22/11/2010
Questo mondo ha ancora bisogno degli Usa
KURT VOLKER
Dopo aver lavorato per convincere gli alleati della Nato a rimanere in Afghanistan, Obama è tornato a casa, dove gli interrogativi sul ruolo dell’America nel mondo si moltiplicano sulla scia delle elezioni di midterm.
Le elezioni americane di medio termine non vertevano sulla politica estera. Eppure possono comunque avere un impatto significativo, con forze sia a sinistra che a destra ugualmente impegnate a invocare il disimpegno degli Usa dalla scena globale - in parallelo ai tagli di obiettivi e di bilanci visti in Europa. La sfida che repubblicani e democratici si trovano ad affrontare sarà quella di sostenere la necessità di un impegno forte e rinnovato degli Stati Uniti per la politica estera come essenziale per il futuro benessere e la sicurezza degli Usa e, beninteso, del mondo.
Si sa relativamente poco delle idee in tema di politica estera dei neo eletti candidati del Tea Party. Anzi, probabilmente non esiste un'unica opinione. Il movimento del Tea Party punta sull’economia, sul ruolo del governo e sulla politica interna americana. La politica estera è stata a mala pena discussa durante la campagna elettorale, una scelta che come minimo significa che è una priorità di livello minore rispetto alla politica interna.
E’ quindi impossibile prevedere esattamente quali siano gli indirizzi di politica estera che i nuovi membri del Congresso provenienti dal Tea Party adotteranno, o anche dare per certo che ci sarà una singola tendenza. Si potrebbero ipotizzare, allo stesso tempo, un supporto deciso alle forze armate statunitensi, la richiesta di ridimensionamento dell’impegno in Afghanistan e le richieste di un intervento militare contro l’Iran. Tuttavia, un risultato delle elezioni di medio termine è il crescente rischio che - nelle parole del senatore Lindsay Graham – emerga «un’insana alleanza» tra l'estrema sinistra e l’estrema destra nella ricerca di una politica estera più isolazionista.
A sinistra l'attenzione dei Democratici deve ora concentrarsi sul compito di invertire la tendenza al declino nel sostegno politico. Questo significa un’attenzione costante ai problemi che hanno allontanato gli elettori, con la crescita economica e l'occupazione in cima alla lista. I democratici rimasti nel Congresso sono tra i più liberali nel loro partito. Molti erano già in partenza a disagio sui temi dell'Iraq, dell'Afghanistan, e della «guerra al terrore» e ora daranno una priorità ancora maggiore alle risorse per la ripresa interna piuttosto che per le avventure all’estero. Molti di questi stessi argomenti risuoneranno a destra: che Washington ha perso il controllo, spendendo migliaia di miliardi di dollari all’estero mentre in patria non faceva nulla per il popolo americano. Il governo ha cercato di diventare un poliziotto globale e un costruttore di nazioni e deve essere costretto a risolvere i problemi dell’America, non quelli del mondo.
Il movimento originale del Tea Party – quello nato nel 1770 a Boston - richiama alla mente lo slogan della guerra d’indipendenza, «Don’t Tread on Me» (Non calpestarmi) (che è tuttora il motto dello Stato del New Hampshire), con l'immagine di un serpente a sonagli. Quell’immagine - letale per i nemici, un invito a essere lasciati in pace - sembra di nuovo rappresentare una parte dello stato d’animo nazionale.
Gli argomenti sulla necessità che l’America si rafforzi in patria non sono senza merito. Basta solo considerare il recente vertice del G20 in Corea, il massiccio debito americano detenuto dalla Cina e l'enorme deficit federale degli Stati Uniti per dedurre che gli Stati Uniti hanno bisogno di ricostruire una economia forte, al fine di mantenere un ruolo forte degli Stati Uniti nel mondo. Si possono anche prendere in considerazione l’istruzione, le infrastrutture e l’energia come settori in cui sono necessari investimenti per garantire la futura forza dell'America. In effetti, questo argomento è stato ampiamente utilizzato nell’indirizzare la strategia per la sicurezza nazionale negli Stati Uniti dell'amministrazione Obama.
Eppure il rischio che questo argomento porti troppo lontano, conducendo a un ridimensionamento del ruolo dell'America nel mondo, è al tempo stesso reale e pericoloso. Nella misura in cui gli Stati Uniti sono visti come deboli, distratti, e in ritirata, altri soggetti potrebbero sentirsi incoraggiati: la Cina nelle acque contese dell’Asia, i talebani in Pakistan e in Afghanistan, l'Iran nella sua ricerca di armamenti nucleari, hezbollah ed Hamas in Medio Oriente, la Russia nel far valere la propria sfera di influenza, Chávez in America Latina; gli estremisti islamici che perseguono il terrorismo a livello globale. Se gli Stati Uniti, per sistemare i problemi interni, cercano di tenere il mondo in sospeso, le crisi nel globo probabilmente peggioreranno. Questo scenario – un’America in ritirata e crescenti crisi planetarie – è già apparso in precedenza: dopo la I Guerra Mondiale, dopo la Seconda, la Guerra Fredda, e persino dopo le guerre nei Balcani degli Anni 90. Ogni volta, la seduzione dell’isolazionismo si è rivelata autodistruttiva. Evitare un’altra ripetizione richiede che il Presidente e i principali leader di entrambi i partiti lavorino insieme. Se è impossibile in molte questioni di politica interna, c’è un precedente storico di tale cooperazione bipartisan sulla sicurezza nazionale, che per decenni ha sostenuto la strategia globale a lungo termine degli Stati Uniti. E’ tempo che i leader di entrambe le parti ricostruiscano quel tipo di cooperazione in materia di sicurezza nazionale, evitando non solo la tentazione di una posizione ultrapartigiana ma anche una deriva bipartisan verso l’isolazionismo.
Kurt Volker è ex ambasciatore Usa alla Nato. Attualmente è Senior Fellow e direttore generale del Centro per le relazioni transatlantiche presso la Johns Hopkins University School of Advanced International Studies e membro emerito della McLarty Associates
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