L'INTERVISTA
"Il Sid sapeva tutto su di noi ma io scoprii e cacciai le loro spie"
Armando Cossutta, dirigente del Pci, ha sempre saputo che i servizi controllavano il suo partito. "Ma le nostre strutture erano a difesa della democrazia in quei tempi bui"
di ALBERTO CUSTODERO
ROMA - Armando Cossutta sa bene a che cosa si riferisse D'Alema quando al capo dell'Aise ricordò l'attività di spionaggio dei servizi segreti negli anni della Guerra Fredda. Fu l'ex componente del comitato centrale del Pci che fondò quel "servizio d'ordine clandestino", una sorta di servizio segreto del Pci. Fu ancora lui a scoprire ed espellere gli infiltati del Sifar e del Sid nel Pci. "Sì, i servizi segreti erano bene informati - ammette Cossutta - avevano delle spie fra di noi. Ero io il responsabile di quell'apparato di sicurezza del partito a cui fa riferimento la velina del Sid del 19 giugno '67". Cossutta, oggi vicepresidente Anpi, leggendo le veline del Sid trovate da Repubblica negli archivi Moro, ricorda con gran lucidità quegli anni. "Scrissi io - racconta a proposito dell'organizzazione clandestina citata dai servizi segreti - il documento su come si doveva comportare l'organizzazione comunista fra il '69 e il '70 in caso di emergenza". In caso di colpo di Stato.
"L'inizio della Strategia della tensione - aggiunge - ci spinse a dare quelle indicazioni. Allora scrissi un editoriale su Rinascita diretto da Gerardo Chiaromonte, intitolato "I compagni sanno", con cui volevo significare che cosa sarebbe dovuto accadere in caso di colpo di Stato o di sovvertimento. Avevamo presente la gravità e la delicatezza del momento. Fu così che abbiamo ridato vigore a quello che esisteva fin dalla Liberazione, cioè il mitico "servizio d'ordine" che aveva compiti concreti: difendere le sedi, come dice la nota dei servizi segreti, le case dei compagni, durante le manifestazioni evitare le infiltrazioni. Il nostro servizio d'ordine non le permetteva". Cossutta torna agli anni Settanta, quando scoppiò la guerra del Vietnam. "Non ricordo - dice - quante furono le manifestazioni a Roma contro gli americani, e c'era la spinta di gruppi di estremisti di manifestare davanti all'ambasciata Usa. Era il nostro 'servizio d'ordine' ad indirizzare i cortei". Col tempo il "servizio clandestino" del Pci ebbe compiti più precisi.
"Avevamo - ricorda Cossutta - compagni addetti a conservare l'archivio del partito che per noi era prezioso. Ma non era così semplice, perché dovevamo dire a un compagno, 'tu stai buono, ti diamo un pacco, non lo devi aprire, ma non devi più fare politica'. Per loro era un sacrificio, ma così diventavano insospettabili". Il "servizio", continua Cossutta, doveva garantire anche "le riserve finanziarie del partito in caso di colpo di Stato e certo le banconote non si potevano tenere in banca. Davamo somme di denaro contante in custodia ai compagni. Sembrano cose da ridere, ma il partito mica aveva lo Stato dietro, si avvaleva del lavoro volontario dei compagni". "Il 'servizio d'ordinè aveva un grande ruolo, non solo di compito di difesa del partito. In quegli anni dal tintinnar di sciabole e pericoli paventati fui incaricato di andare a parlare al presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, e gli mostrai le nostre preoccupazioni. Il Pci era un grande partito democratico che godeva del prestigio delle Forze Armate e di settori più delicati che ci rispettavano. E da loro ricevevamo indiscrezioni, valutazioni, preoccupazioni. Andai da Saragat, dunque, esposi quelle preoccupazioni, ascoltò, mi disse 'hai ragione, ci sono fermenti, ma state tranquilli'. Ci fidammo, era un democratico antifascista, gli davo del tu anche se ero molto più giovane. Alla fine gli ho detto, 'Presidente, tieni conto che il Pci è ben organizzato: se succede qualcosa, tu devi essere salvaguardato per garantire la vita democratica. Noi siamo pronti a proteggerti'. Lui ascoltò e mi abbracciò stretto stretto. Il 'servizo d'ordinè era volto a difesa della democrazia della Repubblica e il nostro partito era il più minacciato in caso di colpo di Stato. E in questo avevamo rapporti stretti con i compagni socialisti e il Psiup e le organizzazioni democratiche. Cercavamo di non coinvolgere i sindacati, ma era chiaro che erano i sindacati il baluardo".
Cossutta racconta l'episodio a cui ha fatto riferimento D'Alema durante l'audizione al Copasir del generale Santini: come furono scoperte le spie del Sid al Bottegone, infiltrate nel Pci. "Ad un certo punto Longo, segretario del partito (io ero coordinatore della segreteria), mi disse, 'ho la segnalazione che nel nostro apparato ci sono delle spie. Bisogna trovarle il più presto possibile'. Mica facile, risposi. Non era, quella, una dritta dei Servizi dell'Est, ma proveniva da quella parte del mondo militare italiano democratico che ancora oggi credo che ci sia. E allora ci fu un lungo lavoro perché l'apparato era numeroso, un centinaio di funzionari, poi oltre all'apparato centrale c'era quello periferico. Per molti giorni mi misi accanto a Ferdinando Di Giulio, che era capogruppo alla Camera e membro della segreteria. E sfogliammo una per una le schede delle autobigrafie di ognuno dei nosti funzionari. Analizzammo il loro tenore di vita che per regolamento era basso, guadagnavano poco, una paga uguale a quella di un operaio metalmeccanico. Allora misi l'occhio su diversi compagni, in particolare uno, Mario Stendardi, che offriva colazione a tutti e quando qualcuno gli diceva dove prendesse tutti quei soldi, 'eh, diceva, sono un creativo, ho inventato io lo slogan non c'è due senza triplex'. E tutti ci credevano. Allora decisi di tendergli una trappola. Lui era di Milano, aveva la moglie staffetta partigiana, il fratello nella commissione interna alla Brown Boveri, una fabbrica molto combattiva. Una famiglia al di sopra di ogni sospetto. Lo chiamai, pensava fosse una questione di lavoro. Sul tavolo avevo sparso delle cartelline con delle carte. 'Come stai?' mi disse. Veniamo al dunque, gli risposi. Sappiamo tutto di te. Qui c'è il materiale, le prove. Ora ci devi dire tutto. Lui tolse gli occhiali e si mise a piangere. E raccontò come fu arruolato dal Sid. Lui lavorava in commissione esteri, settore delicato, quello del movimento per la pace. E in questa attività viaggiava e aveva conosciuto una persona e poco a poco aveva iniziato a collaborare. 'Ormai ero dentro, confessò, e quando tentai di uscire, iniziarono a ricattarmi: Non puoi più, mi dissero, sennò ti denunciamo'. La collaborazione col Sifar prima e il Sid poi durò qualche anno. Gli chiesi di dirmi tutto. Noi sospettavamo alcune cose, ma lui ci diede la conferma, come ad esempio il fatto che il negozio di tappeti davanti a Botteghe Oscure era in realtà una centrale occulta del Sifar. Non incontrava lì il suo referente, ma in zone anonime. Però da quel negozio, ci confermò, 'sparavano i microfoni dentro la nostra sede che si conficcavano alle pareti'. Avevano preso di mira gli uffici del segreterio e della direzione del partito. Piangendo, mi chiese che cosa avrei fatto. Non ti mandiamo certo in galera, risposi io, ma ti espelliamo per tradimento del partito. Passa in segreteria se hai crediti da incassare, e poi sparisci, non farti più vedere. Lui uscì, ma tornò dopo qualche minuto e mi chiese di non dirlo a suo figlio che era un giovane comunista. Noi tacemmo, ma la notizia uscì su una rivista scandalistica. Prima di andarsene mi ammonì: 'attenti, perrché quando ho cercato di interrompere la collaborazione coi servizi, mi risposero, Non fare l'aristocratico, tanto ne abbiamo un altro che ci fa la spia a Botteghe Oscure'. Capii che c'era un altro infiltrato e con lo stesso metodo stanai anche quello. Misi sotto osservazione un certo Edoardo Ottaviano che lavorava al settore scuola del partito. Lo incastrai e confessò che passava agli 007 tutti i nomi di chi frequentava le Frattocchie. Chissà cosa pensavano i servizi che insegnassimo nelle nostre scuole. E invece si parlava di storia di Risorgimento, e di formazione politica".
(18 ottobre 2010) © Riproduzione riservata
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