LA-U dell'OLIVO
Aprile 27, 2024, 06:16:20 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: Favelas de Janeiro  (Letto 2478 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Settembre 02, 2007, 12:04:25 pm »

Favelas de Janeiro

di Gianni Perrelli


Settecento baraccopoli per due milioni di disperati. Un ghetto dove regnano i cartelli dei narcotrafficanti e dove ogni giorno ci sono omicidi e regolamenti di conti. Le autorità lo tengono in stato d'assedio con 1.200 agenti scelti. Mentre organizzazioni di volontari cercano di portare una luce di speranza 
Nella favela di Alemao, lungo l'autostrada che sfocia nel quartiere altoborghese di Barra, la gente vive come se fosse in guerra. Barricata nei tuguri. Strisciando lungo i muri per sottrarsi alle tempeste di fuoco. Da fine maggio 1.200 poliziotti delle divisioni d'élite cingono d'assedio l'agghiacciante agglomerato di baracche per stanare la soldataglia del Comando Vermelho, la gang che a Rio si contende con i cartelli Amigos dos Amigos e Tercero Comando la supremazia nel traffico della droga. Negli ultimi tre mesi sono rimaste stecchite sull'asfalto decine di vittime. "Non si può combattere il narcotraffico coi petali di rosa", ha detto il presidente Lula per giustificare l'eccesso di repressione. Ma lo spargimento di sangue non è ancora servito a imporre la legalità. I covi non sono stati del tutto espugnati. La cupola resiste. Fa affluire armi e rinforzi dagli altri ghetti malfamati che presidia. Continua a battersi con le bande rivali per il controllo del territorio nelle altre favelas: terrorizzando la popolazione, falcidiando innocenti pedoni con le pallottole vaganti.

Nelle 700 baraccopoli strappate ai morros cittadini, dove in casupole coi tetti di lamiera si addensano due milioni di disperati (un abitante di Rio su sei), lo Stato ha perso la sovranità dagli anni Sessanta, quando l'esplosione del turismo dilatò a dismisura il mercato dei paradisi artificiali. Le forze dell'ordine debbono contrattare con le centrali del narcotraffico l'ingresso pacifico nelle favelas. Il potere delle bande è così ramificato da riuscire a paralizzare l'intera metropoli. Nel settembre 2002 un ordine impartito in carcere da Fernando Beija-Mar, leader storico del Comando Vermelho, provocò la serrata di tutti i negozi. I residenti, che sopravvivono secondo gli schemi della mafia grazie all'assistenza del crimine organizzato, parteggiano per i boss. Anche i rami deviati della polizia li fiancheggiano. Ricevono tangenti per ignorarli. A volte forniscono loro stessi le armi (i Kalashnikov sono i più richiesti) ai giovani delinquenti reclutati nelle fasce più povere. Un'emergenza a cui il presidente Lula vorrebbe mettere termine, stanziando 1.250 milioni di euro per un faraonico piano di sviluppo sociale - strade, luce, ospedali, scuole, tempo libero - che dovrebbe gradatamente prosciugare la palude del degrado e ridurre un tasso di mortalità per scontri armati che è otto volte superiore a quello di Gaza (oltre 2 mila i minorenni uccisi negli ultimi cinque anni).

Gli adolescenti si arruolano nell'esercito del crimine attratti dal fascino dei boss e dalle lusinghe dei facili guadagni. Sanno di mettere ogni giorno la vita a repentaglio. Ma preferiscono spacciare e guerreggiare per le strade piuttosto che accettare le grame prospettive di lavoretti saltuari con cui a stento sbarcherebbero il lunario. L'assenza di orizzonti fa apparire più seducente una vita sempre a rischio, ma ricca di adrenalina e di relativo benessere, al tran tran di una quotidianità misera e vuota. Con un'accettazione fatalistica nei confronti del rischio che rasenta l'incoscienza. Un senso di attaccamento sconfinante nell'orgoglio a quella che in un'etica capovolta considerano una missione.

L'affiliazione alla gang dipende dall'equilibrio dei poteri. Il Comando Vermelho, che è da più tempo radicato nelle favelas e nei suoi programmi assistenziali rivendica perfino confuse sfumature di sinistra, alleva gli adepti fin da giovanissimi e si affida ai boss cresciuti sul posto. Amigos dos Amigos, che per essere ispirato quasi esclusivamente dal profitto è anche soprannominato la 'narcodestra', ha una politica più movimentista: quando conquista un territorio vi installa capi che hanno dimostrato capacità di gestione in altre bidonvilles. Tercero Comando, indebolito dalle batoste subite nei conflitti con i due colossi, non ha una linea precisa: è oggi il principale fra i gruppuscoli che si spartiscono le briciole del narcotraffico.

I boss girano per Rio dentro macchinoni blindati e scortati da cortei di motociclette come se fossero capi di Stato. La manovalanza, che lotta quotidianamente per accaparrarsi fette di mercato nei quartieri-vetrina di Copacabana, Ipanema e Leblon, incappa sempre più frequentemente nelle retate della polizia da quando il nuovo governatore Sergio Cabral ha adottato la linea dura. Nelle galere brasiliane le condizioni di vita sono disumane. Ma la durata delle pene è irrisoria. Per un omicidio, un minorenne non trascorre più di tre anni in prigione. Quando esce ricomincia a sparare e spacciare. Anche perché non ha grandi alternative.

Nelle periferie della cidade maravilhosa, che a dispetto della violenza continua ad attirare con la sua magia le carovane del turismo internazionale, i tassi di disoccupazione sono paurosi. Nel centro storico di Rio, quando al tramonto si spengono le insegne delle banche e delle attività commerciali, migliaia di senzacasa si accasciano sotto i portici, appendendo i poveri panni a cordicelle stese fra le colonne. Il degrado nelle zone più popolari, come la Baixada Fluminense, fornisce quotidianamente alla cronaca orripilanti capitoli di violenza familiare. La città ricca cerca di chiudere gli occhi di fronte a questa realtà. Si sente minacciata. Si rinchiude nei fortilizi di lusso protetti da guardie del corpo, alte mura, filo spinato percorso da corrente elettrica ad alto voltaggio. In un paradiso artificiale che scorre parallelo all'inferno.

Prima che Lula perdesse la pazienza, le autorità avevano cercato di alleviare il disagio sociale nelle favelas con qualche palliativo. Al Morro do Sao Carlos, sotto il Cristo del Corcovado e al Complexo de Mare, le associazioni di volontariato svolgono da qualche anno programmi di prevenzione del crimine, cercando di inculcare nei bambini il ripudio della violenza e indirizzandoli verso la danza o le discipline sportive. La organizzazione non governativa Viva Rio mette a disposizione sul sito vivafavela.com tutte le informazioni utili per ridurre i disagi delle bidonvilles.

"La rabbia è spesso incontenibile", dice il direttore Ruben Cesar. "Ma, se ben incanalata, può superare la violenza e diventare uno strumento di cultura". In questo spirito sono fiorite iniziative che, come è successo a New York per Harlem, tendono a nobilitare i ribollenti umori delle periferie. La cooperativa di disegno tecnico Coopa Roca, diretta dal sociologo Tete Leal. L'agenzia fotografica Olhares de Morro fondata dal francese Vincent Rosenblat. Il teatro Nos do Morro che trasforma i bambini in attori. La Cufa (Central unificada de favelas) che agglutina movimenti musicali di avanguardia: in testa la Gang Break Conciencia de Rocinha, un gruppo hip-hop che echeggia ritmi e mode del Bronx.

La Rocinha, con 200 mila abitanti, è la favela più grande di Rio. Vi abita anche un nucleo di classe media, espulsa a causa della svalutazione monetaria dai quartieri borghesi. Un alveare umano raggrumato sui tornanti di una collina prospiciente il mare. Con banche, negozi, ristoranti, campi sportivi, luoghi di ricreazione. Ma senza acqua corrente. Meta di safari fotografici organizzati da agenzie specializzate, con il lasciapassare degli Amigos dos Amigos, per turisti a caccia di emozioni forti. Lungo i vicoli è facile imbattersi nelle ronde armate: giovanotti incappucciati, coi mitra in pugno, e le magliette decorate da simboli guerrieri, che il governatore-sceriffo programma di disarmare.

Dante Quinterno, imprenditore argentino, ha aperto nel '95 Tv Roc, un canale televisivo via cavo che per un canone mensile di sette euro raggiunge le case di 30 mila abbonati. Utilizza stagisti che provengono dalle facoltà di giornalismo di tutto il Brasile. Trasmette ogni giorno tre ore di notiziario sulla vita della favela, tavole rotonde e una ventina di rubriche a tema curate da psicologhi, sociologhi, esperti religiosi. "Cerchiamo soprattutto di valorizzare le potenzialità della Rocinha enfatizzando le notizie positive: le campagne di vaccinazione, le elezioni delle miss, i nuovi posti di lavoro, i campioni di calcio del quartiere". Un argomento rimane tabù: il narcotraffico. Affrontarlo provocherebbe subito la chiusura.

Gianni Perrelli

da espressonline.it
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!