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Autore Discussione: Susanna CAMUSSO.  (Letto 8590 volte)
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« inserito:: Novembre 01, 2010, 12:11:09 pm »

Una donna volta pagina alla Cgil il timone nelle mani della Camusso

Appassionata velista, milanese, 55 anni. Sarà la prima a guidare il più grande sindacato italiano.

Subito il nodo Fiat: "Nuove regole sulla rappresentanza".

Mercoledì il direttivo la eleggerà segretario generale al posto di Guglielmo Epifani. "Da noi non c'è il leaderismo, c'è un'idea di responsabilità collettiva"

di ROBERTO MANIA


ROMA - "No, non avrei mai pensato di poter diventare il segretario generale della Cgil. E' una roba che può anche mettere il panico. Ma la Cgil è un collettivo, una grande rete. Da noi non c'è il leaderismo. Il segretario non viene nemmeno scelto al congresso. Non facciamo le primarie, noi. In Cgil c'è un'idea di responsabilità collettiva". Eccola Susanna Camusso, cinquantacinque anni, milanese, professione sindacalista. Donna. La prima a guidare il più grande sindacato italiano, nella stagione della crisi industriale più radicale. Il sindacato più rosso. L'unica organizzazione di massa social-comunista che ha attraversato il Novecento ed è entrata nel nuovo secolo senza cambiare nome e neanche missione. La Cgil è rimasta la Cgil, nel bene e nel male. Si è solo aggiornata, lentamente. Tanto che ora sceglie di essere guidata da una donna. E Susanna Camusso è profondamente intrisa di questa cultura. Da trentacinque anni la Cgil è molto più del suo lavoro. E' una militanza, di quelle un po' retrò che si vivono con passione, e che non ammettono mezze misure.

Mancano ancora due giorni alla sua elezione al vertice di Corso d'Italia, sulla poltrona che fu di Giuseppe Di Vittorio, di Luciano Lama, di Bruno Trentin, di Sergio Cofferati. Guglielmo Epifani, il primo socialista segretario generale, lascerà dopo otto anni. Camusso parla con ritrosia del suo futuro per rispetto del Direttivo che la eleggerà. Ragiona sul sindacato interrotta
da decine di telefonate sul suo cellulare che suona Bob Dylan, "Blowing in the wind". Sono i "compagni" delle strutture di tutta Italia che la chiamano per aggiornala sulle vertenze della crisi e chiederle consigli. Susanna Camusso conosce anche i dettagli di tutte le ristrutturazioni aziendali. E' puntigliosa, metodica, anche un po' secchiona. Fuma una sigaretta dopo l'altra. Gli occhi color ghiaccio fissi. Sembra una lince. Si rilassa solo quando arriva la telefonata della figlia Alice, 22 anni, studentessa alla Normale di Pisa. L'altra sua grande passione.

Eppure sindacalista è diventata per caso. Dice: "Non si sceglie di fare la sindacalista. Ma poi può diventare una straordinaria avventura". Come quelle vissute in mare, al timone di una barca a vela che Susanna Camusso affitta ma non ha mai posseduto. Lei è la quarta di quattro sorelle di una famiglia piccolo borghese di sinistra. Nascono tutte a Milano, ma vivono molti anni ad Ivrea. Lorenzo Camusso lavora nella Comunità di Adriano Olivetti, la madre, Giulia, è una psicologa. "Avevamo una casa piena di libri. Leggere e studiare era normale". Come era normale, in quei primi anni Settanta, per uno studente universitario (Camusso si iscrive a Lettere antiche) incrociare la Flm, la Federazione unitaria dei lavoratori metalmeccanici. Una sigla mitica per le lotte operaie. Voleva dire Fiom, Fim e Uilm insieme, unite. Impensabile oggi nel nuovo secolo delle fratture sindacali. Camusso diventa "Susanna delle 150 ore". Si occupa del coordinamento delle ore di studio per i lavoratori meno scolarizzati. L'emancipazione operaia si fa anche così.

Negli anni Settanta Milano è ancora una città industriale. Camusso milita prima nel movimento studentesco, poi lascia l'università ed entra nella Fiom di Milano. Il capo è Antonio Pizzinato che, per una breve stagione, sarà anche segretario generale della Cgil. Ogni mattina si va in fabbrica a parlare con gli operai, a fare proselitismo. La fabbrica di Susanna è l'Ansaldo. Lì si farà le ossa. Vive gli anni di piombo così. Entra nel Psi. "Ma non sono mai stata craxiana. Ero della sinistra". Fabbriche, politica e femminismo. Perché quelli sono gli anni delle grandi battaglie per i diritti delle donne. Solo nel '93 Fausto Vigevani, primo socialista a guidare la Fiom, la chiama a Roma nella segreteria nazionale, nell'aristocrazia del sindacato di sinistra. Con la delega più prestigiosa: l'auto, cioè la Fiat, il padrone vero. A Vigevani succederà Claudio Sabattini, il teorico della Fiom "indipendente", quasi un partito del lavoro. Camusso, socialista e riformista non è dei suoi. Lo scontro tra i due sarà durissimo. Camusso viene rimossa dopo un accordo con la Fiat. Lei parlerà di "metodi stalinisti". Resta per un po' alla Fiom poi torna a Milano, prima tra gli agro-industriali, poi come numero uno della Cgil lombarda. A Roma la richiama Epifani, nel 2008. Ormai è la predestinata. E ora dovrà fare i conti con la sua Fiom e con le divisioni senza precedenti tra Cgil, Cisl e Uil. Sullo sfondo c'è la sagoma di Sergio Marchionne, l'italo-canadese che ha deciso di cambiare le relazioni industriali italiani, provocando fratture e sfidando proprio il "collettivo" della Cgil. "Servono le nuove regole sulla rappresentanza", ribatte Camusso. Inizio delle trattative.

(01 novembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/economia/2010/11/01/news/camusso_cgil-8627262/
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« Risposta #1 inserito:: Settembre 29, 2011, 05:02:53 pm »

    
La lettera

Una patrimoniale per rilanciare il Paese

di SUSANNA CAMUSSO


CARO DIRETTORE, l'Europa si affaccia al tema della crescita e pone domande all'Italia dove il Governo ha prodotto manovra su manovra politiche recessive; e anche se adesso lancia annunci, bisogna constatare che piani decennali e decreti sono fuori tempo massimo e privi di risposte efficaci. Il Governo rappresenta gran parte del problema: la sua uscita di scena è condizione per recuperare credibilità sui mercati.

Nel frattempo bisogna dare una prospettiva al Paese e noi pensiamo che le risorse per il risanamento e la crescita si debbano reperire da una seria tassazione delle grandi ricchezze, dei grandi immobili e da un contributo di solidarietà sui redditi alti ed una rigorosa lotta all'evasione fiscale che non guardi in faccia a nessuno. La straordinaria partecipazione allo sciopero dello scorso 6 settembre testimonia, l'ampia condivisione di una politica di giustizia fiscale.

Confindustria non può pensare che la crescita della nostra economia possa derivare dall'allungamento dell'età pensionabile. Infatti il fondo lavoratori dipendenti è in equilibrio e non può essere intaccato per fare cassa. Soprattutto, se crescita significa occupazione, non si può allungare l'attesa dei giovani per l'ingresso al lavoro: il teorico risparmio dell'età pensionabile è in realtà un gigantesco costo che produce disoccupazione femminile e giovanile e dispersione all'estero delle intelligenze.

Parlare di crescita non significa parlare solo di Pil, ma di lavoro, di occupazione, di qualità dei servizi, di sostenibilità ambientale. È indispensabile un piano per l'occupazione giovanile e la stabilizzazione del precariato. Lo si può aiutare con la riduzione del carico fiscale sulle aziende e con incentivi all'assunzione e alla stabilizzazione. Lo si può finanziare con il ripristino di una tassa di successione che non escluda i patrimoni societari.

L'obiettivo della crescita e della coesione sociale passa per un riconoscimento alle Regioni ed alle Autonomie Locali della loro funzione: welfare è sviluppo e gli investimenti li produce il territorio.

Per questo con loro occorre ragionare di qualificazione e stabilizzazione del lavoro pubblico e di qualificazione dei servizi pubblici locali. Non in una logica di privatizzazione e smantellamento, come sembra indicare Confindustria, ma di riorganizzazione e concentrazione.

Il potenziamento e la qualificazione del trasporto pubblico locale può rappresentare una filiera con cui modernizzare intere aree, sfruttare le capacità tecnologiche e industriali nazionali, produrre, difendere e favorire l'occupazione e la mobilità dei cittadini. Per fare ciò sono necessarie risorse adeguate, politiche mirate e coinvolgimento delle istituzioni locali, di tutti gli operatori locali e nazionali. In materia di Tpl proponiamo alle Regioni che svolgano una funzione di indirizzo e pianificazione costituendo un'unica società integrata per ogni Regione.

La crescita è possibile solo in una logica unitaria che assuma l'emergenza meridionale come priorità assoluta. La crisi minaccia interi settori produttivi e può produrre la deindustrializzazione di intere Regioni (a partire dalla Campania, dalla Sardegna e dalla Sicilia). La latitanza del Governo su questo tema è stata scandalosa e ha concorso al declino e al degrado del Paese. La responsabilità di una classe dirigente impone che le grandi imprese nazionali si facciano promotrici di un disegno che produca la difesa degli insediamenti e nuovi investimenti nel Mezzogiorno. Finmeccanica ed Eni sono chiamate a "fare la loro parte" di grandi gruppi a controllo pubblico con responsabilità sociali oltre che interessi aziendali cui rispondere, senza cedere a nessun richiamo di secessione nel Paese.

Quest'idea di Crescita presuppone occupazione stabile e qualificata, nonché un sistema di diritti e regole certe; facendo la nostra parte abbiamo definito l'accordo interconfederale del 28 giugno.
Per lo stesso motivo siamo impegnati a cancellare l'articolo 8 della manovra, emblematico della negazione dello sviluppo da parte del Governo che pensa si possa cancellare il Diritto del Lavoro.

*segretario generale Cgil

(29 settembre 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/economia/2011/09/29/news/una_patrimoniale_per_rilanciare_il_paese-22392930/?ref=HRER2-1
« Ultima modifica: Settembre 29, 2011, 05:05:11 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Dicembre 03, 2011, 10:50:30 am »

Cgil: le nostre 9 proposte per risollevare l'Italia

Di Susanna Camusso

3 dicembre 2011

Il lavoro da difendere, il lavoro da cercare, il lavoro da stabilizzare, il lavoro per dare futuro e certezza a donne, uomini, giovani e non più giovani. Dovrebbe essere un concetto banale, invece solo proporre il tema come priorità è obiettivo tutt’altro che scontato.
In sostanza possiamo dire che la crisi, la grande crisi del mondo, quella ignorata per tre anni dal governo appena “uscito” e sottovalutata dal duo Francia - Germania in Europa, è crisi figlia dell’aver spostato dal lavoro alla finanza, dall’eguaglianza alla diseguaglianza le finalità del “mercato”, se è questo: la scelta dovrebbe essere netta ed evidente, riportare al centro il lavoro; il lavoro produttore di ricchezza, non il denaro. All’esploderedella crisi l’invocazione diffusa era riproporre il governo politico economico del mercato, le regole.

Si disse basta alle agenzie di rating all’origine di tanti errori, che nulla avevano previsto. Sembrapassatounsecolo, sono tre anni mal contati, e tutto ruota intorno al rating dei Paesi. Spread e borse decidono degli Stati e dei loro percorsi di governo e di democrazia, si rincorrono manovre ed un’idea di cancellazione del welfare e del lavoro come ricetta standard del liberismo tornato a dettare le scelte. Tre anni persi del nostro Paese e dell’Europa si traducono in più di un giovane su tre senza lavoro, nella crescita della disoccupazione, nell’allungamento dei tempi della disoccupazione, di un’occupazione femminile che già troppo bassa perde ulteriore terreno.

Tre anni persi tradotti giustamente dai giovani e dalle giovani nello slogan “ci state rubando il futuro”: dall’istruzione al lavoro.
L’assemblea straordinaria della Cgil proprio per questo propone il lavoro, la cura del lavoro. Senza il lavoro al centro della politica, senza il ritorno alla crescita ci avviteremo nella crisi e nelle manovre e gli effetti sono evidenti, crescita della diseguaglianza ed impoverimento dei “produttori”: lavoratori, pensionati, piccole e medie imprese, artigiani e cooperatori, che pagano il conto di un banchetto a cui non hanno partecipato. Ripartiamo dal lavoro, e facciamo oggi quello che serve a delineare il futuro per chi ha tanto lavorato, per chi vorrebbe lavorare, ovvero fine del precariato, certezza delle pensioni.

Si può, sì. Manteniamo con nettezza la barra sulla necessità di un’Europa che sappia darsi unità politica e scelte di crescita, un nuovo sviluppo che guardi alla qualità delle scelte, che innovi e “salvi” la terra, unico patrimonio dell’umanità non rigenerabile ma da curare. Si può, non passando il tempo nell’esegesi di lettere bancarie e risposte del governo deceduto, ma proponendo la stradpartire da chi non ha pagato, da chi ha pagato poco per ridare ai redditi da lavoro e da pensioni, per non comprimere quei consumi essenziali che si vanno riducendo. Renderestrutturaleil contributo di chi ha di più per generare lavoro, allentare il patto di stabilità deiComuniper far partire investimenti, “piccoli” lavori per dare lavoro.

Un nuovo patto costitutivo deve ripartire dal welfare, ovvero da equità e riduzione delle diseguaglianze. Nuovo patto costitutivo per la Cgil vuol dire dare senso oggi alla nostra idea fondante, fu nella ricostruzione dell’Italia il piano del lavoro, è oggi nel 2011, un piano del lavoro dei giovani finalizzato a rimettere in sesto questo nostro Paese martoriato dalle alluvioni, dalle tragedie, dal dissesto del territorio. Aver cura del lavoro per aver cura del Paese, usare intelligenze, istruzione, per il riassetto idrogeologico, per la cura e la manutenzione.

da - http://www.unita.it/economia/tre-anni-buttati-rimettiamo-al-centro-il-lavoro-1.358844
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« Risposta #3 inserito:: Dicembre 08, 2011, 05:19:50 pm »

IL DOCUMENTO

Un nuovo patto sociale per rispondere alla crisi

Lettera aperta ai vertici dell'Unione Europea firmata dai leader dei maggiori sindacati dei Paesi Ue: "Per uscire dall crisi serve la garanzia assoluta sui debiti sovrani e un nuovo modello basato sulla redistribuzione delle ricchezze, il diritto del lavoro e la negoziazione collettiva"


di SUSANNA CAMUSSO, FERNANDEZ TOXO, CANDIDO MENDEZ, MICHAEL SOMMER, BERNARD THIBAULT, FRANÇOIS CHERÈQUE, ANNE DEMELENNE, CLAUDE ROLIN


L'Unione europea attraversa la crisi più profonda della sua storia. Una crisi finanziaria ed economica che ha gravi conseguenze sociali ma che è divenuta, soprattutto, crisi politica della stessa Ue. Chi poteva immaginare, appena due anni or sono, che tante voci, anche molto qualificate, potessero prevedere una possibile rottura dell'euro? Significherebbe la distruzione dello stesso progetto europeo. Come si è potuti arrivare a questo?

La radicale virata politica del Consiglio d'Europa del 9 maggio 2010 fu dichiarata necessaria per recuperare fiducia dei mercati finanziari e permettere ai loro agenti di finanziare gli stati europei con tassi di interesse ragionevoli. Da quella data, il Consiglio, la Commissione e la Bce hanno promosso, o imposto, politiche di austerità basate sulla riduzione delle spese pubbliche e sulle famose "riforme strutturali" consacrate nel Piano di governance economica e nel Patto Europlus. Il prossimo vertice del Consiglio europeo, il 9 dicembre, lancerà il dibattito sulla riforma del Trattato di Lisbona per mettere queste politiche al centro di una governance economica rafforzata della zona Euro.

Il fatto è che queste politiche sono naufragate. Sul piano economico, la crisi dei debiti sovrani si è propagata ed aggravata. Le conseguenze sociali della riduzione dei salari e delle pensioni, della contrazione delle spese della protezione sociale, dell'istruzione e della salute sono evidenti. Parallelamente, la solidarietà tra paesi si sta riducendo. Fatto inedito,
le istituzioni europee incoraggiano una profonda erosione del modello sociale.

Le istituzioni europee e di molti paesi stanno per rompere quel patto sociale che aveva permesso, dopo la seconda guerra mondiale, di costruire gli Stati previdenziali europei e il progetto comune che ha portato all'Unione europea. Il sindacalismo europeo, riunito in seno alla Confederazione europea dei sindacati Ces, ha rifiutato fermamente tali politiche e si è mobilitato.

Non è chiaro, finora, fino a che punto i fatti stiano dando ragione alle sue proposte ed analisi. Costruiamo a sostenere che non ci sia altra soluzione che approfondire il progetto europeo, ma con formule ben diverse dalle politiche sbagliate e ingiuste che gli attuali responsabili europei ci impongono. Non è il momento di rimettersi ai governi di tecnocrati, c'è bisogno di maggiore azione politica e di partecipazione dei cittadini.

Cosa proponiamo per uscire da questa crisi economica e politica dell'Ue? Innanzitutto, fermare i meccanismi della speculazione, garantire la capacità finanziaria di tutti gli stati membri. Il solo annuncio, credibile, di una garanzia assoluta dei debiti sovrani porrebbe un freno alla speculazione dei mercati. Tale garanzia potrebbe concretizzarsi nell'emissione di euro-obbligazioni e nella trasformazione della Bce in prestatore di ultima istanza. Anche il sindacalismo europeo è molto preoccupato della stabilità delle finanze pubbliche. Non si può tuttavia raggiungere gli obiettivi di riduzione del deficit e del debito annientando le economie.

Pensiamo che oggi più che mai si abbia bisogno di una nuova politica monetaria, economica e sociale, nel quadro di una governance economica forte della zona Euro, coordinata con quella dell'Ue a 27, ma con contenuti assai diversi da quanto propostoci dai governi. Affrontare l'insieme delle sfide europee è impossibile con un esangue stanziamento che arriva appena al 1% del Pil. Abbiamo bisogno di una istituzione europea che emetta debito e non soltanto di una banca centrale la cui unica missione è controllare l'inflazione.

Il Consiglio europeo del 9 dicembre dovrà risolvere problemi immediati del debito e della crescita, nonché dare chiare indicazioni sulla prospettiva che noi proponiamo. Il movimento sindacale europeo non difende una posizione di parte: noi cerchiamo di proteggere l'interesse generale. È necessario un nuovo patto sociale.

Il patto fiscale, le politiche di redistribuzione delle ricchezze, il diritto del lavoro e la negoziazione collettiva sono stati il collante del più lungo periodo di prosperità economica e democratica in Europa. Tale collante ha consolidato relazioni del lavoro moderne, permettendo un forte coinvolgimento dei lavoratori, attraverso le loro organizzazioni, nella vita delle imprese. Soltanto basandoci su questi valori, che hanno definito il modello sociale europeo si potrà uscire dalla crisi.

Esigiamo che venga realizzata una futura revisione dei trattati integrando la dimensione sociale. I diritti sociali fondamentali, in particolare quelli riguardanti la negoziazione collettiva, debbono essere rispettati ed inclusi in tutte le misure anticrisi.

Il progresso dell'Unione europea si deve basare sulla coesione sociale e la solidarietà interna tra gli stati membri e nella solidarietà e la coesione politica tra essi. Per raggiungere questo, bisogna agire in un quadro comune europeo e rafforzare il dialogo sociale. È per questo che avanziamo queste proposte, esigendo che non si marginalizzino i lavoratori nella ricerca delle soluzioni, manifestando la volontà di mobilitarci in un quadro europeo, per ottenerle.

* Susanna Camusso, segretario generale Cgil; Fernandez Toxo, segretario generale Ccoo Spagna; Candido Mendez, segretario generale Ugt Spagna; Michael Sommer, segretario generale Dgb Germania; Bernard Thibault, segretario generale Cgt Francia; François Cherèque, segretario generale Cfdt Francia; Anne Demelenne, segretario generale Fgtb Belgio; Claude Rolin, segretario generale Csc Belgio

(08 dicembre 2011) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/economia/2011/12/08/news/lettera_camusso-26266055/?ref=HRER1-1
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« Risposta #4 inserito:: Gennaio 30, 2012, 04:11:20 pm »


La lettera

Quante differenze dagli anni di Lama oggi la precarietà è il primo problema

di SUSANNA CAMUSSO *

CARO DIRETTORE, nel suo editoriale di ieri Scalfari cita un'intervista a Luciano Lama, della quale si tralascia di ricordare le affermazioni sui profitti e sulla funzione "programmatica" dell'accumulazione che è fondamentale nel pensiero di Lama, e nella svolta dell'Eur.

La Cgil oggi, come Lama ieri, mette al centro occupazione e lavoro, ma mentre allora i salari crescevano, anche se molto erosi dall'inflazione, oggi siamo alla perdita sistematica del loro potere d'acquisto e ciò rappresenta una ragione importante della recessione in atto. La distribuzione del reddito tra profitti e retribuzioni non aveva lo squilibrio di oggi. Tutti, ormai, leggono in questa diseguaglianza la ragione profonda della crisi che attraversiamo e il motivo per cui le politiche monetariste non ci porteranno fuori dal guado.

La diseguaglianza è dettata dallo spostamento progressivo dei profitti oltre che a reddito dei "capitalisti", a speculazione (o si preferisce investimento?) di natura finanziaria. Così si riducono, oltre che la redistribuzione, anche gli investimenti in innovazione, ricerca, formazione e in prodotti a maggior valore e più qualificati.

Senza investimenti, si è scelto di produrre precarietà, traducendo l'idea di flessibilità invece che nella ricerca di maggior qualità del lavoro, di accrescimento professionale dei lavoratori, in quella precarietà che ha trasferito su lavoratori e lavoratrici le conseguenze alla via bassa dello sviluppo. In sintesi: lo spostamento sui lavoratori dei rischi del fare impresa.

Quale straordinaria differenza dal 1978! E ancora si potrebbe sottolineare che invece di avere attenzione ai redditi, si continua ad agire sulle accise, attuando una politica dei redditi senza nessun controllo dei prezzi.
Quanta disattenzione, poi, alle proposte vere della Cgil, quando indichiamo come priorità un Piano per il Lavoro, che per noi affronta i grandi temi del paese e interroga equità e crescita non come mantra per edulcorare, ma come scelte che devono intervenire sulla responsabilità e i comportamenti di ciascuno, se si vuole dare senso alla riduzione della diseguaglianza e riparlare di futuro.

Il Piano del Lavoro si misura con la funzione dell'intervento pubblico, troppo facilmente archiviato dal liberismo e dai suoi effetti evidenti, sulla funzione del welfare come motore di uno sviluppo attento alle persone e non mera "assicurazione" o costo, sulla funzione dello sviluppo che ha esaurito la spinta propulsiva del puro consumismo.

Ancora, un Piano del Lavoro per giovani e donne del nostro paese a cui non possiamo solo raccontare che avranno meno tutele perché i padri gli avrebbero mangiato il futuro. Un Piano per il Lavoro che voglia bene al nostro paese, non solo perché la Cgil (per troppo tempo da sola) ha indicato che non fare politiche industriali e di sistema ci avrebbe portato al declino, ma perché non ci sfugge il pericolo economico e democratico di una crisi prolungata di cui la disoccupazione è primo indicatore.

A noi è chiara l'emergenza così come la necessità di una nuova idea di sviluppo. Per questo, voler bene al paese e voler attivare i giovani, o meglio riconoscergli l'età adulta, può partire dalla scelta pubblica e politica di un Piano del Lavoro.

Un Piano per il Lavoro guarda, ovviamente, all'immediato e alla capacità di programmare. In questo quadro intende affrontare anche i nodi della produttività, della contrattazione, della rappresentanza, del mercato del lavoro, e soprattutto del fisco.

Il coro sull'importanza del rilancio della produttività trascura di cimentarsi con le cause del suo declino in Italia. O inventa cause di comodo: qualcuno arriva a teorizzare l'assurdità che sarebbe per colpa dell'articolo 18. Al contrario, la produttività nel nostro paese decresce al crescere della precarietà, che non ha neanche incrementato l'occupazione, producendo, invece, quel lavoro povero su cui sarebbe bene interrogarsi.

Per noi l'urgenza è la riduzione della precarietà che viene prima, molto prima, di altri temi. Nella riduzione della precarietà vi è compresa certamente la riformulazione degli ammortizzatori, su cui da tre anni abbiamo proposto una riforma. Vorrei poi ricordare che la mobilità annunciata dall'intervista di Lama è realtà da molti anni, che la Cigs ha la durata di un anno rinnovabile a due, che comunque ha un tetto, come pure la Cig ordinaria, in ogni quinquennio, che una stagione di riorganizzazione del sistema produttivo non deve disperdere professionalità e competenze. Oppure si deve ritenere che la società della conoscenza è solo dei manager? Credo che sarebbe bene per tutti, discutere fuori dai pregiudizi e dagli slogan facili, e non confondere l'emergenza con l'idea che "qualunque cosa può essere fatta".

Siamo i primi ad apprezzare che l'Italia sia tornata al tavolo dei grandi, a sostenere sforzi per far ripartire il paese, ma se ogni scelta presenta il conto solo al lavoro (nella finanziaria la cassa sulle pensioni; nelle liberalizzazioni il contratto ferrovie e l'equo compenso dei tirocinanti, ad esempio), abbiamo il legittimo dubbio, anzi la certezza, che si affronta il " nuovo" con uno strumento antico e che il fine non sia far ripartire il paese, ma "salvare il soldato Ryan". Se sarà così, non si salverà l'Italia ma una sua piccola parte, che forse non ha bisogno di salvarsi, perché lo fa già tra evasione, sommerso e lobbismo di ogni specie.

Questa è un'ipotesi cui non intendiamo rassegnarci. Siamo seriamente impegnati al confronto su crescita e mercato dal lavoro: l'abbiamo preparato con un documento unitario, abbiamo guardato ai modelli europei, fra cui la Germania che usa l'orario ridotto finanziato dallo stato e non licenzia. Ci siamo trovati di fronte ad un documento del ministro, non condiviso da nessuno. Senza nostalgie di nessun tipo pensiamo sia utile proporre un negoziato vero e non affidarsi a ricette preconfezionate il cui fallimento è nei numeri della precarietà e della disoccupazione, a partire dai settecentomila posti di lavoro persi dell'industria in cinque anni.

* Segretario generale della Cgil
 

(30 gennaio 2012) © Riproduzione riservata
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« Risposta #5 inserito:: Aprile 14, 2013, 07:48:02 pm »

Camusso: superiamo le divisioni

13 aprile 2013Commenta


Con la relazione del Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi si sono conclusi i lavori della seconda giornata di convegno della Piccola Industria di Confindustria. Al centro, la tavola rotonda sui temi dell'economia reale e del lavoro.
Ad aprire i lavori il presidente della Piccola industria di Torino Bruno Di Stasio e il responsabile degli industriali del Piemonte Gianfranco Carbonato. In programma l'intervento di Alberto Quadrio Curzio e la tavola rotonda "Ripartire dall'economia reale e dal lavoro". Poi gli interventi per la crescita, con i segretari generali di Cgil, Susanna Camusso, della Cisl, Raffaele Bonanni, Enrico Cucchiani, ceo Intesa Sanpaolo, Stefano Dolcetta, vice presidente Relazioni industriali Confindustria, Vasco Errani, a capo della Conferenza Stato Regioni e Stefano Micossi, direttore Assonime.

Ecco la cronaca web della seconda e conclusiva giornata dei lavori.

13,05 - La conclusione. «Se chiudono le imprese, muore il nostro Paese», chiude Giorgio Squinzi tra gli applausi.

13.01 - Esaurita la pazienza - Squinzi: «Vogliamo dare un messaggio pacato e responsabile, ma chiaro: qui a Torino, oggi, vogliamo dire che non solo è scaduto il tempo, ma anche la nostra pazienza».

13,00 - La priorità è la crescita - Squinzi: «Interventi congiunturali con fondi europei non spesi, una nuova Sabatini, credito d'imposta per ricerca e nuova occupazione. Stiamo lavorando per mettere in circolo linfa vitale. Credito, investimenti occupazione il nostro credo. La crescita fondata sull'industria è la priorità.

12,57 - L'applauso a Napolitano. La platea applaude a Giorgio Napolitano, che Squinzi definisce «esempio di servizio allo Stato anche in questa fase delicata».

12,55 - Cinquanta giorni di inerzia totale. Ancora Squinzi: «Speravamo di trovarci qui a discutere del programma dei primi 100 grioni del nuovo governo, e invce siamo reduci da 50 giorni di inerzia totale».

12,53 - In alto il progetto Confindustria per l'Italia. Dalla platea del convegno di Piccola Industria in molti sventolano il programma di Confindustria consegnato alle forze politiche durante il discorso del presidente Squinzi.

12.50 - Il documento di Confindustria. Squinzi: «Non ci siamo limitati alle solite lamentele, abbiamo offerto una proposta articolata alle forze politiche: abbiamo ricevuto molti complimenti, ma era una magia da canmpagna elettorale». Squinzi agita il documento di Confindustria: «Questo è il nostro progetto, e noi lo difenderemo».

12,44 - Chiudere o indebitarsi? Prende la parola Giorgio Squinzi, per le conclusioni. «Chiudere o indebitarsi? Per molti imprenditori oggi l'alternativa è questa, ma io non voglio arrendermi a vivere in un paese così. Serve un patto tra produttori per rilanciare il Paese».

12,30 - Le banche possono fare di più. Di nuovo Cucchiani: «le banche, pur in presenza di vincoli esterni pesanti e spesso ragionevoli, possono fare di più e meglio. A volte, è vero, manca il credito anche a imprese meritevoli: noi dobbiamo cambiare approccio, guardando a tutta la filiera e non solo alla singola impresa».

12,20 - Più bond, meno credito. Cucchiani: «Le imprese sono troppo dipendenti dal credito bancario, devono finanziarsi più con i corporate bond e meno con i soliti finanziamenti».

12,25 - Tassazione e redistribuzione. Spostare tassazione su rendite e sull'evasione bisogna andare a un salto di qualità. Ma abbiamo bisogno urgente, aggiunge Camusso, delle risorse per gli ammortizzatori sociali. Il paese aumenta la competitivita se riprende l'innovazione e qualifica i servizi pubblici.

12,15 - Chiudiamo prima la stagione delle divisioni. Chiudiamo la stagione delle divisioni e rimettiamo mano alla questione della rappresentanza, dice Camusso. Poi bisogna passare alle priorità, i due nodi, lavoro e fisco, che richiamano il tema della redistribuzione. Il carico fiscale a carico di lavoratori e pensionati aumenterà con le prossime scadenze. L'irap pagata sui lavoratori è una ingiustizia.

12,10 - La Cgil e il Patto dei produttori. «L'avvitamento dell'economia è tale che è in corso una valanga, il processo non è governato». Lo sottolinea Susanna Camusso, segretario generale della Cgil. «Il paese si sta impoverendo, la strada del fare i compiti a casa in Europa ci ha portato a questo punto. La Cgil è affascinata dal tema del patto dei produttori, ma non facciamoci illusioni. Parliamo di cose concrete. Valutare a che punto siamo e le ferite che il sistema industriale ha».

12.00 - Gli esempi da seguire. Enrico Cucchiani (ceo Intesa): «Dobbiamo crescere ma stiamo attenti, perché così come la meta, è importante la strada che scegliamo».

11.50 - Il nodo del credito. Stefano Micossi (Assonime): «Il sistema bancario sta soffrendo non per operazioni spericolate, ma perché l'economia va male. E il problema non riguarda le grandi banche, ma chi viene subito dopo. Abbiamo bisogno di ampio credito a basso costo».

11.50 - Una scossa al Paese. «Il sistema che sta intorno alle fabbriche è a soqquadro», dice Bonanni. «Le tasse sul lavoro vanno dimezzate, e va data rilevanza penale alla evasione. Cosi si aumenta il gettito. Spero su questo ci si metta d'accordo e confido che daremo una scossa al Paese».

11,40 - Il paese sta soffrendo. «La rappresentanza politica è in difficoltà», dice Raffaele Bonanni. «Spero non entri in crisi la rappresentanza sociale. Da anni sosteniamo che il peso della tassazione sul lavoro è eccessivo. Serve un'Italia nuova. Le parti sociali devono stare in campo a sostegno della parte migliore del Paese».

11,35 - Al via la tavola rotonda. Problema della domanda interna e della disoccupazione. Sono i temi dell'intervento di Stefano Dolcetta, vice presidente relazioni industriali di Confindustria. «Se vogliamo mantenere il manifatturiero dobbiamo puntare a un recupero di competitività». Costo del lavoro elevato, questo è la componente principale.

11,15 - Usa vs Europa. Quadrio Curzio: «Il vecchio continente ha fondamentali decisamente migliori degli Stati Uniti, che però sono estremamente pragmatici, capaci di decidere molto in fretta. L'Europa ha scelto la linea del rigore, ma perché non essere un po' piu elastici sul debito per finanziare le grandi opere?».

11.10 - Il peso della burocrazia. Un applauso ha accolto il passaggio sul peso della burocrazia su aziende e cittadini e sulla necessità di interventi per la semplificazione legislativa. «In Europa - ha aggiunto Quadrio Curzio - l'Italia deve essere più assertiva».

11.05 - La forza della manifattura italiana. Questa forza deriva, spiega Quadrio Curzio, dalla forte identificazione degli imprenditori con le loro imprese, dalla capacità di innovare e di internazionalizzarsi. Poi lancia una proposta: pensiamo a una riforma strutturale, una convenzione socio economica per tracciare percorsi di crescita dell'economia reale che coinvolgano anche le banche.

10,55 - Crescere si può e si deve. Dal confronto con l'Europa l'andamento del Pil dal 1999 è stabilmente superiore a quello dell'Italia, con un forte divario nel 2012. Lo rileva Alberto Quadrio Curzio, vice presidente Accademia nazionale dei Lincei.

10.45 - L'interminabile elenco dei balzelli. In video, i volti e le storie degli imprenditori: la liquidità, la burocrazia, e soprattutto il fisco. L'elenco delle imposte e delle tasse dura più di un minuto, alla fine un applauso spontaneo dalla platea.

10.30 - Carbonato: se si fermano le imprese, questo paese non ha piu futuro. Un paese civile non puo' far fallire le sue imprese semplicemente perche' non le paga.Ancora Di Stasio: il tempo e' scaduto da troppo tempo. Chiediamo al prossimo governo di non inventare niulla di nuovo: c'e' gia' tutto nelle nostre proposte, fatte da chi di impresa se ne intende.

10.15 - Carbonato, presidente di Confindustria Piemonte: quello che stiamo attraversando e' un momento storico. Torino, dove l'industria italiana ha iniziato la sua storia, e' la sede naturale per lanciare un forte messaggio di cambiamento. Di qui possiamo dire che la misura e' ormai colma: e lo diciamo soprattutto ai sindacati, nella convinzione che il recupero della produttivita' e' la chiave per il nostro sviluppo. Lo ripetiamo alla politica, impegnata in incomprensibili giochi di potere, e all'europa, dove spesso si fanno solo calcoli cervellotici.

10.00 - Di Stasio: sono passati tre anni dall'inizio della crisi, ma poco o nulla e' stato fatto per innovare il nostro sistema. Crescere, pero', si puo': vogliamo ribadirlo. lla politica diciamo di aiutarci a salvare il patrimonio industriale che si sta disperdendo. La nostra passione per ora si confronta con l'indifferenza della politica e questa situazione deve cambiare.

9.50 - Bruno Di Stasio, presidente della Piccola Industria di Torino, apre i lavori: non vogliamo cedere alla rassegnazione.

9.45 - La seconda giornata si apre con l'inno d'Italia. In prima fila Giorgio Squinzi, Susanna Camusso, Emma Marcegaglia, Vincenzo Boccia.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-04-13/confindustria-stasio-vogliamo-cedere-103324.shtml?uuid=AbuMTpmH&p=3
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« Risposta #6 inserito:: Marzo 15, 2014, 08:27:56 am »

Camusso a Renzi: "Cautela sulle pensioni".
Delrio: 32 mld di tagli alla spesa pubblica.

Il Financial Times plaude alle proposte del premier: "Comincia a ribaltare le politiche di austerity".
Brunetta: "Crede di essere Mandrake"

ROMA - Un programma ambizioso quello illustrato ieri sera dal presidente del Consiglio Matteo Renzi nel corso di uno slide-show che ha fatto molto discutere. E oggi, a rassicurare gli italiani, ci pensa il braccio destro del premier, il sottosegretario alla Presidenza Graziano Delrio. Mentre i sindacati, che pure hanno apprezzato alcune delle misure proposte dal premier sul lavoro, lo esortano a usare più cautela sulle pensioni, alzando l'asticella su quelle definite "d'oro".

Spending review.
Delrio annuncia ad Agorà su Raitre un taglio alla spesa pubblica di 32 miliardi di euro in tre anni. "Vogliamo colpire con grande decisione la spesa pubblica improduttiva- spiega Delrio - La spending review non è ancora partita ed stata solo annunciata, ma il piano di Cottarelli (il commissario alla spending review, ndr), di cui abbiamo discusso in maniera approfondita in queste settimane, prevede 32 miliardi di riduzione di spesa pubblica improduttiva nei prossimi tre anni".

I sindacati e il nodo pensioni.
"Apprezziamo quando ci sono dei risultati e continuiamo a premere affinché ce ne siano degli altri. C'è una restituzione fiscale ai lavoratori dipendenti, questa è una cosa positiva". La leader Cgil Susanna Camusso, intervenendo a "Radio anch'io" sulle misure varate ieri dal governo, accoglie positivamente alcune delle proposte di Renzi sul lavoro. Ma adesso i sindacati pongono l'accento sulle pensioni: "Ora - prosegue Camusso - bisogna dare analoga soluzione anche al mondo delle pensioni, in particolare a quelle basse. Abbiamo sempre detto che le pensioni d'oro potevano essere un bacino possibile di richiesta di contributo e continuiamo a sostenerlo ma è fondamentale dove si pone l'asticella e metterla su pensioni da 2.500 o 3000 euro è troppo bassa. E' giusta l'idea ma l'asticella deve indicare una equità sociale". La soluzione ideale, spiega ancora, sarebbe "quella di salvaguardare la classica pensione che deriva da 40 anni di contributi e cioè proteggere le pensioni da lavoro".

L'ok del Financial Times.
Un plauso all'ex sindaco di Firenze viene dal Financial Times che sceglie di titolare "Renzi comincia a ribaltare le politiche di austerity" per raccontare "l'ambizioso programma di tagli alle tasse e riforme del mercato del lavoro promesso per dare una svolta all'economia italiana. Sfidando le pressioni della commissione europea a non impegnare risorse senza risparmi o nuove entrate certe". Renzi ha assicurato ieri che l'Italia si terrà entro il limite del 3% di deficit/pil: "E' l'Italia che decide come spendere i suoi soldi - continua il FT - rispettando tutti i vincoli europei".

Brunetta: Renzi-Mandrake.
Dure le critiche del capogruppo alla Camera di Forza Italia, Renato Brunetta, che in un'intervista a Repubblica ironizza sulle "doti illusionistiche" del presidente del consiglio: "È stata una conferenza stampa imbarazzante, senza un provvedimento, senza un decreto o un testo ci sono solo qualche slide e qualche figurina", dice Brunetta e aggiunge: "Renzi prende strumenti già approvati dai governi precedenti, li mischia a invenzioni inverosimili e con la bacchetta magica li rende certi e in tempi brevissimi senza dirci come. Chi è, Mandrake? Mi sembra un approccio di tipo elettoralistico per le europee del 25 maggio che rischia di far sballare conti italiani. Un libretto dei sogni da dilettanti allo sbaraglio, altro che finanza creativa". E conclude: "Viva Tremonti che sulla finanza creativa rispetto a Renzi era un principiante".

© Riproduzione riservata 13 marzo 2014

DA - http://www.repubblica.it/politica/2014/03/13/news/renzi_slide-show_il_giorno_dopo_delrio_rassicura_il_financial_times_ci_incoraggia-80889033/?ref=HRER3-1
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« Risposta #7 inserito:: Luglio 19, 2014, 06:19:36 pm »

Camusso, sul lavoro Renzi deve passare dalle parole ai fatti
Il leader della Cgil attacca il premier Matteo Renzi chiedendogli di intervenire per allargare l'occupazione e investire nel lavoro. Non "solo parole, televisioni e giornalisti ma provvedimenti, politiche industriali e risorse"

MILANO - "E' davvero ora che il governo Renzi Rompa gli indugi e agisca per attuare la prima vera riforma che serve all’Italia: difendere e allargare l'occupazione, trovare risorse per investire nel lavoro". Lo afferma in una nota il segretario generale della Cgil Susanna Camusso nei giorno in cui esplodono i casi Eni, Thyssen e Wind, anche se sono numerose le vertenze aperte.

"Da parte dell'esecutivo - aggiunge il leader della Cgil - è ora di cambiare strategia: bisogna che il presidente del consiglio nelle visite pastorali non porti ai lavoratori delle fabbriche in difficoltà solo parole, televisioni e giornalisti ma provvedimenti, politiche industriali e risorse. Al mondo del lavoro e della produzione serve una maggiore incisività nella difesa e nell'allargamento dei livelli produttivi, dell'occupazione, della capacità competitiva del paese".

Per Camusso "tutto questo non lo vediamo nelle preoccupazioni e nelle azioni di un governo impegnato solo nelle controverse leggi costituzionali e elettorali. Anche gli 80 euro, che abbiamo salutato con interesse, se restano l'unica politica del governo per contrastare la crisi, non avranno efficacia. Oggi - sottolinea - hanno scioperato i lavoratori delle Acciaierie Speciali Terni, in difesa del loro posto di lavoro, contro le decisioni della ThyssenKrupp di ridurre i volumi produttivi e per chiedere al governo un piano siderurgico nazionale che dia finalmente a questo settore industriale, strategico per il Paese, le condizioni necessarie per svilupparsi, garantire l'occupazione e lo sviluppo dell'insieme dell'industria italiana".

"Ma non c'è solo Terni - prosegue Camusso - e il settore siderurgico con l'Ilva e Piombino, a risentire dell'inerzia e della sottovalutazione della crisi industriale, della deindustrializzazione". Per Camusso "non passa giorno senza assistere alla chiusura di aziende grandi e piccole, che la nostra tecnologia e la nostra capacità di innovazione e produttiva venga acquisita e trasferita all'estero, lasciando nel nostro paese fabbriche chiuse e lavoratori licenziati. Nelle stesse aziende a controllo pubblico, come l'Eni, si scelgono strade di deindustrializzazione invece che di investimento, espansione e internalizzazione: ultimo caso quello della raffineria di Gela".

Come anche "nel settore metalmeccanico, in quello tessile, delle costruzioni, della chimica, non passa giorno che il sindacato si debba confrontare con la dura realtà di chiusure e la messa in libertà di lavoratori". Inoltre, ribadisce il numero uno della Cgil, "ancora mancano le risorse necessarie alla copertura degli ammortizzatori sociali e il governo si limita a denunciare la situazione, quasi che fossero altri a dover provvedere". "E' una situazione diventata insostenibile che non può più continuare" conclude Camusso.

(18 luglio 2014) © Riproduzione riservata

Da - http://www.repubblica.it/economia/2014/07/18/news/camusso_sul_lavoro_renzi_deve_passare_dalle_parole_ai_fatti-91897510/?ref=HREC1-7
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« Risposta #8 inserito:: Settembre 27, 2014, 04:06:22 pm »

Camusso all'attacco: "Sciopero generale se il Jobs Act sarà un decreto"
Il leader della Cgil parla all'assemblea della Fiom di Cervia e affila le armi sul tema caldo della riforma del Lavoro: "Così si torna al lavoro servile". Sulla legge di Stabilità: "Basta con la logica dei tagli lineari". Rilancia l'idea di patrimoniale. Landini a Renzi: "Finito il tempo delle deleghe in bianco"

MILANO - Se il governo Renzi decide di proseguire sulla strada della riforma del mercato del lavoro attraverso un decreto, ci sarà lo sciopero generale. Lo ha detto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, dall'assemblea della Fiom a Cervia. "Se si decidesse di procedere con il decreto bisogna proclamare lo sciopero generale", ha detto Camusso raccogliendo gli applausi dell'assemblea dei metalmeccanici.

Così il segretario generale della Cgil affila le armi a proposito della discussione parlamentare sulla riforma del ministro Giuliano Poletti, che passa attraverso una legge delega da affidare al governo, in discussione al Senato, che a sua volta conta di procedere con i decreti delegati. L'allarme di Camusso, già segnalato nei giorni scorsi, è che con l'impianto proposto dal governo si "sta tornando verso una concezione di lavoro servile".

Camusso ha affrontato anche i temi della prossima legge di Stabilità, chiedendo lo stop ai tagli lineari della spesa pubblica, mentre "bisogna cambiare passo". La sindacalista ha osservato che si è sentito finora solo parlare di tagli del 3% per ogni ministero e questo "induce a immaginare che siamo ancora una volta di fronte ad una politica di puri tagli lineari". Ma la politica di tagli che abbiamo alle spalle - ha osservato - non è stata tanto riduzione di sprechi ma si è tradotta in "salari e occupazione dentro le amministrazioni pubbliche". In un'ottica di redistribuzione occorre partire "dalla patrimoniale sulle grandi ricchezze" in modo da usare "quelle risorse per far ripartire l'occupazione". Rilanciando l'idea cara al sindacato, Camusso spiega che "occorre partire da lì e dire che la crisi non ha colpito tutti allo stesso modo".

Il fronte sindacale è più caldo che mai, da quando la riforma del lavoro contenuta nel Jobs Act è diventata la priorità del governo. Al centro della discussione, come noto, la volontà dell'esecutivo, ribadita dal premier Matteo Renzi anche nel suo recente viaggio negli Usa, di superare l'articolo 18 e con esso la "reintegra" dei lavoratori licenziati senza giusta casa. Al suo posto, il contratto a tutele crescenti e una riforma complessiva degli ammortizzatori sociali.

La leader della Cgil ha lanciato messaggi importanti negli ultimi giorni agli altri sindacati. Sulla possibilità di una manifestazione unitaria con Cisl e Uil recentemente ha detto: "Abbiamo deciso una serie di iniziative, così come anche le altre organizzazioni fanno le loro, e ci auguriamo che si reincrocino positivamente presto". Anche oggi ha battuto sul tasto dell'unità: "Dobbiamo rincrociare Cisl e Uil" perché la divisione tra il sindacato "è uno straordinario argomento in mano al governo".

Non sono mancati i toni duri sia verso l'esecutivo ("non ci stiamo al diktat 'prendere o lasciare') sia verso gli industriali ("in questo confronto la Confindustria è un desaparecido").

Dal canto suo, il leader della Fiom, Maurizio Landini, ha confermato la mobilitazione del sindacato: sarà impegnato, assieme alla Cgil, in "un'azione e una mobilitazione che siano in grado di reggere nel tempo e far cambiare idea, su alcuni punti importanti, al governo". Dal palco di Cervia ha rincarato: "Noi più di Renzi abbiamo bisogno di cambiare il paese, è con noi che deve mediare, non con gli sms da Detroit. E' finito il tempo delle deleghe in bianco. Da lunedì assemblee in tutti i luoghi di lavoro e mobilitazioni in tutti i territori con strumenti sia classici che creativi".

Sulla mobilitazione, indicata per il 25 ottobre, Camusso è stata chiara: "Sarà l'inizio di una stagione di mobilitazione che si articolerà non solo con le grandi manifestazioni, ma anche in tutti i territori. Tutta la discussione di questo periodo è puntata a dividere, a partire dal lavoro. Noi dobbiamo fare quello che sappiamo: unire i lavoratori".

(27 settembre 2014) © Riproduzione riservata

Da - http://www.repubblica.it/economia/2014/09/27/news/fiom_assemblea_camusso_sindacati-96775193/?ref=HRER1-1
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« Risposta #9 inserito:: Ottobre 21, 2014, 11:10:00 pm »

Cgil, Camusso scrive a iscritti: "facciamo sentire la nostra voce".
Attese oltre 120mila persone

Il segretario generale chiama a raccolta tutti gli iscritti del sindacato chiedendo di partecipare alla manifestazione di sabato: "A nome di tutto il gruppo dirigente, rivolgo un cordiale invito a tutti i nostri iscritti perché siano presenti a Roma il 25 ottobre. Il vostro coraggio è importante"

21 ottobre 2014
   
ROMA - "E' il momento delle scelte, chiare, dedicate a creare lavoro". Questo l'esordio della lettera che il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ha inviato agli iscritti, per rivolgere "un cordiale invito" ad essere presenti alla manifestazione del 25 ottobre. "Il vostro coraggio è importante - scrive Camusso - Uniti possiamo aprire una nuova fase e cambiare l'Italia. Facciamo sentire la nostra voce, schierandoci dalla parte del lavoro. Facciamolo insieme".
 
Il leader della Cgil ricorda che "sono passati sette anni dall'inizio della crisi e a pagarne il prezzo continuano a essere i lavoratori e le famiglie, i giovani e i pensionati, i precari, gli esodati, i disoccupati di ogni età". In Italia ed in Europa "si continua con la politica del rigore che tra tagli lineari, interventi sul mercato del lavoro, blocco dei contratti, non dà lavoro e impoverisce le famiglie, come confermato dalla recessione che permane nel nostro Paese. La conferma di quelle politiche che, purtroppo, caratterizza il governo Renzi, insiste su un'idea di Italia che compete al ribasso, non scommette su innovazione, istruzione, ricerca, non scommette sul lavoro di qualità". La Cgil - sottolinea Camusso - rivendica "un futuro che sia migliore, non peggiore del passato" ed è per questa ragione che ha organizzato la manifestazione sabato a Roma: per "restituire dignità a chi lavora e ripristinare un principio indispensabile: l'uguaglianza".

'Lavoro, Dignità, Uguaglianza. Per cambiare l'Italia', questo il tema della manifestazione che si terrà sabato 25 ottobre a Roma promosso dalla Cgil nazionale promuove una manifestazione dietro le parole 'Lavoro, Dignità, Uguaglianza. Per cambiare l'Italia'. Il lavoro, da difendere e da creare, questa la vera emergenza del Paese, e la Cgil propone un deciso cambio della politica economica, l'attuazione di investimenti pubblici e privati, l'estensione dei diritti, meno forme contrattuali e più stabilità, l'allargamento universale delle tutele, la diffusione dei contratti di solidarietà. Sono previsti due cortei, uno da piazza della Repubblica e l'altro da piazzale dei Partigiani, con concentramento alle 9, partenza alle 9.30 e arrivo in piazza San Giovanni. Qui ci sarà un accompagnamento musicale dei Modena City Ramblers mentre dal palco si alterneranno interventi di delegati, giovani e precari, insieme a qualche sorpresa da scoprire direttamente il 25 ottobre. Il tutto si chiuderà con l'intervento conclusivo di Susanna Camusso.

Il percorso. Il primo corteo da piazza della repubblica ospiterà i lavoratori provenienti da: Alto Adige, Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Piemonte, Sicilia, Umbria, Valle D'Aosta, Veneto. Il percorso sarà: via l. Einaudi, piazza dei Cinquecento, via Cavour, piazza Esquilino, via Liberiana, piazza Santa Maria Maggiore, via Merulana, via Statuto, piazza Vittorio Emanuele II, via Emanuele Filiberto, piazza San Giovanni.


Il secondo corteo partirà da piazzale dei Partigiani e sarà composto dai lavoratori di: Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Toscana, Trentino. Il percorso di questo corteo sarà: via delle Cave Ardeatine, piazzale Ostiense, piazza di Porta San Paolo, viale Piramide Cestia, piazza Albania, viale Aventino, piazza di Porta Capena, via di San Gregorio, via Celio Vibenna, via Labicana, via Merulana, piazza San Giovanni.

I numeri. Per quanto riguarda le prenotazioni gestite direttamente dalla Cgil, e sempre relative a venerdì scorso, si registrano 2.300 pullman prenotati, 7 treni straordinari, più i posti nei treni ordinari, una nave dalla Sardegna e centinaia di prenotazioni aeree. Per un totale di oltre 120 mila partecipanti, senza contare tutti coloro che si mobiliteranno dalla città di Roma e dall'intera regione Lazio e tutti quelli che arriveranno dal resto d'Italia. Prevista una forte partecipazione degli studenti grazie all'impegno da parte delle associazioni degli studenti medi e universitari.

© Riproduzione riservata 21 ottobre 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/10/21/news/cgil_camusso_appello-98648957/?ref=HREA-1
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« Risposta #10 inserito:: Maggio 25, 2015, 11:22:44 am »

Susanna Camusso: "Il governo Renzi in continuità con l'austerity. Landini? Non va da nessuna parte"

Pubblicato: 19/05/2015 12:33 CEST Aggiornato: 1 ora fa

"Noi siamo rispettosi degli accordi. Per questo per la Cgil le modalità di protesta saranno pienamente rispettose delle norme di legge e degli accordi sindacali, intese che, rispetto agli scrutini, prevedono lo sciopero e non il blocco. Come sempre il miglior modo è però quello di discutere e trovare insieme le giuste soluzioni. Invitiamo perciò il Parlamento a recepire le proposte dell'ampio fronte che si è creato contro la riforma della scuola. Per ora, però, si è dimostrato sordo, e se si andrà avanti così è nelle cose che si valutino tutte le opzioni possibili". È una Susanna Camusso che vuole cercare di evitare l'extrema ratio dello stop alle valutazioni di fine anno. Ma che boccia tout court la buona scuola di Matteo Renzi.

In molti, tra l'altro, parlano di eventuale precettazione.
Vorrei ricordare al Garante e a chi ne parla senza conoscere, che esistono accordi precisi, che non escludono affatto uno sciopero in concomitanza con gli scrutini. Penso tuttavia che sarebbe meglio non arrivarci. La strada, come sempre, quella del dialogo e dell'accordo con il mondo della scuola.

Ma per la Cgil non è ancora all'ordine del giorno?
Il tema è delicato. Si è formato un fronte molto ampio, e il primo obiettivo è quello di cercare di mantenere unite le diverse sensibilità, senza arrivare ad una rottura. Per questo spero che le modifiche sostanziali che non chiediamo solo noi, ma i professori, i genitori e gli stessi studenti vengano accolte.

Per ora l'esecutivo sembra tirare dritto.
Sì, si è dimostrato sordo a qualunque tipo di critica. C'è questa idea diffusa che basta legiferare di corsa perché il mondo funzioni. Ma non è così, c'è un mondo lì fuori che va ascoltato.

Ipotesi: la Camera dà il via libera al ddl, il Senato lo approva senza modifiche. Diventa legge così come è. A quel punto blocco degli scrutini?
Noi siamo rispettosi degli accordi sottoscritti e delle norme di legge che prevedono lo sciopero e non il blocco. Certo che, se si andrà avanti così, è nelle cose che si valutino tutte le opzioni possibili.

Oggi si vota sull'assunzione di 100mila precari. Almeno quella parte della legge è accettabile.

È sempre positivo se si assumono precari. Non sarà di certo il sindacato a protestare. Ma così come è posto il problema va a creare una profonda discriminazione nel mondo della scuola. I criteri stabiliti dividono in modo arbitrario i precari. Per cui sicuramente la stabilizzazione va bene, ma non basta.

Facciamo un salto generazionale. Pensioni: oggi la Fornero applaude il governo, Poletti dice che è stato fatto il possibile, rispettando la Consulta e rimanendo nei parametri imposti da Bruxelles.
Non mi stupisce che chi ha fatto la norma la difenda. Il problema è un altro. E vale a dire che secondo le nostre stime le misure adottate dal governo arrivano a coprire solo il 30% di quel che è stato tolto ai pensionati. C'è una distanza notevolissima tra ciò che è stato tolto e ciò che viene restituito. Senza contare che la parte sull'indicizzazione e sulla perequazione è ancora tutto da capire.

Ieri Renzi ha detto che chi oggi lo critica sono gli stessi che votarono in Aula quel provvedimento.
Quando il governo spiega che rimedia a cose fatte da altri ha la sua parte di ragioni. Ma è da quando è stata fatta quella riforma che noi diciamo che ci sono aspetti di diseguaglianza sostanziali. Mi stupisce che, invece di aggredire il problema e fare le riforme che veramente vadano a combattere la povertà e a tutelare i diritti, si aspetti una sentenza per mettere una toppa.

Modello Italicum, insomma.
Il punto è che gli anni della crisi sono stati anni di provvedimenti profondamente ingiusti. E non solo nel merito, ma proprio sotto il profilo della legittimità costituzionale. Renzi usa spesso il mantra di volere cambiare verso. Ma se lo volesse fare realmente partirebbe da lì.

Domani sono 45 anni dall'approvazione dello Statuto dei lavoratori. Dopo il Jobs act, che ricorrenza sarà?
Sarà un anniversario di riconquista, che arriva subito dopo la cancellazione fatta dal governo di parte dei diritti previsti dallo Statuto. Una manomissione che non porta alla riunificazione del mondo del lavoro, come sostiene Palazzo Chigi, ma aumenta la polarità e la sua precarietà.

Sperate ancora che, nelle mode dei decreti delegati, si possa correggere quella legge?
Non si rinuncia mai a migliorare le cose. Arriveranno i decreti sugli ammortizzatori sociali, che seguiamo con attenzione perché ci preoccupano molto. Ma il nostro orientamento è quello di costruire una nuova proposta di legge, che dia il segno che nel mondo che cambia i diritti rimangano in capo alle persone, non ai singoli lavori

Lei parla di una proposta di legge. Maurizio Landini il 6 e 7 darà il via alla sua Coalizione sociale, che punta a mettere insieme pezzi di rappresentanza del mondo del lavoro e di società civile proprio per interloquire da quel versante con la politica. La Cgil ci sarà?
Io credo che il sindacato si preoccupi di difendere interessi molto precisi. Avanza proposte, su questioni che riguardano il mondo del lavoro, i diritti e l'uguaglianza. E penso alla larga e grande coalizione sulla scuola, o all'Alleanza contro la povertà, per rimanere alle iniziative degli ultimi giorni. Il fondamento è l'autonomia, alla quale non si può rinunciare

È un no?
Il sindacato non si vincola, non può vincolarsi a un cartello che condiziona la sua politica. Credo che un'iniziativa come questa non vada da nessuna parte, non abbia futuro.

Parlava di riforma degli ammortizzatori sociali. Il Movimento 5 stelle li vorrebbe sostituire con il reddito di cittadinanza. E sta trovando, con diverse sfumature, alcuni interlocutori, da Roberto Speranza a Bobo Maroni passando per Tito Boeri. Al di là di cifre e coperture, sarebbe la strada giusta?
Innanzitutto bisogna considerare che siamo di fronte a proposte molto diverse. Ma, quando se ne parla, c'è un tema che troppo spesso viene derubricato. Ed è quello che i disoccupati, e gli indici della disoccupazione giovanile, non calano. Per questo la soluzione del reddito minimo equivarrebbe a coprire il problema per il singolo per un tot di tempo, e non mi sembra che risolva molto. Bisogna invece costruire le condizioni per creare nuovi posti di lavoro, che vadano oltre a quella che sarebbe una tutela provvisoria. C'è poi da considerare, in caso di introduzione, i possibili rischi di un gigantesco abbassamento del reddito complessivo dei lavoratori.

Mettiamo in fila pensioni, Jobs act e scuola. Su quest'ultima ieri Forza Italia, con alcuni distinguo, applaudiva il ddl come norma liberale. Il governo Renzi è un esecutivo di destra?
Parlerei di un governo continuista. Di certo l'uguaglianza, la creazione di lavoro, la tutela dei diritti, tutte cose di sinistra, non sono nel suo programma. Poi ogni tanto ci stupisce, come è accaduto sull'Ilva. Certo che se pensiamo alla scuola, o al blocco della contrattazione...

Cose che avrebbe fatto Berlusconi.
In questo caso lo stile conta, il modo di porsi. Ci sono differenze. Ma il filo della continuità nelle politiche economiche e sul lavoro è evidente.

Però gli indicatori economici si presentano con il segno più dopo mesi.

La crescita del Pil è determinata da fattori esogeni. Dal prezzo del petrolio al cambio dell'euro dollaro, senza dimenticare l'iniezione di liquidità della Bce. Ed è un bene che ci sia. Quello che non si vede è invece la crescita italiana. Tutto questo non sta determinando la crescita di un paese che nei sette anni della crisi ha visto distruggersi un quarto del proprio tessuto produttivo. È in questo che si vede la continuità con l'austerity, nella totale assenza di politiche che sblocchino la situazione. La situazione, ed è questo il tema, di una disoccupazione a due cifre che continua a non calare, unita ad una situazione che ci vede borderline sull'orlo della deflazione. Esultare su piccoli numeri percentuali è solo propaganda.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2015/05/19/susanna-camusso-renzi-destra-bocciatura-landini_n_7311384.html?1432031596&utm_hp_ref=italy
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« Risposta #11 inserito:: Settembre 10, 2016, 10:45:45 pm »

Camusso: “Vogliamo un piano straordinario per l’occupazione giovanile”
La leader della Cgil: su Jobs Act e pensioni Renzi non ha convinto il Paese
Un manifestazione di protesta di giovani disoccupati

09/09/2016
Roberto Giovannini
Roma

Mario Draghi dice che tocca ai governi agire per uscire dalla crisi? È vero, le scelte della Bce hanno evitato il peggio - spiega Susanna Camusso, segretario generale della Cgil - ma è evidente che le politiche di austerità di questa Europa non ci porteranno fuori dalla crisi. E più si continua su questa strada sbagliata, più si rafforzano i nazionalismi e si indebolisce la speranza». 

Segretario, tra lei e il premier Renzi è stato muro contro muro. Ora il clima cambia. È perché si avvicina il referendum? 
«È indubbio che noi parti sociali abbiamo subìto un ostracismo pesante. A quanto pare negli ultimi tempi il presidente del Consiglio ha cambiato linea, e sembra aver riscoperto il principio europeo del dialogo sociale, finora evitato accuratamente. Ora si tratta di capire se le aperture di confronto che ci sono state produrranno dei risultati. Temiamo che la legge di bilancio sia ancora di taglio tradizionale, senza un necessario sostegno alla domanda. Ora vogliamo sperare che il piano “Casa Italia”, inteso come prevenzione, messa in sicurezza e riqualificazione del paese, possa essere un’interessante opportunità per rilanciare sviluppo e lavoro. Siamo pronti a discutere. Noi, a differenza di chi a Palazzo Chigi ha sempre avuto un atteggiamento ideologico, abbiamo una posizione laica».

E sugli ammortizzatori sociali? 
«Su questo tema non siamo soddisfatti. Il governo sa, perché li ha significativamente ridotti, che non ci sono strumenti utili per gestire le crisi in corso. In passato ha raccontato che ci sarebbero stati ammortizzatori sociali universali, che invece non ci sono. Non va bene».

Perché la Cgil teme una legge di Stabilità “tradizionale”? 
«Un giudizio compiuto lo daremo a tempo debito. Ma non vediamo un cambiamento fondamentale della politica economica. Sul fisco, un grande strumento di redistribuzione, si continua con provvedimenti di respiro limitato e bonus sparsi che non cambieranno la situazione. Anche se positivi, quando contribuiscono a dare sollievo ai bassi redditi, come nel caso dei pensionati. Bisognerebbe intervenire invece sui patrimoni per reperire risorse per un piano del lavoro per i giovani - che è la vera emergenza del Paese - ridurre fortemente le tasse a lavoratori dipendenti, ai precari e discontinui, ai pensionati. Ma non ci pare sia questa l’intenzione». 

Il governo dice che il Jobs Act è stato un successo... 
«Se c’è una cosa su cui tutti sono d’accordo è che le politiche del governo, dal Jobs Act alla decontribuzione, non hanno immesso un numero significativo di giovani nel mondo del lavoro. Il governo quando si insediò annunciò al mondo che avrebbe eliminato il precariato. Oggi, con i voucher, rischiamo di averne, se possibile, uno peggiore. Servono risorse e misure di impatto ben differente. Bisogna fare i contratti, a cominciare dal pubblico impiego. Occorre sostenere gli investimenti in ricerca e innovazione. E si deve tornare ad assumere in una pubblica amministrazione riqualificata».

Siete d’accordo o no con la detassazione degli aumenti salariali nei contratti aziendali? 
«Noi vogliamo certamente favorire gli accordi di produttività, ma una politica economica di sostegno alla domanda impone che finalmente si comincino ad innalzare i salari. Quelli di tutti i lavoratori, non solo di quel 20% che sottoscrive contratti aziendali. Bisogna intervenire su tutto il lavoro, senza penalizzare le piccole e piccolissime imprese che i contratti aziendali non li farebbero mai».

Oggi la Cgil annuncia: chiederà agli iscritti di votare “no” al referendum costituzionale. 
«Già a suo tempo avevamo dato un giudizio negativo della proposta di riforma, ma per il merito della norma, non in funzione antigovernativa. Sono le politiche che ha praticato a non far crescere il consenso intorno al governo. Non ha convinto sul Jobs Act, non ha convinto sulle pensioni; questo lo ha pagato nel voto amministrativo, forse lo pagherà anche in altre scadenze elettorali. Noi invitiamo i cittadini a partecipare al referendum e a votare “no”. Ma non faremo parte di alcun comitato, vogliamo mantenere la nostra autonomia. Non pensiamo che se vince il “no” ci sarà la recessione. La recessione ci sarà o meno a seconda delle politiche economiche che verranno adottate». 

Twitter @RobertoGiov 
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Da - http://www.lastampa.it/2016/09/09/economia/camusso-vogliamo-un-piano-straordinario-per-loccupazione-giovanile-nEqEoZJJ6WtdYZVaDEptNL/pagina.html
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« Risposta #12 inserito:: Gennaio 17, 2017, 04:54:56 pm »


Camusso: “Pressioni sui giudici per respingere il quesito sull’art. 18”
La segretari della Cgil al governo: “Fissi subito la data del voto. I voucher strumento malato e non riformabile”

Pubblicato il 14/01/2017
Ultima modifica il 14/01/2017 alle ore 07:37

Roberto Giovannini
Roma

Anche oggi - dice Susanna Camusso - abbiamo chiesto al governo di fissare la data dei referendum.

Segretario, la vostra campagna referendaria non è azzoppata dal no al quesito sull’articolo 18? 
«I due referendum parlano a milioni di lavoratori di cui nessuno si occupa mai, e ai giovani che subiscono ricatti e precarietà. Sui licenziamenti illegittimi continueremo a muoverci, anche col contenzioso giudiziario. Ma i referendum su voucher e appalti servono a ragionare del lavoro che verrà, per bloccare una logica impazzita. Già oggi per i voucher passa circa il 7% del lavoro. Non dimentichiamo che basta avere un “buono” da un’ora in una settimana e si viene considerati come “occupati”».

Quando parlate di “contenzioso giudiziario” sui licenziamenti, cosa intendete esattamente? 
«Sono state scritte tante sciocchezze, nessuno ha in mente di ricorrere in sede europea contro la Corte Costituzionale. Noi pensiamo che ci sia una legge, il Jobs Act, che è ingiusta: crea diseguaglianze tra lavoratori, e disparità tra lavoratori e impresa. Non è un caso, lo dimostrano le statistiche ufficiali, che i licenziamenti aumentino. Già ci siamo mossi a fondo nei contratti, per recuperare le garanzie che sono state sottratte, articolo 18 compreso; ora valuteremo in che modo ricorrere presso le Corti dell’Unione europea per farla finita con ingiustizie ai danni dei lavoratori introdotte nelle leggi. Nessun ricorso contro la Consulta, che non ha giudicato nel merito il Jobs Act, ma solo sull’ammissibilità del referendum».

Una Consulta di cui non condividete la decisione. 
«Noi pensiamo di aver rispettato tutte le norme e i precedenti giuridici, ma prendiamo atto della decisione. Si leggono strani retroscena secondo cui la Cgil avrebbe presentato un quesito per farselo bocciare... assurdità. Certo, attendo di leggere le motivazioni della sentenza: non si capisce quali nuove e diverse valutazioni rispetto al passato la Corte abbia formulato - con un grande conflitto interno, a quanto risulta - per bocciare il nostro referendum. Leggo che anche presidenti emeriti della Consulta hanno sollevato la questione». 

 Possono aver pesato considerazioni politiche? 
«Abbiamo constatato un crescendo di interventi per spiegare alla Corte che doveva fare. Fatto senza precedenti. Si è parlato di colloqui tra ministri e giudici costituzionali: mi parrebbe un comportamento non rispettoso dell’autonomia delle istituzioni».

Sui voucher il governo prepara modifiche. Saranno sufficienti per evitare il referendum? 
«Noi abbiamo chiesto di abrogare i voucher, uno strumento malato e irriformabile. Quello è il metro di misura: il Parlamento può varare una nuova norma, ma per far decadere il voto deve rispondere all’istanza posta dal quesito. Si parla di bizzarre ipotesi di riforma, attribuite al ministero del Lavoro: collegare i voucher “consentiti” a un’azienda al numero dei dipendenti è la dimostrazione che con i voucher non si vuole regolare il lavoro occasionale, ma solo mettere a disposizione una nuova forma di flessibilità che fa dumping contro il lavoro regolare. È chiaro che non si vuole la regolazione del lavoro occasionale e l’emersione del lavoro nero – cosa peraltro non riuscita con i voucher – ma costruire una nuova forma di lavoro precario».

Eppure il lavoro occasionale esiste. Abolire i voucher non significa negare questa realtà? 
«Il lavoro occasionale esiste, e la Cgil ha presentato nella Carta dei diritti una proposta in merito. I voucher non sono usati nel lavoro occasionale, dove servirebbero, ma dove non dovrebbero essere usati: nel lavoro stagionale nel turismo, in agricoltura quando c’è il raccolto, nei cantieri edili, sulle catene di montaggio, per sostituire lavoratori in sciopero. Si continua a dire cosa avrebbero dovuto essere i voucher; si ammetta invece che sono un mezzo per fare dumping al lavoro regolare e a quello flessibile “normale”. E a volte, come nel turismo, sono usati anche per coprire e nascondere il lavoro nero». 

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Da - http://www.lastampa.it/2017/01/14/economia/pressioni-sui-giudici-per-respingere-il-quesito-sullart-timuBEqMDquTFwUMznDfSN/pagina.html
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