«Sì, la sinistra non sta bene ma nel mondo oggi c’è una grande novità: Obama»
di Pietro Spataro
«Tu domanda, io rispondo...», ripete spesso Pietro Ingrao. Ha voglia di parlare: della sinistra, del mondo in crisi, della speranza Obama, della lotta per la pace, di Di Vittorio e anche di se stesso. In un angolo del salotto della sua casa a Roma c’è una marionetta di Charlot, l’eroe buffo di Chaplin che tanto ha amato. Su un mobile, tra una foto di Che Guevara e una che lo ritrae con Togliatti, c’è l’immagine (che pubblichiamo qui sotto) di un giovane direttore de “l’Unità” che fa la diffusione. Gliela regalammo noi del giornale per i suoi novantanni. «Mi piaceva molto il lavoro all’Unità...», dice. Il 30 marzo questo storico leader del Pci, ex presidente della Camera e poeta, compie 94 anni.
Cominciamo da qui: il Pd fatica, Rifondazione è in crisi. Che fine ha fatto la sinistra in Italia?
«Tu parli degli errori e della confusione della sinistra italiana: ma io credo che il Pd non sia una forza di sinistra. È un partito moderato, centrista. Quanto alla sinistra – “Rifondazione” e gli altri – purtroppo si è spaccata nelle sue risse. M’auguro ardentemente che torni a discutere costruendo».
Insomma sei pessimista?
«No, non sono pessimista. Cerco di guardare in viso le nostre debolezze. Ma nel mondo ci sono oggi figure e novità profonde. Faccio un nome prima di tutto: Obama. So bene che in Italia il panorama è profondamente diverso. E non è alle viste un Obama italiano».
Dobbiamo rassegnarci a Berlusconi?
«No. Ci mancherebbe altro. Berlusconi ha vinto soprattutto per la debolezza e gli errori dei suoi avversari: ma non ha legami e comunicazione con le forti novità che maturano nel pianeta. È uomo del passato, la sua è una destra vecchia».
Eppure l'Italia somiglia sempre più a lui. Basta pensare alla cultura della paura, alle ronde...
«Io non penso che l’Italia sia diventata tutta berlusconiana. Ma c’è un tumulto più alto e più drammatico nel globo. Si sta scatenando una crisi economica che ha fatto ricordare quella terribile del ’29. Sono prove dure che evocano e ripropongono fortemente la questione del ruolo e della forza del soggetto di classe: le sue forme preziose di autonomia, la sua lettura del mondo, il patrimonio di idee che ha seminato e che ha alimentato una grande storia. Proprio in questi giorni abbiamo visto raccontata in tv la vicenda straordinaria di un umile bracciante pugliese: Giuseppe Di Vittorio, che visse e guidò lo scendere in campo del proletariato del Sud e, attraverso lotte memorabili, divenne un grande capopopolo, un trascinante protagonista della battaglia di libertà e di riscatto delle masse lavoratrici italiane».
Che ricordo hai di lui?
«Ricordo un episodio del lontano ’56: quando pressoché tutto il Pci, me compreso, si schierò a favore dell'aggressione sovietica all'Ungheria, Di Vittorio disse di no e rimase nel partito: e anche per questa ardita limpidezza nelle decisioni, lo amammo molto. Lo rispettavamo tutti, persino Togliatti che pure era cocciuto nelle sue convinzioni, in alcuni momenti anche feroce come fu nella disgraziata polemica con Elio Vittorini».
Abbiamo evocato la crisi economica del 1929. Ci sono somiglianze con le vicende di oggi?
«Credo ci siano tratti in comune su un nodo essenziale: la sorte del lavoro subalterno e la caduta dello sviluppo produttivo. Manca lavoro per gli operai e si producono meno beni».
La crisi del capitalismo sembra ridare vitalità al pensiero di Marx e a quello di Gramsci...
«Tu evochi grandi maestri. Ma da allora tante cose sono mutate. C'è una lettura di un secolo- il grande e terribile Novecento- tutta da rifare. E qui nemmeno Marx e Gramsci bastano. E lo sguardo deve allargarsi all’intero globo».
Ma non sarà che è in crisi il modello del consumismo? Zanzotto, un poeta che conosci, parla di teologia del prodotto interno lordo...
«Amo Zanzotto, ma ho dubbi su questa lettura. Penso alla grande fame che c’è ancora oggi nel mondo, basta pensare all'Africa, all’Asia, all'America Latina. E c’è tanta fame anche qui in Italia, a cominciare dal mio amato Sud. Conosco tanti lavoratori che guadagnano molto poco e hanno scarsissime garanzie quanto al posto di lavoro. Chiedetelo a Epifani e vi dirà se ho ragione».
Rievocando Berlinguer non c’è bisogno, oggi, di austerità, di maggiore sobrietà?
«L'idea dell'austerità non mi convinceva ai tempi di Berlinguer e ancor meno la credo attuale oggi. La grande massa degli uomini non mangia troppo ma troppo poco: alcuni non hanno nemmeno un tozzo di pane...».
Abbiamo ricordato che alla Casa Bianca è cambiato inquilino. Che novità è?
«Prima di tutto la novità sta nell'avere un presidente degli Stati Uniti "nero". Ricordo un libro che si chiamava “La capanna dello zio Tom”: mi prese e mi affascinò, quando lo lessi da adolescente. E non lo dimenticai più. Ebbene, oggi un erede dello zio Tom è presidente degli Stati Uniti. A me colpisce e dà speranza. Poi – certo - è da vedere quanto tutti noi nel mondo sapremo aiutare i tentativi di quel "nero". Intanto però alla Casa Bianca c'è lui, con quel nome: Obama».
Il presidente americano ha già compiuto alcuni passi contro l'idea della guerra. Ma tu credi davvero che sia possibile scacciare la guerra dall'orizzonte degli uomini?
«È una speranza che mi porto da tanto nel cuore. Certo so bene, e amaramente, che la lotta per la pace ha avuto sinora confini troppo limitati e subìto troppe omissioni. È rimasta l'idea di una minoranza. Io stesso per la mia parte sono riuscito a fare troppo poco. Eppure resto testardamente convinto che tener viva l’idea di un mondo in pace sia scegliere un cammino dell’uomo, un’idea di civiltà. Significa leggere in altro modo le facce degli esseri umani che incontriamo per strada ogni mattina».
Alle prossime elezioni Ingrao per chi voterà?
«Per Rifondazione comunista. Non condivido numerose delle posizioni di Ferrero. Tuttavia ritengo che nell’attuale lotta politica sia essenziale la presenza a sinistra di un soggetto politico organizzato. Faccio qualche esempio: in Sinistra e Libertà ci sono tanti compagni che stimo e che mi hanno dato speranza. Penso però che quello che hanno da dire persone come Bertinotti, Vendola, Mussi e la Bandoli è meglio che lo dicano e facciano vivere operando dentro la struttura di un partito, di un soggetto politico “formato”».
Sollecitiamo il poeta: dovessi scegliere una poesia che rappresenti il tempo presente?
«Ti dirò invece la poesia che fra tutte mi piace di più al mondo: “L'infinito” di Leopardi, grande testo lirico su una enorme domanda umana. Se poi dovessi citare due autori del mio tempo che amo da matti ti rispondo: Joyce e Kafka».
E da cinefilo, un regista e un film?
«Dico subito Chaplin: quello di “Tempi moderni”, straordinaria rappresentazione dello sfruttamento capitalistico nella macchina fordista. E poi ne aggiungo un altro, italiano, più scarno, più malinconico: penso a Ladri di biciclette (di De Sica) con quel suo stupendo finale: lui, lo sconfitto, solo nella strada con il figlioletto accanto».
Sembri quasi pentito di non aver fatto cinema, la tua grande passione...
«No, alla fine mi piaceva di più la musica delle parole: più delle immagini».
Ingrao, hai intitolato una tua autobiografia “Volevo la luna”. A 94 anni come ti definiresti: deluso, sconfitto, ottimista?
«Deluso no. La vita è appassionante: mi piace vivere. Mi piacciono i colori della terra, e anche le musiche che da essa stranamente si diramano. Quanto alla luna - se posso dire - l’ho desiderata molto. Sconfitto? Forse mi ci sento e accetto la botta. Ottimista, invece, mi pare difficile esserlo con tanti e tanti anni sulle spalle».
pspataro@unita.it28 marzo 2009
da unita.it