l'asta per l'acquisto del prestigioso palazzo cinquecentesco, sede delle Poste, con un'offerta di circa 53 milioni di euro, rispetto ai 51 della base d'asta.

Questa volta, come invece era accaduto qualche anno fa, l'asta non è andata deserta, anche perché - nonostante i vincoli urbanistici del Comune che gravano sui circa diecimila metri quadri dell'edificio e che prevedono attualmente solo la destinazione ad uffici pubblici - Ca' Farsetti è disposta ad allentarli, se il progetto presentato da Benetton risulterà interessante per l'Amministrazione, come spiega anche l'assessore al Patrimonio Mara Rumiz, senza però fare riferimento all'esito della gara. «Certamente non consentiremo che il Fontego dei Tedeschi diventi un nuovo albergo - spiega, a questo proposito, l'assessore Rumiz -. L'attuale destinazione è a uffici pubblici, ma il Comune è disponibile a estenderla parzialmente ad attività commerciali o di rappresentanza, se queste siano inserite in un progetto di valorizzazione di questo edificio di grande prestigio e importanza».

Da quello che filtra, l'intenzione del gruppo Benetton sarebbe di insediare al Fontego - già storicamente sede di commerci e un tempo affrescato sulla facciata che dà sul Canal Grande da artisti come Giorgione e Tiziano - un 'megastore' di forte impatto simbolico, che rappresenti quasi una sorta di immagine globale per il gruppo di Ponzano.

Il 'megastore' di taglio classico per Benetton si sviluppa su una superficie di circa 3 mila metri quadri, ma nel caso del Fontego occorrerà valutare come inserirlo nel complesso e, ovviamente, trattare con il Comune. Al Fontego potrebbero essere progressivamente riuniti i numerosi negozi che il gruppo conta già oggi con il marchio Benetton e Sisley tra Rialto e San Marco. Ma pare certo che due terzi del complesso saranno affittati ad attività commerciali o di rappresentanza di altri soggetti, come già avvenne qualche anno fa, per l'operazione del complesso del Ridotto in calle Vallaresso, a due passi da Piazza San Marco. 

Come però prevedeva anche il bando precedente, le Poste rimarranno comunque all'interno del palazzo, anche se con spazi più ridotti. Resteranno infatti aperti gli sportelli e i servizi per il pubblico in un'area di circa 250 metri quadrati del piano terra.

Erano in parecchi negli ultimi mesi i potenziali acquirenti che si erano fatti avanti quando era apparso chiaro che le Poste avrebbero bandito una nuova gara per l'alienazione del complesso. Tra i primi, i fratelli Ugo e Arrigo Poletti - proprietari del Venezia Calcio - che da tempo si erano dichiarati interessati all'acquisto dell'immobile. Ma a farsi avanti, poi, sono stati soprattutto gruppi imprenditoriali impegnati nel settore dell'abbigliamento di massa. Tra di essi, a quanto risulta, il gruppo spagnolo Zara, il colosso spagnolo low cost che ha da poco tagliato il traguardo dei 4 mila negozi sparsi per il mondo. Ma anche - sempre secondo quanto emerso nelle scorse settimane - gli svedesi del gruppo H&M, oltre, appunto, a Benetton e Stefanel. Ma alla fine a spuntarla è stata proprio l'azienda di Ponzano Veneto, con la sua società immobiliare che ora si occuperà del Fontego dei Tedeschi, da tempo sottoutilizzato dalle Poste e che aveva visto naufragare molte delle ipotesi di riutilizzo.

Tra le più intriganti, certamente quella di trasformare l'edificio nella nuova 'casa' della Biennale, inseguita dall'allora presidente della Fondazione Davide Croff, ma arenatasi di fronte all'indisponibilità delle Poste a "barattare" il palazzo con un posto nel Consiglio di amministrazione dell'istituzione e in un ritorno di immagine per il proprio marchio.

Ma non aveva avuto miglior fortuna l'ipotesi caldeggiata dal Comune di insediare qui un Fontego della Cina - con una cordata di imprenditori orientali a supportarla - nel nome dell'antica alleanza tra le due civiltà, che non si era però mai concretizzata, tanto che l'asta di un paio d'anni fa bandita dalle Poste era appunto andata deserta, senza concorrenti.

Ora invece tocca a Benetton e si aprirà a breve la trattativa con il Comune sul riuso del Fontego dei Tedeschi e sull'eventuale cambio delle destinazioni d'uso.

(27 settembre 2008)


da nuovavenezia.repubblica.it
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« Risposta #55 inserito:: Settembre 30, 2008, 05:45:55 pm »

L’aeroporto Oggi la cessione dell’area. Domenica la città al voto

Vicenza, il Dal Molin passa ai militari Usa. Al via la «Ederle 2»

L’8 ottobre nuovo pronunciamento del Tar



MILANO — Tutto secondo i piani. Oggi, con una conferenza stampa in Prefettura a Vicenza, il commissario di Governo Paolo Costa annuncerà «la cessione dell’area dell’aeroporto Tommaso Dal Molin che verrà messa nelle disponibilità degli Stati Uniti». Via dunque con il progetto presentato dallo stesso Costa nonostante la spada di Damocle di un referendum cittadino e il nuovo pronunciamento del Tar. Ma indietro non si torna, i contestati lavori per l’ampliamento della base americana Ederle 2 inizieranno senza indugi per terminare nel 2012. Verranno costruiti alloggi (dai monolocali per i militari single agli appartamenti per famiglie fino alle ville indipendenti per gli ufficiali) in cui andranno a vivere i 2.000 soldati Usa oltre a aree di svago, centro fitness, campo sportivo, centro multiculturale e multireligioso, uffici e officine. Valore dell’appalto, vinto dalla cooperativa rossa Cmc di Ravenna, 300 milioni di euro. Il piano include anche la nuova pista che verrà spostata per renderla più funzionale alle attività civili del locale aeroclub e sulla quale «non atterreranno e non decolleranno apparecchi militari americani». Ma nemmeno aerei commerciali perché «un aeroporto civile a Vicenza non ha senso».

La scelta di annunciare oggi il passaggio di consegne, come ammette il Commissario Costa, cade in un momento «particolare » per Vicenza e rischia di accendere gli animi, già caldi (manifestazioni e scontri con la polizia hanno caratterizzato tutto l’iter del progetto) di chi si oppone alla base. Domenica 5 ottobre si terrà infatti il referendum deciso dal sindaco della città, Achille Variati del Pd, per chiedere ai vicentini se vogliono che il Comune acquisti l’area, di proprietà del demanio dello Stato, su cui sorgono aeroporto e base. Referendum già stigmatizzato da Silvio Berlusconi che in una lettera inviata a Variati nelle settimane scorse aveva bollato la decisione come «gravemente inopportuna ». Un quesito ormai inutile, secondo Costa, nonostante Comune e comitato No Dal Molin proprio in queste ore stiano dibattendo sul quorum (35 mila votanti) referendario. Perché a Vicenza, a questa consultazione, nonostante le dichiarazioni del Commissario, si dà molta importanza. Chi per motivi politici, chi per problematiche legate all’ambiente, arrivando a legare l’opposizione alla Ederle 2 con le discariche campane e la Tav: «C’è un filo rosso che collega Chiaiano a Vicenza alla val di Susa—dice Cinzia Bottene portavoce dei No Dal Molin —. Si tratta sempre della difesa dei beni comuni, del territorio che viene da popolazioni che non sono d’accordo con la destinazione decisa dal Governo ».

Inoltre, l’8 ottobre, sui lavori di ampliamento della Ederle 2 tornerà a pronunciarsi anche il Tar del Veneto che, accogliendo un ricorso del Codacons, in giugno aveva congelato il progetto per «irregolarità procedurali ed errate valutazioni ambientali », ordinanza poi ribaltata dal Consiglio di Stato. Ma nulla potrà fermare i lavori perché in gioco c’è «l’affidabilità dell’Italia». Gli Sati Uniti difficilmente avrebbero compreso un dietrofront dopo che gli accordi sulla base Ederle sono stati confermati da tre esecutivi (Berlusconi 1 e 2, Prodi 2) e dal presidente della Repubblica Napolitano. La cessione dell’area dell’aeroporto Dal Molin (che rientra nel piano di riposizionamento delle truppe Usa in Europa), secondo gli accordi con Washington è un aiuto di retrovia, una moneta di scambio: vi diamo la base, in cambio non ci chiedete di inviare altri soldati in zone di guerra (Iraq e Afghanistan). E i vicentini? Chi tra loro è contrario all’ampliamento della base si consoli con la circonvallazione. Il Governo, a titolo di «risarcimento », ha promesso il suo impegno per completarla.

Roberto Rizzo
30 settembre 2008

da corriere.it
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« Risposta #56 inserito:: Ottobre 12, 2008, 09:57:34 am »

Bulgaria-Italia, tifosi azzurri provocano incidenti dopo aver inneggiato al Duce per le strade di Sofia

Sono ultras di destra, soprattutto del Nord-Est, e supporter del Napoli

La Federcalcio: abbiamo venduto 144 biglietti, il Viminale ha i nomi

 
SOFIA (11 ottobre) - Teppismo da stadio anche con la Nazionale: tafferugli al Levski di Sofia, prima di Bulgaria-Italia. A provocare attimi di tensione, prima che intervenisse la polizia bulgara, sono stati un centinaio di tifosi italiani che, una volta entrati nel settore a loro riservato, si sono diretti verso il pubblico locale cinghie alla mano, lanciando oggetti. I due gruppi erano divisi da una cancellata, ma sulle gradinate ha fatto ingresso un reparto di polizia in assetto antisommossa che ha riportato i tifosi italiani in un angolo per tenerli sotto controllo.

Si tratta dello stesso gruppo di supporter che per arrivare allo stadio, dopo una rissa in un bar, ha sfilato per le vie di Sofia inneggiando al duce e cantando Faccetta Nera e altri motivi di epoca fascista. Nei pressi della curva sono subito accorsi Domenico Mazzilli, responsabile dell'Osservatorio del Viminale e della sicurezza della Figc e il suo collaboratore Roberto Massucci. Il loro intervento, in collaborazione con la polizia bulgara, ha fatto sì che i tifosi italiani accettassero di togliere alcuni striscioni che avevano esposto.

Fischi all'inno di Mameli e saluto fascista. Salve di fischi a coprire l'inno di Mameli prima della partita. Questa l'accoglienza dei tifosi bulgari all'Italia campione del mondo, dopo i tafferugli del pre-gara. Mentre risuonavano le notte dell'inno di Mameli, i sostenitori italiani nello spicchio di curva loro riservato, salutavano con il braccio teso in posa fascista.

Abete: abbiamo i nomi. Fra primo e secondo tempo il presidente federale Giancarlo Abete ha dichiarato: «La vendita dei biglietti della Nazionale è nominativa, e quindi si può risalire ad ogni singola persona». La Federcalcio ha precisato di aver venduto 144 biglietti a tifosi italiani per quel settore, dopo aver girato al ministero dell'Interno nomi e dati anagrafici dei titolari della richiesta e dopo averne ricevuto indietro il nulla osta. Da quel momento, gli Ultras Italia sono passati sotto il controllo della polizia locale.

Un gruppo noto. Gli oltre cento tifosi organizzati al seguito della nazionale fanno parte dello stesso che segue gli azzurri da due anni: sono ultras della destra, ben noti al Viminale, provenienti da diverse città, specie del Nord-Est. In questa occasione si sono aggiunti anche tifosi provenienti da Napoli. Fra gli elementi di tensione della giornata c'è stato infatti anche il gemellaggio di questo gruppo con la tifoseria del Levski Sofia, tradizionalmente a destra, e il confronto con i rivali del Cska, tifoseria di sinistra.

La scintilla. Secondo alcuni testimoni è proprio questo il motivo che ha fatto scattare la rissa all'interno di un bar del centro di Sofia: italiani e sostenitori del Levski contro ultras del Cska. Dopo l'intervento della polizia, senza fermi e senza che si registrassero feriti, gli ultras italiani sono andati allo stadio a piedi, scortati da una moto della polizia e alcuni agenti. Lungo il percorso è stato un miscuglio di cori calcistici, di ricordi per Gabriele Sandri e soprattuto di Faccetta Nera, "Duce Duce" e altri cori fascisti. Dopo l'arrivo allo stadio il tentativo d'assalto agli spettatori bulgari. Quando la calma è stata ristabilita dalla polizia, gli Ultras Italia hanno tolto i loro tricolori con i nomi di diverse città di provenienza, alcuni in caratteri celtici.

da ilmessaggero.it
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« Risposta #57 inserito:: Novembre 18, 2008, 09:14:22 am »

L’analisi La debolezza è rappresentata da migliaia di piccoli e piccolissimi protagonisti che non riescono a esprimere obiettivi comuni

Siete anarchici, cercatevi un leader

di SANDRO TRENTO


La crisi in atto sembra colpire anche il Nordest. Non potrebbe essere altrimenti, in effetti. Ma la questione importante non è tanto quella dell’impatto della crisi in corso. Il punto è capire se il modello Nordest è destinato a chiudersi in difesa di alcune posizioni raggiunte o se in effetti ha le risorse per un balzo verso un nuovo equilibrio. Il Nordest è stato finora raccontato come un modello di diffusa industrializzazione spontanea, alternativo a quello della grande impresa, fondato infatti sulla piccola dimensione aziendale e la grande apertura agli scambi con l’estero. Il 90 per cento delle imprese nel Nordest ha meno di 10 addetti. D’altro lato, è in aumento la quota di imprese piccole (meno di 50 dipendenti) che ha una presenza sui mercati esteri. Il Nordest è la macroregione italiana a maggiore apertura, il rapporto tra interscambio con l’estero (import più export) e Pil è per il Veneto pari al 57 per cento, secondo solo alla Lombardia; per il Friuli è del 48 per cento.
L’apertura internazionale è in aumento e si va qualificando. Crescono le importazioni, soprattutto quelle dai paesi dell’Europa centro-orientale e dall’Asia orientale, segno anche di un processo di delocalizzazione verso quelle aree che serve alle imprese venete o friulane per accrescere la loro competitività.
Aumentano in effetti le aziende capaci di una internazionalizzazione attiva, fatta di nuovi stabilimenti e di alleanze. I timori di qualche anno fa che interi distretti veneti o friulani potessero trasferirsi in toto in Romania o in Polonia si stanno dimostrando privi di fondamento. Gli imprenditori del Nordest hanno riorganizzato le filiere produttive accrescendo nei fatti la loro dipendenza dai semi-lavorati, dai prodotti provenienti dall’Europa orientale e dall’Asia, hanno costruito reti internazionali. Pensare oggi a soluzioni protezionistiche vorrebbe dire mettere in ginocchio un’area che vive grazie alla sua capacità di approfittare del commercio mondiale.
Il tornado cinese non ha insomma cancellato un sistema produttivo che ha dimostrato di essere solido e che certo ha subito in questo ultimo decennio una fase di selezione davvero severa. Nonostante i processi di riorganizzazione, il Nordest è rimasto in questi anni un’area di piena occupazione con un tasso di disoccupazione che ha oscillato tra il 4 e il 3 per cento. La imprese hanno recuperato flessibilità anche grazie al forte ricorso alla manodopera immigrata.
Ma il punto è che forse il Nordest non è ancora un vero modello.
Manca un’integrazione tra benessere economico e capacità di governo, intesa soprattutto come capacità di individuare delle priorità e di metterle in pratica in maniera consapevole.
La macro-regione è caratterizzata da una rete di città di media dimensione (Trento, Verona, Vicenza, Treviso, Padova, Mestre, Udine, Trieste) che soffrono dell’assenza di una vera città leader, di una vera capitale capace di esercitare una forza catalizzatrice, di fornire servizi avanzati in quantità e di qualità elevata, in grado di attirare la localizzazione di grandi imprese estere. Manca una gerarchia urbana.
La vasta presenza di manifattura, che senza dubbio è un punto di forza, può essere anche letta come insufficiente sviluppo del terziario. Il Nordest è ancora una delle regioni europee con la minore quota di occupati nel terziario. E senza un terziario integrato alla manifattura è difficile immaginare un salto di qualità di quest’area. Il sistema bancario del resto è oramai tutto al Nordovest e il lento aumento di imprese dei servizi è per lo più concentrato nei segmenti tradizionali come l’immobiliare. La situazione è in più aggravata da una cronica insufficienza infrastrutturale che ostacola l’attività quotidiana.
Il capitalismo molecolare sembra a volte frammentato. Un sistema sociale di piccola impresa ha in effetti difficoltà a trovare spontaneamente obiettivi comuni. La grande debolezza di quest’area è quella dello scarso coordinamento. È difficile formulare una lista condivisa di priorità da chiedere (da imporre) alla politica locale e a quella nazionale se si è in migliaia e migliaia di piccoli e piccolissimi protagonisti. È difficile esigere anche solo la costruzione di questa autostrada pedemontana o di questo nodo di scambio intermodale.
Il rischio più grave è che di fronte alla paralisi decisionale ci si rifugi nell’autocommiserazione, nel pensare che le scelte importanti possano essere prese da «altri», fuori o dentro l’area.
Una regione che rivendica un ruolo di «modello nuovo» (post-fordista, post-industriale..), di terza via di sviluppo rispetto al Nordovest e al Mezzogiorno deve compiere un passo avanti che superi la spontaneità e costruisca una politica del fare in grado di valorizzare i tanti punti di forza del territorio, primo fra tutti quello di saper competere sui mercati mondiali e di saper accogliere migliaia di immigrati.

da corriere.it
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« Risposta #58 inserito:: Dicembre 09, 2008, 11:00:23 am »

darwin
 
Primo capitolo della crisi il mal di Nord Est.

Laddove in tutto il mondo si instaurava un'economia ad alto valore aggiunto, fondata sulle competenze e sulla massimizzazione della produttività legata alle nuove tecnologie da noi si affermava un'economia fortemente labour intensive, in cui la redditività è data dall'impegno lavorativo con tecnologie arretrate. Imprese di pochi addetti con il padroncino, qualche extra comunitario o indigeno a lavorare come schiavi per produrre a basso costo. Due danni in uno.

Il primo si è puntato su settori, prodotti e processi produttivi che non potevano reggere l'impatto della globalizzazione e la concorrenza del costo del lavoro dei paesi emergenti. Il secondo è che si è tagliato ogni invetimento nei settori di punta, si compra qualcosa dall'estero ma l'Italia è scomparsa da settori come l'informatica e le tecnologie di telecomunicazione. Ricordate il libricino del buon tremonti contro la globalizzazione, è nato dalla necessità di difendere il suo elettorato ed il suo riferimento sociale arretrato nel mondo moderno, anzi post moderno.

Da qui le fesserie come la detassazione degli straordinari per dare ossigeno ad aziende che non possono competere. Si aumenta lo sfruttamento di chi è sotto il numero minimo di risorse per l'applicazione dello statuto dei lavoratori. Così negli altri paesi il lavoro rende cento, anche ai padroni, mentre qui sessanta, se tutto va bene.

Tutto perché questa parte sociale vede come la bestia nera l'investimento ed i costi in nuove tecnologie, PIL prodotto da servizi sociali efficienti, etc.

Certo costoro non hanno studiato da manager moderni, vedono come sperperato ogni soldo dato in ricerca. Si è visto al traguardo dei tre mesi, dicevano tanto vedete come si è ricchi così? Io ho il Cayenne!!! A che serve il resto? Putt....te. Sono diventati gli eroi italiani invece erano solo pirati e corsari.
Hanno distrutto tutto.

Campione in ritardo di questa visione è anche "l'illuminato" signor Fitto che voleva rendere il Salento il nord est del tessile e calzaturiero, con gli operai in nero nei sottoscala, i cinesi in schiavitù. Ha dilapidato tutto mandando il tutto in mona (anche se non si dice così dalle mie parti). Poi è arrivato Vendola ed il PIL della Puglia è cresciuto nel 2007 del 1.8%, terza regione in Italia. Tutti a boca aperta perché ha puntato sulle fonti energetiche rinnovabili, provato a creare centri di eccellenza in ricerca, iniziative come bollenti spiriti ed altro. Sono bastati 2 anni per far qualcosa, ancora non tutto ma qualcosa di importante.
Quindi per prima cosa serve un piano di riconversione imponente, con cui convincere a cambiar registro, convincere anche i padroncini del Nord Est a studiare .......... Le cose non arrivano dall'alto. Attenti anche a parlare di partito del Nord, perché ciò che c'è stato fino a ieri nel Nord Est è debole. Soldi ed energie sprecati e sottratti all'imperativo di dare efficienza alla nostra economia. Nei vari post che ho letto qui, infatti, la scure è giunta subito più affilata proprio lì.
Con tremonti e fitto come si fa a pensare che questo governo possa trovare soluzioni? Siamo sulle montagne russe, cadrà e saranno dolori per il tempo necessario a rimetter sù una operativa di governo credibile.

Risorse e debito. C'è bisogno di risorse per la conversione, per il welfare di chi andrà nelle condizioni peggiori verso la crisi, senza lavoro, per dare credibilità al sistema Italia e consolidare il debito.
L'unica risposta è ricorrere all'oro alla patria? Può darsi, ma dove cercarlo? Prima miniera l'evasione. Seconda il reddito da rendimento di capitale che sfugge anche alle dichiarazioni dei redditi (pagando il 12,5% direttamente) per portarlo al 20%, non diciamo che così non si comprano più BOT e CCT perché altrove condizioni migliori non ce ne sono. Terzo, se necessario, alzare la aliquote dei redditi oltre i 100 mila euro.
Non so se possiamo sperare in contratti di solidarietà nelle aziende per ridurre il costo del lavoro, perché le famiglie sono già a rischio default per cui incidere sui loro guadagni è come accendre kerosene per far andare più veloce l'effetto domino. Questo se si fa in tempo prima che le aziende presentino un rosso generalizzato, in tal caso .........

Ho letto le considerazioni sugli sprechi RAI. Beh il canone è una fonte ma c'è anche quello che non si può nominare con il maghetto di Arcore al governo. Perché non alzare il tetto della pubblicità in RAI? La Gasparri fa un guazzabuglio per ricalcolare a sistema i tetti massimi di pubblicità per evitare un'eccessiva concentrazione del mercato in monopoli.

Il problema principale è che questo governo non è in grado di affrontare la crisi, non è stato capace negli anni di vacche grasse figuriamoci ora. Solo che non possiamo attendere la prova dei fatti e riconoscerlo come interlocutore autorevole, come fanno CISL e UIL, è pericolosissimo. Per cui uno sciopero generale può essere utile, chiaramente meglio se fatto unitariamente, ma non c'è peggior sordo.......

Però è da troppo che faccio la Cassandra, vorrei che mi venisse in sogno S. Gennaro o S. Nicola per dirmi che in realtà mi sbaglio e che devo essere ottimista, naturalmente con identità certificata e che non siano il duo tremonti - maghetto sulle navi crociera (magari il Titanic).

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Arturo Infante (Darwin)
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« Risposta #59 inserito:: Dicembre 11, 2008, 11:11:19 am »

Carne alla diossina: sotto il Salone, l’allarme snobbato dai padovani


Un commerciante: «I nostri prodotti provengono da animali allevati e macellati entro i confini del Veneto»
 I padovani snobbano l’allarme carne alla diossina. Sia per la voglia di festeggiare un Natale 2008 da «nababbi» con tanto di tavole imbandite - nonostante la magra realtà di un portafogli quest’anno davvero sottilissimo - sia per la generalizzata consapevolezza che la carne bovina e suina venduta dal macellaio è nostrana. E dunque sicura. Sotto il Salone i commercianti lo ribadiscono: «Gli animali sono tutti allevati, macellati e venduti in un raggio che non oltrepassa il confine regionale». «Non rileviamo alcun calo delle vendite. Semmai - ammettono - qualche preoccupazione; ma di noi i clienti si fidano e, una volta rassicurati, pensano a depennare la lista della spesa pre-festiva come nulla fosse».

Manzo, salumi, cotechino e zampone non scompariranno né dal pranzo di Natale né tanto meno dal cenone di Capodanno: d’altronde, sono una tradizione irrinunciabile, un simbolo gastronomico. Eppure, proprio ieri l’Irlanda ha confermato il sospetto che il mangime contenente diossina sia finito anche nello stomaco di mucche e buoi, e non soltanto di suini. E non è finita qui: delle 89 partite di carne di maiale importate dalla verde terra irlandese fino in Italia, ne sono state rintracciate e poi sequestrate 42; sei di queste, in Veneto. La replica arriva dal presidente del Sindacato provinciale dei macellai dell’Ascom, Francesco Canton.

«Da noi - spiega - il suino irlandese non è gettonato. Né dal commerciante né dal consumatore: i veneti hanno altre preferenze. In Emilia Romagna, però, la usano per fare gli insaccati». E sottolinea la provenienza Dop (denominazione di origine protetta) della carne veneta: «A livello nazionale, il Veneto è la prima regione produttrice di carne suina; a confermarlo, è la nascita di un nuovo marchio, chiamato Gran Suino Padano, che viene esportato anche all’estero». Idem, o quasi, per la carne bovina. «La nostra Regione si posiziona al secondo posto - continua Canton - subito dopo la Lombardia». Intanto, nel Regno Unito la carne made in Ireland è stata bandita da scaffali e banchi frigo. Un tormentone che, dopo la mucca pazza e l’aviaria dei polli, si ripercuote ciclicamente sul mercato. Almeno, questa è la tesi del presidente di categoria. «Sembra quasi un progetto preordinato - accusa - e studiato a tavolino con una tempistica perfetta: guarda caso, o in prossimità della Pasqua o del Natale».  (10 dicembre 2008)

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