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Autore Discussione: FRANCESCA SCHIANCHI.  (Letto 38389 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Luglio 25, 2018, 05:47:22 pm »

Renzi: “Marchionne ha cambiato l’industria del nostro Paese”

Intervista a Matteo Renzi di Francesca Schianchi – La Stampa

Pubblicato il 23 luglio 2018 in Primo piano

«Per me Marchionne è stato un gigante: ha salvato la Fiat quando sembrava impossibile farlo. E ha creato posti di lavoro, non chiacchiere». L`ex premier Matteo Renzi è sempre stato un estimatore del top manager di Fca.

Che rapporto avevate?
 «Di grande libertà: e questo ci ha permesso di dirci le cose in faccia, sempre. A me è servito molto per crescere. Se avevo dubbi su come approcciare i mercati globali, era uno a cui telefonavo per un consiglio».
 
Un rapporto che ha vissuto alti e bassi fin dall`inizio…
 «È vero. Nel 2011 io dissi che nel referendum di Pomigliano avrei votato sì, e fui sommerso dalle critiche da sinistra: una parte di Pd lo identificava col “padrone”, ma il lavoro si crea con l`impresa, non con l`assistenzialismo. Un anno dopo, però, lamentai i ritardi del suo progetto: mi rispose che ero il sindaco di una piccola, povera città. Si scatenò mezza Firenze: fu costretto ad acquistare una pagina sulla Nazione per chiedere scusa. Me lo ha sempre rinfacciato divertito».
 
Da premier, lei andò a visitare gli stabilimenti Fca a Detroit.
 «Sono stato anche a Melfi, Mirafiori, Cassino. E a Detroit, certo. So per esperienza diretta quanto Obama lo stimasse, ma non dimenticherò l`orgoglio dell`italiano che guida la Chrysler: mi ripeteva “si rende conto che questo è il più grande edificio d`America dopo il Pentagono?”. Ero con mia moglie Agnese, che di cognome fa Landini. Lui era in forte contrasto con l`omonimo capo della Fiom; prima di salutarci ci disse: “Ma non è che sua moglie è parente, vero?”».
 
Qualche mese fa però disse che «il Renzi che appoggiavo non l`ho visto da un po’ di tempo». C`è rimasto male?
 «Il giudizio era ingeneroso, ma posso capirlo. La nostra campagna elettorale è stata totalmente sbagliata. Risposi solo con una dichiarazione pubblica: anche se lui aveva cambiato idea su di me, io non avevo cambiato idea su di lui».
 
Vi siete più risentiti dopo quella critica?
 «Ha rotto il ghiaccio lui: quando sono andato a fare un`intervista da Fazio (quella con cui ha bloccato il tentativo di dialogo con il M5S, ndr.) mi ha scritto un messaggio, ormai si può dire: “Bravo, finalmente l`ho ritrovata. Lei si rimetta in gioco, e non molli.”».
 

Vi davate del lei?
 «Certo. Il nostro era un rapporto professionale più che di amicizia personale».
 
Da leader Pd venne attaccato da sinistra per il suo rapporto con lui: si è mai pentito di non aver preso le distanze?
 
«E perché? Se l`Italia avesse avuto altri Marchionne oggi avremmo un`Alitalia competitiva o qualche banca italiana forte in giro per il mondo. Parte dell`odio contro di lui derivava dall`invidia. E sull`invidia per le persone di talento non si costruisce un Paese, come è ogni giorno più chiaro anche nell`Italia grillina».
 
Ammetterà che è stato un interlocutore ostico per i sindacati: con la Fiom ci fu uno scontro durissimo.
«La Fiom lo ha eletto a nemico, ma Marchionne è l`uomo che ha riaperto le fabbriche Fiat: se le fabbriche chiudono, non c`è lavoro né sindacato. A Detroit andava fiero della stima dei sindacalisti americani, come di quella di Fim e Uilm».
 
Ci sarà pure qualche critica, che magari gli ha fatto in privato…
«Certo, a cominciare dalla scelta dimettere la sede legale ad Amsterdam. Ci facevamo critiche a vicenda».
 
Marchionne a lei cosa ha rimproverato?
 «Ad esempio si arrabbiò quando, nel 2015, feci un`operazione per tenere in Italia la produzione della Urus, il Suv della Lamborghini, dando incentivi fiscali. Mi disse: “Per la Fiat questo lei non lo ha mai fatto”. Risposi: “Dottore, alla Fiat lo scomputiamo dal passato” …».
 
Quanto ha influito il suo rapporto con lui sul Jobs Act?
 «Mi disse che il Jobs Act e la riforma delle popolari avrebbero riportato la fiducia dei mercati sull`Italia. Aveva ragione».
 
Che eredità lascia?
 «Lascia aziende vive e forti. Non era scontato. Mi piace ricordare che senza gli accordi di Paolo Fresco con General Motors, Marchionne non avrebbe potuto fare le scelte che poi ha fatto: questo figlio di un carabiniere ha cambiato la storia industriale d`Italia, piaccia o meno ai suoi detrattori».

Da - https://www.partitodemocratico.it/primo-piano/intervista-renzi-marchionne-ha-cambiato-industria-del-nostro-paese/
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« Risposta #61 inserito:: Agosto 25, 2018, 05:13:34 pm »

L’ultima frontiera del capo leghista. Prima il popolo, poi le istituzioni
Per il leader-ministro un crescendo di dichiarazioni e linea sempre più dura in diretta Facebook. Se il Colle, il premier e i giudici non sono d’accordo poco importa: basta che la gente sia con lui
Pubblicato il 24/08/2018

FRANCESCA SCHIANCHI
ROMA

Quale fosse l’aria si poteva capire fin dai primi giorni di governo, da quando, poche ore dopo aver giurato, già metteva da parte la grisaglia ministeriale e si scaldava in piazza a Vicenza coniando uno degli slogan più infelici e virali di questa stagione: «Per i clandestini è finita la pacchia». Da allora, in barba alla moderazione istituzionale che di solito porta il ruolo, per il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini è stato tutto un crescendo: contro l’opposizione in Parlamento e contro la Ue, i poteri forti e la stampa, il rapper, l’attrice, l’intellettuale. Beffardi bacioni per tutti, sempre in nome del popolo italiano, in un florilegio di attacchi e critiche e taglienti sfottò che arriva fino alla magistratura («Indagatemi») e ai vertici dello Stato: la nuova frontiera del salvinismo è lo scontro istituzionale, la sfida al presidente della Repubblica, ma anche al premier, entrambi provocatoriamente invitati, dopo che hanno tentato la moral suasion, a dare il via allo sbarco dalla Diciotti se vogliono, «ma senza il mio consenso», e al presidente della Camera, Roberto Fico, accomunato malignamente a «Bertinotti, Fini e Boldrini», la terza carica dello Stato descritta con sprezzo come uno che «ha tempo per parlare».

Un rivale via l’altro 
Va in tv, interviene in radio, fa interviste sui giornali. Ma la specialità è il rapporto col suo pubblico, «è un po’ che non ci sentivamo e non ci vedevamo in diretta live», li saluta con il sorriso che si riserva agli amici parlando via Facebook, rassicurandoli di aver detto no allo sbarco «a nome mio, ma anche a nome vostro perché per questo mi avete scelto e votato», e mentre parla «da ministro, da papà, da italiano», mentre spuntano un attimo gli occhi della figlia in un quadretto di famiglia che sembra perfetto per dire «sono come voi», è tutto un tripudio di cuoricini e pollici alzati, «sei un grande non fermarti» e «l’Italia vi ama», più di centomila commenti e oltre un milione di visualizzazioni. I nemici sono Maurizio Martina e il Pd, «ma poveretto», Asia Argento «sperando che la notte stia tranquilla», Roberto Saviano con cui lo scontro è aperto da tempo, «sperando che non abbia esaurito la scorta di Maalox», Gad Lerner che «chissà se il Rolex funziona ancora perfettamente». E poi «l’Europa vigliacca», il «giornalismo ipocrita», la magistratura che apre un fascicolo contro ignoti, «sono qua, non sono ignoto» e via via, un nemico dopo l’altro in una escalation che sente benedetta dall’umore popolare, «è con me la maggioranza degli italiani», e pazienza se il 4 marzo scorso a votare per lui fu il 17 e rotti per cento che non corrisponde esattamente alla maggioranza.

La rivalità di Di Maio 
Da allora, in questi due mesi e mezzo di governo, proprio questo viaggiare solo in accelerazione, mai fare marcia indietro nella convinzione che qualcun altro risolverà il problema (come quando, a luglio, fu Conte su input di Mattarella a decidere lo sbarco) o, mal che vada, si finirà alla crisi di governo e all’incasso, lo fa crescere nei sondaggi, lievitare su su fino a raddoppiare lo score o giù di lì. Tutto questo nello stesso momento in cui Luigi Di Maio, il gemello diverso del M5S, l’alleato con cui «lavoro molto bene» gli sta dietro a fatica. Ne imita il linguaggio («Passeranno sul mio cadavere», «Hanno fatto marchette ad Autostrade»), alza i toni pure lui («Se l’Ue non fa nulla non siamo più disposti a dare 20 miliardi all’anno all’Unione europea»), eppure il ritmo è sincopato, ogni tanto gli tocca abbozzare come su Ilva, nascondersi dietro formule tipo «il delitto perfetto», per dire che la gara non gli piace ma le regole si rispettano. Mica come Salvini, disposto a tirare la corda fino quasi a farla spezzare. Anche oltre le regole dello Stato di diritto, l’umanità, il buon senso, spronato da una valanga di like.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/08/24/italia/lultima-frontiera-del-capo-leghista-prima-il-popolo-poi-le-istituzioni-qFTSO4L5Ofy0TZoUMHaTcL/pagina.html
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