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Autore Discussione: Pietro GRASSO: «In Sicilia Cosa Nostra è pronta ad alzare il tiro»  (Letto 3120 volte)
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« inserito:: Agosto 31, 2007, 11:23:22 pm »

Pietro Grasso: «In Sicilia Cosa Nostra è pronta ad alzare il tiro»

Sandra Amurri


La ’ndrangheta e i fermi di San Luca. Ma anche le inquietanti cartoline «la pace è finita» inviate dalla mafia all’indirizzo tutto particolare di Totò Riina, ovvero il carcere milanese di Opera. Ancora emergenza crimine organizzato. «Che Cosa Nostra stia vivendo una crisi di assestamento è evidente, non è una novità ma prima di avanzare ipotesi è necessario attendere i risultati delle indagini in corso» spiega il Procuratore nazionale Antimafia, Pietro Grasso.

Procuratore, quanto sta accadendo dimostra che Provenzano non era un capo ormai in disuso, ma un capo che garantiva l'equilibrio, la stabilità all'interno di Cosa Nostra?

«Provenzano era certamente l'ultimo dei capi di Cosa Nostra in libertà, costituiva un importante punto di riferimento e di equilibrio. Venuto a mancare lui, in assenza di qualcuno che prendesse il suo posto nella direzione, Cosa Nostra ha accusato un forte sbandamento e queste situazioni, seppure ancora da definire, ne sono la dimostrazione. Per ora credo che esista un grande vuoto La supremazia del boss Lo Piccolo, è limitata a Palermo città non riesce ad abbracciare tutta quanta la Provincia che resta ancora bisognosa di un capo. Si tratta di una situazione molto complessa».

Che potrebbe portare, come si legge nelle cartoline inviate ai boss, alla fine della pace mafiosa?

«Finchè non riusciremo a sapere chi le ha mandate non capiremo neppure quale significato hanno. Certamente la mafia non ha bisogno di avvertire. Mentre un elemento che deve farci riflettere è che potrebbe trattarsi di un modo per creare un clima di destabilizzazione».

Mentre le fedi dimenticate in cella dai boss Santa Paola e Bagarella che significato assumono?

«Sono certo, da alcuni particolari, che si sia trattato di una pura coincidenza».

Quali particolari?

«Innanzitutto Bagarella ha detto di essersi dimenticato la fede nella cella e ha chiesto che gli venisse restituita, durante il trasferimento ad altro carcere. È ovvio che se l'avesse utilizzata come strumento per comunicare con Santapaola non avrebbe svelato di averla dimenticata. Inoltre, se fosse avvenuto uno scambio di fedi concordato tra i due vorrebbe dire che entrambi sapevano che sarebbero stati trasferiti nella cella dell'altro e questo vorrebbe dire che vi è stata una fuga di notizie all'interno degli Istituti Penitenziari. In ultimo Bagarella, che come si sa ha perduto sua moglie in circostanze ancora misteriose, avendo altri mezzi per ottenere gli stessi effetti, non avrebbe mai utilizzato la fede, e altro ancora di cui chiaramente non posso parlare».

Contatti, o tentativi di contatti attribuibili ad una lacunosa applicazione del 41 bis?

«No, il 41 bis non potrà mai essere assoluto e come ha detto la Corte Costituzionale il detenuto mafioso ha il diritto di socializzare. Sta poi all'amministrazione penitenziaria fare in modo che socializzi con detenuti comuni non in grado di far veicolare fuori le informazioni. Non si può pensare ad un isolamento totale».

Procuratore, Salvatore, figlio di Totò Riina, potrebbe essere scarcerato tra qualche giorno. Il suo ritorno a casa potrebbe rappresentare un pericolo concreto per la "ricomposizione" dell'esercito corleonese?

«Innanzitutto occorrerà attendere il giudizio della Corte D'Appello di Palermo. Poi bisognerà vedere, in caso di scarcerazione, quali misure gli verranno applicate. Poi non è detto che, nel caso in cui venisse scarcerato, deciderà di tornare a Corleone, potrebbe anche eleggere il suo domicilio in un luogo diverso ma se così non fosse esistono misure di controllo e di sorveglianza che, certamente verranno predisposte. Ripeto, in generale, siamo di fronte ad una situazione in evoluzione. Spetterà alla Dda di Palermo avviare nuove strategie di indagine sul territorio per comprendere cosa esattamente sta accadendo e cosa accadrà».

Pubblicato il: 31.08.07
Modificato il: 31.08.07 alle ore 10.06   
© l'Unità.
« Ultima modifica: Settembre 02, 2007, 12:23:31 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Settembre 01, 2007, 11:46:17 pm »

L'imprenditore minacciato scrive e Napolitano.

Artioli: «Serve l'esercito»

Confindustria: «Espellere chi paga il pizzo»

Gli imprenditori che accettano le regole del racket saranno cacciati.

La norma entrerà nel nuovo codice etico degli industriali 


CALTANISSETTA - Gli imprenditori che non si ribellano al racket delle estorsioni pagando il pizzo e che in qualunque forma «collaboreranno» con la mafia saranno espulsi da Confindustria. È quanto prevede una norma stabilita dal direttivo regionale dell'associazione degli industriali siciliani, riunito a Caltanissetta dopo le intimidazioni e le minacce al presidente dell'Ance a Catania, Andrea Vecchio, e al presidente della Camera di Commercio e della Piccola industria a Caltanissetta, Marco Venturi. La norma sarà inserita nel codice etico già adottato da Confindustria a livello nazionale, dopo il via libera della giunta siciliana dell'associazione che si riunirà nei prossimi giorni. Chi violerà la norma sarà sanzionato, in base alle disposizioni del codice, sino all'espulsione.

LO SFOGO DI VECCHIO - «Mi sono sovra esposto, ma non voglio diventare un bersaglio, anche le pallottole non possono uccidermi perché le mie idee non moriranno mai». Lo ha detto Andrea Vecchio, imprenditore catanese che ha subito quattro intimidazioni in quattro giorni. Attorno all'imprenditore si è stretta Confindustria Sicilia, che ha chiamato a raccolta tutti i suoi dirigenti a Caltanissetta. Alla riunione partecipa su mandato del presidente Luca Cordero di Montezemolo, il vice presidente nazionale di Confindustria Ettore Artioli.

LETTERA A NAPOLITANO E PRODI - «Lo Stato reagisca». In una lettera indirizzata al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e al premier, Romano Prodi, l'imprenditore Andrea Vecchio, destinatario di quattro intimidazioni e attentati incendiari, chiede allo Stato di non lasciarlo solo nella sua ostinata resistenza alla criminalità organizzata. «Così non si può vivere», scrive con amarezza nella missiva resa nota nel corso della riunione di Confindustria a Caltanissetta. «Non siamo noi imprenditori a essere attaccati - aggiunge Vecchio - ma lo Stato, quello stesso Stato che non è in grado di assicurare l'ordinato svolgersi della vita e dell'attività quotidiane. Non vogliamo essere eroi, ma protagonisti vivi».

ARTIOLI: SERVE L'ESERCITO - «A questo punto è opportuno l'intervento dell'esercito. Una riproposizione dei Vespri siciliani per difendere anche quanti tra gli imprenditori vogliono continuare a lavorare, rifiutando ogni condizionamento e respingendo con coraggio intimidazioni di ogni sorta». La proposta choc arriva dal vice presidente di Confidustria, Ettore Artioli. «Mi sono già recato al ministero della Difesa - ha aggiunto il numero due di viale dell'Astronomia - per ragionare sul da farsi. Ma la strada più concreta ed efficace nell'immediato appare essere quella dell'intervento dell'esercito. Sarebbe un segnale fortissimo».

MASTELLA - L’ipotesi di inviare l’esercito in Sicilia per contrastare la criminalità organizzata «è una discussione ricorrente nelle aree dove c’è maggior incidenza - ha detto Clemente Mastella, ministro della Giustizia - Il problema non è solo per la Sicilia, ma anche per la Campania e la Calabria, se ne discute ma per ora non c’è una risposta affermativa. Martedì - ha aggiunto - incontrerò il presidente del Consiglio e ci saranno in cantiere alcune iniziative che spero siano assecondate dal Parlamento al di là delle distinzioni tra le parti politiche».

LA DIFESA NICCHIA - «Io credo che la decisione assunta oggi da Confindustria Sicilia di espellere gli imprenditori compiacenti e quelli che pagano il pizzo sia molto più importante e utile dell'invio dell'esercito, che è chiamato a svolgere altre funzioni». Lo afferma Andrea Armaro, portavoce del ministro della Difesa Arturo Parisi. «Le forze di polizia sono sufficientemente presenti, quel che manca semmai è quell'humus sociale che oggi Confindustria Sicilia con la delibera approvata si ripropone di ricreare».

DI PIETRO, PUNIRE ANCHE CHI PAGA TANGENTI - Dopo la decisione degli industriali siciliani il ministro Antonio DI Pietro rilancia e chiede di prevedere l'espulsione per chi paga le tangenti. Penalizzare chi accetta le regole del pizzo «è un atto di coraggio e grande impegno civile. Sarebbe ancora più giusto, però, se ad essere espulsi fossero anche coloro che pagano le tangenti». ha dichiarato il ministro delle Infrastrutture. «Il provvedimento assunto dal direttivo siciliano di Confindustria prosegue Di Pietro- merita rispetto, oltre che attenzione; e induce magistratura e gli organi competenti a dare risposte chiare. Se gli imprenditori, però, vogliono mandare un messaggio di discontinuità rispetto alle logiche del malaffare dovrebbero anche prevedere l'espulsione per chi paga le tangenti. Uno dei mali peggiori per l'economia del Paese e per la stessa politica è proprio il reato di corruzione che, a differenza del pizzo, prevede due soggetti egualmente colpevoli: chi prende la tangente e chi la paga».

01 settembre 2007
 
da corriere.it
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