«Abbiamo sconfitto in aula il modello secessionista»
di Simone Collini
«Questa astensione noi ce la siamo conquistata sul campo», dice Marina Sereni alla fine di una lunga giornata. «E anche loro se la sono sudata», aggiunge con un sorriso la vicecapogruppo del Pd alla Camera.
Ma non era meglio votare un chiaro no, piuttosto che scegliere un’astensione non proprio di immeditata comprensione?
«Noi avevamo di fronte due strade: dire semplicemente no, rigettando un’ipotesi che non era coerente con la nostra idea di federalismo, oppure misurarci seriamente con questa riforma».
L’Udc ha scelto la prima strada, votando contro.
«Ecco, noi no, abbiamo scelto la seconda. E abbiamo deciso l’astensione dopo una battaglia parlamentare rigorosa e molto seria, che ha prodotto risultati importanti. Quello che esce da qui è un disegno di legge molto diverso da quello originario della Lega e del governo».
Dov’è questa differenza?
«Il modello secessionista, per il quale le aree ricche del Paese si tengono le tasse prodotte senza alcuna cura delle disparità con le regioni più deboli, non c’è più. E questo è un risultato ottenuto grazie agli emendamenti presentati dal Pd».
Il risultato lo userà alle amministrative contro di voi a mo’ di bandiera la Lega, non crede?
«Questa è la bandiera della Lega se lasciamo che lo sia. Sta a noi dimostrare che il modello leghista non esiste più. Non esito a dire che il prodotto finale è molto più vicino alla nostra impostazione che non a quella che il centrodestra aveva venduto in campagna elettorale».
E allora perché non votare sì, come ha fatto l’Italia dei valori?
«Perché è una delega».
Cioè?
«Stiamo parlando di un disegno di legge che pur dopo un lavoro di modifica dei principi direttivi, mantiene il carattere di una delega al governo. Ma noi non ci fidiamo di questo governo».
Che però con la vostra astensione ha ottenuto un’apertura di credito.
«Un’apertura su un federalismo solidale, che punta a ridurre le differenze tra le aree forti e quelle deboli del Paese. Ma ora vogliamo continuare a monitorare in Parlamento, attraverso la commissione bicamerale che noi abbiamo proposto e che loro hanno accettato».
E che però non avrà un carattere vincolante, come voi avevate chiesto.
«È vero, avrà un parere rafforzato, ma questo vuol dire che se il governo non adeguerà i decreti attuativi al parere delle commissioni dovrà rivolgersi all’Aula. La vicenda cioè non finisce qua, con l’approvazione del disegno di legge si pare un processo sul quale noi vigileremo con grande rigore. E intanto però, proprio perché abbiamo assunto questa posizione, noi saremo l’unica forza che potrà dire con limpidezza le stesse cose al Nord, al Centro e al Sud. E cioè che siamo a favore del federalismo come modernizzazione della pubblica amministrazione, centrale e locale».
Perché dice che gli altri non possono dire le stesse cose nelle diverse regioni?
«Il governo è federalista al Nord e centralista a Roma, toglie ai comuni e non risolve il problema del patto di stabilità. Insomma predica bene e razzola male sul terreno delle autonomie».
E gli altri partiti di opposizione?
«Casini in Sicilia dice di essere contrario al federalismo perché penalizza il Sud, poi va al Nord e dice di essere d’accordo con la proposta dei sindaci veneti di lasciare il 20% dell’Irpef ai Comuni».
All’assemblea del gruppo Franceschini ha invitato tutti, anche chi si è espresso contro, a non dissociarsi nel voto in Aula: richiesta giusta?
«Assolutamente. È un modo corretto di essere pluralisti e contemporaneamente di essere un partito».
Che cosa vuole dire?
«Come gruppo abbiamo discusso e votato. È giusto che chi ha un dissenso lo possa esprimere. Però poi su una questione così, esplicitamente politica, è giusto che in Aula si rispetti la posizione che a maggioranza il gruppo ha scelto».
scollini@unita.it25 marzo 2009
da unita.it